UNA MISSIONE TRA FEDE E
DIRITTO
VENERDI’ 22 GENNAIO 2016
CENTRO PARROCCHIALE SACRO
CUORE-RE
Rosario Livatino “martire
della giustizia e indirettamente della fede” (Giovanni Paolo II) Incontro con
Padre Giuseppe Livatino, postulatore della causa di beatificazione del giudice
Rosario Livatino dialoga con il relatore: SALVO OGNIBENE, autore del libro L’EUCARISTIA MAFIOSA
Sintesi: Paolo Cugini
Il giudice Livatino è un punto di riferimento
fondamentale. Chi ha la possibilità d’intraprendere un percorso nella facoltà
di giurisprudenza incontrare un personaggio così è significativo.
Chi era Rosario Livatino?
Sono
significative le due agende di Livatino. La sua vita è piena di scelte
consapevoli e fatte con amore. Non studiava per il voto, ma per comprendere per
domani svolgere bene il proprio ruolo. Livatino prendeva sempre il massimo dei
voti. Non si accontentava di studiare e basta. Il suo sapere lo mette a
disposizione degli altri. Spesso rinunciava alla ricreazione. Per Rosario c’erano
delle priorità, tra le quali c’era l’aiutare gli altri. Per questo se qualcuno
gli chiedeva un favore lui lo aiutava. Era il punto di riferimento della
classe.
Livatino vince
il concorso come Magistrato. Colpisce per la sua intelligenza spiccata. Nel
1979 comincia ad indagare sulle cosche mafiose. Manda alla sbarra per la prima
volta i capi mafiosi di Agrigento.
Quando è morto
i giornalisti non sono riusciti a trovare nulla, né foto né interviste. L’unica
foto che hanno trovato era quella della sua patente.
Rosario ha un
compito importante, però rimane sconosciuto, perché non amava far parlare di
sé. Non si lasciò mai scappare un’indiscrezione. In pochi anni Livatino riuscì
ad incarnare l’immagine perfetta del magistrato, che si limita solo ad
applicare la legge.
Il giudice
dev’essere garante della legge: quando il magistrato giudica deve garantire che
sia applicata la giustizia.
Livatino era
abituato a fermarsi a parlare con gli usceri.
Il rispetto del
lavoro degli altri diventa prioritario nella sua impostazione.
In vita pochi
sapevano della vita di Rosario. Nemmeno i suoi genitori sapevano che Rosario si
fermava nella chiesa per pregare. Solo il parroco si accorse di questo. Scoprì
chi era quell'uomo che si fermava al mattino a pregare solo dopo la sua morte, quando vide la sua foto nel giornale. Quella di
Rosario era una fede vissuta, mai ostentata. Non era la fede della domenica.
Tutte le volte che si confessava lo segnava sull’agenda.
E’ una fede che
si costruisce pian piano.
Rosario visse
molti momenti difficili. Scopre di essere tradito dall’ordine dei magistrati.
Nel processo di Santa Barbara nel 1984 qualcuno diede un dritta per rallentare
le indagini di Livatino. Si decise di affidare le varie indagini a gruppi di
magistrati. Ciò significava una serie di mediazioni infinite: tutto era messo
in atto per rallentare il processo. Il giochetto costò a Rosario due anni di
astinenza dall’Eucarestia: non se la sentiva di assumere il corpo di Cristo in quello stato. Livatino si sentì tradito. Scrive nelle sue agende:
qualcosa si è spezzato. Lui, comunque, continuò ad essere fedele alla
magistratura.
Scopre che uno
dei colleghi ha un fratello imprenditore e che la moglie di un suo collega è
coinvolta in uno schema di clientelismo. Il procuratore
capo si faceva offrire al bar il caffè dai mafiosi. Livatino continua a fare il
suo dovere e lo fa in pienezza.
Rosario non
agiva in questo modo per i soldi, o per lo status. Per Livatino il rendere
giustizia era donazione di sé a Dio. Il rendere giustizia per lui era
preghiera. Livatino non era un cristiano come tanti, ma viveva il Vangelo nella
sua essenza.
Rosario si
poneva sotto lo sguardo di Dio. Il peccato è ombra. Per giudicare occorre la
luce e per amministrare la giustizia non poteva che camminare vicino a Dio.
Rosario segue
il orso della cresima da adulto. Sente la necessità di quel sacramento.
Riceverà la cresima a 36 anni.Spesso Livatino assumeva una posizione di Favor
rei talmente impressionante che superava le proposte degli avvocati
difensori. Rendere giustizia per Livatino era sanare un’ingiustizia. Concepisce
lo spirito vero della pena: il recupero del soggetto che ha sbagliato.
Nel processo di
beatificazione non ci sono testimonianze contrarie.
Rosario ha solo
paura che siano danneggiati i suoi genitori.
Negli ultimi 10
giorni della sua vita Livatino non segna nulla nella sua agenda. La mattina del
21 settembre del 1990 lo raggiungono a 4 Km da Agrigento e gli sparano da
dietro.
Livatino
conclude degnamente la sua vita.
L’anatema di
Giovanni Paolo II non era previsto. Sembra che prima di questo discorso avesse
incontrato i genitori di Livatino.
Nessun commento:
Posta un commento