domenica 30 settembre 2018

ABITARE LA VISIONE





Paolo Cugini

Non c’è nulla di puro. Non esiste un mondo dove tutto è bello e coerente. E’ la realtà, e lo sappiamo bene, che è ibrida, mescolata, e dobbiamo abituarci a questa mescolanza. La realtà è plurale, molteplice, si presente multiforme. Cerchiamo di ingabbiarla, di precederla, di anticiparla con i nostri schemi uniformi, ma non c’è nulla da fare. Appena apriamo gli occhi della vita e facciamo i primi passi, entriamo in un mondo in cui è difficile distinguere i colori, le sfumature. Difficoltà che cresce a dismisura man mano che passa il tempo, quando iniziamo ad entrare nel mondo fatto dagli uomini e dalle donne, un mondo che percepiamo essere non solo mescolato, ma contorto, ambiguo, confuso. Sembra che lo facciano apposta; sembra che facciano tutto il possibile per complicare ciò che è semplice, mescolare ciò che è molteplice, confondere ciò che è plurale. Apprendere a convivere nella confusione senza perdersi, è l’arte della vita. Riuscire a valorizzare ciò che s’incontra di buono nella mescolanza delle cose, è sintomo di grande capacità di adattamento.

Il dramma dei puri è proprio quello di non riuscire ad adeguarsi alla mescolanza e, allora, passano tutta la vita a rincorrere il sogno di un mondo luminoso, puro, senza sbavature. Per questo sono spesso arrabbiati con il mondo intero, perché non sanno cedere, non vogliono pensare che non esista un pezzo di mondo che non sia contaminato dalla stupidità e dall’ignoranza. Li vediamo, allora, insoddisfatti, perché costantemente alla ricerca di un mondo che non esiste se non nelle loro teste. Eppure, sono questi insoddisfatti, questi perenni sognatori, questi puri, questi visionari, che rendono il mondo più bello per tutti, perché ci mostrano degli sprazzi di luce, di quella realtà che normalmente nella vita reale non riusciamo a vedere. Loro, i puri, la vedono e la cercano: la esigono. La rincorrono in ogni momento della giornata. La sognano di notte e la vogliono di giorno. Loro, i puri, non sanno stare fermi e non conoscono rassegnazione: ci credono sempre e non ci mollano mai. Pur vivendo nel presente, hanno visioni sul futuro. Hanno occhi penetranti che li conducono continuamente in un’altra dimensione. Per questo, ad un certo punto, confondono la realtà con la visione e ci rimangono male quando qualcuno glielo fa notare. I puri, i sognatori, gli uomini e le donne abitate dalle visioni, capiscono, ad un certo punto della vita, che dovranno viaggiare da soli e che la solitudine sarà la dolce e amara compagna della vita.

Anche Gesù non c’è riuscito. Ha protetto il suo gruppo di discepoli e discepole dalle contaminazioni egoistiche e corrotte del mondo. Li aveva tenuti protetti dalle contaminazioni negative degli uomini del tempio, dagli uomini del potere, dalle sopraffazioni meschine degli uomini della politica e dell’economia. Che cos’era, infatti, il gruppo di discepoli e discepole se non un pezzettino di umanità incontaminato, puro, le cui logiche erano tutte all’insegna dell’amore, dell’uguaglianza, del rispetto reciproco, dell’attenzione all’altro, vissuto in uno spirito di apertura e di accoglienza, liberi dalle leggi ingiuste degli uomini. Purtroppo, come sappiamo, il sogno di Gesù è durato tre anni. Nemmeno Lui ci è riuscito. In ogni modo ci ha lasciato un grande insegnamento, vale a dire, che non c’è prezzo al mondo che possa pagare la dignità umana. Ci ha insegnato a vivere fino in fondo il proprio sogno, a non svendere al primo che capita le proprie visioni, a non lasciarsi tramortire dall’arroganza feroce di chi pensa solo a se stesso, di che pensa un mondo chiuso. Gesù ci ha insegnata che la libertà dei figli e delle figlie di Dio ha un prezzo da pagare molto alto in questo mondo di schiavi della materia, schiavi del dio denaro, schiavi del potere, servi del proprio egoismo. Amare e abitare il sogno di un mondo diverso, un mondo di giustizia e amore: è questa la grande eredità di Gesù e di tutti i sognatori e visionari come lui. Ama e fa ciò che vuoi. Vivi amando e ama vivendo: è questo il grande sogno di Gesù, che ha vissuto amando sino all’ultimo respiro della sua vita.

Ci sono spiriti liberi che non riescono a vivere in un mondo contaminato. Gesù era uno di questi. C’è gente che non ce l’ha fa a vivere tappandosi il naso. Ha i polmoni troppo fini; ha soprattutto voglia di respirare aria pura. E poi si sa che quando uno si abitua a respirare aria viziata pensa e crede che l’aria sia tutta così, che l’aria viziata sia l’aria e allora si adegua, non combatte per poter respirare aria pura e, così, lentamente muore, in tutti i sensi. Arriva persino a contrastare coloro che fanno di tutto per ripulire l’aria, per aiutare tutti a respirare l’aria pulita. Gesù era uno di questi che non ci mollava mai, che non accettava l’aria viziata degli uomini del tempio, che viziavano la religione con le loro regole opportunistiche. Gesù ha trascorso l’adolescenza e la gioventù ad ascoltare, a vedere e ad osservare attentamente il mondo degli adulti e lentamente si è accorto che era un modo dominato dall’ipocrisia, dalla falsità, della ricerca dei propri interessi. Gesù aveva capito che rimanere fedeli ai propri sogni di un mondo fatto di giustizia, di un mondo plurale che ti porta ad essere attento a tutti e ad accogliere tutti, non  solo non paga, ma ti isola. E infatti, sappiamo com’è andata finire quella storia esemplare che tutti i visionari del mondo prendono come puto di riferimento: Gesù è morto da solo in croce, abbandonato dai suoi, tradito da un suo discepolo, rinnegato da colui che aveva scelto come capo del gruppo. Nonostante ciò, non si è arreso, non ha rinunciato alle proprie visioni ma, proprio per questo, proprio per questa suo fedeltà assurda, le ha rese possibili per tutti.

giovedì 27 settembre 2018

VERSO IL SINODO: AMAZZONIA, NUOVI CAMMINI PER LA CHIESA E PER UN’ECOLOGIA INTEGRALE









FONDAZIONE CUM

VERONA 25 SETTEMBRE 2018

INCONTRO CON NANCY CARDOSO PEREIRA


Sintesi: Paolo Cugini

Nancy è una pastora della Chiesa metodista che lavora nella commissione della Chiesa Cattolica della Pastorale della Terra. Ha partecipato al cammino della lettura pastorale della Bibbia. Ha lavorato come consulente nell’università. Un giorno un prete gli ha chiesto di aiutarlo nel lavoro con i migranti che dal Nordest del Brasile venivano nel Sud per lavorare con il taglio della canna da zucchero. E’ rimasta impressionata con il lavoro schiavo della situazione delle fazendas. Ha così, iniziato a viaggiare con questo prete nelle piantagioni di Canna da zucchero facendo le denunce alla polizia locale. Ad un certo punto è rimasta sola, perché il prete era tornato al Nordest. Nonostante ciò, rimase molto colpita e coinvolta da quello che aveva visto e toccato. Si è messa allora, in contatto con la commissione della Pastorale della Terra. Ha cercato di coinvolgere gli studenti dell’università nell’occupazione di terra: è stata un’esperienza molto positiva che l’ha portata ad essere buttata fuori dall’università. Sono 20 anni che lavora come consulente nella formazione degli agenti di Pastorale della Terra. Inoltre, ha continuato a lavorare sulla lettura pastorale della Bibbia.

Sull’Amazzonia non si sente parlare quasi mai. Oggi abbiamo accesso all’informazione se vogliamo.
Lc 12,54: qual è il tempo che noi viviamo? Tanta informazione, ma allo stesso tempo una grande ipocrisia. E’ un tempo di crisi alimentare, nonostante una super produzione di alimenti. Vediamo la nuvola di migranti che scappano dalla fame, dallo sfruttamento delle miniere, dalle guerre, dai conflitti per i conflitti sull’acqua. Possiamo dire: è difficile: E’ ipocrisia. Il problema non è solo descrivere le situazione, ma spiegare le situazioni. Occorre leggere i segni dei tempi. Ci sono segnali che esigono interpretazioni come quello che viene dall’Amazzonia.
C’è un’isola che sta scomparendo. Sta succedendo oggi. Il Vangelo esige da noi di superare l’ipocrisia del senso comune e interpretare i segni. Molta informazione, poca interpretazione nessuna azione.
Le questioni climatiche della natura hanno due interpretazioni nella cultura e nella Chiesa.
1.      Dio è sovrano e quindi niente vai fuggire dal suo controllo. Ciò che sarà, sarà.
2.      C’è un’interpretazione dei paesi sviluppati è che la tecnologia darà una soluzione.
La maggioranza non è impegnata a leggere e interpretare e cambiare questa situazione. Cerchiamo di dare una risposta di fede nel nostro tempo. Nella convivenza con i popoli tradizionali, quelli che vivono lungo i fiumi, non è solo la testimonianza e nel tempo, ma anche nel territorio. La geografia è entrata dentro la teologia, la spiritualità. L’episcopato cattolico dell’Amazzonia chiama la Chiesa a interpretare e attuare nella situazione dell’Amazzonia. E’ il movimento del Sinodo che avverrà nel 2019. Il Sinodo è un momento per interpretare e progettare la chiesa nell’Amazzonia.

Titolo del Sinodo: nuovi cammini nella chiesa e un’ecologia integrale.
E’ importante accompagnare con la preghiera questo cammino della Chiesa amazzonica. E’ una casa comune. Il sistema di piogge della foresta interferisce in altre ragioni del mondo. Tutto è in legame con tutto. Il profondo dialogo della natura con la realtà dice della presenza di Dio. Ci sono domande teologiche che non voglio rispondere oggi.
Una è la sovranità di Dio sulla natura. L’altra è quello dello specifico della specie umana che ha un luogo speciale nella creazione. Siamo immagine e somiglianza di Dio e pensiamo di essere migliori degli animali, delle piante, delle pietre. Se non riusciamo a cambiare questa mentalità della sovranità di Dio e la teologia dell’immagine e somiglianza, non riusciremo a ricreare tempo e spazio.
Il sistema idrico dell’Amazzonia dipende dalle Ande, e dalla savana brasiliana, che è la culla delle acque. C’è un sottosuolo di acqua, l’acquifero Guaranì, molto grande. C’è una regione dell’Amazzonia che è ancora colonizzato da un paese europeo: la Goiania francese. Tutto dialoga con tutto: le Ande dialogano con le foreste brasiliane. L’Amazzonia riceve, metabolizza e dà. Sempre di più sta avvenendo lo scioglimento dei ghiacciai delle Ande: è una crisi. L’Amazzonia è come un grande frigorifero che raffredda le arie calde.
La foresta amazzonica è la più grande del mondo. Se attraversiamo il mare entriamo in Africa, Indonesia: una fascia di foreste. Tutto dialoga con tutto. 1/5 delle acque dolci non congelate del mondo è nel sistema amazzonico. E’ la più grande banca genetica del mondo. In un ettaro di terra amazzonica esistono più specie vive che in tutte le foreste temperate del mondo. E da un ettaro all’altro le specie sono diverse.
Ci sono molti minerali nel sottosuolo amazzonico. Ogni giorno sono esportati più di cento tonnellate per giorno. Succede nel Brasile, Bolivia, Perù. Cosa possiamo dire dei paesi Latinoamericani? Che rispondono di più agli interessi dei paesi Occidentali. Oggi esistono in Amazzonia 32 centrali elettriche nuove. C’è un commercio criminoso enorme.

La foresta in media ha 500 tonnellate di biomassa per ettaro. C’è una produzione di acqua e fotosintesi impressionante. Grande produzione di biomassa che significa capacità di restaurazione del suolo.

Gli alberi non sono immobili. C’è una mondo che si muove sotto la terra. Le radici si comunicano. Occorre mantenere la foresta nella grandezza che è oggi. Ciò che la foresta produce è fondamentale per la vita. Tutto però è finito e ha limiti. La formazione di biomassa è fondamentale per la vita nel pianeta.  E’ un crimine distruggere la foresta per fare monocultura. E’ ipocrisia del potere che pensa solo ai soldi. Non si producono alimenti per il mondo.

Quando si vanno agli incontri sul Clima, tutti vanno a presentare l’agricoltura intelligente, che è tutta basata nella loro tecnologia, fatta di monocultura che indebolisce la foresta. Il terreno ha nostalgia dell’ombra, dei vermi, del respiro degli alberi.

La foresta ha più valore in piedi per tutti noi. Ma il 6 % di ricchi che vivono della finanziarizzazione della natura, ci fanno credere che i prodotti chimici sono meglio. Anticamente gli scienziati facevano scienza osservando la natura. Oggi osservano i dati nel PC. Non vanno più nella foresta. C’è il satellite che analizza tutto.

Le decisioni sono prese dai governi. Sappiamo come il Brasile si muove negli incontri internazionali sul clima e non è un modo che tiene conto del clima. Occorre sapere com’è la situazione qui. Capire come le banche finanziano sulle politiche di finanziarizzazione dell’agricoltura? Gli spazi dell’ONU sono praticamente immobili.

E’ importante incontrare il protagonismo dei popoli dell’Amazzonia, dei popoli locali. Ci sono 3 milioni di indios, 390 popoli. 110 popoli che sono ancora dentro la foresta, che non c’è un contatto. Dove c’è territorio indigeno è ancora dove la foresta è in piedi. E’ importante conoscere come i popoli si stanno organizzando.

Papa Francesco con la Laudato Sii ha dato un grande contributo. Occorre fare un lavoro di rete. Oggi la grande azione è andare incontro ai popoli indigeni. La commissione della Pastorale della Terra in Rondonia non lavora con i popoli indigeni. C’è Il CIMI che lavora con gli indigeni. I popoli indigeni devono essere protagonisti nei loro territori. E’ questo che cerca di fare il CIMI. Una banca olandese mette capitali in un’impresa nel Kazakistan che costruisce miniere in Amazzonia. Senza un’articolazione in rete non ci sarà forza sufficiente per difendere l’Amazzonia da queste aggressioni.
Oggi nel mondo c’è un grande movimento per rafforzare il protagonismo dei popoli indigeni. E’ il lavoro dell’educazione popolare. Il prossimo anno per l’ONU è l’anno delle lingue indigene: 170 differenti lingue.

Parlare è stare nello spazio e nel tempo. Ci sono 390 popoli. Scegliete un popolo, informatevi. In che modo la Chiesa è presente in quel popolo. Il capitale italiano è presente? Dobbiamo creare interpretazione e la nostra partecipazione. Il lavoro pastorale è un lavoro di educazione popolare per fortificare le comunità locali. I popoli della foresta che vivono nella foresta; i popoli del fiume.
La Pastorale della Terra ha un’articolazione nell’Amazzonia.



sabato 15 settembre 2018

FESTIVAL DELLA FILOSOFIA - ALETHEIA (VERITA')







MODENA 15 SETTEMBRE 2018



Relatore: Massimo Cacciari
Sintesi: Paolo Cugini

Platone: il bene fornisce verità alla cose conosciute. La verità appartiene alla cosa.

L’oggetto è conoscibile nella misura che è secondo verità. La cosa è conoscibile in verità perché sta in verità. L’ente è conoscibile. Se non fosse vero in sé, non ci sarebbe nessuna verità. Sia nel mito, che nella Repubblica di Platone, sia nel mito della Caverna, s’insiste sull’idea di verità come carattere della cosa. E’ la cosa che è reale
E’ inconcepibile un discorso vero senza nessun rapporto con le cose in quanto disvelano la verità. Io so veramente perché vedo la cosa e, quindi, colgo la verità.
Per dire con autorevolezza devo dire le cose come stanno, secondo ciò che si manifestano. Allora il dire è autorevole, in ordine con dike, quando dico le cose come stanno, e le cose come stanno sono la verità.
Non solo il bene fornisce verità alle cose, ma anche la facoltà di conoscere. Il discorso deve avere un suo ordine per essere autorevole, ma il dire ciò che è essenziale secondo verità, è vero solo in questo senso grazie alla sua aderenza all’ente. La logica è tale solo in riferimento al vero che appare, è rivelata nella cosa. E’ questo il tema ella metafisica classica.

Hegel recupera continuamente l’ontologia classica, contro la logica formale kantiana. Il concetto di Hegel è chiamato a interpretare l’intera realtà.

Che cosa ci appare manifesto? Enti finiti. Sono percepibili solo nella loro relazione. Ogni ente ha il suo confine. Non posso mai esprimere l’ente secondo se stesso, in sé e per sé. Quando determino un ente lo determino mettendolo in relazione all’altro. Lo dice Spinoza e poi lo riprende Hegel. Per determinare qualcosa lo devo porre in relazione con una cosa che quella cosa non è. Aristotele: l’ente non è mai definibile nella sua irriducibile sostanzialità.
Ogni ente è sostanzialmente se stesso? Per definire un ente devo porlo in relazione ad un altro e, quindi, devo negarlo. Ogni essente è un singolo. Se dico di conoscere l’ente come singolo, però, so anche che l’ente nella sua sostanzialità è infinito, opera un’opposizione tra finito e infinito. A questo punto l’infinito rimane relativo e quindi devo cambiare strada.

Perché porre la differenza? Perché quando penso devo dire che lo vedo concatenato con il tutto? Perché devo supporre una differenza tra enti? Perché devo scindere l’ente dalle sue connessioni con il tutto?

E’ il terzo grado di conoscenza spinoziana è vedere l’essenza finito nella causa. Che cosa sono le relazioni dell’ente? Perché il finito non può essere colto in se stesso? Ogni finito manifesta un’infinita connessione.

Altra differenza. Se vedendo questo finito vedo la sua relazione al tutto, allora anche le conoscenze finite vanno collocato in questo sapere vedere di finito e infinito. La verità abbraccia anche l’apparire, il finito. Parmenide dice cose diverse. Io penso che non ci sia un solo modo di leggere Parmenide. La verità dice delle cose come realmente appaiono.
Platone si allontana dalla prospettiva di Parmenide.

La verità infinita ha in sé il finito. Sono dimensioni diverse, ma non sono astrattamente separate. Il percorso platonico segue questo cammino. Tutto è collegato armonicamente, matematicamente secondo la numerologia pitagorica. Occorre superare il discorso della differenza. Il finito è manifestazione dell’infinito, della connessione di tutti gli essenti nel tutto.

Questa connessione non risulta evidente. Ogni apparente incertezza ha un dominatore comune. La differenza di opinione esprime la certezza che la cosa sia probabilmente come si dice. Quando diciamo “io so”, molte volte sappiamo che il nostro dire non corrisponde allo stato di cose, ma cerchiamo di dire. Chiediamo la fiducia dell’altro sulle nostre affermazioni veritative. Tutto sta connesso nel momento in cui provo a dire le cose.
Anche quando esprimo il termine verità nel modo più debole, che può essere un’opinione, è connessa a tutto il ragionamento ontologico. Ogni nostra forma di dire vuole corrispondere alla cosa, è una prospettiva sulla verità, che cerca di vedere l’ente nella misura della sua rivelazione.
Ci sono prospettive diverse, ma rivelano tutte la verità.

Platone non disprezza l’opinione. Partiamo tutti come prigionieri dal fondo della caverna. A partire da Pitagora e da Platone, il numero elabora la costruzione dell’essente. La natura parla un linguaggio matematico. La matematica è lo strumento fondamentale per comprendere gli enti secondo la sostanzialità.

La connessione tra l’aspetto formale e scientifico è fondamentale. Connettere la realtà. Veniamo da una stagione filosofica che ha diviso: è giunto il momento di connettere. Oggi è possibile riconnettere i diversi campi della verità, in cui cerchiamo di dire la verità delle cose.
Come si può arrivare a ciò? Non possiamo non indagare secondo questa prospettiva ultima. Le diverse prospettive debbono essere distinte, ma non separate.
Come pretendere che vi sia un pensiero nostro che non sia aspetto in tutti i modi, che escluda la passione, l’affetto? Posiamo avere nello stesso momento passioni opposte.
La fede regge il principio di non contraddizione, che la cosa rimanga una, se stessa. Nega la ricerca plurale di una verità una, non delle molte verità, ma delle molte vie.
L’uomo non può vivere senza una costante fiducia di qualcosa d’indistruttibile dentro di lui. Come faccio a vivere senza infinito?
Il finito nel suo manifestarsi è vero.



mercoledì 12 settembre 2018

GRAZIE



Grazie a tutti e tutte coloro che hanno partecipato alla veglia di preghiera con cui ho salutato l'Unità Pastorale Santa Maria degli Angeli e amici e amiche di questi anni. Vi porto nel cuore. d. Paolo

giovedì 6 settembre 2018

UN MODO DIVERSO DI VIVERE LA MISSIONE: DON FERNANDO CASTRIOTTI



Don FerdinandoCastriotti assieme a Maria Soave Buscemi



Paolo Cugini
Che cosa significa essere missionario e che cosa comporta la missione? Solitamente la missione si realizza in contesti di povertà, in cui l’annuncio del Vangelo esige anche lavorare pastoralmente per la promozione umana delle persone che s’incontrano. Luoghi di povertà significa muoversi in territori in cui il potere politico locale è corrotto e, di conseguenza, diviene difficile un lavoro di sensibilizzazione e il coinvolgimento delle persone nei processi di liberazione che s’intendono mettere in atto. don Ferdinando Castriotti, classe 1969 della Diocesi di Melfi, lavora da circa otto anni (in due momenti diversi) nella città di El Paraiso, in Honduras, a 8 Km dal confine con il Nicaragua. Non è la sua prima esperienza missionaria visto che ha già lavorato anche nel Ciad, in Africa, oltre ad aver insegnato all’Università a Gerusalemme. Nei primi cinque anni della sua attività missionaria padre Fernando ha messo in piedi più di 100 comunità ecclesiali di base, costruendo assieme alla gente, uno spazio per celebrare il culto e realizzare gli incontri, ma soprattutto, accompagnando la formazione dei laici affinché potessero riuscire a portare avanti la vita della comunità. In questo percorso, momento fondamentale è stato l’incontro mensile di formazione biblica e religiosa al quale partecipavano più di mille persone. Il percorso formativo teologico-pastorale durava tre anni e terminava con un esame. In questo modo, lentamente la vita delle comunità si è strutturata e stabilizzata.

Alcuni amici in visita alla missione di don Ferdinando

La cosa più sorprendente e originale di don Ferdinando è la serie di progetti messi in piedi in pochi anni per rispondere alle esigenze caritative che incontrava. A El Paraiso ha realizzato:

·         Casa di recupero per persone tossicodipendenti
·         Casa di riposo per anziani
·         Scuola materna e elementare
·         Ospedale (il più importante della regione)
·         Casa accoglienza per donne vittime di violenza
·         Casa accoglienza per persone speciali con sindrome di down
·         Acquedotto
·         Gruppo di 18 case nel quartiere più povero della città per i senza tetto
·         Centro di prima accoglienza Madre Teresa
·         Città dei giovani (anfiteatro e centro sportivo)
·         Centro di formazione umana e sociale
·         Città della misericordia ( in Danli e in collaborazione con la università cattolica)

Di solito, quando il missionario straniero mette in piedi delle opere, il grande problema diviene la possibilità di portarle avanti. Nella grande maggioranza dei casi si tratta di opere destinate a chiudere, anche perché, essendo opere costruite con soldi del paese di origine del missionario, terminano con la chiusura dei fondi. L’originalità del lavoro di don Ferdinando sta nel fatto che, oltre alle opere, ha pensato di articolare una serie dei progetti capaci di produrre fondi in modo da sostenere le opere caritative realizzate. Questa seconda parte di progetti è raccolta dalla Fondazione Alivio Del Sufrimiento. La Fondazione sorta nel 2010, gestisce piantagione di caffè, mais, raccoglie fondi da benefattori sia dell’Italia che dell’Honduras. Il gruppo della Fondazione conta con quattordici persone che gestiscono il capitale e il funzionamento delle opere.


Casa in cui vengono accolte le persone speciali con sindrome di down e in cui vive don Ferdinando

La sua capacità imprenditoriale è nata negli anni ’90 in Italia, con la strutturazione del progetto Policoro, che cercava di rispondere alla domanda dei giovani disoccupati del Sud Italia. “In quel tempo ci domandavamo: noi come chiesa come possiamo rispondere a questa domanda dei giovani che sono disoccupati e che spesso devono emigrare? La risposta è stata quella di mettere insieme ciò che la Chiesa e lo Stato avevano, e cioè di mettere in piedi delle cooperative (più di trecento) che gestivano il patrimonio della Chiesa (vecchi seminari trasformati in Hotel, terreni, miele, ecc). Era la prima volta che la chiesa si metteva a lavorare ad un progetto con tre pastorali riunite: Caritas, Pastorale Giovanile e Pastorale del Lavoro”. Altra parola importante di quel periodo è stata: reciprocità. Infatti, grazie ad un lavoro di sensibilizzazione, “abbiamo fatto in modo che nascesse un rapporto di reciprocità tra Diocesi del Sud con Diocesi del Nord Italia”.
Nel lavoro pastorale di don Ferdinando c’è stata la continua attenzione di legare insieme la fede con la vita, la liturgia con la carità. “Quando ero parroco, su due cose abbiamo lavorato in Parrocchia: la formazione e i frutti dell’evangelizzazione, che sono la carità e le sue opere. La vita religiosa non è una cosa legata alle celebrazioni, ma a consolidare una formazione e a dare delle risposte sui problemi che incontri”.

Incontro con un ministro della Parola in una delle 102 comunità della parrocchia di El Paraiso

Secondo Don Ferdinando questo stile, che potremmo chiamare imprenditoriale, è possibile e necessario insegnarlo ai missionari. “Ci vogliono gli strumenti minimi per formare una cooperativa, per imparare come si forma una fondazione, a cosa serve e come. E’ importante che il missionario, che sa di essere destinato a territori di grandi povertà, cerchi competenze specifiche. Deve, cioè, avere gli strumenti per poter agire in un territorio e trasformare il processo di evangelizzazione in un paese povero, con strumenti caritativi che rispondano al problema”.
Altro punto importante che don Ferdinando sottolinea, consiste nella capacità di dialogo con l’apparato amministrativo di una città, per coinvolgere i politici locali nella costruzione delle opere. “Senza l’appoggio dei politici locali non sarei riuscito a costruire nulla. Per mettere in piedi delle opere caritative ci vogliono dei permessi che solo i politici locali ti possono dare. Come si fa a lavorare con politici corrotti? Il politico corrotto cerca di stare alla larga, o si muove per promuoversi sfruttando l’immagine. Occorre tenere le mani libere ma poi è il popolo che giudica l’operato dei politici locali. Tutto nasce da un rapporto di amicizia normale. Ci beviamo un caffè insieme e poi gli faccio la proposta. E’ la gente poi che parla. Dicono che ha fatto di più il padre in cinque anni che i politici in tutta la vita”.

Interno della  Casa di recupero per persone tossicodipendenti

C’è stata una capacità di coinvolgimento dei politici locali, che ha permesso la realizzazione delle opere caritative e il loro accompagnamento.  Un missionario, ricorda don Ferdinando, oltre alla Bibbia e ai libri di teologia, deve leggere la costituzione e i documenti che regolano la vita economica e politica della città in cui andrà ad attuare. Senza dubbio, in Italia le cose sono differenti, ma in terra di missione non possiamo permetterci di arrivare sprovveduti o pensare che il processo di evangelizzazione termini con l’amen finale di una messa.

 Le idee nascono ascoltando la realtà. Se mi fermo ad ascoltare un povero – continua don Ferdinando- che chiede l’elemosina, poi cerco di rispondere al problema. I poveri spesso non li conosciamo effettivamente. I progetti che ho messo insieme sono tutti nati da risposte a problemi ascoltati sul territorio”.

Attualmente don Ferdinando vive a El Paraiso, ma è cappellano e professore di bioetica nell’Università Cattolica di Danli, che dista 16 Km da El Paraiso.


sabato 1 settembre 2018

L’EVENTO DI MEDELLIN IN UNA PROSPETTIVA STORICA






III CONGRESSO CONTINENTALE DI TEOLOGIA LATINOAMERICANA E CARAIBICA

I CLAMORI DEI POVERI E DELLA TERRA C’INTERPELLANO. A 50 ANNI DA MEDELLIN
SAN SALVADOR 30 AGOSTO- 2 SETTEMBRE 2018




Relatrice: Silvia Scatena
Sintesi: Paolo Cugini

Punti di riflessione dai diversi partecipanti dalla Conferenza di Medellin.
Medellin è stato il punto di arrivo di un lavoro collegiale di un gruppo di vescovi coordinati da Helder Camara. L’obiettivo era quello di traghettare le intuizione conciliari nell’esperienza ecclesiale AL. Tra il ’66 e ’68 furono organizzati alcuni incontri dal CELAM per preparare Medellin. Se questa esperienza collegiale è stata fondamentale occorre segnalare il contributo di altri due fattori.

1.      Una meccanica di lavoro che ha permesso di lavorare assieme in un clima di libertà uomini, donne, vescovi, persone di altre religioni.

2.      Liturgia quotidiana, vero nervo spiritale della conferenza.

A Medellin parteciparono circa 250 persone condividendo tutto, anche perché fu realizzato nel seminario maggiore di Medellin, che dispone di 300 stanze con bagno personale. Per molti vescovi il Congresso fu l’occasione di rinsaldare amicizie e cercare alleati per le lotte che i singoli vescovi affrontavano nei loro paesi. Per Proanio, ad esempio, è stato un balsamo importante, come lui stesso ha detto in una lettera. Dalla fraternità si è passati rapidamente nella comunione di idee. Molti vescovi si conoscevano già, perché parteciparono al Concilio Vaticano II a Roma. Questo aiutò a creare un clima di comunione.

 L’obiettivo delle sei relazioni iniziali non era quella di arrivare a delle conclusioni, ma a stimolare la discussione. Ciò ha permesso di superare in poco tempo molti pregiudizi, soprattutto per quelli che erano giunti a Medellin senza troppe aspettative. Helder Camara scrisse: la conferenza farà bene a tutti, perché spinge a studiare e a riattivare lo stile del concilio fatto di relazioni tra tutti. Nella liturgia del primo giorno viene letto il brano dell’Esodo che racconta il cammino del Popolo dietro a Mosè. Il parallelismo con il popolo latinoamericano fu colta immediatamente. Dio desidera essere amato nel fratello povero. Il cammino pastorale deve lavorare per costruire il Regno di Dio. Lavorare per la promozione umana significa lavorare per il Regno di Dio.

La liturgia del 29 agosto venne commentata come la distanza tra gli apostoli e la forza della Parola che attua in modo segreto ma in modo efficace. Viene chiesta la forza dei profeti. L’assemblea si interrogò sul profetismo dei pastori presenti, per riuscire a lavorare con profezia in mezzo al popolo di Dio.

Il 30 di agosto la liturgia come sempre guida i lavori del giorno. L’Eucarestia ricordava santa Rosa di Lima. Il tema affrontato fu l’impegno dei cristiani. La chiesa dev’essere fermento di giustizia. Come Mosè era aspettato dal popolo, così i pastori riuniti nel seminario maggiore di Medellin erano aspettati dal popolo latinoamericano. I pastori dovevano essere all’altezza, lavorando per la realizzazione di un ordine nuovo, per aiutare il popolo a raggiungere condizioni di vita più umana, così come aveva indicato Paolo VI nella Populorum Progressio.

Nella domenica i vescovi che partecipavano al Congresso si divisero per andare a celebrare la messa nelle comunità e parlare con il popolo. Ci sono molte testimonianze di questa domenica nei diari dei vescovi che hanno partecipato al congresso di Medellin.

Si è discusso molto sulla possibilità di realizzare un unico documento finale. Poi Pironio indicò la possibilità di un testo unico che raccogliesse i lavori delle 16 commissioni. Si percepì che quello che stava avvenendo era sulla linea dei grandi concili della Chiesa.

La fase più critica della Conferenza è stata la riflessione sul tema della povertà della Chiesa. Essere sacramento di salvezza in una situazione sociale massacrata dalla povertà.

Significativa è stata l’ultima eucarestia del Congresso di Medellin in cui parteciparono i cinque osservatori non cattolici.  Chiesero di essere ammessi alla comunione, visto che avevano condiviso per diversi giorni nei lavori congressuali. In modo insperato la presidenza appoggiò la sollecitudine. La sorpresa fu grande per tutti.