mercoledì 7 febbraio 2024

LA SINDROME DI MONTEZUMA Perché facciamo così fatica a liberarci dal passato?

 




 

Paolo Cugini

 

Come spiegare il fatto che Cortez, con poche centinaia di uomini sia riuscito a prendere il regno di Montezuma che disponeva di centinaia di migliaia di uomini? Il problema è: perché gli indios hanno posto così poca resistenza? È questa la domanda che sta alla base dell’opera del filosofo e pensatore bulgaro, naturalizzato francese Tzvetan Todorov: La conquista dell’America. Il problema dell’altro, Torino, Einaudi 20142.

 Sappiamo che, dai testi dell’epoca, gli indios dedicano grande parte del loro tempo all’interpretazione dei messaggi che, gli eventi del tempo presente, manifestano. Il problema per loro consiste nel comprendere come un evento si sia già presentato nel passato, perché non avviene nulla di nuovo che non sia già accaduto. Si tratta, dunque, di capire, meglio ancora, di scoprire quando sia avvenuto e in che forma quell’evento specifico, che sta avvenendo ora e così comprendere come gli antichi hanno risolto il problema.  Il futuro dell’individuo è determinato dal passato collettivo. L’individuo non costruisce il suo futuro, questi si rivela.  Gli indios di Montezuma rimangono interdetti con le novità, perché tutto dev’essere accaduto nel passato, perché tutto ritorna.

Gli spagnoli sono stati una vera sorpresa per i messicani, ecco perché Montezuma non voleva ricevere Cortez: prendeva tempo per capire se c’era già stato nel passato una situazione simile. Gli aztechi non scrivevano, ma facevano delle pitture. C’era un libro delle pitture antiche che rivelavano ai saggi gli eventi passati. Dinanzi ad ogni nuova situazione si cercavano risposte nel passato: il futuro non esisteva, perché tutto era già avvenuto. L’identità degli spagnoli è così differente e nuova da sconvolgere ogni mezzo di comunicazione e gli Aztechi non riescono più a collettare informazioni: non ci sono nel passato. Invece de percepire il fatto come un incontro puramente umano, anche se inedito – l’arrivo di uomini avidi di oro –, gli indios li integrano in una rete di relazioni naturali, sociali e soprannaturali, dove l’avvenimento perde la sua singolarità.

L’assenza dello scritto è un elemento importante della situazione. Gli aztechi registrano situazioni con i disegni e non con il linguaggio scritto.  La sottomissione del presente al passato continua ad essere una caratteristica significativa delle società indigene dell’epoca. Ciò riguarda anche l’educazione dei figli, che dovevano apprendere gli insegnamenti del passato per poter interpretare i segni del presente.  La profezia, in questa prospettiva è memoria. Passato e futuro appartengono allo stesso libro.  

Si vede bene in Montezuma il non voler ammettere che, un fatto totalmente nuovo, possa accadere. La vittoria dei conquistatori è vista anche in chiave religiosa, come la superiorità della concezione del tempo del cristianesimo, che progredisce verso la novità che, in questo caso, corrisponde alla vittoria sopra gli indigeni. Gli indigeni non riescono ad improvvisare, perché per loro l’evento presente non è mai una novità, ma ha sempre un correspettivo nel passato. In questa prospettiva, il problema diventa interpretare i presagi, i segni del presente per capire di che evento passato si tratta.

Quella che possiamo definire con termini presi dall’attualità, la sindrome di Montezuma, ci riguarda molto da vicino. Soprattutto con il passare degli anni, la tendenza a rifugiarsi nel passato, rifiutando la novità del presente che ci trova impreparati, diviene una caratteristica del nostro modo di agire e d’interagire con il mondo circostante. Il grande problema, ad un certo punto della vita, diviene la novità che l’evento presente può portare. È capace di relazionarsi con la novità, colui e colei che durante la vita ha appreso a lasciarsi mettere in discussione e, in questo modo, cogliere ogni situazione della vita come una possibilità di crescita e di rinnovarsi. Questo è l’atteggiamento della persona aperta, disposta, attenta, amante della vita per come si manifesta e non per come la si vorrebbe mantenere.

Chi, al contrario, si lascia travolgere dalla sindrome di Montezuma, spesso arriva da un cammino fatto costantemente in difesa, alla ricerca costante di una sicurezza materiale, esistenziale, in cui l’importante consiste non fare fatica, non sporcarsi le mani, rimanere protetto. Chi trascorre la vita nella corsia d’emergenza diventa alla fine un vecchio brontolone, che ha paura di tutto, perché, in fin dei conti, ha avuto paura di vivere.

Guarire dalla sindrome di Montezuma, che si forma sin dalle scelte che facciamo da piccoli, è un grande obiettivo di ogni padre, madre, educatore ed educatrice. Ci salviamo da questa sindrome mortale, vivendo a pieni polmoni il nostro presente, non fuggendo le novità, ma abbracciandole a piene mani, perché lentamente impariamo a riconoscere nelle novità il mistero della vita che viene al nostro incontro, per farci assaporare l’ebrezza di tutto ciò che una vita piena comporta.

 

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