mercoledì 29 marzo 2017

LA VOCAZIONE NELL'INFEDELTÀ

ZONALE OVEST VICARIATO URBANO- DIOCESI DI REGGIO EMILIA E GUASTALLA
LECTIO DIVINA DELLA QUARESIMA 2017




MEDITAZIONE DI DON MATTEO MIONI


GEREMIA 2-4


Sintesi: Palo Cugini
Geremia conosce la sua vocazione come parte di un popolo che è infedele. All’inizio abbiamo ascoltato le parole in cui Dio fa memoria della storia d’amore con il popolo d’Israele. Queste parole d’amore diventano parole in cui Dio consegna la sua debolezza. La forza dell’amore sperimenta la debolezza: perché mi hai abbandonato? Perché hai cercato altro, hai cercato altrove? Che cosa non ho fatto per te?

 Come mai sia avvenuto ciò non si sa. È come nel rapporto tra marito e moglie: a volte non ci si accorge come mai si sia arrivati ad una frattura. Senza dubbio, per Israele, c’è stata l’idolatria. Ma il rapporto con Dio si è spento pian piano. Dio si è reso conto che tra Lui e il suo popolo c’è stato un abbandono. Per questo, dice, intenterò un processo. Qualcuno dichiara il reato dell’altro e lo porta a processo (Cfr. Giobbe). Qui è Dio che chiama a processo il suo popolo. Israele dichiara la sua esigenza di libertà. Israele rifiuta ogni tipo di dipendenza dal suo Dio. Poi nega la propria infedeltà.

V. 23: non mi sono contaminata. Israele nega l’evidenza.
v. 25: tu rispondi: è inutile, amo gli stranieri. Finalmente la chiarezza, Israele non nega più.
v. 32: Siamo liberi, non verremo più da Te. Israele dichiara il suo estremo rifiuto. C’è un crescendo che va verso la rottura. Sono le tappe di tante separazioni coniugali. Io non voglio più il tuo amore.
v.35: io ti chiamo in giudizio perché hai detto non ho peccato. I sentimenti di Dio sono cambiati. C’è aggressività, ira. Dobbiamo accettare questo linguaggio. Geremia ci consegna il suo modo di percepire il cuore di JHWH. Dobbiamo accettare di stare in questa problematicità della Parola.

Ger 3, 1s: cfr Dt 24. Perché Geremia riporta questo insegnamento del Deuteronomio? Perché legalmente Israele non può ritornare da JHWH. Ma anche JHWH si rifiuta di riprenderla. Questi sono i sentimenti umani trasferiti su Dio. C’è anche l’impossibilità dei desideri di questa donna che dichiara di voler stare con gli stranieri. È un rapporto finito. Ma per fortuna non è così. Là dove l’uomo sperimento l’impossibilità, è sempre Dio che riapre la strada.

3,12: Ritorna Israele ribelle. Davanti alla ribellione Dio rimane fedele. Cristo è morto quando eravamo ancora peccatori (cfr. Rom5,1s). L’onnipotenza del perdono di Dio è l’unica vera onnipotenza. Ritornate figli traviati, non figli pentiti. Dio perdona per sempre. Sono pietoso: fedele. È la radice della fedeltà. È garantita la fedeltà della misericordia di Dio. L’uomo è libero di rifiutare l’amore di Dio e Dio è libero di perdonare per sempre (Cfr. Os 11). No darò sfogo all’ardore della mia ira perché sono Dio e non uomo e non verrò alla mia ira. Ritornate: è la litania della misericordia. È la vocazione di Dio: fedele e misericordioso. Dio che rinnova la sua vocazione. Solo se Dio riafferma la sua vocazione allora si può aprire nel cuore d’Israele la possibilità di riconoscere la sua vocazione. Tutto dipende dal Dio della misericordia. Dio non forza la mano. Dipende da Israele di accogliere la misericordia. Non si parla di pentimento ancora. Cfr. Gv 8: l’adultera: va rimettiti in cammino.

Solo Dio può sbloccare la situazione. Ma dopo dipende da noi se volgiamo accogliere la sua misericordia. Tutto dipende dalla nostra libertà di lasciarci amare così. Arrenderci all’amore di Dio. La vocazione dell’uomo è innanzi tutto lasciarsi amare da Dio. Non è il fare delle opere, ma lasciarci riconciliare con Dio. Alla consapevolezza della vocazione di Dio corrisponde la consapevolezza della vocazione d’Israele, dell’uomo.

2 Cor 5: Dio ci ha riconciliati a sé mediante Cristo, ci ha affidato il ministero della riconciliazione. È stato Dio a riconciliare il mondo in Cristo. Noi fungiamo da ambasciatori. Come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. Ecco ora il momento favorevole, il momento della salvezza.
È oggi il tempo della salvezza il momento favorevole.



lunedì 27 marzo 2017

FRATELLI DELL'ELPIS. STORIA DI UN CAMMINO DI SPERANZA


QUARTIERE SAN BERILLO DI CATANIA




Incontro di formazione del gruppo cristiani LGBT di Reggio Emilia
Domenica 26 marzo 2017
Oratorio Regina Pacis

Sintesi: Paolo Cugini

Filippo Natoli racconta la storia del gruppo Fratelli dell’Elpis di Catania

Elpis vuole dire speranza. “Il gruppo nasce dall’esigenza manifestata da alcuni di noi gay-credenti, di riflettere e dalla percezione di come non fosse fruttuoso il velo di silenzio e di disagio che la condizione omosessuale genera nelle comunità cristiane e nella società laica. Il luogo intorno al quale le nostre esigenze si sono concretizzate è stata l’accoglienza spirituale e materiale della comunità cristiana del SS Crocifisso della Buona Morte. Il gruppo si è costituito attraverso un lento ed informale diffondersi della proposta tramite contatti personali ed amicizie. È DAL 1990 CHE LE PORTE DI QUESTA CHIESA SI APRONO PER PROPORRE UNO SPAZIO DI RIFLESSIONE AGLI OMOSESSUALI CHE DECIDONO DI UTILIZZARE L’INCONTRO ED IL CONFRONTO COME STRUMENTO DI CRESCITA. Il gruppo propone due incontri mensili, solitamente la seconda e la quarta domenica del mese. Nel corso degli anni si è riflettuto e ci si è confrontati intorno alla Lectio di vari libri dell’Antico Testamento; abbiamo incontrato teologi e biblisti sia cattolici che di altre confessioni cristiane su temi inerenti il vissuto specifico degli omosessuali e su temi più ampi che hanno coinvolto anche membri della comunità del SS Crocifisso e di altre parrocchie catanesi; abbiamo organizzato incontri culturali su temi quali: I percorsi dell’amore, l’amore negato: i ragazzi del ’39; Le ragioni della nostra speranza. Ci siamo sempre più aperti alla dimensione ecumenica che, negli ultimi anni, ha portato all’organizzazione, in comunione con la chiesa Valdese, Battista e Luterana di Catania, delle veglie in memoria delle vittime dell’omofobia. Negli ultimi anni vi è stato un sempre maggiore dialogo con la diocesi di Catania nella figura dell’Arcivescovo Mons. Salvatore Cristina, che incontrò il gruppo nel corso della visita pastorale alla parrocchia del giugno 2012”.

Antonio: È un gruppo di persone omosessuali credenti. Riceviamo il Vangelo dalle persone escluse. È uno spazio per poter essere se stessi e per accogliere speranza. Gli incontri si svolgono nei locali della chiesa. Il gruppo ha festeggiato i 25 anni e ha ricevuto la presenza del vescovo di Catania. Nel 2002 gay TV faceva delle trasmissioni per far conoscere i gruppi gay. Il parroco padre Gliozzo ha suggerito al gruppo di non essere più un gruppo di omosessuali credenti, ma diventa un gruppo della parrocchia, per la parrocchia e senza più particolari connotazioni.

Filippo Natoli: Faccio parte del gruppo da 25 anni. Il primo incontro nazionale dei gruppi omosessuali credenti.
Un po' di storia. Rapporto tra la fede cattolico e la tendenza omosessuale. 1980: nasce la prima realtà italiana ed è il gruppo del Guado di Milano. In Italia i gruppi si sono formati in modo autonomo. Dopo il Guado nascono altri gruppi: Gionata a Torino, la Fonte, Il Cammino a Bologna, Emmanuele di Padova, La Sorgente di Roma, Nuova Proposta di Roma, I Tralci a Napoli, Il gruppo di Bisceglie guidato da Vanna una transessuale, Ali d’Aquila di Palermo, Kairos a Firenze.

La genesi di Elpis è stata di alti e bassi. Per ragioni di lavoro molti se ne andarono. Nel frattempo il gruppo aveva acquisito una visibilità nella parrocchia. L’esegesi biblica ci ha aiutato a leggere in modo diverso i testi del Levitico e la lettera ai Romani. L’esegesi dice che nella circostanza in cui Gesù cita Sodoma è per la mancata accoglienza. Rimaneva la questione del posto che abbiamo nella chiesa.

1986: la cura pastorale delle persone omosessuali, documento della chiesa. Si parla d’inclinazioni che in quanto tali devono essere accettati. Il loro orientamento è intrinsecamente disordinato, cattivo. Sono affermazioni che nel mondo omosessuale crearono molto disagio e fecero molto male. Viene ripreso dal Catechismo della chiesa Cattolica. Nella prima stampa del CCC la traduzione latina diceva una cosa che viene corretta. La traduzione aggiusta il latino.

Il gruppo comincia ad entrare in contatto con la realtà parrocchiale. Padre Gliozzo aveva un grande capacità d’ascolto. Ha fatto l’assistente volontario in carcere. Fu questo il motivo che hanno spinto diverse persone a scegliere quella parrocchia. Padre Gliozzo s’ispirava a Charles de Foucauld. Ha sempre cercato di portare avanti una comunità che cresce insieme. Le prime comunioni e le cresime ci sono quando lo desiderano i ragazzi, senza vestitino, senza fiori, ecc.
Vicino c’è un quartiere San Berillo dove è forte la prostituzione. Con gli anni il contatto con questo quartiere ha portato frutti positivi. Sulla storia di questo quartiere è stato scritto un libro e fatto un film: Francesco grasso, davanti alla porta Film: Gesù è morto per i peccati degli altri.
Abbiamo preso coscienza che potevamo diventare un ghetto. Adesso gli incontri sono tutte le settimane e aperti a tutti. Il vescovo 4 anni fa incontrò il gruppo e le prostitute. Fu un momento molto commovente.
Maurizio: Dio Padre ama i figli così come sono.


sabato 25 marzo 2017

LA NOTTE HA LA MIA VOCE

LIBRI







PRRESENTAZIONE DEL LIBRO DI Alessandra Sarchi, La notte ha la mia voce, Einaudi, Torino 2017
DIALOGO DELL’AUTRICE CON GINO RUOZZI
LIBRERIA DELL’ARCO (RE)
24 MARZO 2017
Sintesi: Paolo Cugini

Gino Ruozzi: È un libro di metamorfosi. È un libro difficile ed impegnativo. È anche un libro liberatorio. Siamo sempre nell’ambito romanzesco. È la storia di una metamorfosi che va verso un esito negativo e che deve passare attraverso la trasformazione, una rivitalizzazione. La prima grande parte si chiama terra, poi aria e la terza parte si chiama acqua. La prima e la terza parte sono teoriche, di visione della vita.

La terra ha creato la ragione del libro. Un impatto imprevedibile a terra ha creato la situazione che è la possibilità di non toccare più la terra. Si raccontano delle cose alle quali quasi mai capita di pensare. Nelle metamorfosi ci sono delle cose che si trasformano, come dei passaggi di limite.

Aria. È un episodio. La protagonista è la donna gatta, che è una storia di amicizia, di una linea telefonica. Delle voci che si disperdono nell’aria. Molte delle nostre relazioni quotidiane avvengono nell’aria, in questo mondo che abbiamo acquisito soprattutto con le nuove tecnologie. Un pezzo di amicizia collocato in una sola notte. Può essere una conoscenza del mondo. C’è un elemento di sessualità esibita che è importante.

Acqua. È in realtà una specie di prima parte, è la parte conclusiva e iniziale. Se tutti veniamo dall’acqua. Se noi abbiamo toccato terra dopo. Ritornare all’acqua significa compiere un percorso di metamorfosi.
Un riferimento di questo libro è Nati due volte di Giuseppe Pontiggia. È una storia che ha avuto a che fare con la disabilità. Rinascita: nati due volte. Non ha tutti capita di nascere due volte. Può essere una grande possibilità. In questa rinascita ha avuto un ruolo importante anche l’elemento della scrittura, l’immaginazione, di crearci delle altre esistenze. Confronto con le esistenze passate, come la danza. È un libro in cui c’è un profondo amore e conoscenza del corpo, dei corpi.
Sulla Bellezza e della insondabilità della bellezza. Ci sono riferimenti a Calvino.

Alessandra Sarchi: Mi capita spessa che trovino dei legami con Calvino nella mia scrittura, anche se non mi ritrovo. Il tema della bellezza è uno dei temi portanti del libro. La bellezza non è solo una questione di aspetto fisico. La perdita di questa è qualcosa che provoca un cambiamento. Nasciamo è siamo una cosa che cambia continuamente. Quanto lavoro inconscio facciamo per adattarci a quella cosa che sono io. Il tema dell’identità si lega a quello della bellezza. La bellezza come forma di iper compensazione di ciò che le manca. Perché le gambe sono belle? Il copro umano tende alla bellezza: perché? Così come noi tendiamo all’acqua. L’acqua è la vita. L’acqua evapora e nel suo sparire diventa qualcos’altro. È una grande lezione per noi esseri viventi.
La questione sociale. La disabilità ha un uso consentito solo per chi viva in una società opulenta. Il branco protegge i più forti.

A. Sarchi. Siamo in una parte del pianeta che è ricca. Le democrazie hanno sviluppato tolleranza verso i più deboli. Appena ci spostiamo dall’Europa questo discorso non vale già più. In Africa ci sono paesi che, se si nasce albini, si viene uccisi e mutilati. Le conquiste sociali non devono mai essere date come acquisito. Questi valori non sono scontati. Prendersi cura dei più deboli avrebbe voluto dire perdere tempo che non c’era. Tutte le conquiste democratiche devono essere coltivate continuamente. A me non viene istintivo aiutare i più deboli, è una cosa che mi è stata insegnata. Proprio per questo è una cosa che va insegnata a sua volta.

Gino Ruozzi. Avere i piedi sollevati è una considerazione molto alta dell’umanità. La normalità è la grande interrogazione di questo libro. Per essere uomo devi appoggiare i piedi per terra. È un libro pieno di domande. L’io ci limita, il mondo è molto più vasto.
La questione delle amicizie. Questa nuovo percezione della realtà cambia le amicizie e ne richiede delle nuove. La dona gatto ha una funzione e poi ad un certo punto se ne va. La normalità e l’amicizia. Altro aspetto. Una precisione notevole per tantissime cose. Acquistare precisione.

A. Sarchi. La donna gatto è un personaggio anche oscuro. Però è colei che ha la voce all’inizio e colei che la perde alla fine. Questo libro è anche un percorso dal non avere voce ad averne una. Sulla normalità non è facile dire cosa sia. La letteratura ogni volta che tenta di scrivere che cos’è normale deve prendere come punto di riferimento qualcosa che normale non è. La letteratura ha una grande simpatia con la non normalità. Così come la medicina ha una grande simpatia per la malattia. Nello scarto si arriva di più a raccontare le cose che sembrano comuni. Ognuno di noi ha una storia inenarrabile. Dovremmo parlare di cose comuni più che cose normali.

[Il dialogo è continuato ma io sono dovuto uscire]


mercoledì 22 marzo 2017

IN CAMMINO CON IL PROFETA GEREMIA

ZONALE OVEST VICARIATO URBANO- DIOCESI DI REGGIO EMILIA E GUASTALLA
LECTIO DIVINA DELLA QUARESIMA 2017





MEDITAZIONE DI DON MATTEO MIONI
GEREMIA 20,7-18


Sintesi: Palo Cugini


Introduzione: L’esperienza narrata al capitolo 20 si trova in altri contesti del libro. Geremia è il profeta perseguitato. Geremia: colui a cui Dio apre il ventre. La persecuzione viene da Pascur, un sacerdote del tempio e a motivo delle parole di Geremia reagisce mettendolo in prigione. In questi versetti la vocazione di Geremia si trova tra la seduzione e la persecuzione. La seduzione apra per Geremia la strada della persecuzione. Dio obietta, ma nonostante ciò il testo si conclude con delle parole di maledizione. Non si può semplificare il testo, ma va ascoltato così com’è.

Tu mi hai sedotto: Geremia si è arreso dinanzi all’amore di Dio, alla bellezza dell’amore di Dio. È una seduzione sofferta: tu mi hai fatto violenza. Ricorda la situazione di Gesù nel Getsemani. È un invito a non avere paura dell’amore di Dio.

Oppressione: Dire di sì al Signore non è uno scherzo. Dire sì al Signore implica una resistenza. Riconoscere la fecondità del momento in cui grida la sua oppressione. Anche la sofferenza possono diventare grembo fecondo. Paolo dice: sono lieto con le sofferenze di Cristo. Dio non ci chiama alla sofferenza. Dio nella sofferenza ci chiama. Dio chiama alla fedeltà. Riconoscere sia nel momento della seduzione che dell’oppressione si apra il grembo e il cuore di Geremia. Non è un dovere rispondere al Signore.

A volte facciamo l’esperienza della Parola che diventa ingannevole. La nostra vita si ribella quando passa per queste situazioni. È lo scandalo della Parola, perché non è ciò per cui abbiamo messo in gioco la nostra vita. Lasciarsi baciare dalla Parola di Dio può diventare motivo di violenza e persecuzione.

Mi dicevo: Non penserò più a Lui: Geremia ragiona tra sé e sé. Non dà più del Tu a Dio, ma parla di Dio. Il pericolo mortale di un credente è non dare più del tu a Dio. Nei Salmi vediamo che Dio può dire a Dio di tutto; è Parola di Dio perché è rivolta a Dio. Il pericolo di Geremia è di non rivolgersi a Dio con il tu.

Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente: la percezione dell’amore di Dio è l’obiezione alle sue ribellioni, alla sua indignazione. Quando nella nostra vita qualcuno ci propone qualcosa, e mettiamo dinanzi delle difficoltà. L’amore di Dio in Geremia è più forte delle sue paure. La Pasqua è l’obiezione delle obiezioni alla paura di vivere, di amare, ecc. Permettere alla Parola di Dio l’obiezione più profonda ai nostri pensieri.

Ci prenderemo la nostra vendetta. Sentivo la calunnia di molti: Geremia riprende ad ascoltare le parole degli altri, di coloro che ce l’hanno con lui.

Ma il Signore è al mio fianco: l’amore di Dio diventa obiezione alle mie paure. Per questo saranno i persecutori che cadranno.

Signore degli eserciti tu che provi il giusto… Possa io vedere la tua vendetta: Geremia ha ricominciato a dare del tu. Non sono sparite le difficoltà, ma emerge il suo amore per Dio come realtà più forte delle paure. Fino a che abbiamo la capacità di dare del tu a Dio è un bel segno.

Cantate inni al Signore: Geremia ha visto la forza di Dio. Geremia affida la vendetta a Dio. Che cos’è la vendetta di Dio? Dio si vendica. La vendetta di Dio è il condono. La vendetta è disarmata dal perdono. Geremia non cerca vendette sue, ma lascia la vendetta a Dio e Lui risponde con il perdono, la misericordia.

Maledetto il giorno in cui nacqui: è scandaloso sentire un profeta che maledica il giorno in cui è nato. Lo scandalo è quando il credente non risponde alle sollecitazioni di Dio. Nel testo c’è un intreccio continuo. È come la nostra vita. Nessuno vive una vita lineare. Ci possiamo riconoscere nel cuore di Geremia. Dobbiamo litigare con la Parola. Dobbiamo accettare di non capirla. È vivendo il contrasto che la nostra fede cresce. La preghiera non è un tranquillante. È il contrario: è un’adrenalina. Stare dentro alla contraddizione del testo. Questi ultimi versetti provocatori mettono in discussione le nostre sicurezze religiose. La Parola non è un tranquillante.


Senso della vocazione: dalla persecuzione a motivo della Parola a lasciarsi perseguitare dalla Parola. Tutti i disagi, fatiche, contraddizioni: davanti a Dio sono tutti legittimi. Abbiamo il diritto alla stanchezza, al disagio. L’importante è non dimenticare che siamo servi. Non è quello che viviamo che modifica il nostro essere, ma l’essere figli di Dio. 

TUTTO IL POPOLO DI DIO ANNUNCIA IL VANGELO






Per un Pasqua della pastorale
Paolo Cugini

Non è una mia frase, ma è di Papa Francesco, che si trova al numero 111 dell’Evangeli Gaudium. Ogni tanto riprendo in mano questo testo per cercare spunti, nuovi cammini. È una frase che prendo come augurio di Pasqua per le comunità dell’Unità Pastorale Santa Maria degli Angeli. Papa Francesco in varie occasioni ci ha ricordato che siamo tutti corresponsabili nell’annuncio del Vangelo. In virtù del nostro battesimo, della nostra risposta al Signore, siamo chiamati ad annunciare il Vangelo della salvezza nelle situazioni in cui ci troviamo. Certamente c’è un primo livello fondamentale di evangelizzazione che deriva dalla nostra testimonianza, dalla nostra coerenza di vita con quella proposta che abbiamo assunto. Nessuno può permettersi il lusso di parlare in nome di Gesù senza perlomeno provare a vivere ciò che proclama.

C’è, però, un altro livello che spesso ci dimentichiamo, o che pensiamo che debba farlo altri. È il livello di evangelizzazione verso il mondo che esige attenzione, progettazione, disponibilità a lasciarsi coinvolgere. Ormai, in questi ultimi tempi, abbiamo sentito varie volte affermare che l’evangelizzazione è compito di tutti i cristiani. Poche volte, però si vedono persone prendere l’iniziativa per portare il Vangelo a chi non lo conosce. È vero che ci sono già belle iniziative, come la catechesi battesimale in case delle famiglie che chiedono di battezzare i loro figli; o il percorso fatto con i fidanzati che si preparano al matrimonio. Sono momenti importanti che vanno sostenuti e incentivati. Se allarghiamo il discorso sulla missionarietà delle nostre comunità, vediamo che l’annuncio del Vangelo al di fuori della cerchia di chi frequenta, è relegato alle famose benedizioni pasquali che ormai non avvengono più per i motivi che sappiamo. Il Vangelo che ascolteremo la domenica di Pasqua narra di alcune donne che, dopo aver scoperto la tomba vuota, corrono a dare l’annuncio ai discepoli e anche loro corrono per andare al sepolcro (Gv 20,1-9). Chi è animato dall’amore di Dio, che si è manifestato in Gesù, fa fatica a trattenerlo: sente il desiderio impellente di condividerlo. La missionarietà è prima di tutto un atto di fede nel Signore venuto al nostro incontro e che desideriamo condividere con gli altri. La verità della pienezza che Gesù ci ha donato sta nel desiderio di comunicarla a tutti coloro che ci stanno intorno. Ciò significa che l’annuncio del Vangelo non è questione di un corpo specializzato, ma di ogni cristiano. Riuscire a capire questo e a trovare strategie per attuarlo, per portare il Vangelo nelle strade e nelle case delle nostre comunità, è la grande sfida che abbiamo dinanzi.

Sempre Papa Francesco nella Evangeli Gaudium sollecita tutti i cristiani a prendere l’iniziativa, ad essere creativi, a pensare forme nuove di evangelizzazione. Non possiamo più pretendere di rimanere ad attendere la gente nelle nostre strutture parrocchiali, così come si è sempre fatto. È stata la creatività e la presa di posizione dei discepoli a portare il Vangelo in tutto il mondo. Non è una questione di numeri, di paura di rimanere in pochi: è una questione di salvezza. Se crediamo davvero che il Signore ha salvato la nostra vita, gli ha dato un senso e una prospettiva futura, allora non possiamo trattenere questo annuncio. Prendere l’iniziativa significa non aspettare che qualcuno – il prete – ci solleciti a farlo. Come annunciare il Vangelo alle famiglie di un palazzo o di un quartiere è compito ed esigenza dei cristiani che vi abitano. Sono già molte le esperienze in questa direzione anche in Unità Pastorali vicine a noi e anche lontane da noi. In una città francese, ad esempio, in alcuni palazzi organizzano una lettura biblica settimanale per le famiglie del palazzo, in modo tale che quel palazzo è diventato una piccola comunità. È sempre Francesco che ci sollecita a decentrare la pastorale. Dovremmo allora, pensare l’annuncio del Vangelo come una chiamata che il Signore rivolge a tutti in ogni momento e in ogni luogo.

È chiaro che per prendere l’iniziativa nel discorso dell’evangelizzazione occorre che il Signore sia al primo posto. Chi lavora e ha famiglia è difficile che riesca a trovare tempo per prendere l’iniziativa e creare momenti di evangelizzazione nel proprio quartiere durante la settimana. Forse di domenica potrebbe essere possibile. Una cosa è chiara a tutti: quando vogliamo una cosa, quando riteniamo una cosa fondamentale, la facciamo. Tanta inerzia sulle cose della chiesa, non è solo a causa dei tanti impegni che abbiamo, ma delle priorità che ci siamo dati. C’è difficoltà a prendere l’iniziativa anche perché ai laici non è mai stato chiesto, anzi è stato proibito. Nelle parrocchie era solo il parroco che si occupava della sfera del sacro: solo lui poteva autorizzare a fare qualcosa. Secoli di questa impostazione hanno lasciato un segno profondo che è difficile scalfire. Ancora oggi negli ambienti ecclesiali, il discorso sui laici rimane ambiguo. Da una parte si comprende che senza il loro prezioso contributo sarà difficile mantenere il servizio religioso che si è sempre offerto e si vuole continuare ad offrire. Dall’altro, chi proviene da una impostazione ecclesiale clericale, il coinvolgimento dei laici può voler dire perdere terreno, spazio, autorità.

Accompagnare il cambiamento è la grande sfida che abbiamo dinanzi a noi. Lo facciamo senza chiudere gli occhi e affrontando a viso aperto la realtà, ma con il cuore carico di speranza che ci viene dalla Pasqua del Signore.


venerdì 17 marzo 2017

SUSANNA TAMARO ALL'INCONTRO DEI GIOVANI CON IL VESCOVO MASSIMO

INCONTRO DEI GIOVANI CON IL VESCOVO





VENERDÌ 17 MARZO 2017

DIALOGO CON SUSANNA TAMARO

Sintesi: Paolo Cugini


Vescovo: La vita è la cosa più trasgressiva che ci sia, perché è sempre nuova ogni giorno.

Susanna: Non ho mai pensato di fare lo scrittore. La mia vocazione era capire le forme della natura. Viviamo un universo che esplode di complessità e volevo capire questo. Il mio scrivere è stata una conseguenza di quello che vedevo. Come si può pensare che ci sia evento di casualità in una conchiglia?

Vescovo: come mai l’uomo si dimentica del suo rapporto con le cose e diventa brutto?

Susanna: la natura è bella e noi siamo belli. Il mondo contemporaneo c’impone di essere brutti. C’è un desiderio di essere belli in noi, che è positivo.

Vescovo: senza guardare a qualcuno di grande diventiamo piccoli. Hai avuto qualche maestro di riferimento?

Susanna: non ho mai incontrato maestri. Ho avuto pessimi maestri e professori. Sono molto autodidatta. Invecchiando uno deve avere il dovere di essere maestro, per condividere le proprie esperienze. Questo viene ridicolizzato. La società contemporanea non ci permette d’invecchiare.

Vescovo: un libro nasce da un’esperienza che ci ha fatto crescere

Susanna: i miei libri nascono da una risposta che cerco su problemi che mi pongo. Nella narrazione cerco di rispondere alle domande che mi pongo. I miei libri sono molto materiali.

Vescovo: oggi si legge sempre meno. Che cosa può spingere un ragazzo a leggere?

Susanna: io odiavo leggere quando ero piccola. Ho cominciato a leggere quando ho scoperto che c’erano storie che m’interessavano. Leggendo mi annoiavo meno. Quando uno legge un libro, le immagini se le fa nella testa. È importante anche leggere la poesia, perché t’illumina, da un’immagine che apre una porta nella mente. Leggere non è un dovere, ma un piacere. Quando leggi hai arricchito il tuo mondo. E poi quando leggi stai con te stesso.

Vescovo: Come sei arrivata a vivere l’esperienza della compagnia fatta di parole?

Susanna: è stata la poesia. Ho scoperto che attraverso la poesia ero meno sola. Ho scoperto che nella parola c’era qualcosa di molto potente. Verso i 22/23 anni ho avuto una folgorazione.

Vescovo: leggendo i tuoi libri sembra che ci siano due registi in te. Uno è quella del dramma. E poi c’è la Susanna che ha imparato ad attraversare i drammi. Come si riesce ad attraversare i drammi? Come ripartire?

Susanna: ho avuto un’infanzia, adolescenza e giovinezza catastrofiche. Nonostante tutto ho deciso che il passato non deve condizionare il futuro. È una decisione. La vita è troppo bella per farsela rovinare da un evento negativo. Non farsi soffocare dal passato.

Vescovo: Dio è presente nei tuoi libri nella forma di una lotta; Dio è una presenza nei tuoi libri ed emerge come giustizia. Susanna è un crocevia di religioni. È vissuta a Trieste, città con presenza di varie religioni. Che cosa diresti ai giovani che cercano Dio? C’è un oltre?

Susanna: vengo da una famiglia ebrea. Nella famiglia c’erano ebrei e ortodossi. Non ho avuto una educazione cattolica. L’impostazione ebraica mi ha segnato. La sete di giustizia viene da lì. La grande scoperta che ho fatto è che ho capito che siamo immersi nell’eterno. Se non c’è una giustizia nella vita niente rimane in piedi. Le nostre AZIONI HANNO UN SENSO PER QUANTO CI AVVICINIAMO AL BENE E CI ALLONTANIAMO AL MALE. Peccato: mancare il bersaglio. Tutto quello che va verso la vita è bene. Dobbiamo ricominciare ad ascoltare il nostro cuore. Capacità di entrare in noi stessi.

Vescovo: ciascuno di noi a 20 anni cerca i segni del proprio futuro. Come capire il proprio posto nel mondo?

Susanna: è difficile perché i tempi stanno cambiando. C’è una cosa fondamentale: è quello di avere dentro una passione. Se non hai passioni non hai un’ancora. La passione può diventare anche un’attività lavorativa. È importante seguire le proprie passioni.

Vescovo: Che cos’è la preghiera?

Susanna: per me è uno stato di costante attenzione sulla realtà, capire che cosa sta succedendo introno a me e riuscire ad intervenire. Presenza reale.

Vescovo: come ha cambiato la tua vita l’essere conosciuta?

Susanna: il successo è veleno potente, perché ad un certo punto sei innalzato. Ho sempre avuto paura del successo, perché sono anche timida. Io volevo continuare ad essere una persona e non un personaggio. Poi c’è la tentazione dei soldi. Ho sempre avuto problemi di soldi. Liberarsi dai soldi è difficilissimo. Alla fine ho fatto una fondazione che si occupa di progetti per le donne nel 2000. Quando avevo i soldi dovevo sempre pensare ai soldi.

Vescovo: legge un brano di La tigre e l’acrobata

Susanna: La tigre e l’acrobata è il mio testamento spirituale. La morte è un’altra forma di nascita e in questa nascita vivremo un’altra dimensione di vita, con un’altra intensità. Se qui avremo costruito cose belle avremo cose belle.

giovedì 16 marzo 2017

RITIRO SPIRITUALE DI QUARESIMA PER GLI ADULTI








UNITA’ PASTORALE SANTA MARIA DEGLI ANGELI



ESSERE COMUNITÀ CRISTIANA NEL TEMPO DI PAPA FRANCESCO
RIFLESSIONI SUL CAPITOLO 8 DELL’AMORIS LAETITIA



CHIESA DI CODEMONDO - DOMENICA 2 APRILE 2017

PROGRAMMA

Ore 9: lodi
·         Prima meditazione: siate misericordiosi. L’essenza del Vangelo
·            Riflessione personale

Ore 11: messa
·         Pranzo comunitario (chi rimane al pranzo è pregato di portare da casa qualcosa: condivideremo quello che c’è. Portare anche piatti, bicchieri e posate)

Ore 15: ora media
·         Seconda meditazione: prendete e mangiatene tutti. Il cammino di una comunità inclusiva
·          Adorazione eucaristica (possibilità della confessione)

Ore 17: Vespri e condivisione



Quaresima tempo di preghiera
La quaresima, come sappiamo, è un tempo privilegiato che la chiesa ci propone per approfondire il nostro rapporto con il Signore, ascoltare la Parola di Dio e verificare le nostre scelte. Per questo, durante la quaresima, la chiesa propone momenti di riflessione come i ritiri spirituali. Nel ritiro spirituale solitamente ci allontaniamo dai luoghi della nostra vita quotidiana, imitando lo stile del Signore, che spesso si allontanava cercando luoghi isolati per stare da solo con il Padre. Durante un ritiro spirituale si ha la possibilità di approfondire qualche pagina della Parola di Dio e di dedicare più tempo alla preghiera. È quindi un momento che la chiesa consiglia a tutte le famiglie, ai papà e alle mamme che solitamente sono immersi negli impegni della vita quotidiana e che fanno fatica a ritagliarsi momenti per la preghiera. Durante il ritiro le coppie avranno anche la possibilità di dialogare insieme per verificare il loro cammino, le scelte che stanno realizzando con la loro famiglia.

Il tema del ritiro della quaresima di quest’anno è tratto da uno dei vangeli che abbiamo ascoltato nella prima settimana, nel quale il Signore c’invitava a non condannare nessuno e ad essere misericordiosi. Le due meditazioni che saranno proposte cercheranno di concretizzare l’insegnamento del Signore alla luce delle indicazioni che Papa Francesco ha offerto nell’Amoris Laetitia. V’invito, quind,i a venire al ritiro spirituale con la Bibbia e, chi l’avesse già acquistata, con il testo dell’Amoris Laetitia.

È previsto un servizio di baby sitter.

Un abbraccio
Don Paolo




sabato 11 marzo 2017

DOVE VA LA CHIESA?



  


Paolo Cugini
Si percepiscono in modo quasi palpabile, oggi più che mai, due stili di essere Chiesa che non solo sono diversi, ma agli antipodi, contrastanti.

Da una parte c’è la Chiesa che lentamente si è plasmata nei secoli andando a braccetto con il potere, con il Sacro Romano Impero. Secoli di questa squallida storia hanno lasciato il segno non solo nell’arte, ma anche nei modi, nello stile o meglio, in un certo modo d’intendere l’essere Chiesa. È lo stile fatto di arroganza e presunzione, che ritiene lo spazio del potere come assoluto e da gestire in modo verticistico, dall’alto in basso. Nessun ascolto della base, di quel Popolo di Dio tanto decantato dal Concilio Vaticano II. La distanza dal Popolo è ciò che non permette a questa chiesa autoritaria di camminare al passo dei tempi. Per questo si ritrova costantemente in affanno, con la lingua fuori ed il fiatone corto sulle esigenze che si presentano nella quotidianità. Vivendo nei palazzi dorati, protetta da quel mondo che la vorrebbe invece inserita, non percepisce il senso della realtà, i problemi concreti della gente. Nascondendosi dietro liturgie sfarzose e pompose, fatte di orpelli più che di sostanza, retaggio di quell’impero ormai scomparso, ma che non si vuole lasciare alle spalle, la Chiesa del potere non riesce a conciliare la fede con quella vita che non vede e non percepisce. Proprio la liturgia è la cartina di tornasole della distanza che separa questo stile di Chiesa dal Popolo di Dio e, soprattutto, ne rivela l’essenza autoritaria. C’è tutto un apparato liturgico elaborato nel tempo che ha come obiettivo quello di creare distanza tra gli addetti ai lavori e il Popolo di Dio, tra chi celebra e chi assiste.

 Questo tipo di liturgia pomposa e antistorica, proietta una visione del sacro che è retaggio della concezione veterotestamentaria come realtà distinta e separata dal profano. A dire il vero, più che provenire dall’Antico Testamento, questo modo d’intendere il divino proviene dalla filosofia greca, dal dio aristotelico, pensiero di pensiero, motore immobile, il dio concepito così totalmente altro dall’uomo, che non può permettersi di pensare all’essere umano perché infinitamente inferiore a dio. Di un dio così, un dio che non può amare l’uomo perché può solo amare sé stesso, non ci si può aspettare granché di buono per la società e per il mondo in generale. Ebbene, c’è tutto uno stile di Chiesa, che riproduce esattamente questo modello di divino totalmente altro, che pensa che Dio dev’essere difeso dalle sembianze umane, dev’essere protetto da qualsiasi contatto con l’umano, per non essere confuso. I sacerdoti, in questa prospettiva, essendo coloro che per grazia divina vengono a contatto con il sacro, sono loro stessi separati dal resto degli uomini e delle donne, e sono chiamati a riprodurre liturgie nelle quali il divino totalmente altro viene presentato in tutta la sua magnificenza. Per questo motivo, la concezione totalmente altro o, per dirla con Rudolf Otto, il Tremendum, esige un tipo di liturgia che esprima questa distanza e, allo stesso tempo, un apparato sacerdotale in cui sia visibile la diversità rispetto al popolo, diversità causata dall’acceso alla sfera del sacro.

Che cosa c’entri questa visione del sacro, questo modo di vivere la liturgia, questa percezione ideologizzata del sacerdozio con la manifestazione più alta del sacro che si è realizzata in Gesù Cristo, è quello che ci sforziamo di capire in queste poche righe. Che cosa c’entra il dio di Aristotele con l’incarnazione del Verbo? Perché i difensori della divinità totalmente trascendente continuano ad arrampicarsi sugli specchi, nonostante si professino cristiani? Ci sono delle precomprensioni così profondamente conficcate nella coscienza, che non permettono di cogliere l’evidenza della manifestazione della realtà. È un po' quello che succedeva nei primi secoli in alcuni padri della Chiesa, che continuavano a sostenere le teorie platoniche sulla creazione del mondo, mantenendo invariata la teoria della preesistenza al demiurgo delle idee e della materia informe, nonostante commentassero il testo della Genesi che parla della creazione dal nulla di tutte le cose. È difficile spezzare la durezza delle precomprensioni. Forse è questo il maggior insegnamento della scuola fenomenologica: è possibile ascoltare l’evento nella sua manifestazione presente, solamente mettendo da parte (epoché) tutto ciò che può precludere la percezione del dato fenomenico. Non a caso, molti cultori della ricerca fenomenologica si sono convertiti al cristianesimo (un esempio su tutti Edith Stein). Ascoltando il presente, mettendosi in ascolto della realtà che si manifesta nel punto di passaggio del tempo presente, è possibile percepire la presenza del Risorto, incontrarlo, ascoltarlo.

La perdita dei dati patristici, con la ricchezza della mistagogia imbevuta di Sacra Scrittura, avvenuta nel V secolo d.C. a causa delle invasioni barbariche, ha prodotto il successivo imbarbarimento della spiritualità Occidentale, con tutte le conseguenze del caso. Già nel IX secolo questo processo è ben visibile nella liturgia. Amalario di Metz, vescovo di Lione e riformatore della liturgia franca incaricato dallo stesso Papa Gregorio IV, pensa ed elabora una liturgia nella quale ogni elemento dell’ultima cena e della successiva morte di Gesù, sia visibile nel contesto liturgico. Si passa, così, dal significato tipologico, tipico della mistagogia patristica, al fisicismo dei segni liturgici. Si cerca sempre di più il massimo della visibilità fisica e materiale nella liturgia e sempre meno lo sforzo di cogliere il significato profondo dei segni. A partire da questo momento, la liturgia diviene sempre di più qualcosa di spettacolare e i sacerdoti coloro che hanno il privilegio di accedere al sacro in virtù dei poteri ricevuti. Il presbitero, sorto nel periodo del ministero paolino come esigenza per la guida della comunità e a servizio della stessa, subisce lo svuotamento culturale e spirituale del tempo e, soprattutto il suo imbarbarimento, trasformandosi in una funzione legata più al prestigio del potere che al servizio di una comunità. La riesumazione del concetto di sacerdozio dice abbastanza bene di questa trasformazione deformante.  L’accentuazione delle pratiche devozionali avvenuta durante tutto il medioevo e incentivata nell’epoca moderna, a scapito della riflessione biblica, hanno fatto il resto.
Anche il percorso che l’idea di papato e della gestione del potere ecclesiale ha realizzato nel corso dei secoli, ha lasciato un segno indelebile nel cammino della Chiesa e nella percezione che dall’esterno si ha di essa. Il Dictatus papae di Gregorio VII, avvenuto nell' XI secolo, è senza dubbio il punto di svolta di quel percorso che ha fatto del Papa un’autorità assoluta, superiore a qualsiasi potere politico e, di conseguenza, allontanandosi di molto dal significato evangelico. Percorso che, come sappiamo, ha visto l’apice parossistico nella dichiarazione dell’infallibilità del Papa in campo di fede nel Concilio Vaticano I. 

Leggendo attraverso i documenti ufficiali e la documentazione arrivata sino ai nostri giorni, ci si rende conto del cammino che la Chiesa ha compiuto lungo i secoli, cammino pieno di contraddizioni e di poche luci. Cammino realizzato provocando una distanza sempre maggiore tra un élite – la famigerata gerarchia – e il popolo di fedeli. Questa distanza si è accentuata anche nella contrapposizione tra clero e laici, tra coloro che con il tempo vengono sempre di più ad identificarsi con la Chiesa, e il resto dei fedeli che permangono in un perenne stato di sudditanza. Nella Chiesa che si costruisce a suon di decreti e documenti, molo distante dallo spirito del Vangelo, colpisce la scarsa rilevanza che viene attribuita al laicato. È come se ci fossero due Chiese che nel tempo, pur partendo dallo stesso principio evangelico di uguaglianza, si distanziano sempre di più l’una dall’altra. Per chi gestisce il potere e si sente di farlo per mandato divino, i laici non hanno alcun diritto di parola non solo nelle decisioni importanti, ma anche nelle decisioni della vita quotidiana della comunità.
Poi, finalmente, c’è stato il Concilio Vaticano II, che ha riportato nel dibattitto ecclesiale temi che sembravano lontani nel tempo e ormai desueti. È stata proposta l’idea della Chiesa come Popolo di Dio, recuperando immagini bibliche che dicono del cammino del Padre con il suo Popolo. Come sappiamo, il Capitolo della Chiesa Popolo di Dio è stato posto nella Lumen Gentium prima dei capitoli sulla gerarchia e sul laicato, per indicare la sostanziale uguaglianza tra tutti i battezzati. 
Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché non c'è né Giudeo né Gentile, non c'è né schiavo né libero, non c'è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (LG 32).

 Sempre nel numero 32 della Lumen Gentium il testo ribadisce lo stesso concetto affermando: “Quantunque alcuni per volontà di Cristo siano costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo”. 

Certamente uguaglianza non significa uniformità, ma è comunque significativo lo sforzo che il Concilio ha fatto per riportare al centro del dibattito ecclesiale il tema dell’uguaglianza dei fedeli uniti dallo stesso battesimo. Anche il dibattito sulla Chiesa come Corpo mistico, che ha preceduto e accompagnato il dibattito conciliare, assume una valenza nuova in rapporto al tema della Chiesa come Popolo di Dio. 
Sostiene infatti Frosini che: 
“AnchenellatriadeprivilegiatafralediverseimmaginidellaChiesa(popolodiDio,corpodiCristo,tempiodelloSpiritoSanto),precedeilconcettodipopolo,nonsoltantoperunmotivodi carattere trinitario,maancheperchéilcorpometteinluceladiversitàdellemembra,dellaqualesiparla soltantodopoaverassicuratolasostanzialeuguaglianzafratuttiibattezzati”.

 Era troppo bello per essere vero! Thomas Kuhn ce lo ha insegnato che le strutture mentali e culturali, come esigono secoli per formarsi e imporsi, esigono anche molto tempo per essere sostituite dalle nuove. Così è stato per l’ecclesiologia del Popolo di Dio proposta dal Concilio Vaticano II, assimilata dal cammino della Chiesa Latinoamericana e assai poco nella Chiesa Occidentale. Ce lo ha ricordato il teologo belga José Comblin nel suo libro Il popolo di Dio (2002) nel quale esprimeva tutta la sua amarezza per quello che era avvenuto durante il sinodo dei Vescovi a Roma nel 1985. Fu infatti, durante questo Sinodo che il concetto di Popolo di Dio, così significativo nel cammino del Concilio Vaticano II, venne sostituito con quello di comunione.

 “Le critiche al Vaticano II – scriveva José Comblin -condussero infine il Sinodo del 1985 semplicemente ad eliminare il concetto di “popolo di Dio”, sostituendolo con il concetto di comunione, come se questo avesse la medesima risonanza e come se i due fossero alternativi. La conseguenza fu immediata, anche se non sappiamo se fu intenzionale o non. I poveri scomparvero dagli orizzonti della Chiesa: per lo meno la concezione della Chiesa dei poveri di Giovanni XXIII, di Medellin e Puebla”.

È alla luce di queste considerazioni che va valorizzato giorno dopo giorno lo sforzo che Papa Francesco sta facendo di riportare il dibattito ecclesiale al centro del Vangelo, recuperando i grandi temi del dibattito conciliare, troppo presto messi nel cassetto per paura del cambiamento.