giovedì 31 dicembre 2015

ALLA FINE CI VERRÀ CHIESTO SE SIAMO STATI CREDIBILI E NON SE SIAMO STATI CREDENTI



CONVEGNO NAZIONALE PAX CHRISTI
31 DICEMBRE 2015 – MOLFETTA

Tavola Rotonda: ALLA FINE NON CI VERRA’ CHIESTO SE SIAMO STATI CREDENTI MA SE SIAMO STATI CREDIBILI

Sintesi: Paolo Cugini

Don Luigi Ciotti (Libera)
Si sale sulla croce tutte le volte che si sceglie la parte ei poveri. I miei due grandi riferimenti sono il Vangelo e la Costituzione. C’è molta politica nel Vangelo nella sua vera accezione del termine quando denuncia. C’è molto vangelo nella costituzione. A Paola Sindaco dico quello che disse Martini: Dio non è cattolico, Dio è di tutti, ama tutti. Questo è molto importante e mi commuove a pensare alla stanza del silenzio per guardarsi dentro.

Ci sono 42 conflitti in atto in questo momento. In questi tempi di guerra non dev’essere impossibile parlare di pace. C’è un terrorismo economico, ambientale che impoverisce la terra. Non potrei non dire che il percorso militare è disastroso. Nel 2014 ci hanno consegnato il dato di 180 mila morti civili nelle guerre. Spesso è stata dichiarata guerra a regimi che noi abbiamo contribuito a costruire e consolidare. La forza è sempre una scorciatoia. Cosa fanno le Nazione Unite? Dove stanno? Sono nate per porre fine alle guerre. Oggi siamo circondati da tanti conflitti. C’è chi considera il pacifismo un idealismo. Il pacifismo è una fede concreta nella dignità della politica come strumento di pace. Stasera chiediamo alla politica di assumersi questo. Il problema del terrorismo non si risolve uccidendo i terroristi, ma togliendo le cause che ha prodotto questo. La Camorra, Ndrangheta. Nella provincia di Foggia più di 400  persone sono state uccise dalla mafia. La Banca d’Italia ha palato di corrotti al suo interno. Noi siamo chiamati al dubbio.

Il mondo Occidentale deve interrogarsi sui meccanismi di morte che crea. Siamo in guerra. Dov’è il ruolo di quelle istituzioni. Dobbiamo chiamare per nome le istituzioni corrotte.
Livatino e Papa Woityla. Nella valle dei tempi si scagliò contro la mafia. Nel 1944 la chiesa siciliana diede la scomunica ai mafiosi. Il giornale della diocesi di Palermo nel 1897 chiama per nome i mafiosi per rendere conto dei crimini. Don Sturzo diceva che la mafia è in Sicilia ma la testa è a Roma. Corruzione e mafie vanno a braccetto.
C’è una velocità criminale molto forte. Woityla ha fatto 5 visite pastorali in Sicilia. Nella valle dei tempi è la seconda. 15 preti gli aveva mandato una lettera per dirgli di dire qualcosa. Mentre va al corteo il papa entra in una porticina. Il papa sta andandosene via aggrappandosi al pastorale torna indietro e si mette a gridare. Erano i genitori di uno ucciso dalla mafia dietro alla porticina.
Nella Laudato Si c’è un passaggio che è fondamentale. Bisogna prendere dolorosa cosciente e trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo e riconoscere qual è il contributo quello che ciascuno può portare. Se le cose non ci toccano non servono. Facendo memoria è un modo d’impegnarci più tutti.
L’umiltà del noi. Non è opera di navigatori solitari. Siamo piccoli. Il coraggio e l’umiltà richiedo umiltà e responsabilità. Ogni cittadino deve sentirsi responsabile di esigere i diritti dell’altro come se fossero i nostri.
In tutta Europa c’è un reddito minimo. Mi batto è per l’interazione e non per l’inclusione.
Da dopo l’abbattimento del muro di Berlino è bene chiedersi quanti muri abbiamo costruito, muri di filo spinato. La speranza ha bisogno anche di conoscenza. I muri che sono stati creati per respingere: 1200 Km di confine USA sul confine con il Messico. Migliaia di muri, di filo spinato in tantissime parti del mondo.
Facciamo emergere le cose belle che ci sono nel nostro paese: tanti giovani che ci mettono la faccia con coraggio. Abbiamo visto fare le mura per alzare le mura per proteggere i quartieri dei benpensanti.
I cittadini devono vedere che vengono restituiti a loro i beni confiscati alla mafia. Oltre 500 associazioni in Italia fanno uso dei beni confiscati alla mafia. Occorre avere un sistema legislativo che permetta questo.
Responsabilità è conoscenza. Sono le due anime del percorso formativo di cui abbiamo bisogno. Ci vuole un’educazione al bene comune.
La costruzione dell’uguaglianza, della giustizia sociale è compito della politica formale, ma c’è quella costruzione e compito informale ella politica che ci chiama in causa tutti come cittadini responsabili. Diventa comodo gridare alla corruzione se non c’impegniamo in prima persona. Uguaglianza non è la negazione della differenza, ma il riconoscimento di ogni differenza. Non possiamo stare zitti. Ci sono i soldi per le spese militari e non per quelle sociali. I conflitti fanno scattare la corsa alle armi. Il filo spinato è diventato la pubblicità per respingere la gente. Non ci sono i soldi per contrastare la povertà. E poi la sanità.
I minori in Italia al di sotto dei 18 anni sono 10 milioni. Ogni 100 persone minori di 14 anni ce ne sono 151 che hanno oltre 65 anni. Davanti abbiamo una società sempre più anziana e famiglie che si compongono in età sempre più avanzata.
C’è troppo un sapere di seconda mano, per sentito dire. Pace vuole dire le politiche sociali.
Conformismo, sfiducia e ribellione: sono i tre atteggiamenti che abbiamo trovato nei giovani. Ribellione costruttiva di tanti ragazzi. Hanno bisogno di adulti presenti e non invadenti, tolleranti, credibili e appassionati.

Daniela Marcone (Libera Puglia)
Figlia di Francesco Marcone 31/3/1995
Hanno ucciso mio padre con due colpi di pistola. E’ stata una persona credibile. E’ stato oggetto d’indagini tutte in salita. Non è stata una vicenda giudiziaria facile. Era il direttore del Registro di Atti a Foggia. Nel ’95 c’era la mafia del mattone. Chi aveva interesse ad uccidere un alto funzionario? La mafia che uccise questo funzionario era la mafia dei colletti bianchi. C’è un’economia che nel sommerso l’aspetto più pericoloso. Cosa sarebbe successo se l’assassinio di mio padre fosse stato processato subito? In realtà nessuno venne chiamato. Nessuno era indagato. Speravo che prima o poi mi sarebbe stata chiesta la possibilità di parlare. Venne composto un comitato cittadino. Chiedemmo alla città di affiancarsi a noi per la richiesta di giustizia. Se la risposta fosse arrivata subito la mia vita sarebbe stata diversa. Nel 75% dei casi di vittime della mafia non si ha risposta dalla giustizia. Anche nel nostro caso conosciamo una parte, ma non tutta. Il rischio è che camminiamo al fianco dell’assassino. Dare una risposta a mio padre mi richiamava al mio senso di responsabilità. Lo stato siamo noi: questo ci diceva nostro padre. Credibilità degli atti di ufficio di mio padre. Mons Casale fece un’omelia coraggiosissima al funerale del papà. Fu un richiamo molto forte. Per dieci anni ho cercato di mettere a posto le cose. Ho capito che la giustizia dei tribunali è importante, ma è la risposta di una città che cammina al tuo fianco che ti dà risposte ulteriori.
Le carte processuali mi avevano fatto conoscere una città in pericolo. Dopo 20 anni si è aperto un altro fronte: la scoperta dell’altro. Le persone che hanno sparato, che hanno ucciso mio padre, all’improvviso ho iniziato a vederli come uomini e non come mostri. Non è facile questo passaggio. E’ il percorso di LIBERA MEMORIA che stiamo facendo assieme alle vittime delle mafie. Considerare l’altro un nostro e non un mostro.

Mons Francesco Savino (Vescovo di Cassano)
Ruolo della Chiesa in questo cammino che ci chiede di perdonare e d’interrogarci di come porci da credenti?
Dopo la testimonianza di Daniela ho pensato come sia urgente superare la malattia dell’altzaimer culturale, spirituale. Oggi si vuole rimuovere una memoria che attiva processi di cambiamento. E’ necessario recuperare la memoria che ci aiuti ad attivare processi per nuovi stili di vita. Come non ricordare la serata del ’92 a Molfetta, con Bettazzi, Tonino. Ci siamo oggi sulle frontiere che ci portano a dire si.
Tonino era credibile perché aveva deciso da che parte stare: dalla parte degli ultimi, di quelle persone che allora come oggi fanno fatica a vivere con libertà la vita. Oggi come ieri dobbiamo dirci da che parte vogliamo essere. Non possiamo essere neutrali. Siamo credibili quando facciamo questa scelta, quando ci mettiamo la faccia, la vita.
E. Bloch piaceva tanto a don Tonino. Mai come in questo momento non possiamo rischiare di vivere di belle parole. In Papa Francesco c’è coerenza tra quello che dice e quello che fa. Non ci è dato di fuggire vigliaccamente, scegliendo Pilato o Barabba.
Costituzione (Calamandrei: la Costituzione è un impegno); Bibbia (occorre recuperare due domande: Dove sei? (Numero 160 della Laudato Si); Dov’è tuo fratello? Abbiamo preso gli immigrati e gli abbiamo detto: sei un dono. Pastorale inclusiva. E’ sulla inclusione la risposta della Chiesa. Il problema del Sud è un problema culturale. Passare dalla cultura dei favori alla cultura dei diritti. In Calabria i poteri forti hanno creato una cultura dove i diritti passano tutti per favori. Al Sud comincia a spandersi il virus dell’individualismo, narcisismo. Anche le cooperative c’è questo virus. Passare dalla cultura dell’indifferenza alla cultura della responsabilità, della partecipazione. I poteri ci vogliono divisi. Al potere piace che siamo individui e non una comunità. L’1% è proprietario del 60% dei beni del mondo.
Dobbiamo costruire questo soggetto sul bene comune. Francesco: la realtà è più dell’idea. La Calabria fra 10 anni sarà una regione dormitorio. La Calabria esporta tutti i cervelli giovanili. C’è la questione drammatica sul lavoro e qui la Chiesa non può tacere.
Paolo Natalicchio (Sindaca di Molfetta)
Dopo il 2000 è esploso il progetto della grande espansione urbanistica in modo impressionante. Anni difficili. Appalti che duravano 10 anni. Grandi opere, urbanistica e socialità. Pochi mesi prima di diventare sindaco è scoppiato un’indagine sulle manovre delle grandi opere. Nel silenzio della città sono arrivati i rinvii a giudizio alcuni giorni fa. La questione del Grande Porto, opera incompiuta, è la terza opera più grande d’Italia: 100 milioni di Euro. Un appalto complicato su cui sono rotolati problemi e dopo è arrivata la magistratura. Ha fato cadere sulle spalle della comunità una serie di presunti reati. Siamo rimasti scossi dagli elicotteri che arrivavano. Pochi mesi fa Raffaele Cantone ha scritto parole chiare.
Gare lunghe sugli appalti, tutte da rifare. Tanti lavoratori. Ci sono 24 lavoratori per 42 disabili. Evidentemente una certa politica ha usato il lavoro per tirare dentro.
Ci siamo messi a fare gli artigiani della Molfetta che volevamo. Siamo stati massacrati dalle critiche. Non abbiamo capito chi aveva progettato quel porto? Per quali industrie? Per chi?
Tentazione di scappare. Ho la convinzione di essere a servizio della mia terra. Le città non hanno piena consapevolezza di quello che si nasconde nelle sacche storiche della criminalità, nelle stanze ben dipinte dei poteri. Noi sindaci siamo quelli che come tanti parroci, siamo in prima linea.
La risposta più grande ai rigurgiti di ingiustizia sta nella rete di persone e società che vogliono la giustizia.

Sindaco di Palermo: carta di Palermo sulla mobilità umana internazionale. 

mercoledì 30 dicembre 2015

DAL CONVEGNO NAZIONALE DI PAX CHRISTI - MOLFETTA 30 DICEMBRE 2015



CONVEGNO NAZIONALE PAX CHRISTI
30 DICEMBRE 2015 – MOLFETTA
Pomeriggio

Tavola Rotonda: LAUDATO SI, MI SIGNORE

Sintesi: Paolo Cugini
Don Mimmo Marrone (prof. Di teologia morale-Trani)
E’ il pianeta che aveva bisogno di Tonino Bello e papa Francesco. C’è molto silenzio della teologia sul tema ecologico. Ora è sempre più centrale. Le teorie e le pratiche della fede cristiana del nostro rapporto con il mondo si sono inaridite dall’interno. Noi Occidentali siamo testimoni e protagonisti di una profonda tristezza del creato. E’ l’oblio del poto che l’uomo occupa nel posto del creato. Separazione radicale tra uomo e cosmo, uomo che non si capisce più come parte del creato – antropocentrismo dispotico – ma super partes. L’uomo non riesce più a cogliere la sapienza el mondo. Siamo entrati in una logica manipolatoria. Di questo è complice anche la scienza e la filosofia. Infatti questa rottura risale a Cartesio.
Solo la liturgia ricorda a tutti che la salvezza di Cristo riguarda tutto di questo mondo. La sapienza liturgica ha sempre saputo coinvolgere gli elementi della natura. Da cristiani non bisogna aver paura di riconoscere la grammatica della creazione. L’uomo non può più abdicare a questo compito.
Papa Francesco ammonisce: l’indifferenza nei confronti dell’ambiente crea situazioni d’ingiustizia. Una ripresa cristiana della teologia della creazione è decisiva per tornare ad adorare la terra (cfr. San Agostino).

Tonino Bello e papa Francesco fanno emergere l’esigenza di consapevolezza e di responsabilità. La tensione ecologica di don TONINO attraversa tutta la sua produzione letteraria. Tonino Bello non è un teologo, ma un uomo di fede poliedrico. Il creatore e la creatura so no in una relazione indissolubile. Il messaggio di Tonino Bello ha a cuore ciò che accade alla terra. Difesa dell’ambiente e territorio è sempre a cuore di Tonino. E’ l’ecologia della ferialità che tra l’altro torna papa Francesco nella Laudato si. Atti d’amore che esprimono la nostra dignità e danno forma ad una cultura ecologica. Noi cattolici non abbiamo una cultura ecologica.
E’ affermata la visone cristiana del creato.
Oggi la natura ha perso la secolare unione di socia con l’uomo: è questo che sosteneva Tonino Bello. Emerge la proposta di un nuovo umanesimo, l’umanesimo del prendersi cura. Se la creazione è il frutto del prendersi cura di Dio nei confronti dell’uomo, allora l’uomo deve prendersi cura in modo responsabile della natura. L’intreccio tra uomo, terra e cielo costituisce l’armonia originale della creazione.
Il creato è da custodire e non da depredare. Occorrono nuove abitudini, nuovi stili di vita. Nuovi abitudini a partire della vita di ogni giorno.
Ecologia integrale. Occorre valorizzare i movimenti dal basso per cambiare le cose.
Alcuni assi portanti:
·         L’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta.
·         Convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso.
·         Cultura dello scarto.
·         Salvaguardia dell’ambiente è una questione morale. Nessuno può chiamarsi fuori dalla responsabilità di una casa in rovina.
Chiunque tu sia puoi diventare protagonista nella cura della terra che ha bisogno. Ognuno di noi deve tornare a sentire il fascino per il creato. Ci appassiona ancora l’idea della terra della casa comune? Ci emoziona l’immagine della convivenza tra i popoli? Passare da un umanesimo della signoria ad un umanesimo della diaconia: è questo il nostro compito.

Sergio Paronetto (Vicepresidente pax Christi)
Quattro teologie:
1.        Teologia, Cristologia L’universo si sviluppa in Dio. L’Eucarestia è un atto di amore cosmico. La natura diventa cibo per noi.
2.      Teologia trinitaria della casa comune. Tutto è collegato.
3.       Teologia conviviale della tenerezza
4.      Teologia profetica dello Spirito
Occorre risvegliare le domande della responsabilità. Occorre ridefinire l’umano attraverso l’esplorazione delle forze che sono dentro di noi. C’è bisogno di uno sguardo diverso. C’è bisogno di una resistenza contro l’inequità planetaria per affrontare il dominio della finanza. Occorre organizzarsi contro la corruzione.
Occorre tenere sempre acceso il fuoco della festa, per essere una sorgente di vita, per essere germoglio di una nuova dignità.

Guglielmo Minervini (Consigliere regionale Puglia)
La profezia entra nel ritmo delle persone.
Oggi è un tempo di grande opportunità. Ciascuno può essere protagonista del cambiamento. Diventiamo attori del cambiamento.
Occorrono politiche globali delle quali non ci sono tracce.
Il Sud è stato agito e pensato. Negli anni ’90 il meccanismo si è spezzato. Oggi il Sud si trova solo e quindi è una grande opportunità. Oggi stiamo guardando a quello che abbiamo, con le risorse di cui disponiamo che cosa possiamo fare? Il territorio non è una risorsa. La crisi è un’opportunità per risvegliare il senso di responsabilità: che cosa possiamo fare? Non è vero che non abbiamo nulla: possiamo fare un sacco di cose. Sta nascendo un modello di sviluppo d’integrazione con il territorio, di cura del territorio. Valorizzazione dei centri storici, delle chiese, della gastronomia, ecc.

Le prime risorse da valorizzare sono le persone. Qual è la politica che parla il linguaggio di Francesco? Ricucire il rapporto con il territorio. Esempio il Tarantismo: è stato valutato, e rilanciato come opportunità. Ci sono ragazzi che stanno sperimentando il cibo del futuro. Siamo chiamati a disporci all’inedito. La politica può essere attore del cambiamento è quella che attiva le risorse e le coinvolge i cittadini a valorizzarle. Oggi c’è bisogno di una politica che usa le proprie risorse per attivare le risorse della comunità.



CONVEGNO NAZIONALE DI PAX CHRISTI - NOSTRO FRATELLO MAROCCHINO





CONVEGNO NAZIONALE PAX CHRISTI
30 DICEMBRE 2015 – MOLFETTA

Tavola Rotonda: FRATELLO MAROCCHINO


Sintesi: Paolo Cugini

Non siamo di fronte ad un’immigrazione dai caratteri apocalittici. Ci sono stati altri periodi peggiori di questo.
Sotto la pelle scura c’è un’anima, una coscienza.
Non esiste un’unica umanità possibile.

Angela Martiradonna (ricercatrice)
A distanza di 20 anni dai primi numerosi sbarchi la normativa è ancora inadeguata, è perché si parte consapevolmente dall’idea che l’immigrazione sia prevalentemente clandestina, e quindi l’obiettivo non è l’integrazione, ma chiudere ed ostacolare questo processo.
Il dossier statistico immigrazione è occasione di studio e approfondimento. L’esperienza non offre la lucidità che offre lo studio di un aspetto strutturale della società attuale: non è più un fenomeno. L’immigrazione è una caratteristica della società italiana. Ed è l’spetto più sottovalutato. I dati ci confermano un’informazione che da anni stiamo comunicando, cioè che l’Italia vive l’esperienza degli sbarchi, ma non è interessata ai processi successivi degli sbarchi stessi. Ci sono 5 milioni di persone straniere; d questi la maggior parte è inserita nella società attraverso il lavoro e quindi è una componente inserita della società italiana che la società stessa ignora.
Quando perde il lavoro lo straniero non è più tutelato anche se è da anni in Italia entrando nelle maglie dell’irregolarità. E’ un aspetto che ha aperto un nuovo scenario dal 2011, inizio dell’arrivo di richiedenti asilo dalle coste del Nord Africa – destabilizzazione dei paesi come Eritrea, Nigeria, Somalia, Siria che hanno portato in Italia migliaia di persone costrette a sfuggire a guerre e persecuzione.
La normativa non riesce ad affrontare questi problemi. Il Italia persiste la legge Bossi-Fini che incastra l’immigrato tra regolarità e irregolarità e fornisce un potere sulla vita dell’immigrato stesso. Nello stesso tempo quando si affronta la richiesta d’asilo l’Italia è impreparata. I numeri non ci comunicano un’invasione, anche perché chi arriva in Italia e presenta richiesta d’asilo il 37% lascia l’Italia.
Il discorso della richiesta d’asilo hanno coinvolto altre nazioni europee anche con numeri più alti. La Germania e la Svezia hanno accolto e ospitato molte più richiedenti asilo.
C’è un altro aspetto che ha ostacolato la normativa e il riconoscimento dei diritti più elementari. L’idea che andare incontro alla persona immigrata sia una discriminazione verso la persona italiana. Viene negato il lavoro, la casa, l’accesso alla salute per queste prese di posizioni. Ciò ha bloccato un avvicinarsi a chi aveva bisogno.
Il medico interviene non su tutti ma sulla persona che ha bisogno. Non si pone il problema di chi deve dare il farmaco. Non siamo andati incontro alle persone che pongono delle domande.
Non abbiamo solo un problema d’indifferenza, ma anche d’indignazione malata. Invece d’indignarci di fronte a scene d’ingiustizia e sfruttamento, c’indigniamo perché dal momento che si aiuta una persona la si aiuta con fondi pubblici. L’immigrato usufruisce di quello che sono soldi degli altri. E’ questo il problema martellante che viene posto. E’ una domanda assurda dinanzi a ciò che sta accadendo nel Mediterraneo. Non c’è indifferenza, ma il problema di quali fondi si sita utilizzando. E’ il sistema che si è rivelato mafioso.
Passiamo da una sigla all’altra per parcheggiare e trattenere sino all'esaurimento persone che hanno il diritto di essere ascoltate, che hanno il diritto di avere una risposta. Il superamento di questo sistema di accoglienza è solo di apparenza.
Sono luoghi di detenzione. Parliamo di un allungamento dei tempi, che possono arrivare sino ai 12 mesi. Andiamo verso l’idea che la persona straniera sia una minaccia. Spesso questi numeri vengono percepiti come numeri alti perché c’è una volontà di segregare le persone che vengono in Italia creando una paura verso la persona che non conosciamo. Riconoscere un diritto è una forma di tutela per tutti.
 [C’è un’idea di eguaglianza che non funziona]
Deriva demagogica di questi discorsi. Sembra quasi che ci stiamo abituando a considerare l’Africa come un paese ormai perso. Nessuno abita volentieri in un luogo che non è suo.

Giampiero Khaled Paladini (presidente Università islamica d’Italia)
E’ di Lecce e vive da diversi anni in Sicilia. Da due anni Paladini ha proposto la nascita dell’Università Islamica in Italia ponendo questa esperienza a Lecce.
Ci sono molti italiani che vanno nei paesi arabi a cercare lavoro. Se facciamo una ricerca ci sono più di 5 milioni d’italiani che emigrano per lavorare all’estero.
L’approccio al problema è economico e politico che sta all’estero. Vedendola dall’estero la questione è diversa. I primi nuclei d’immigrazione mussulmana arrivano negli anni ’60 a seguito di un desiderio degli studenti di studiare in Italia, che provengono dalla Palestina, Siria, Iran. In quegli anni nascono i primi nuclei dei mussulmani in Italia. Negli anni ’70 arrivano i primi veri emigranti per lavoro. Nascono varie associazioni. La prima immigrazione era dovuta ad esigenze di studio e di lavoro e corrispondeva un’emigrazione di Italiani di studenti e lavoratori che vanno all’estero.
Poi c’è il problema delle grandi immigrazioni legate alle guerre: Albania, Balcani, Primavera Araba, Siria. Una cosa è il naturale osmosi di persone e cose che si muovono nel mondo, altra è ciò che avviene a  causa delle guerre. LE crisi le procurano le guerre.
Il Marocco è cresciuto. Ci sono molti marocchini che ritornano in Marocco, perché sta crescendo. Nei loro paesi si vive meglio che in Italia.
Nessuno va a rompere a rompere equilibri politici in Qatar. Dove c’è ricchezza e sviluppo e lavoro non c’è immigrazione. Gheddafi stava pensando all’Unione degli Stati Africani.  
Bisogno combattere la guerra: il resto è relativo. Sono molte le cose che uniscono Islam e Cristianesimo.  L’ISIS nasce dove ci sono interessi particolari che vogliono tenere sotto controllo il mondo.  L’Università Islamica non è coranica. Cambia la forma. Non esiste incompatibilità tra il mondo medio orientale e il mondo europeo.

Don Raffaele Sarno (direttore Caritas Trani)
Esperienza presidio. Parte dal fenomeno dello sfruttamento lavorativo che ha assunto nel tempo un sempre maggiore importanza. In Italia è diffuso questo sfruttamento he coinvolge tutti.
Fratellanza globale. Molti detenuti sono stranieri. Alcune statistiche parlano del 35%.
Nasce con l’obiettivo di dare un ‘azione di sistema per intervenire a dare un lavoro in agricoltura coordinando 10 Caritas diocesane. Si è partito da diocesi che già in passato si erano impegnate in questo progetto.
Piemonte: Saluzzo (Cuneo).
 Campania (Castel Volturno); Teggiano
Puglia: Trani, Nardò, Gallipoli; Foggia
Basilicata: Melfi
Calabria: Oppido
Sicilia: Ragusa

Obiettivo: garantire una presenza costante sui territori che vedono l’arrivo di immigrati. Presenza di operatori e garanzia di servizi di accoglienza, informativo per consulenza lavorativa e legale. Spesso è un’unità mobile che si muove sul territorio dove è più facile intercettare la presenza degli stranieri. Difficilmente gli stranieri dopo una giornata di lavoro si spostano per cercare un Presidio. Gli operatori sono persone specializzate: avvocati, medici, infermieri, ecc. Ci sono anche molti volontari. Spesso Presidio cura l’aspetto legale dello straniero. Spesso gli stranieri si spostano da una parte all’altra dell’Italia e con data Base uniforme è possibile aiutare queste persone e intervenire in modo efficace. Altre diocesi hanno chiesto di entrare in questo progetto.


Gianluigi de Vito (giornalista La Gazzetta del Mezzogiorno).
Il 2015 dal punto di vista dell’immigrazione com’è andata? I titoli di prima pagina sono aumentati in modo esponenziali.
Il 2015 si apre con l’attentato in Francia. Aumentano gli arrivi via mare.
19 aprile: c’è la sciagura di un naufragio di una nave: 800 morti.
Scoop fotografico: il bambino trovato annegato sulla spiaggia del mare
13 novembre: attentati di Parigi
In Italia 5 milioni di immigrati producano l’8% del PIL, lavorando nei quartieri, occupandosi dei nostri anziani. L’immigrazione dal punto di vista mediatico diventa molto evidente: mediato dai media.
I media sono capaci di unire tutti gli eventi sul filo dell’immigrazione.
L’elemento della pietà assume una forza universale. Cominciano i racconti ad essere centrati sulle emozioni. Il giornalismo comincia a raccontare le persone.

Sono 39 le giornate non c’è un titolo che non riguardi l’immigrazione. I quotidiani dedicano in media 4 o 5 titoli sui giornali. C’è il riferimento al tema dell’accoglienza.
La cosa che funziona il binomio criminalità e immigrazione è ridotto. Aumenta l’altro binomio terrorismo e immigrazione.
L’enfasi narrativa è correlata a due eventi: flusso, rischi sanitari, timore di attentati.
3477 notizie sull’immigrazione.
Quella immagine è stata riconosciuta come autentica e da quel momento in poi le cose cambiano. La Merkel apre le frontiere.
Siamo sicuri che non ci abitueremo all’orrore?
Il tour delle parole.
I migranti r i profughi hanno avuto solo il 7% di spazi per le interviste e sono state voci mediate.
I migranti hanno voce sul tema dell’accoglienza, all’arrivo.

 I Rom? Nel 65% dei casi si è parlato di loro come criminali e un problema di ordine pubblico. 

venerdì 25 dicembre 2015

MARCIA NAZIONALE PER LA PACE - MOLFETTA 30-31/12 2015





Il programma della Marcia prevede

 dalle 15 l’accoglienza dei partecipanti nella Basilica Madonna dei Martiri.
Alle 17, gli interventi introduttivi di Paola Natalicchio, sindaco di Molfetta; monsignor Ignazio de Gioia, amministratore diocesano, e Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia.
Alle 17.45 inizierà la Marcia verso la cattedrale: in piazza Paradiso, verrà piantato un ulivo in un terreno di un bene confiscato alla mafia.
Alle 18.30, in Cattedrale, interverrà don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”.
Alle 19.15 la Marcia verso la stazione, con il passaggio nel luogo dell’omicidio di Giovanni Carnicella, già sindaco di Molfetta.
Alle 19.45 interverrà l'arcivescovo di Taranto Filippo Santoro, presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro.
 Alle 20.45 la testimonianza del vescovo emerito Luigi Bettazzi, già presidente di Pax Christi ,
alle 22.30 la Messa presieduta dal vescovo Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi.


“Io nutro pensieri di pace, non di sventura”  (Geremia 29,11)
La parola al Presidente Giovanni Ricchiuti
Stiamo vivendo dei giorni che sono allo stesso tempo drammatici per tutto ciò che si sta vivendo nel mondo e anche però momenti di grande speranza, fiducia, con l’inizio di questo cammino del Giubileo della Misericordia.
Un primo pensiero è quello di poter vivere ogni giorno con questo supplemento di fiducia e speranza. Ci avviciniamo al Natale, e l’augurio è che questo tempo natalizio  riporti nel cuore dell’umanità una visione del futuro più aperta. Il Natale dei cristiani svela un progetto di pace di Dio sull’umanità. Penso a Geremia 29,11“Io nutro pensieri di pace, non di sventura”. E’ Cristo il nostro progetto di pace.

E poi vorrei dire che c’è grande fermento, soprattutto qui in Puglia, per la Marcia della pace del 31 dicembre. C’è un gran far circolare le informazioni su Fb, sui vari siti, sui social, ma anche nelle comunità, nelle scuole ecc. C’è grande attesa per questa marcia della pace preceduta dal nostro Convegno, sempre a Molfetta. E spero che siano in molti a poter prendere parte a questi giorni di riflessione, sul pericolo dell’indifferenza che va vinta per conquistare la pace. Molfetta richiama subito il nostro don Tonino Bello. Il pensiero va a 23 anni fa, ad un ricordo di quella marcia del 92, ancora vivo in molta gente. E  le giovani generazioni vogliono conoscere la figura di questo vescovo così innamorato di questo sogno della pace. L’invito è di ritrovarci al Convegno e alla marcia, che in particolare quest’anno vuole essere ancora una volta un irriducibile ‘NO’ ad una logica di guerra come soluzione dei problemi. E’ vero che ogni violenza va disarmata, ma è vero anche che noi dobbiamo lasciar cadere qualsiasi forma, verbale o altro, di contrapposizione. Credo che siano un po’ questi i sentimenti che viviamo in questi giorni, e penso che questa Marcia della notte del 31 potrà ancora una volta segnare questa ferma convinzione, che si radica direttamente nella nostra fede, che i giorni della Pace verranno !


giovedì 24 dicembre 2015

DELLA FRAGILITÀ



VEGLIA DI NATALE
Paolo Cugini

“Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.

 Il segno era un bambino: che strano. Che segno strano. Che cosa ha voluto Dio esprimere con un simile segno? Del resto, ascoltando i profeti nel tempo di avvento, ci è stato detto che la nascita di un bambino era stata annunciata sin dall’antichità, e non solo una volta, ma più volte. Un bambino, la nascita di un bambino era annunciata dai profeti, ed era attesa dal popolo d’Israele.
Il bambino è segno di debolezza, di fragilità, di qualcosa che non riesce a vivere da solo. Il bambino è il massimo della fragilità. Ebbene è questo il segno che Dio ha dato all’umanità. Facciamo fatica a cogliere il valore positivo di questo segno perché c’è tutta una tradizione che indica la fragilità come qualcosa di negativo, da nascondere, qualcosa di cui vergognarsi. C’è poi tutta una tradizione spirituale che indica il peccato come conseguenza della fragilità, che indica la fragilità con connotati negativi. Invece Dio, inviando suo figlio Gesù come un bambino ci dice che la fragilità, la mia fragilità, la nostra fragilità è il punto di partenza del cammino, è il punto della nostra umanità che deve rimanere scoperto e non ricoperto, deve essere ascoltato e non taciuto.

 Questo mi sembra il significato di questo segno. Dio conosce la nostra condizione umana, che è una condizione di fragilità: per questo è venuto in questo modo, fragile e bisognoso. E per questo motivo lo ha donato a noi come un segno: è il punto di partenza. Il senso di una cammino spirituale sia di natura religiosa che esistenziale consiste nello scoprire la nostra fragilità, nel prendere coscienza della nostra condizione specifica di fragilità di debolezza, di bisogno. Siamo fragili e quindi bisognosi di aiuto: non siamo autosufficienti. Per questo Gesù continuamente nel Vangelo c’invita a ritornare bambini, a scoprire le nostre fragilità, a sentire il bisogno del Padre. C’è tutta un’educazione che prende questo punto della nostra umanità, che è la fragilità, che è la   condizione di debolezza, e lo ricopre di forza, lo nasconde agli occhi dell’interessato, gli fa credere che non ha bisogno di nulla. C’è tutta un’impostazione educativa che porta i giovani lontano da Dio, che non permette loro d’incontrare Dio. E’ la cultura della forza, è l’educazione a primeggiare sugli altri, è il cammino verso la ricerca dell’autosufficienza che, mentre procediamo, ci allontana progressivamente da Dio, perdendo la possibilità di crescere in umanità.

Infatti, che cosa fa il Signore Gesù con le nostre fragilità? Che cosa fa Dio con le nostre richieste di aiuto? Forse che ci giudica, ci ridicolizza, ci umilia? La risposta a questa domanda la troviamo leggendo i vangeli, ascoltando gli incontri di Gesù con le persone fragili, con gli storpi, gli zoppi, i ciechi, i muti, i dubbiosi: Che cos’ha fatto Gesù con tutti loro? Li ha coperti di misericordia e di bontà. Questo è il grande miracolo. C’è tutta un’umanità ferita che il Signore cura con la sua bontà. C’è tutta un’umanità disorientata che Gesù accoglie con la sua misericordia. Tutte quelle ferite che noi con tanta cura e premura nascondiamo perché ci fanno troppo male, perché non siamo riusciti a curarle, perché continuamente ritornano davanti a noi, Gesù le ana con la sua bontà.  Un bambino è nato per noi; perché ci è stato dato un segno: ecco il segno: un bambino avvolto in fasce. Sono io quel bambino; sei tu quel bambino: questa è la grande rivelazione del Natale. D’ora innanzi non dobbiamo più fuggire da noi stessi, non dobbiamo più nascondere le nostre fragilità, non siamo più condannati a mostrarci più forti di tutti, non abbiamo più bisogno di porre delle maschere. Il bambino Gesù è lo strumento che Dio ha scelto per smascherare l’umanità terrorizzata dalla propria fragilità, che sistematicamente riveste il volto di forza, di potenza. Il bambino Gesù rivela che il punto di partenza della vita non è la forza, ma la debolezza; il punto di partenza di un autentico cammino di fede non è la dimostrazione della propria potenza, ma la presa di coscienza della nostra fragilità. E’ proprio questa debolezza e fragilità che Gesù assume e, durante la vita ci mostra il cammino di come trasformarla in amore, in perdono, in sete di giustizia, in misericordia e bontà.

C’è tutto un mondo malato al quale Gesù ha donato misericordia. Ed è Lui stesso a ripeterlo più volte nei vangeli, riprendendo alcune affermazioni dei profeti: misericordia io voglio e non sacrificio. Gesù è la misericordia, è la bontà che Dio ha donato a noi per rimetterci in piedi, per sanare le nostre ferite, per curare le nostre solitudini, per lenire le grandi sofferenze che derivano da situazioni affettive laceranti, che ci trasciniamo per tutta la vita e che non ci fanno dormire. Ferite non curate che non lacerano solamente noi, ma che trasmettiamo in un modo o in un altro anche alle persone che ci sono accanto. Umanità ferita, lacerata, che non trova pace, non trova un rimedio, perché forse il rimedio non c’è, per lo meno alla nostra portata umana. Ci sono delle ferite umane che solo Dio può guarire. Veniamo alla grotta con il dolore delle nostre ferite, con le conseguenze delle nostre fragilità. Veniamo alla grotta perché abbiamo bisogno di te, abbiamo coscienza di questo bisogno profondo, che ci lacera l’anima, che non ci fa dormire.


Questi sono allora i miei auguri di Natale, che durante l’anno nuovo che si avvicina possiamo incontrare il Signore, colui che solo può riempirci il cuore di bontà e di misericordia, colui che solo può sanare le nostre ferite che vengono dalla solitudine, da rapporti tesi, da relazioni carenti di amore. Gesù è la nostra pace. 

mercoledì 16 dicembre 2015

PAROLA E STORIA




RIFLESSIONI SUL LIBRO DELL’APOCALISSE

 PAOLO CUGINI

 L’ascolto della parola

Il libro dell’Apocalisse si apre con la parola “Rivelazione”. In questo nuovo millennio che si apre sarebbe importante riscoprire la Parola di Dio come un dono, una Rivelazione. Essendo la Parola una rivelazione ciò significa due cose: la prima è che Dio desidera dire qualcosa all'uomo; la seconda è che l’uomo, per scoprire il contenuto che Dio intende rivelargli, deve stare attento, aprire l’orecchio. C’è un versetto significativo che, nel primo capitolo dell’Apocalisse, mostra il rapporto tra Dio che parla e l’uomo che ascolta: ”Rapito in Spirito nel giorno del Signore, udii dietro a me una voce possente, come di tromba” (Ap 1,10). La Parola di Dio è come una voce possente che sta dietro all'umanità e deve essere ricevuta come un dono. La Parola precede l’uomo: c’è una storia, secoli di avvenimenti, tradizioni. La Parola non è invenzione dell’uomo, per questo l’atteggiamento che la Parola intende suscitare è quello dell’ascolto attento affinché il contenuto rivelato dalla Parola possa scendere fino al cuore. ”Mi voltai per vedere chi mi parlava” (Ap 1,12). Per fare in modo che la Parola scenda in profondità è necessario voltarsi indietro, entrare nella storia di colui che Parla, conoscere le tradizioni passate. Cercare il volto del Signore nella Parola vuole dire accettare la fatica quotidiana di conoscere la provenienza di questo volto, la sua origine, il suo passato. Il tempo è un dato antropologico dell’universo personale: non si può pretendere di conoscere qualcuno se non si fa lo sforzo di conoscerne la storia. Ciò vale anche per la Parola di Dio. Ce lo ricorda l’autore della lettera agli Ebrei: ”Dio che nel tempo antico molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri nei profeti, in questa fine dei tempi ha parlato a noi nel Figlio” (Eb 1,1-2a).

 La Parola si è comunicata all’uomo entrando nella sua storia, influenzando le sue scelte, le sue leggi. C’è stato un lento cammino di entrata nel tempo fino all’evento cruciale che è stata l’incarnazione che ha fatto della Parola una Persona: Gesù Cristo. Il gesto, allora, di Giovanni che si volta per vedere colui che gli rivolgeva la Parola, è il gesto che la Chiesa compie ogni qual volta si mette in ascolto del “Testimone fedele, il primo nato fra i morti, il principe dei re della terra “ (Ap1,5).Compiendo lo sforzo di voltarsi indietro per conoscere l’Agnello, la Chiesa può presentare all’umanità una verità autentica. Di fatto, in questo mondo così detto post-moderno, caratterizzato dalla frammentazione dei saperi, dalle “verità deboli “, dalla crisi di punti di riferimento chiari e distinti, la presa di coscienza di una Parola vera, rivelata, che precede l’uomo è un dato di grande consolazione. Ci chiediamo allora: quando la chiesa è in grado di presentare all’umanità post-moderna la Verità di Gesù? Ogni volta che riesce a trasformare la Parola in storia, ogni volta che “segue l’Agnello ovunque vada” (Ap 14,4), ogni volta che le azioni che compie sono risposta alla “voce possente” del “Testimone fedele”, la Chiesa sta manifestando ciò che il mondo non conosce: “ Il Signore Dio, Colui che è, che era, che viene, l’Onnipotente” (Ap 1,8)

 Celebrare la vita

L’ascolto della Parola di Dio, conduce l’uomo nella storia d’amore che il Padre sta preparando sin dall’inizio della creazione. L’uomo, coinvolto in questa storia d’amore, non può che lodare Dio. La Parola di Dio apre il cammino alla celebrazione liturgica e, senza una vita immersa nella Parola, diviene difficile cogliere la pienezza della liturgia. Lo diceva il papa Giovanni Paolo II in occasione del 40° anniversario della Sacrosanctum Concilium: “La liturgia da una parte suppone l’annuncio del Vangelo, dall’altra esige la testimonianza cristiana nella storia”.

 In questa prospettiva il libro dell’Apocalisse, che abbiamo preso come punto di riferimento, aiuta a cogliere il significato profondo della liturgia. I capitoli 4 e 5 descrivono in modo suggestivo e spettacolare la liturgia celeste, come centro e meta di tutta la storia dell’umanità: Dio è seduto sul trono e l’Agnello immolato in piedi. Qui viene celebrata la vittoria di Dio sul mondo dell’egoismo, vittoria manifestata nella morte e resurrezione del Figlio, l’Agnello immolato. A questa liturgia partecipa tutta la storia della salvezza assieme a coloro che hanno testimoniato con la propria vita l’amore a Gesù Cristo. E’ questo che fa riflettere: nella liturgia celeste è celebrata la vita! Viene dato gloria a Dio, infatti, per la vita che il Figlio ha saputo realizzare nell’amore a coloro che celebrano questa liturgia sono coloro che hanno vissuto sulla propria pelle questo amore. Troviamo così tutti gli elementi di una qualsiasi liturgia come inni, canti, genuflessioni, adorazione, silenzio, in un contesto vivo, in cui non c’è nulla di formale o di obsoleto.
 “Ero morto, ma ora sono vivo” (Ap 1,18). E’ ciò che l’Agnello dice di sé a Giovanni nella visione di apertura dell’Apocalisse. Se è il vivente, vuole dire che accompagna la vita e il cammino della Chiesa. Di fatto nei capitoli 2 e 3 leggiamo che cosa il Vivente ha da dire alle 7 chiese dell’Asia che, simbolicamente, rappresentano il cammino della Chiesa nella storia. In questa prospettiva diviene chiaro che il rito liturgico non celebra appena un evento passato, quanto quell’unico evento, la morte e risurrezione di Cristo, di colui che è vivo e presente nella storia. Ciò è lo specifico del rito Cristiano in una prospettiva di fenomenologia delle religioni: noi celebriamo il Vivente, il Dio che si è fatto carne, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, che per noi è morto e il Padre ha resuscitato ed è e sarà sempre con noi (Mt 28,20). Il libro dell’Apocalisse oltre a ricordare che la liturgia celebra la vita, aiuta a cogliere anche il significato del sacerdozio. “Fosti immolato e acquistasti per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, ne facesti per il nostro Dio un regno di sacerdoti.” (Ap 5,9b-10). Chi partecipa alla liturgia è, dunque, un regno di sacerdoti. Lo stesso Agnello immolato è il sacerdote che, nella liturgia celeste, non ha offerto un animale come prescriveva la legge mosaica, ma se stesso, la propria vita. E’ questo il sacrificio che, dopo quello salvifico di Gesù, deve essere offerto. San Paolo, all'inizio della parte parenetica della lettera ai romani, invitava i suoi amici ad “offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio, come vostro culto spirituale” (Rom 12,1). Gesù è entrato nel mondo ed ha fatto della propria vita una liturgia, nella quale ha offerto se stesso al Padre, trasformando la propria vita in amore, in perfetta obbedienza (cfr. Eb 4,14-16). E’ a questo sacerdozio che i battezzati, coloro che sono stati resi veramente Figli di Dio dall’amore del Padre (1Gv 1,3), sono chiamati a partecipare, E’ donando la vita, trasformando la vita in amore, in obbedienza alla Parola che dall'eternità chiama l’umanità ad una vita santa e immacolata (Ef 1,4), che l’uomo vive il proprio sacerdozio. 

Nella prospettiva aperta dal libro dell’Apocalisse, la liturgia non si presenta come una realtà separata dalla vita. Al contrario, è la vita quotidiana trasformata dall'amore del Padre che è riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito del Signore (Rom 4) che viene celebrata. E’ di questa liturgia che celebra la vita che il mondo post-moderno ha bisogno. Di fatto, se la fine delle grandi narrazioni(6) ha provocato sfiducia nelle possibilità umane di dare un senso all'esistenza, una liturgia di persone che celebrano la vita, la vittoria di Cristo sulla morte e la possibilità di una vita quotidiana plasmata dall'amore del Padre, non può che destare interesse assieme al desiderio di percorrere questo cammino.



martedì 15 dicembre 2015

CRISTIANESIMO E ISLAM




Conferenza tenuta all'Hotel Posta di Reggio Emilia
Marzo 2015

Sintesi di Paolo Cugini
MIkalessim:
Che cosa significa vivere da inviati di guerra?

Gli occhi della guerra sono lo sguardo triste del bambino soldato, l’ultimo sguardo di vita dei feriti. Gli occhi della guerra li conoscono anche i giornalisti che raccontano con difficoltà le guerre. Dopo l’11 settembre c’è stato una svolta. Andare dall’altra parte della barricata significa giornalismo kamikaze.
In Libia c’è il caos, le milizie contrapposte, due governi, le bandiere nere.
Uganda 1986.
Situazione in Libia.
Dall’altra pare del mediterraneo c’è l’anarchia. Dove sono finite le primavere arabe? Che cosa porta a dire: Gheddafi era un angelo? Ci siamo innamorati delle primavere arabe senza capire bene i problemi.  Dieci anni dopo l’11 settembre scoppia la voglia di cambiare. Tutti questi paesi erano governati da famiglie oligarchiche.
Non vogliono la democrazia, ma solo la legge del Corano, tornare ai tempi di Maometto. Dalla primavera araba è nato un mostro.
La situazione più assurda è quello che avviene in Siria. I cristiani sono diventati la vittima numero uno.  Come mai questo riacutizzarsi una violenza così feroce nei confronti dei cristiani? I Cristiani sono una presenza minoritaria e pacifica. Il problema è la nascita del califfato.
Gheddafi: voi europei cosa volete fare? Non vi rendete conto di cosa verrà dopo? La Liba finirà in mano a gruppi come alkaeda.
I martiri oggi sono più numerosi che nei primi secoli. La comunità internazionale non può girare le spalle dall’altra parte (Bergoglio). Siamo in mezzo ad una persecuzione dei cristiani. Deluso dalle paure, timidezze Occidentali, Europee. Facciamo fatica a dire che le nostre radici sono europee.  I cristiani chiedono due cose: un visto, oppure ci permettete di tornare nelle nostre terre in modo sicuro. Per farlo ci vorrebbe un intervento militare ingente, per farlo bisogna fare la guerra. Non vogliamo essere troppo coinvolti.
Questo conflitto epocale del califfato è una guerra interno all’Islam: Sciti (Iraq) e Sunniti (paesi el Glofo).  Yemen: altro episodio di questo conflitto dove i due gruppi islamici si ammazzano.  In questo scontro epocale all’interno dell’Islam i cristiani sono condannati all’Esodo o all’esilio.  Adesso non tutti i cristiani vogliono porgere l’altra guancia. Chiedono sicurezza.
Noi in Italia abbiamo scelto di non aiutare le formazione cristiane, ma i curdi.
Proposte:
1.      fermare le fonti di finanziamento
2.      garantire le frontiere, impedire che le truppe dello stato islamico possano penetrare

Chi c’è dietro l’ISIS?
Il Califfato si è già espanso. Occorrerebbe sigillare il confine tra Siria e Turchia.
La Turchia ha un sogno di grandezza immenso. E’ una lotta di potere regionale per il controllo di Medio Oriente. Il Califfato ha avuto all’inizio tanti soldi dall’Arabia Saudita, il Qatar.
Adesso il Califfato non ha più bisogno dei soldi degli altri, perché conquistano risorse. Campi petroliferi in Iraq. Sarà molto difficile fermare l’ISIS. Chi sono i volontari che arrivano dall’Europa? Come è possibile questo?
Sono circa 6 mila gli europei che hanno aderito al califfato. Ci sono anche delle donne, tra cui un’italiana.
Chi te lo fa fare? Io sono venuto qua a cercare di diventare martire perché noi inseguiamo la morte come voi vi siete attaccati alla vita.
Lo stato islamico dice: noi ti proponiamo di vivere in uno stato dove ti daremo un sistema con le regole che hai sempre sognato, quelle di Maometto. Questo è la grande motivazione. Non siamo stati in grado come Europa e cultura di offrire a questi giovani una vera alternativa credibile. Questi giovani passano dal vuoto delle discoteche alle sirene del califfato: rifiutano l’Occidente, addirittura i propri genitori. E’ una rivolta contro l’Occidente, contro la democrazia, contro il nostro sistema di valori.