sabato 23 gennaio 2016

SERATA SUL GIUDICE ROSARIO LIVATINO - MARTIRE DELLA GIUSTIZIA




UNA MISSIONE TRA FEDE E DIRITTO
VENERDI’ 22 GENNAIO 2016
CENTRO PARROCCHIALE SACRO CUORE-RE

Rosario Livatino “martire della giustizia e indirettamente della fede” (Giovanni Paolo II) Incontro con Padre Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione del giudice Rosario Livatino dialoga con il relatore: SALVO OGNIBENE, autore del libro L’EUCARISTIA MAFIOSA

Sintesi: Paolo Cugini
Il giudice Livatino è un punto di riferimento fondamentale. Chi ha la possibilità d’intraprendere un percorso nella facoltà di giurisprudenza incontrare un personaggio così è significativo.
Chi era Rosario Livatino?

Sono significative le due agende di Livatino. La sua vita è piena di scelte consapevoli e fatte con amore. Non studiava per il voto, ma per comprendere per domani svolgere bene il proprio ruolo. Livatino prendeva sempre il massimo dei voti. Non si accontentava di studiare e basta. Il suo sapere lo mette a disposizione degli altri. Spesso rinunciava alla ricreazione. Per Rosario c’erano delle priorità, tra le quali c’era l’aiutare gli altri. Per questo se qualcuno gli chiedeva un favore lui lo aiutava. Era il punto di riferimento della classe.

Livatino vince il concorso come Magistrato. Colpisce per la sua intelligenza spiccata. Nel 1979 comincia ad indagare sulle cosche mafiose. Manda alla sbarra per la prima volta i capi mafiosi di Agrigento.
Quando è morto i giornalisti non sono riusciti a trovare nulla, né foto né interviste. L’unica foto che hanno trovato era quella della sua patente.
Rosario ha un compito importante, però rimane sconosciuto, perché non amava far parlare di sé. Non si lasciò mai scappare un’indiscrezione. In pochi anni Livatino riuscì ad incarnare l’immagine perfetta del magistrato, che si limita solo ad applicare la legge.
Il giudice dev’essere garante della legge: quando il magistrato giudica deve garantire che sia applicata la giustizia.

Livatino era abituato a fermarsi a parlare con gli usceri.
Il rispetto del lavoro degli altri diventa prioritario nella sua impostazione.
In vita pochi sapevano della vita di Rosario. Nemmeno i suoi genitori sapevano che Rosario si fermava nella chiesa per pregare. Solo il parroco si accorse di questo. Scoprì chi era quell'uomo che si fermava al mattino a pregare solo dopo la sua morte, quando vide la sua foto nel giornale. Quella di Rosario era una fede vissuta, mai ostentata. Non era la fede della domenica. Tutte le volte che si confessava lo segnava sull’agenda.

E’ una fede che si costruisce pian piano.
Rosario visse molti momenti difficili. Scopre di essere tradito dall’ordine dei magistrati. Nel processo di Santa Barbara nel 1984 qualcuno diede un dritta per rallentare le indagini di Livatino. Si decise di affidare le varie indagini a gruppi di magistrati. Ciò significava una serie di mediazioni infinite: tutto era messo in atto per rallentare il processo. Il giochetto costò a Rosario due anni di astinenza dall’Eucarestia: non se la sentiva di assumere il corpo di Cristo in quello stato. Livatino si sentì tradito. Scrive nelle sue agende: qualcosa si è spezzato. Lui, comunque, continuò ad essere fedele alla magistratura.

Scopre che uno dei colleghi ha un fratello imprenditore e che la moglie di un suo collega è coinvolta in uno schema di clientelismo. Il procuratore capo si faceva offrire al bar il caffè dai mafiosi. Livatino continua a fare il suo dovere e lo fa in pienezza.

Rosario non agiva in questo modo per i soldi, o per lo status. Per Livatino il rendere giustizia era donazione di sé a Dio. Il rendere giustizia per lui era preghiera. Livatino non era un cristiano come tanti, ma viveva il Vangelo nella sua essenza.
Rosario si poneva sotto lo sguardo di Dio. Il peccato è ombra. Per giudicare occorre la luce e per amministrare la giustizia non poteva che camminare vicino a Dio.

Rosario segue il orso della cresima da adulto. Sente la necessità di quel sacramento. Riceverà la cresima a 36 anni.Spesso Livatino assumeva una posizione di Favor rei talmente impressionante che superava le proposte degli avvocati difensori. Rendere giustizia per Livatino era sanare un’ingiustizia. Concepisce lo spirito vero della pena: il recupero del soggetto che ha sbagliato.

Nel processo di beatificazione non ci sono testimonianze contrarie.
Rosario ha solo paura che siano danneggiati i suoi genitori.
Negli ultimi 10 giorni della sua vita Livatino non segna nulla nella sua agenda. La mattina del 21 settembre del 1990 lo raggiungono a 4 Km da Agrigento e gli sparano da dietro.
Livatino conclude degnamente la sua vita.

L’anatema di Giovanni Paolo II non era previsto. Sembra che prima di questo discorso avesse incontrato i genitori di Livatino.


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