venerdì 30 giugno 2023

QUANDO UN PRETE SPOSATO PUO’ ESSERE UNA RISORSA E NON UN PROBLEMA

 

Mario



 

Paolo Cugini

Mario è un uomo italiano felicemente sposato padre di due figli che attualmente vive con la famiglia a Malmo, in Svezia. Alle sue spalle ha un eccellente curriculum scolastico fatto di un baccellierato in teologia, una licenza (Master) in teologia spirituale; ha frequentato il corso biennale per Consulenti e responsabili organizzativi a Milano gestito dallo studio APS (Analisi psico-sociale) e il corso per formatori a Torrazzeta (Pavia) con Manenti e Cencini. Mario unisce competenze specifiche a qualità umane di prim’ordine. Inoltre, ha insegnato per dieci anni teologia spirituale ed è stato responsabile della Pastorale Giovanile della diocesi di Reggio Emilia, oltre ad essere stato parroco. Si può dire che la Chiesa l’abbia servita e, chi l’ha conosciuto, può tranquillamente aggiungere che l’ha servita molto bene. Poi nel 2008 ha conosciuto Laura, si sono sposati ed hanno due figli. Mario non si considera un ex prete, ma un prete che ha interrotto un percorso e ne ha iniziato un altro.

Laura


A seguito del viaggio di Papa Francesco nel 2016 per partecipare ai festeggiamenti dei 500 anni della riforma di Lutero, che si è tenuta a Lund e Malmo, l’associazione comunità Papa Giovanni XXIII, ha inviato La famiglia di Laura e Mario per vivere un’esperienza ecumenica in dialogo con le altre chiese. L’aspetto sorprendente è che possono vivere questo dialogo all’interno di un’altra Chiesa, quella luterana. Attualmente Laura lavora con un’associazione privata sostenuta dalle chiese, con le vittime di tratta: in maggioranza sono donne e transessuali. Mario, invece, lavora presso la Parrocchia luterana di San Matteo, che fa parte dell’Unità pastorale della città, divisa in sei gruppi di parrocchie. San Matteo fa parte del gruppo di parrocchie di san Giovanni: San Matteo, San Paolo, Santa Maria e san Giovanni. In parrocchia lavorano 14 dipendenti. Ciò è possibile perché in Svezia, chi vuole può dare il 2% (non l’8 per mille) alla propria Chiesa. La funzione di Mario è quella di educatore con i bambini, la cura del catechismo e dei giovani. Lavora in cucina una domenica al mese perché, dopo la messa domenicale, c’è il pranzo comunitario. Con le persone che lavorano in parrocchia c’è un incontro d’equipe settimanale di verifica e progettazione. Ci sono inoltre altri incontri con gli educatori.

La cappellina dove avviene la preghiera della sera sullo stile di Taizé


Mario lavora anche presso la Chiesa luterana di Santa Maria. Anche se in Svezia è lo stato che si occupa dei poveri, le chiese sono anche loro attive sul tema della carità. Presso la Chiesa diaconale di Santa Maria si fanno attività in favore delle persone emarginate. Qui Mario, assieme ad una équipe, fa accoglienza ai più poveri. Inoltre, gli è stato chiesto d’introdurre la teologia della liberazione come teologia di riferimento del lavoro diaconale. La diacona Ninni è responsabile dei punti di diaconia luterani della città. Alcuni anni fa ha frequentato i corsi del Centro di Studi Biblici di San Leopoldo, in Brasile. È stato in questo Centro Studi che, negli anni ’70 del secolo scorso, alcuni biblisti legati alla Teologia della liberazione, hanno messo a punto un metodo specifico, denominato: Lettura popolare della Bibbia.  Ninni ha conosciuto la famiglia di Mario e Laura, ha apprezzato molto la prassi del lavoro di ascolto realizzata da Mario e ha deciso che la teologia della liberazione doveva divenire la prassi del cammino dei diaconi. In questo nuovo percorso, due sono stati gli eventi che hanno segnato particolarmente il cammino.

Cena della piccola comunità


Il primo, è stato un lavoro di ricerca – azione proposto da Mario con i genitori che partecipano alle attività musicali con i bambini in chiesa. Un progetto nuovo e innovativo che ha permesso all’équipe parrocchiale di conoscere le motivazioni e le aspettative dei partecipanti, che spesso, per motivi anche culturali, non vengono esplicitate. Questo lavoro di ricerca ha permesso all’équipe di orientare meglio le scelte pastorali e, allo stesso tempo, di conoscere meglio le competenze di Mario che, in seguito, è stato invitato a realizzarla in altre parrocchie. L’altro momento importante in questo cammino formativo è stata la giornata fatta insieme con il metodo della lettura popolare della Bibbia, venuta così bene da mettere in programma altri cinque momenti in autunno.

Oltre a questo cammino, la famiglia di Laura e Mario fa parte di una “piccola comunità” composta da loro, da due ragazze che stanno facendo un’esperienza comunitaria in un appartamento della parrocchia, situato accanto all’appartamento dei nostri amici, e ad altre quattro persone che vivono nelle vicinanze. Questa comunità è nata nel 2015, nel periodo che ha visto l’afflusso di una grossa ondata migratoria proveniente dalla Siria e un prete decise di fondare una piccola comunità ispirata alla spiritualità di Taizé fatta di preghiera e accoglienza. Dal 2019 Laura e Mario sono in questa parrocchia e sono stati invitati a far parte di questa piccola comunità.

Linnea e Ida, che fanno parte della piccola comunità, si sono sposate lo scorso anno
Linnea sta studiando teologia per diventare prete


Mentre termino queste righe mi viene da dire: c’era bisogno d’andare in Svezia nella chiesa Luterana per vivere serenamente la propria fede? Non potevamo accoglierli noi? Tanta competenza e tanta umanità non potevano essere messi a disposizione di quel pezzetto di Regno di Dio che è qui vicino a noi? Queste sono mie personalissime domande, che Laura e Mario non si sono mai posti, perché la loro intenzione sin dall'inizio è stata quella di realizzare un 'esperienza missionaria come famiglia e, posso aggiungere, ci stanno riuscendo benissimo.

giovedì 29 giugno 2023

BIBBIANO. 654 OCCHI SI SONO APERTI

 



Ieri sera fino a mezzanotte, a 4 anni esatti dallo tsunami mediatico che ha ricoperto di fango un’intera comunità, 327 autoconvocati si sono dati silenziosamente appuntamento nel teatro di una parrocchia di Reggio Emilia per discutere del caso Bibbiano.

Famiglie affidatarie, operatori sociali, professionisti, cittadini, amministratori, si sono confrontati su quanto il processo mediatico abbia già emesso da tempo le sue sentenze di condanna. Il Tribunale vero in realtà sta solo ora portando in aula i fatti che, tuttavia, paiono non interessare più nessuno. In attesa della verità una cosa, nel frattempo, è già accaduta: il sistema di protezione dei bambini è stato massacrato. Sempre meno famiglie sono disponibili ad accogliere bambini abusati o in condizioni di fragilità, gli operatori segnalano molti meno casi di violenza domestica, il Tribunale dei minori è stato piallato, i professionisti vedono messi in dubbio i paradigmi (riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale) sui quali hanno fondato il proprio lavoro a difesa dei minori.  E in tutto questo i bambini non hanno voce e sono sempre meno ascoltati e protetti.

Allontanamenti zero è uno slogan efficace che sta penetrando in profondità nelle coscienze degli italiani, ma che sottende tuttavia una logica terribile. Come si evince (in modo nemmeno troppo implicito) anche dalle carte processuali a cura di sedicenti ‘esperti’ emergerebbe che il posto migliore dove i bambini possano crescere è sempre e comunque la famiglia naturale. Anche quando in quel contesto i piccoli fossero oggetto di violenze, deprivazioni e abusi.  Abbiamo fiducia nel lavoro dei magistrati e nello stato di diritto. Per questo l’impegno di tutti sarà quello di ascoltare con attenzione e diffondere parole, documenti e fatti che nell’aula del Tribunale verranno finalmente e integralmente riportati. Ne riparleremo perché ci interessa la storia vera. Quella storia che sino ad ora non è stata raccontata in un potentissimo e manipolato racconto che, stando al titolo, ha già deciso in partenza chi sono gli angeli e chi sono i demoni.

Da ieri però 654 occhi si sono aperti. E appartengono a persone che hanno smesso di avere paura.

mercoledì 28 giugno 2023

DONNE PRETE: UNA REALTA' IN SVEZIA

 

Linnea e Josephine studiano teologia per prepararsi a diventare prete


Paolo Cugini

Sto visitando la famiglia di un mio amico Reggiano di nome Mario ed è ho incontrato nella parrocchia dove lui fa servizio Linnea e Josophine, due giovani ragazze ventenni che studiano teologia e si stanno preparando per diventare prete. Sì, proprio così: desiderano diventare prete. Nella Chiesa Luterano di Svezia questo è possibile.

Dal 2020 la Chiesa svedese, evangelica luterana, conta più pastori donne che non pastori uomini. Per l'esattezza il 50,2 per cento dei ministri evangelici abilitati a officiare il servizio religioso sono donne: 1.533 su un totale di 3.063 presuli. E nella rete di seminari da qualche anno ben il 70 per cento degli iscritti sono donne.

È dal 1958 che la chiesa protestante svedese ha accettato il sacerdozio femminile. E dal 2000, anno della totale separazione tra Chiesa e Stato, i corsi di teologia sono molto frequentati dalle donne.

Nelle chiese protestanti di molti paesi le donne sono ammesse al sacerdozio. In Germania una donna vescovo, Margot Kässmann, è stata persino presidente dei vescovi luterani.

lunedì 26 giugno 2023

EUCARESTIA DOMANI - RECENSIONE DI ANTONIO DE CARO




Antonio De Caro

RECENSIONE a P. Cugini,

L’Eucarestia domani. Inculturazione e inclusività della liturgia,

Cantalupa (TO) Effatà 2023

 

I numeri parlano chiaro: le chiese si svuotano, molti uomini e donne di oggi non si riconoscono più nella fede cristiana o cattolica. Si tratta di un profondo cambiamento culturale che ci spinge a parlare di epoca post-cristiana. È ancora possibile, pertanto, proporre una riflessione sull’Eucarestia? La fede e la liturgia possono incontrare uomini e donne di oggi e di domani solo se riescono a dialogare con loro “per la strada”, cioè nei contesti concreti dove si svolgono le loro vite e dove nascono le loro domande di senso e il loro bisogno di conforto e speranza. La liturgia non ha senso se non entra e non rimane in un rapporto circolare e dinamico con la vita di tutti e di ciascuno.

Dai Vangeli emerge che l’Eucarestia è vita e dà vita, ma spesso la liturgia che si è codificata nei secoli soffoca questa energia e questo messaggio, che andrebbero invece riscoperti attraverso un ritorno alla semplicità essenziale delle origini. Il saggio di Paolo Cugini, pertanto, si propone il disvelamento dell’autentico tesoro d’amore che Gesù ha nascosto nelle parole dell’ultima cena (p. 7).

 

I Vangeli sinottici rappresentano in modo esplicito i gesti di Gesù sul pane e sul vino, cioè l’istituzione del sacramento. Il Vangelo di Giovanni, invece, omette questa scena e vi sostituisce quella della lavanda dei piedi. In tal modo viene portato alla luce il profondo significato etico e teologico dell’Eucarestia per la Chiesa: espressione della kénosis, cioè dell’abbassamento del Figlio che ha assunto la natura umana, essa si configura come una coerente scelta di amore che Gesù fa “fino alla fine”, pur rispettando la nostra libertà e quindi l'eventualità che noi possiamo rifiutare questo dono. Gesù si dona pur essendo consapevole della nostra fragilità (Dio si propone ad una coscienza libera e accetta la debolezza del rifiuto, p. 16), perché per lui conta maggiormente uno sguardo pieno di speranza sulla persona, sul futuro e sulla nostra salvezza. Ricevere l’Eucarestia vuol dire rendere proprio questo sguardo di misericordia che alimenta l’impulso verso il servizio vicendevole. Fare Eucarestia non è una devozione privata, ma una crescita nella dimensione comunitaria, che presuppone un cammino insieme e la capacità di condividerne le gioie e i dolori. Non si tratta del “premio dei perfetti”, ma del nutrimento per continuare il viaggio, senza abbattersi di fronte alle difficoltà, e prendersi cura gli uni degli altri. Di conseguenza, non può che rivolgersi a tutti e tutte, in un abbraccio di uguaglianza. La visione inclusiva ispira all’autore pagine meravigliose (pp. 47-59) sull’accoglienza delle persone LGBT+ nella comunità cristiana e nella comunione eucaristica: Gesù intendeva demolire la “religione del Tempio” con i suoi pregiudizi e i suoi privilegi per mettere al centro l’ascolto delle persone e la loro ricerca di amore. Se l’insegnamento della Chiesa perpetua una dolorosa distanza fra la dottrina e la vita, esso tradisce l’invito universale alla misericordia fatto dal Signore.

 

La bellezza e la forza dell’Eucarestia vanno riscoperte e riproposte proprio in un mondo dove essere cristiani non è più un’abitudine scontata o un dovere, ma una scelta personale che la coscienza può fare liberamente solo a patto di cogliere, nel messaggio evangelico e nella vita comunitaria, l’autentica risposta alle domande profonde dell’esistenza. Ormai nessuno può più credere o praticare una fede come precetto, ma solo per una sincera motivazione etica e spirituale. È giunto il momento che la fede perda la sua connotazione metafisica per diventare ermeneutica della vita in cui il soggetto umano sia pienamente ascoltato, coinvolto, liberato. Ma per questo è necessario che la liturgia sia attenta alla vita concreta del presente, valorizzando la comunità dei credenti come popolo di Dio: è, di fatto, il messaggio del Concilio Vaticano II, che intende superare il peso delle incrostazioni imperiali e tridentine per ritornare alle fonti genuine della fede cristiana. La Scrittura e i Padri, infatti, mostrano chiaramente che l’Eucarestia ha senso solo nel contesto della vita comunitaria, in cui i battezzati condividono la dignità sacerdotale e la chiamata universale alla santità. Da questa consapevolezza deriva la necessità che il popolo di Dio sia attivamente coinvolto nella celebrazione.

 

Per partecipare attivamente al mistero eucaristico occorre comprenderlo bene. Gesù ci consegna il suo corpo, cioè la sua umanità che si rende visibile con la sua fatica e la sua passione per le relazioni con le persone che incontrava “per la strada”. Il corpo e il sangue di Cristo sono il segno del suo desiderio di entrare in comunicazione con gli esseri umani, apprezzandone le sfumature e le differenze; e sono anche il segno del suo desiderio di donarsi ai poveri di ogni genere, abitando le periferie e i frammenti esistenziali. La grandezza della nostra vita non dipende da un discorso di quantità, ma di qualità… Capire questa grandezza è uno dei doni più belli della vita, che ci conduce ad abitare con gioia i frammenti esistenziali, nella consapevolezza che è proprio in questi frammenti che il Signore ha nascosto la sua grandezza (p. 32). “Prendete e mangiate, prendete e bevete” equivale allora ad assimilare questo modo di essere di Gesù per sfamare il bisogno dell’uomo.

 

Se il mistero di Dio si è rivelato attraverso l’umanità di Gesù, allo stesso modo la liturgia dev’essere fedele al modo di questa rivelazione (p. 125). La comunità cristiana è chiamata a proseguire la presenza visibile e corporea di Cristo, dono permanente del Padre. Questa dimensione comunitaria, che l’autore fonda su numerosi e solidi riferimenti biblici e patristici, è uno dei temi centrali del Concilio Vaticano II sulla liturgia, che quindi non può più limitarsi ad essere una devozione individuale. Nel modello intimista, triste retaggio del Concilio di Trento, prevale l’idea del sacrificio di Cristo, vittima immolata a causa dei nostri peccati. In questa visione i sacerdoti costituiscono i mediatori della Grazia: possiedono uno status superiore e meritano una posizione gerarchica separata, visibile attraverso l’architettura, l’abbigliamento, la lingua; l’apparenza esteriore deve veicolare il senso del sacro, inteso come dimensione sovraumana. Si tratta di una interpretazione formalista e ritualista del sacramento, che rievoca un fasto pagano ma rimane così distante dalla vita. Se togliamo dalla liturgia ciò che c’è di autenticamente umano, togliamo allo stesso tempo ciò che c’è di autenticamente divino (G. Boselli, citato alle pp. 126-127). Inoltre questa idea suscita nei fedeli un disperato senso di colpa o un atteggiamento di superbia, per cui essi possono accostarsi al sacramento solo se ritenuti degni e meritevoli. Ma soprattutto, il modello della liturgia come devozione intimistica contraddice il dono dell’incarnazione con cui il Signore cerca la relazione con tutti per creare e rafforzare relazioni di fraternità. Infatti, nel modello esistenziale e comunitario i fedeli partecipano attivamente al culto e vi riversano la propria vita, ricevendo la vita di Cristo che costruisce la comunione. “Fare questo in memoria” significa dunque seguire nella vita l’esempio di Gesù, che si dona per il bene della famiglia umana. Quello che celebriamo alla domenica deve avere un legame con le relazioni che intessiamo durante la settimanaIl miracolo che l’eucarestia compie nella vita delle persone che cercano il Signore è la luce che illumina di vita nuova le loro esistenze (pp. 82-83).

 

Come per i discepoli di Emmaus (pp. 73-85: il passo evangelico vi è spiegato con poetica delicatezza), incontrare il Signore significa passare dalla tristezza alla gioia e al bisogno di annunciare il Risorto: ma ciò presuppone la disponibilità ad abbandonare le idee sbagliate su un Dio di potere e accettare la prospettiva di un Dio di amore. Gesù ha amato e basta. È questo amore infinito, vero, autentico che noi assimiliamo ogni volta che ci accostiamo all’altare (p. 94). Da questo incontro nasce l’impulso a condividere il dono ricevuto, a sanare le ingiustizie nel concreto mondo degli uomini, in una fedeltà alla terra che è anche preparazione del Regno. L’Eucaristia alimenta una spiritualità relazionale che diventa cura della comunità umana e cammino di liberazione (pp. 88-107).

 

L’autore ritiene, quindi, fondamentale ritornare alla prospettiva del Concilio Vaticano II e proseguirne la lezione. L’abbandono del latino e l’uso delle moderne lingue nazionali nella liturgia novi ordinis dipendono proprio dall’intenzione di annunciare il Vangelo alle donne e agli uomini di oggi. Ma le comunità umane, come peraltro gli individui, non sono uguali in ogni tempo o in ogni luogo: per questo è necessario che l’annuncio e la liturgia assumano le caratteristiche culturali delle società a cui si rivolgono, in quanto l’inculturazione permette ad una comunità di riconoscersi nella liturgia, superando il retaggio del colonialismo religioso. Rispettare le diverse civiltà umane vuol dire anche riconoscere che a ciascuna di esse lo Spirito ha elargito un tesoro, cioè una visione del mondo e una sensibilità che si approssimano al Vangelo. Proprio per questa ragione la Chiesa, negli scorsi decenni e soprattutto adesso con papa Francesco, sta abbandonando una prospettiva eurocentrica (la pretesa, cioè, che il Vangelo vada annunciato solo con i linguaggi e nelle forme di una certa identità storica, quasi fosse superiore alle altre) per valorizzare le culture di tutti i popoli e i loro specifici carismi, come ad esempio l’attenzione per l’armonia del creato e il rispetto della natura che connotano la mentalità dei popoli amazzonici.

 

Il superamento di barriere secolari, che ormai costituiscono un ostacolo all’annuncio del Vangelo, è un compito urgente anche nell’Occidente post-cristiano, come sostiene Ch. Péguy; l’Eucaristia ha bisogno di una liturgia meno formale e più relazionale, in cui le comunità e i presbiteri locali possano partecipare nel modo più attivo e creativo possibile, per esempio riguardo la spiegazione della parola di Dio, la preghiera dei fedeli, la preghiera eucaristica. Di fronte alla scarsità di presbiteri, propone l’autore, le fedeli e i fedeli laici andrebbero invitati a ricoprire ruoli sempre più ampi, in forza del sacerdozio battesimale da cui nessuno è escluso, e che dovrebbe riconoscere anche alle donne, finalmente, piena dignità per il sacerdozio ministeriale ordinato.

 

Le donne e gli uomini di oggi, come non si stanca di spiegare papa Francesco, non comprendono più un annuncio del Vangelo che si affida a linguaggi desueti, specialmente se questi veicolano un’immagine di Dio che non è quella rivelata da Gesù di Nazaret: questo è il motivo per cui, nella liturgia ma non solo, Dio non andrebbe più chiamato “onnipotente” ma “misericordioso”; allo stesso modo, l’idea dell’Eucaristia come “sacrificio” va sostituita dall’idea dell’Eucaristia come “dono” e sul senso del “peccato” dovrebbe prevalere quello della “responsabilità”. Misericordia, dono, responsabilità: questi sono i valori che l’Eucaristia dovrebbe alimentare nelle comunità cristiane, per far sì che poi i fedeli ne siano autentici testimoni nella vita quotidiana, prendendosi cura dell’umanità e soprattutto dei poveri e dei sofferenti di ogni genere, poiché la sofferenza è il luogo massimo dell’umanità (p. 130), che Gesù ha condiviso fino in fondo.

 

Il libro di Paolo Cugini sviluppa queste idee con una grande coerenza, che si coglie sia nell’articolazione interna sia nei riferimenti teologici, pastorali e liturgici, ispirati al Concilio Vaticano II, ai padri della Chiesa e soprattutto alle Sacre Scritture, alle quali è riservato uno spazio che -giustamente- prevale su quello dei contributi umani nel corso dei secoli: la bibliografia elencata alla fine del volume è assai ricca, ma nelle note è ridotta al minimo. Nello stesso tempo, l’autore cita e commenta con abbondanza il magistero di papa Francesco (soprattutto Evangelii Gaudium, ma anche Misericordiae vultus e Querida Amazonia) di cui viene evidenziata la continuità con il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes, Lumen gentium, Sacrosanctum Concilium).

Ciò nonostante, il testo è molto utile anche perché fornisce indicazioni utili a chi desidera approfondire alcune tematiche: la realtà come luogo di manifestazione del mistero (J. L. Marion, p. 18 nota 1); il Concilio Vaticano II e il ritorno alle fonti (M. Faggioli, p. 22 nota 5); umanità e divinità in Cristo (Massimo il Confessore, p. 69 nota 7); il cristianesimo come liberazione dalla falsa religione (Ortensio di Spinetoli, p. 92 nota 4); la bellezza e la festa come segni della presenza di Cristo (D. Bonhoeffer, p. 102 nota 2); il cristianesimo nell’epoca del cambiamento (P. Cugini, p. 181 nota 13).

Ma non deve sfuggire che il discorso tecnico, persino nelle pagine più accademiche, procede in modo fluido e comprensibile e attraverso un tono amichevole, talvolta persino sussurrato. La prosa, sempre concreta, raggiunge in alcuni punti melodie emotive e toccanti (come nelle pagine dedicate ai discepoli di Emmaus, alle donne, alle persone LGBT+) e, grazie all’alternanza di frasi brevi e lunghe, un ritmo lirico, quasi salmico. Questi effetti stilistici derivano anche dall’umanità dell’autore e alludono al suo personale dialogo con la presenza di Cristo nella vita delle persone: sono, a mio giudizio, il segno di un innamoramento che ciascuno e ciascuna di noi siamo chiamati a vivere.

 

Antonio de Caro è docente di scuola secondaria superiore presso "Scuola per l'Europa" di Parma. È autore del libro: La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa, Calibano 2021. Acquistabile qui:

 

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venerdì 9 giugno 2023

LA PLURALITA’ NELLA BIBBIA

 




Paolo Cugini

Siamo abituati a pensare e a leggere la Bibbia con gli occhi della cultura dalla quale proveniamo, che ci ha insegnato da secoli ad annullare le differenze, anzi a considerare la differenza come una negazione. Chi legge la Bibbia con gli occhiali della cultura lineare corre il rischio di leggerla in modo superficiale, e cioè come una storia scritta dall’inizio alla fine, identificando la verità di Dio con quello che si legge in modo immediato. Sappiamo che la storia l’hanno sempre scritta coloro che abitano i palazzi dei re e quindi si tratta quasi sempre di una storia del centro, scritta per giustificare e difendere un potere. In queste storie, come da decenni ci ha insegnato la scuola della Nouvelle Histoire, poco o nulla rimane della storia reale, di quella cioè vissuta dalla gente comune, dai contadini, dalla gente semplice che rimane esclusa dai palazzi, da coloro che in realtà sono i veri protagonisti delle vicende storiche. Anche nella Bibbia incontriamo narrazioni storiche che nei secoli sono state rilette, manipolate, per così dire dal potere centrale vigente e che quindi risentono di queste esclusioni.

Non è allora un caso se ci sono teologhe che da anni stanno rileggendo la Scrittura a partire da uno sguardo diverso, e cioè quello delle donne, per cogliere nei silenzi imposti alle donne una parola diversa. Chi si si scandalizza dinanzi a questo tipo di percorso diverso, a questo tentativo di leggere tra le righe, di ascoltare il silenzio di chi da sempre è stato messo a tacere è perché è succube della propria cultura lineare, che nel caso di quella Occidentale è anche espressione di un pensiero forte, spesso e volentieri arrogante e oppressivo. Che dire poi di quel modo di leggere la Parola di Dio a partire dai poveri - altre grande categorie di persone messe a tacere dal potere politico e religioso – che la chiesa Latino Americana ci ha insegnato sin dagli anni del dopo Concilio. Un conto è, infatti, leggere la Parola di Dio in pantofole, in un caldo appartamento Occidentale. Ben altra cosa è leggere la stessa Parola tra la gente che vive nelle favelas o nei quartieri poveri di una città nell’interno del Nordest brasiliano. Sono voci diverse, occhi diversi e mentalità diverse che non si escludono, ma si possono mettere in sintonia. E’ questo sguardo diverso che legge la Parola da angolature diverse che destruttura le sicurezze, non perché, come superficialmente si potrebbe sostenere, relativizza i contenuti, ma perché molto più semplicemente li contestualizza.  E’ importate poi sottolineare, a questo punto del discorso, come questo processo di destrutturazione, di polifonia di voci diverse avviene all’interno dello stesso testo biblico, che è tutto fuorché un racconto lineare.  Troviamo, infatti, una accanto all’altra contenuti che provengono da tradizioni culturali diverse, non solo nel tempo, ma anche nella geografia. Che dire, ad esempio, del modo d’intendere la monarchia nella storia d’Israele? Perché vi sono testi che si esprimono a favore della monarchia e altri che manifestano tutto il loro malessere con questa istituzione?

Sono tante le voci diverse che il lettore attento incontra nella Scrittura. Ascoltare la voce delle differenze che incontriamo nel testo biblico senza cercare immediatamente delle piste per fare sintesi, per mettere a tacere l’inquietudine della nostra coscienza, è una delle più belle sfide che la Scrittura ci chiama a compiere. Liberarci dalle nostre sicurezze che, se guardate in profondità non sono altro che delle durezze, e cioè delle verità alle quali abbiamo affidato, senza mai porle in discussione, la solidità della nostra vita spirituale, è uno dei grandi doni che la Parola di Dio ci offre. Entrare nel mondo delle pluralità di voci, di modi di sentire e di essere, senza il bisogno di ricondurle tutte ad un’unica voce, ma semplicemente apprendere ad abitare la differenza: è la bellezza della vita spirituale che sgorga dalla Bibbia. E’ in questo modo che scopriamo che non basta leggere la Bibbia, ma ciò che conta è come ci lasciamo guardare da Lei, come ci lasciamo cambiare dalle sue pluralità di voci. In questa prospettiva comprendiamo come la conversione del cuore annunciata dai profeti e richiesta da Gesù, non significhi tanto l’entrata in un cammino particolare, ma consiste nella disponibilità ad allargare i nostri orizzonti, il nostro cuore, nella possibilità che ci viene donata gratuitamente di aprire la nostra mente per essere più liberi. La verità e, allo stesso tempo la necessità di un circolo biblico, dovrebbe essere visibile nell’apertura mentale di coloro che vi partecipano. Lo sforzo missionario della chiesa di annunciare al mondo il Vangelo è esattamente in questa direzione e cioè nella possibilità di creare uomini e donne liberi, persone capaci di ascoltare le differenze per il fatto che hanno appreso ad accogliere la differenza dell’altro, ad abitare la complessità, a vivere nella pluralità di vedute.

 

mercoledì 7 giugno 2023

Zuppi: Missione di "ascolto" a Kiev

Foti non era il lupo cattivo: assolto il “guru” di Bibbiano

 




 

Processo Angeli&Demoni, lo psicoterapeuta messo alla gogna era innocente: “Quattro anni infernali”

Simona Musco, Il dubbio 6 giugno, 2023

«Non sono stato in carcere, ma per quattro anni ho vissuto da detenuto. Ora spenderò gli anni che mi restano da vivere per trasformare questo evento profondamente lesivo in un’occasione di crescita per tutta la società». Ha la voce spezzata Claudio Foti pochi minuti dopo aver sentito i giudici proclamare in aula la sua innocenza. Nessuna ostetricia dei ricordi, nessun plagio: lo psicoterapeuta dipinto come il “lupo di Bibbiano” non ha provocato alcun disturbo borderline nella sua paziente all’epoca 17enne, finita da lui per gli abusi subiti durante l’infanzia e l’adolescenza.

A stabilirlo la Corte d’Appello di Bologna, che oggi lo ha assolto nel processo “Angeli&Demoni”, quello che lo aveva trasformato da difensore dei minori abusati a mostro, secondo un’opinione pubblica che lo voleva anche oltre il capo di accusa ladro di bambini. Nessuna lesione grave - il fatto non sussiste -, dunque, nessun abuso d’ufficio - non ha commesso il fatto - e nemmeno frode processuale, per la quale era già stato assolto. Foti, dopo la lettura della sentenza, è scoppiato a piangere, abbracciando il suo legale, Luca Bauccio (in foto insieme a Foti), che in aula ha smontato pezzo per pezzo la tesi del sistema Bibbiano, di cui lui, pur essendo personaggio marginale, era stato eletto protagonista.

«Ho subito gravi limitazioni alla mia libertà e alla mia vita professionale - dice Foti al Dubbio -. Bisogna riflettere su quello che è accaduto, quello che accade agli psicoterapeuti. Ma anche sulla gogna, sulla stupidità in rete che diventa potere. Bibbiano è un prisma con tante facce che meritano una riflessione culturale. È stato difficile, ma abbiamo dimostrato l’inconsistenza delle ragioni accusatorie, a partire da fatti, documentazioni, elementi di realtà che erano stati stravolti dal castello accusatorio. Sono felice, emozionato, rinato. Questa assoluzione mi restituisce la dignità e l'onore che merito, non ho mai fatto del male ai miei pazienti, li ho sempre aiutati, mettendo a disposizione tutto il mio tempo e il mio sapere. Oggi finiscono quattro anni di dolore e di ingiustizia. Potrò tornare al mio lavoro e alla mia vita».

Per il professionista si tratta anche di una vittoria della psicoterapia del trauma: «Oggi ci sono tanti bambini traumatizzati che non vengono curati e pochi psicoterapeuti che spesso affrontano incomprensioni e comportamenti di squalifica. Ma bisogna guardare al futuro: ho già preparato una serie di iniziative per trasformare questi quattro anni in qualcosa di positivo».

Secondo il giudice che lo aveva condannato in primo grado, «le modalità fortemente pregiudizievoli con le quali l'imputato conduceva le sedute, anche mediante l'errato utilizzo della tecnica dell'Emdr, hanno provocato a Paola (nome di fantasia, ndr) un disturbo di personalità borderline e un disturbo depressivo con ansia». Una circostanza impossibile, secondo gli oltre 200 psicoterapeuti e psicologi che hanno contestato la diagnosi, dal momento che un tale disturbo ha, secondo la letteratura scientifica, origini nell’infanzia. Foti, secondo il giudice, avrebbe però «veicolato in Paola il convincimento di essere stata oggetto di plurimi abusi sessuali e vessazioni psicologiche», provocando in lei grande sofferenza. Presunti abusi della quale è stata lei stessa a parlare prima ancora della terapia - alla zia e alla madre -, ma il cui ricordo, secondo il giudice, sarebbe stato invece instillato da Foti, che l’avrebbe spinta ad odiare il padre, in un processo di demolizione della sua figura condannato dal giudice, nonostante sia lui stesso a definire l’uomo un «violento». Da qui lo sviluppo di un disturbo di personalità borderline, del quale il percorso psicoterapeutico di Foti avrebbe rappresentato «una componente rilevante», attraverso modalità «scorrette ed invasive», dunque, suggestive, di cui non poteva non essere consapevole, motivo per cui è stato riconosciuto il «dolo diretto».

Nulla di tutto ciò secondo i giudici d’appello, circostanza evidente anche dalla visione delle registrazioni di quelle sedute, durante le quali mai Foti aveva suggerito alla ragazza che potesse essere stato il padre a farle male. La pm Valentina Salvi, nel corso della requisitoria, ha citato il mancato rispetto, da parte di Foti, della famigerata Carta di Noto, un documento che raccoglie le linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore nei casi di abuso che in questa indagine viene considerato come una “Bibbia” da cui non deviare. Tale strumento, però, viene ritenuto valido come altri a disposizione degli psicologi e indirizzato al lavoro psicologico-forense più che a quello clinico, il cui rispetto, secondo diverse sentenze della Cassazione, non può essere considerato un imperativo. Ma se anche lo fosse, ha evidenziato Bauccio, è stata proprio la psicologa Rita Rossi, consulente dell’accusa e autrice della diagnosi, a violare le linee guida della Carta, che prescrive più incontri e più test, arrivando invece ad una conclusione senza sottoporre questionari e all’esito di un solo incontro.

«La Corte d'Appello ha fatto giustizia di un processo basato sulla superstizione e sulla caccia alle streghe - ha commentato il legale -. Sono stati anni di persecuzione che hanno permesso a molti di costruire carriere, improvvisare tribunali e condurre proprie redditizie campagne scandalistiche senza alcun fondamento e verità. In questi anni è stata criminalizzata la psicoterapia del trauma, è stata accreditata la favoletta dei bambini rubati alle famiglie per essere dati in pasto a famiglie lesbiche, una poltiglia di menzogne, cultura razzista, speculazione politica. Nel mezzo tanti innocenti che hanno pagato pesantemente questa caccia alle streghe. In Italia - ha aggiunto - vi è un serio problema di garantismo verso il presunto innocente, è sufficiente che una procura avanzi una ipotesi di reato e, se conviene, si scatena la gogna e la lapidazione del sospettato. Tutta la vita, privata e professionale di Claudio Foti è stata colpita e denigrata, e oggi possiamo dire finito un incubo durato quattro anni. Con oggi muore la leggenda di Bibbiano e rinasce la verità di una comunità di professionisti che hanno voluto perseguire solo la protezione del minore». Una leggenda alimentata dal podcast “Veleno”, che ambiva a riscrivere la storia dei diavoli della Bassa modenese, confermata invece da tre sentenze e due tentativi di revisione. «Foti rispondeva di lesa “podcastità”, di lesa e offesa alla giustizia delle serie televisive», ha concluso il legale.

Fonte: Foti non era il lupo cattivo: assolto il “guru” di Bibbiano (ildubbio.news)

 

lunedì 5 giugno 2023

PRESBITERI GUIDE DI COMUNITA’: QUALE DISCERNIMENTO?

 



 

Paolo Cugini

Il prete è stato senza dubbio una figura di grande importanza nella società occidentale e, per certi versi, lo è anche oggi. Avere in una comunità una persona totalmente disponibile non solo per la vita religiosa, ma anche per servizi fondamentali come la cura delle persone anziane, l’elaborazione di proposte educative per bambini e adolescenti, l’attenzione per le famiglie, tra le altre cose, è di grande importanza. In ogni modo, però, è una figura che sta vivendo una grande crisi non solo d’identità, ma anche e, soprattutto, di credibilità. Da una parte, gli scandali della pedofilia hanno contribuito a corrodere l’immagine del prete come un essere ontologicamente diverso, come una certa spiritualità aveva contribuito a creare, come se fosse immune alle passioni. Dall’altra, l’attuale contesto culturale sempre più post-cristiana e post-teista, rende obsoleta la presenza di quel modello di prete che funzionava nell’epoca della cristianità, ma che oggi ha valore solo per la vecchia guardia cattolica. Provo, allora, ad indicare alcune strade che potrebbero essere percorse per una giuda di comunità che presiede l’eucarestia nell’epoca che stiamo vivendo.

Prima di tutto, occorre chiudere i seminari: non servono più. Sono stati inventati nell’epoca della cristianità e, grazie a Dio, quest’epoca è finita. Non bisogna pensare d’inventare altre strutture che lo sostituiscano: non serve. Nella Chiesa del dopo, che a dire il vero è già iniziata, le guide di comunità non dovranno essere celibi e nemmeno separati dal popolo di Dio. Saranno scelti tra quelle donne e quegli uomini che la comunità indicherà. Si, hai letto bene: donne. Fa specie che, un cammino che avrebbe dovuto incarnare la proposta egualitaria e pacifica di Gesù, dopo secoli è ancora ferma e irremovibile su questo punto. La fine della cristianità ci permette di guardare con più serenità alla proposta iniziale di Gesù e cogliere quegli aspetti che l’istituzione con il tempo ha modificato. Una comunità di discepoli e discepole uguali, la cui uguaglianza si fonda sull’unico battesimo esige uno stile di eguaglianza anche nelle guide di comunità. I seminari servivano per offrire percorsi formativi per i futuri presbiteri. D’ora innanzi sarà la comunità che se ne prenderà cura. Famiglia e comunità sono gli ambienti esistenziali più idonei per il cammino di formazione umana di coloro che saranno guide di comunità. Sarà necessario, poi, mettere mano alla proposta culturale che dovrà essere fornita per le future guide. Un percorso molto più semplice, più attento alle tematiche del tempo presente, collegato alle facoltà umanistiche già esistenti e integrato con proposte locali modificabili di anno in anno.

Le guide di comunità che presiedono l’eucarestia dovranno essere persone adulte, con alle spalle un cammino di vita evangelica riconosciuta dalla comunità. L’idea che dei ragazzi di 25 anni siano in grado di presiedere l’eucarestia in una comunità, per il semplice fatto che hanno terminato un percorso di studi è veramente poco evangelica. Più che di anni di studi, che certamente sono importanti, il criterio di discernimento per indicare una guida di una comunità riunita per celebrare l’Eucarestia, dovrebbe essere lo stile di vita, uno stile trasparente riconosciuto dai membri della stessa comunità. Si tratta di spezzare il pane della Parola e dell’eucarestia, che indica lo stile di amore gratuito e disinteressato di Gesù, la sua sete di giustizia, il suo amore per i poveri, gli esclusi, la sua ricerca costante di cammini di pace.  Ebbene, chi celebra dovrebbe essere una persona che da anni sta vivendo questo stile, in un modo così evidente da venir riconosciuto dalla stessa comunità. È questo che conta: vivere il Vangelo, essere discepoli e discepole del Signore. Per uscire dalle logiche di egoismo e autoreferenzialità stimolate dall’istinto di sopravvivenza, è necessaria un’intensa e profonda vita comunitaria, che pone al centro il servizio gratuito e disinteressato ai fratelli e alle sorelle, soprattutto a quelli più poveri, deboli e indifesi. È tra coloro che spiccano nel servizio umile che verranno indicate le future guide.

Da questo aspetto ne deriva un altro di grande importante. A mio avviso nel cammino di Chiesa che viene formandosi sulle macerie della cristianità, la comunità non dovrebbe più subire passivamente la nomina della sua giuda, ma dovrebbe essere coinvolta. Sappiamo che nei primi secoli la scelta di un vescovo spesso avveniva per indicazione del popolo. Il caso più eclatante è l’elezione di Agostino a vescovo d’Ippona. Il coinvolgimento del popolo nella scelta della guida di comunità sarebbe un segno chiaro dell’uscita da una parte, dalla mentalità gerarchica sempre strisciante e mai abbandonata, che rivela un’impostazione autoritaria e un’interpretazione del potere che non lascia spazio all’immaginazione; dall’altra, manifesterebbe il coinvolgimento effettivo dei laici nella vita della comunità. Infatti, nonostante i proclami e i tanti documenti, è visibile ancora oggi la separazione netta tra clero e laicato. Una guida scelta tra la gente e dal popolo sarebbe un gesto che indicherebbe una controtendenza di stile e segnerebbe l’avvio di una Chiesa davvero popolo di Dio. Sarebbe la comunità che indica al vescovo la guida scelta tra le persone della comunità stessa e, dopo un cammino di discernimento, giungere alla nomina. In questo modo, diverrebbe visibile che, la scelta della guida della comunità, più che essere basata su criteri meritocratici, tipica della mentalità individualistica che poco ha a che fare con il Vangelo, verrebbe evidenziata la disponibilità alla vita comune, al servizio umile, all’ascolto, tutti elementi che non s’imparano sui libri, ma si assimilano da un vissuto quotidiano animato dal desiderio di seguire il Maestro.

Continuando su questa linea è possibile domandarsi: perché una persona deve fare per tutta la vita la guida di comunità? Quest’impostazione che sto presentando, infatti, pone la questione del significato della vocazione, che ha sempre avuto una valenza soggettiva e personale. Se la scelta non è più individuale ma comunitaria, nel senso che è la comunità che indica il candidato e non viceversa, può essere un servizio a tempo, un periodo stabilito assieme ai membri della comunità, a partire anche dalla situazione personale del candidato. Questo aspetto aiuterebbe a sfatare l’alone di mistero attorno al prescelto, come se fosse un eletto da Dio. Il periodo alla guida della comunità potrebbe essere realizzato anche da una coppia di sposi, che ricevono il sacramento dell’ordine e, al termine del mandato, può svolgere altre mansioni. Se il centro del cammino di fede indicato dal vangelo è la comunità, allora dovrebbe essere rivista alla radice la teologia del sacramento dell’ordine sacro. Credo che, dinanzi ai cambiamenti epocali, come quello che stiamo accompagnando, diventi importante non aggrapparsi alle tradizioni come se fossero dei pezzi di marmo massiccio, ma lasciarsi guidare dallo Spirito Santo che soffia dove vuole. In fin dei conti, le comunità cristiane non sono chiamate a proteggere il passato, ma a vivere nel presente la novità del Vangelo di Gesù accogliendo con docilità e disponibilità il suo Spirito.

Per ultimo, questa forma di ministero non dovrebbe essere remunerata. La guida di comunità, infatti, è una persona che svolge il proprio lavoro e alla domenica presiede l’eucarestia. Oltre a ciò, guida gli organismi di coordinazione della comunità. Ciò significa che nella comunità i diversi servizi vengono assunti da varie persone in modo gratuito. Questo vale per i funerali, i matrimoni, la catechesi, la pastorale giovanile e altri servizi ancora. Non ci sarà, dunque, più bisogno di alcun organismo amministrativo a livello diocesano come il sostentamento del clero e nemmeno di una tassa dello Stato come l’otto per mille. Chi guida la comunità dovrà essere una persona che si mantiene con il proprio lavoro. Ciò permetterebbe alle guide di essere più libere, meno dipendenti dalla comunità da un legame di tipo economico. È da persone libere che abbiamo la possibilità di accompagnare i fratelli e sorelle nel cammino della libertà dei figli e delle figlie di Dio vissuta da Gesù.  

 


giovedì 1 giugno 2023

Don Luciano Luppi presenta Madeleine Delbrel

 



Dodici Morelli

Giovedì 1° giugno 2023


Sintesi: Paolo Cugini

 

 

Ha vissuto dai 12 anni in poi a Parigi. Quando durante la seconda guerra cercano qualcuno per preparare gli assistenti sociali affidarono a lei la formazione. Attraverso la sua professionalità aveva una grande influenza sulla gente.

Problema della Francia del dopo-guerra: come portare il Vangelo nella Francia scristianizzata? Viene fondato un seminario per portare il Vangelo nelle zone scristianizzate della Francia. Viene data attenzione ai giovani operai. Due giovani fanno un’inchiesta all’interno del mondo operai e scoprono che c’è pochissima attenzione alla fede. Viene scritto un libro: Francia, paese di missione? Il parroco della Delbrel viene scelto come educatore di questo seminario e coinvolge la Delbrel a parlare, per capire come muoversi in un contesto così scristianizzato? I segni della fede sono dei relitti di un naufragio.

Quando matura questa esperienza, scopre le tensioni del mondo cattolico nei confronti di questa esperienza pilota. Vengono tacciati di comunisti. Molti di loro s’impegnano politicamente e socialmente, ma questo impegno non viene condivisa. La polemica arriva a Roma e prendere la decisione d’interrompere questa esperienza.

Madeleine soffre per questa interruzione, soprattutto perché aveva colto nell’entusiasmo di chi aveva abbracciato questa esperienza con i più poveri vengono bloccati. La nostra missione è la salvezza di tutti. “Occorre che noi c’interroghiamo sul senso delle nostre radici”. C’è stato un errore di strategia, quando si pensava che prima occorreva lavorare per la giustizia sociale e poi si può annunciare il Vangelo.

Madeleine decide di andare a Roma a pregare a san Pietro. Prima passa a trovare le persone della comunità. Scrive a tutti quelli che conosce per dire la necessità dell’unità. Il rischio dell’obbedienza, che è un gesto di fede. L’obbedienza non è solo sottomissione, ma occorre mettercela anche del proprio. L’obbedienza è fatta di sottomissione e iniziativa. Stare dentro la chiesa con il rischio che richiede l’obbedienza evangelica. Il Papa Pio XII gli disse per tre volte: apostolato.

Madeleine scrive: Città marxista terra di missione.

Nel 1959 il 25 di gennaio Papa Giovanni XXIII annuncia il Concilio. Un vescovo del Madagascar gli chiede delle riflessioni sull’ateismo comunista, ma lei dice che l’ateismo comunista è già superato rispetto agli ateismi. Poi afferma che gli ambienti atei non sono solamente negativi, ma ci sono dati perché noi ritroviamo la fede come un dono gratuito, non scontato. La fede non è il perbenismo, ma qualcosa di più profondo. Il rischio del dubbio è la sfida della missione in mezzo ai popoli indifferenti a Dio. Per Madeleine bisogna smetterla di metterci solo sulla difensiva, ma accettare la sfida.

Il vero problema è il rapporto tra la fede e la storia. L’amore di Dio trasforma il mondo attraverso la nostra azione, quando accogliamo l’amore del Signore. Il Vangelo non funziona nelle nostre vite perché lo conosciamo poco. “Il Vangelo è la corda a cui ci aggrappiamo per non cadere in caduta libera”. Se non ci aggrappiamo alla Parola di Dio ci perdiamo. Il mistero di Dio è un abisso. È la Parola di Dio che ci fa stare dentro alle cose. Interessante ricordare che la Delbrel prima era agnostica. Lei ha scoperto la forza del Vangelo, la pienezza che produce in chi l’accoglie.

Il Vangelo è fatto per innestare la vita di Gesù nella nostra vita. Il Vangelo è comunicazione di vita. Affinché tutto questo si riveli occorre l’adesione personale della nostra vita. Occorre ascoltare l’oggi.

La giornalista Simona Musco intervista l'avv. Luca Bauccio e lo psic. Da...