lunedì 24 gennaio 2022

IL TEMPO DEI FIGLI





 INCONTRO GENITORI QUATTRO PARROCCHIE

SABATO 22.1.2022 – ORE 15,30

 


 Paolo Cugini


1 Non fare troppo per i tuoi bambini. Non cercare di riempire la vita dei tuoi figli di decine di attività, anche se ti può sembrare utile per la loro crescita e per ottimizzare il tempo quando sei fuori per lavoro. Allo stesso tempo non riempirli di cose, di oggetti, di giochi con i quali passare il tempo, anche se sono giochi educativi. Se vuoi davvero educare e infondere i tuoi valori nei tuoi bambini, è meglio che passi del tempo con loro facendo attività insieme. Ci vuole pratica, ripetizione e soprattutto dedizione per avere un impatto positivo sullo sviluppo del carattere dei tuoi bambini. Lasciare degli spazi vuoti per stimolare la creatività dei figli. 

2 Impara a delegare. Uno dei più grandi sprechi di tempo nella tua famiglia è che tu, come genitore, cerchi di fare tutto. Delega! Ai bambini possono essere assegnate alcune faccende domestiche: se possono camminare e parlare, sono esseri umani capaci. Possono fare i loro letti, raccogliere i loro giochi, aiutarti a caricare la lavastoviglie, buttare nella pattumiera il pannolino che gli hai appena cambiato e con un po’ di inventiva e buon senso puoi coinvolgerli nelle attività quotidiane. Bisogna dar loro fiducia. 

3 Stabilisci le priorità. Quando dici sì a un’attività, stai dicendo no a qualcos’altro, perché non puoi fare tutto. Se la tua priorità è quella di trascorrere del tempo di qualità con i tuoi figli, allora dedicare la tua attenzione ad altre attività potrebbe non essere allineato con i tuoi valori. Devi prima decidere quali sono le tue priorità e cos’ha più valore nella tua vita. Poi, quando ti vengono presentate opportunità che richiedono tempo – e capita più spesso di quanto pensi – puoi essere più preparato per determinare a quali cose vuoi dire sì e quali vuoi rifiutare.

Imparare a organizzare le proprie attività quotidiane e a sfruttare bene il tempo è importante anche per i bambini. Andare a scuola, fare i compiti a casa e avere anche tempo per giocare… si può fare tutto con un po’ di pianificazione e se i genitori riescono a insegnare ai bambini che a ogni attività è riservato un momento preciso.

Gli orari di mamma e papà condizionano la vita quotidiana dei più piccoli. Quando entrambi lavorano tutto il giorno o quando solo uno dei due può occuparsi della casa, si tende a riempire la vita dei figli di attività. In questo modo si finisce per stravolgere completamente la loro gestione del tempo. Che i bambini saltino da un’attività all’altra, tuttavia, non significa che sappiano sfruttare bene il tempo. È anzi probabile che anche noi, in quanto genitori, non riusciamo a gestirlo al meglio. Eppure, insegnare ai bambini a organizzare il proprio tempo è senz’altro importante, trattandosi di una competenza che farà parte del loro bagaglio educativo.


 

1 Non fare troppo per i tuoi bambini. Non cercare di riempire la vita dei tuoi figli di decine di attività, anche se ti può sembrare utile per la loro crescita e per ottimizzare il tempo quando sei fuori per lavoro. Allo stesso tempo non riempirli di cose, di oggetti, di giochi con i quali passare il tempo, anche se sono giochi educativi. Se vuoi davvero educare e infondere i tuoi valori nei tuoi bambini, è meglio che passi del tempo con loro facendo attività insieme. Ci vuole pratica, ripetizione e soprattutto dedizione per avere un impatto positivo sullo sviluppo del carattere dei tuoi bambini. Lasciare degli spazi vuoti per stimolare la creatività dei figli. 

2 Impara a delegare. Uno dei più grandi sprechi di tempo nella tua famiglia è che tu, come genitore, cerchi di fare tutto. Delega! Ai bambini possono essere assegnate alcune faccende domestiche: se possono camminare e parlare, sono esseri umani capaci. Possono fare i loro letti, raccogliere i loro giochi, aiutarti a caricare la lavastoviglie, buttare nella pattumiera il pannolino che gli hai appena cambiato e con un po’ di inventiva e buon senso puoi coinvolgerli nelle attività quotidiane. Bisogna dar loro fiducia. 

3 Stabilisci le priorità. Quando dici sì a un’attività, stai dicendo no a qualcos’altro, perché non puoi fare tutto. Se la tua priorità è quella di trascorrere del tempo di qualità con i tuoi figli, allora dedicare la tua attenzione ad altre attività potrebbe non essere allineato con i tuoi valori. Devi prima decidere quali sono le tue priorità e cos’ha più valore nella tua vita. Poi, quando ti vengono presentate opportunità che richiedono tempo – e capita più spesso di quanto pensi – puoi essere più preparato per determinare a quali cose vuoi dire sì e quali vuoi rifiutare.

Imparare a organizzare le proprie attività quotidiane e a sfruttare bene il tempo è importante anche per i bambini. Andare a scuola, fare i compiti a casa e avere anche tempo per giocare… si può fare tutto con un po’ di pianificazione e se i genitori riescono a insegnare ai bambini che a ogni attività è riservato un momento preciso.

Gli orari di mamma e papà condizionano la vita quotidiana dei più piccoli. Quando entrambi lavorano tutto il giorno o quando solo uno dei due può occuparsi della casa, si tende a riempire la vita dei figli di attività. In questo modo si finisce per stravolgere completamente la loro gestione del tempo. Che i bambini saltino da un’attività all’altra, tuttavia, non significa che sappiano sfruttare bene il tempo. È anzi probabile che anche noi, in quanto genitori, non riusciamo a gestirlo al meglio. Eppure, insegnare ai bambini a organizzare il proprio tempo è senz’altro importante, trattandosi di una competenza che farà parte del loro bagaglio educativo.

 

martedì 18 gennaio 2022

LA MISSIONARIETA’ DELLA COMUNITA’ POST-CRISTIANA

 



 

Paolo Cugini

 

     Affermare che è finita l’epoca della cristianità non significa dire che il cristianesimo è finito: anzi. Forse mai come in questa epoca è possibile davvero vivere con maggiore autenticità e intensità il messaggio cristiano, perlomeno, così come era presentato alle origini e vissuto nei primi secoli. Del resto, è proprio il lavoro svolto durante il Concilio Vaticano II, considerato da molti un Concilio di rottura con la tradizione, mentre, in realtà, la grande rivoluzione operata in esso è stata quella di riprendere i contenuti dei Padri della Chiesa, grazie all’impulso degli studi della Nouvelle Teologie, che per decenni ha tradotto non solo i testi di questi Padri, ma ne ha proposto degli approfondimenti, delle ricerche.

Il problema maggiore, consiste nell’accompagnare questa fase estremamente delicata di passaggio epocale, nella quale mentre vediamo la fine di un’epoca storica, che ha segnato per secoli l’occidente, dall’altra si tratta di riprendere, per così dire un discorso interrotto da secoli, quello di comunità evangeliche, che non cercano di contare qualcosa nel mondo o di incidere nella società, ma si sforzano di vivere il Vangelo nella vita quotidiana. In questo cammino anche il ruolo della guida della comunità va ridimensionato o meglio, riportato al suo significato iniziale.

Un aspetto significativo che ha caratterizzato le comunità cristiane nel loro sorgere, è stata la dimensione missionaria. Paolo, il protagonista dei primi viaggi missionari documentati non solo dalle sue lettere ma anche dal libro degli atti degli Apostoli, non riusciva a tenere per sé il grande incontro che lui stesso aveva fatto con il Risorto sulla strada di Damasco (cfr. At 9): sentiva il desiderio di comunicarlo a tutti. La verità dell’incontro con il risorto sembra essere il desiderio di comunicarlo a tutti. La dimensione missionaria della fede è intrinseca al cammino della comunità cristiana. L’uscita prima dalla comunità di Antiochia e poi dalla comunità di Gerusalemme, conduce Paolo a scoprire una delle novità più significative della Chiesa degli inizi: anche i pagani sono chiamati alla salvezza attraverso il Vangelo. Paolo non avrebbe mai scoperto questa novità se fosse rimasto chiuso tra le mura della comunità. La scoperta di Paolo e del suo compagno di Viaggio Barnaba, sarà fondamentale nella discussione avvenuta nell’assemblea di Gerusalemme (At 15) sulla necessità di non imporre le Leggi mosaiche a coloro che entravano nella comunità cristiana provenendo da un contesto pagano, perché a partire da Gesù, dalla sua passione morte e risurrezione – è questo il kerigma che Paolo annunciava nei suoi viaggi – è solo la grazia che salva. 

È uscendo dalla comunità per andare a portare il kerigma a coloro che ancora non lo conoscono che la Chiesa scopre cose nuove e permette, in questo modo di crescere, arricchendosi di contenuti e significati nuovi. L’aspetto missionario è, dunque, uno dei primi e fondamentali elementi che il nuovo contesto che si sta creando con la fine della cristianità, permette di recuperare e valorizzare. Nell’epoca della cristianità la parrocchia ha identificato il cammino della comunità e la sua caratteristica, oltre a voler controllare il territorio sul piano religioso, è una chiusura asfittica, al punto che ogni parrocchia era un mondo chiuso a se stante. Il campanilismo è la malattia cronica delle parrocchie, comunità chiuse e autoreferenziali, con il desiderio di comunicare agli altri l’annuncio del risorto, praticamente azzerato. Riprendere in mano la dimensione missionaria significa, in primo luogo, fare esperienza del risorto, sentirne la presenza per poi muoversi verso l’esterno, e penare cammini di nuova evangelizzazione o, meglio, di rievangelizzazione. 

Non si tratta di processi d’indottrinamento, né di catechizzazione a tappetto, ma di condivisione del motivo centrale che dà gioia alla propria vita. Come per Paolo, la verità dell’incontro con il risorto, si manifesta nel desiderio, che diventa necessità di dire agli altri il motivo della propria gioia, della propria rinascita. Quando questo avviene, è nei consigli pastorali della comunità che si decide in che modo uscire e come. La comunità che esce a portare al mondo circostante il Vangelo della gioia sente la necessità di rimettere, per così dire, ordine in “casa”. Si esce per annunciare il Vangelo e, allo stesso tempo, s’invitano le persone incontrate a partecipare della nostra festa della domenica, che è il giorno del Signore. Lo slancio missionario della comunità provoca, come conseguenza, il riordino della liturgia, lo svecchiamento in cui spesso e volentieri si trovano i nostri culti i cui protagonisti sono sempre le stesse persone, che compiono gli stessi gesti e cantano le stesse canzoni. 

L’uscita verso l’esterno della comunità provoca, come conseguenza, la necessità di un riassetto interno. Chi infatti, invita qualcuno a casa, la ripulisce, la sistema: la vuole presentare bella. È questo un effetto significativo della dimensione missionaria della comunità: produce un movimento di ripulitura.

 

giovedì 13 gennaio 2022

A TELEREGGIO PRESENTAZIONE DEL LIBRO: QUALE CHIESA?

 

Venerdì 14 gennaio alle ore 8,30 a Telereggio

intervista a don Paolo Cugini per la presentazione del libro:

Quale Chiesa? Di Matteo Zuppi e Paolo Cugini

mercoledì 12 gennaio 2022

VERBUM CARO FACTUM EST

 



L’INCARNZIONE DEL VERBO

(esercitazioni Pèguyane del 1992)

 

Paolo Cugini

 

    L’Incarnazione del Verbo si è verificata nel più naturale dei modi: è questo che è sconvolgente. IL Figlio di Dio ha assunto una natura che è simile alla mia. Vive un tempo e in uno spazio come me. È difficile riconoscerlo all’esterno perché non offre prove tangibili. Che cosa vedono i pastori se non un bambino come tanti altri, come tutti gli altri? La grazia è un’operazione interiore nascosta, che sfugge all’apparenza, alla superficie. IL cristiano è l’uomo della profondità, del silenzio, del deserto perché solo in questa situazione di spoliazione Dio si manifesta. Tutto deve essere fatto nel segreto perché bisogna cercare di amare con tutto se stessi un solo Dio. Tentazione di apparire santi con dei sotterfugi, con delle tecniche, con delle violenze. Dio ci vuole santi, “Siate vuoi dunque perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste” (Mt 5, 48).

Questa santità non passa per le strade dell’evidenza, dell’apparenza. Tentazione meschina di voler essere apprezzato dagli uomini, e così trasformare in movimento lento, interiore del cuore in una maschera superficiale. Aspettare la forza dello Spirito in silenzio, nel nascondimento, vincendo la tentazione di voler mostrare al mondo la falsa santità, perché se l’essere cristiano è solo una facciata per far vedere quanto siamo bravi, è spazzatura perché alimenta l’orgoglio. C’è un solo Signore.

 

Il Verbo si è Incarnato. Si è sottomesso alla natura umana. Ha accettato la condizione umana. Ha obbedito ai suoi genitori. Nel nascondimento. Nella condizione normale di ogni essere umano che vive in una famiglia. Gesù fino a trent’anni ha vissuto come vive ogni uomo, come vivo io. E in questa condizione ha imparato la volontà del Padre. Ha appreso che cosa il Padre gli chiedeva. Ha capito che il Padre esigeva da Lui, il suo unico Figlio, il suo vero Figlio il suo primo Figlio, di una lunga generazione di figli qualcosa di particolare, che nessun altro avrebbe potuto fare. Che tutta l’umanità era in attesa da secoli. E Lui non avrebbe mai voluto deludere suo Padre. E Lui il figlio ricolmo d’amore verso il Padre non avrebbe mai voluto deluder l’immenso amore del Padre. In nessuno modo. Per nessuno motivo.

Si trattava di svolgere un compito. Una missione. Si trattava di obbedire al volere del Padre. E Gesù, il Figlio, non aspettava altro. E Gesù, il Figlio, sin dall’eternità non aspettava altro che rispondere all’amore del Padre. E Gesù, il Figlio dilettissimo era quasi impaziente, viveva quasi nell’impazienza, non vedeva l’ora di eseguire la volontà del Padre. Perché lo amava. E l’amore non può che domarsi. Senza sosta. Senza nulla risparmiare. E Lui, il Figlio, non vedeva l’ora di donarsi tutto al Padre. Per amore. Fino alla morte. E il Padre lo ha accontentato. Et verbum factum est. E il Figlio è nato.

 “La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” (Ps 84, 12). La verità si è resa presenza, si è materializzata. C’è uno sguardo orizzontale che la può vedere, descrivere, analizzare. I pastori che nella notte, in quella stupenda notte, in quella indimenticabile notte, sono accorsi alla grotta, hanno visto un bambino, come tanti. Hanno visto un bambino che era uguale a tutti gli altri bambini. Hanno visto un bambino che piangeva come gli altri bambini. Che si nutriva come gli altri bambini. Che rideva come gli altri bambini. Ma era il Figlio di Dio. Atteso dall’eternità. Era quel Figlio di Dio che era stato annunciato dai profeti. Da una schiera di profeti. E in quella notte, in quella indimenticabile notte era là. Bambino come tutti i bambini. E i pastori adoravano un bambino. Che non era diverso dagli altri bambini. “La verità germoglierà dalla terra”.

I pastori si prostrarono a quel bambino che era il Figlio di Dio. “La giustizia si affaccerà dal cielo”: I pastori avevano riconosciuto in quel bambino dalle fattezze simili a qualsiasi altro bambino, il Figlio di Dio, colui che doveva venire. Riconobbero il Figlio di Dio. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardi al loro gregge.” Era una sera come le altre. Il cielo della Giudea era stellato come tante altre notti. I pastori si apprestavano a caricarsi dopo la giornata di lavoro passata nella terra di Betlemme. Il caldo per tutto il giorno li aveva assillati costringendo le pecore stesse a sotterfugi inusitati per potersi riparare dai raggi del sole. Ebbene, la sera era giunta; i pastori intorno al focolare si raccontavano qualche storiella, per passarsela un po’ il tempo. E intanto, fra una chiacchiera e l’altra, facevano la guardia al loro gregge. Come tante sere. Come tutte le sere. E qualcuno, a turno, s’addormentava. Sempre, però c’era chi vegliava. Non si poteva lasciare il gregge incustodito. Occorreva vegliare. A turno. Uno alla volta. Uno o due alla volta. Così tra una chiacchiera e l’altra, accanto al fuoco acceso passava il tempo. Mai avrebbero sospettato che quella era una notte particolare. Uguale alle altre ma, allo stesso tempo particolare. Uguale alle altre, a tutte le altre innumerevoli notti, ma con un carico di presente in più. Una notte come tutte le altre, ma molto più pesante. C’era un carico di profezie che stava arrivando a compimento. In quella notte. C’erano secoli di profezie che stavano rovesciandosi in un punto di presente che si trovava nelle vicinanze di quella notte. Notte uguale a tutte le altre notti passate a badare il gregge, ma allo stesso tempo diversa. Perché c’era nell’aria un rumore strano, come se qualcosa stesse arrivando da lontano e si stesse rovesciando. Improvvisamente. Bruscamente. C’era nell’aria un brusio che sembrava venire da lontano. E i pastori avrebbero voluto dirselo. I pastori avrebbero voluto dire che c’era un brusio, ma non lo fecero. I pastori si erano accorti che quella notte, uguale a tante notti, a tutte le notti, aveva qualcosa di diverso ma non lo dissero, lasciarono perdere, tanto sarebbe giunto il giorno. I pastori, in realtà, si erano accorti che quella notte aveva qualcosa di particolare. I pastori: questi uomini del silenzio abituati al silenzio. Che cosa potrebbe a loro sfuggire? “Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo del Signore disse loro: “non temete ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 9-11).

 Sublime mistero! Il tempo d’ora innanzi non sarà più lo stesso. Sublime mistero di un tempo sconvolto dall’irruenza dell’eterno. Nel tempo - dall’infinito nel finito. Dallo spirito nella carne. Poveri pastori così silenziosi, così schivi al rumore. A loro è toccata l’irruenza, quasi prepotente, dell’ineffabile messaggio angelico. Pastori silenziosi. Erano intenti a sorvegliare il gregge in una notte come tutte le altre notti. E all’improvviso l’angelo del Signore si presentò davanti a loro. È vero che un po’ se n’erano accorti. Quei furboni dei pastori. Così silenziosi, così notturni. Quei pastori. Così simili alle loro pecore tutte uguali. Così simili alle loro notti. Tutte uguali. A loro è toccato di assistere all’irruenza dell’Eternità. Nel tempo. Nel presente. In un’ora. In un istante. Da tempo atteso. Da secoli annunciato. Quei pastori che facevano la guardia al gregge furono avvolti di luce. La luce della gloria del Signore. Quei pastori così schivi non erano abituati alla “grandeur” e, proprio loro, furono avvolti dalla luce della gloria del Signore. Improvvisamente “un angelo del Signore si presentò davanti a loro”. Sublime mistero.

 Il miracolo si compie nelle più normali delle giornate. Mistero dei misteri. Secoli di profezie giungono a compimento in un giorno come tutti gli altri. In una notte come tutte le altre. In una notte uguale a quella del giorno precedente. Gli angeli di Dio (“la giustizia si affaccerà dal cielo”) si presentarono ai pastori in una notte come tante altre notti (“la verità germoglierà dalla terra” (Ps 84, 12).                 1992. 

 

IL DENARO

 




 

Paolo Cugini

 

Per chi intenda comprendere l’elemento caratterizzante della nostra epoca contemporanea (1800-1900) non mi sembra azzardato affermare che tale specificità vada cercato nel denaro. Il mondo occidentale, dalla rivoluzione industriale in poi, si è identificato con il capitalismo. Dire occidente è la stessa cosa che dire capitalismo. Se è vero questo, sarebbe importante analizzare le condizioni di possibilità che il pensiero greco – romano aveva in germe per approdare ad un tale punto di arrivo. Il capitalismo come teoria, come sistema esistenziale era prevedibile a partire dalle categorie della filosofia classica? Il capitalismo è la logica conseguenza della speculazione filosofica classica passando per il pensiero cristiano? Sono domande inquietanti, perché mettono in discussione tutto un modo di sentire e di pensare, che cerca nei valori metafisici le ragioni di possibilità dell’esistenza umana.

Da una parte, si nota l’origine speculativa, l’amore per la riflessione astratta, concettuale, l’attenzione allo spirito e a tutto ciò che ruota attorno a questa dimensione; dall’altra, si constata un mondo materiale nel senso stretto del termine, un mondo cioè dove ciò che è importante è legato a ciò che serve all’uomo per il soddisfacimento dei propri bisogni. L’occidente nasce spiritualmente e sta morendo affondato nella materia. L’amore per lo spirituale è stato soppiantato dal bisogno materiale. È evidente che, un’analisi di questo tipo corre il rischio di essere troppo generalizzante, di non cogliere alcuni aspetti fondamentali dell’evoluzione del pensiero occidentale. In questa prospettiva, credo che il problema acquisti una visione diversa se si considera il rapporto spirito/materia. Ogni volta che nella riflessione speculativa si sono separati questi due elementi, si è giunti a situazioni ove vengono radicalizzate le posizioni: spiritualismo e materialismo.

Su questa linea di ricerca è possibile individuare le cause del capitalismo occidentale come un frutto in germe dalla stessa riflessione della cultura classica. Il capitalismo è, dunque, l’eredità più limpida di una tradizione di pensiero che ha separato lo spirituale dal materiale, considerando quest’ultimo l’aspetto predominante della realtà. A partire da un’antropologica dualistica è possibile giustificare il materialismo assoluto contenuto nel capitalismo.

Sarebbe, comunque, troppo restrittivo considerare il capitalismo come il frutto maturo di una determinata tradizione filosofica. Esistono, infatti, altri fattori che possono essere considerati come determinanti per l’affermarsi di una tale materializzazione del mondo. Penso, a questo punto, al ruolo che la religione ha avuto. Penso al ruolo giocato dalla Chiesa nei secoli, al suo contributo, alla separazione tra spirituale e materiale. È chiaro che, in questa prospettiva, il pensiero corre al potere temporale della Chiesa medioevale e di come questo sodalizio sia continuato nelle epoche successive e continui, pur in modo moderato, tutt’ora. Il problema, anche a questo riguardo, non consiste tanto nel fatto, più o meno scandaloso, dei compromessi della Chiesa con il potere temporale e della conseguente sua affermazione attraverso soprusi e crociate. Credo che il problema vada ricercato nella stessa natura umana dalla quale la Chiesa è costituita, come qualsiasi istituzione storica.

 

Il denaro esercita su ogni uomo una forte attrattiva. Con esso, infatti, scorge la possibilità di impossessarsi in breve tempo di tutto ciò che la natura sembra avergli negato. O, ancora, con il denaro l’uomo avverte la possibilità di appagare tutto ciò che altrimenti rimarrebbe per sempre inappagato: d’altronde si vive una volta e basta e allora vale la pena rischiare tutto ciò che si possiede e tutto ciò che è possibile fare pur di appropriarsi di questo strumento di così grande potenza. In gioco c’è il senso stesso dell’esistenza un senso che ha una matrice molto consistente: la natura umana.

(articolo del 1992).

 

mercoledì 5 gennaio 2022

POSTCRISTIANITA' E IL NUOVO CAMMINO DEL CRISTIANESIMO

 



 

Paolo Cugini

 

Dove il cristianesimo svanisce ritornano le forme pagane (Chantal Delson).

Quali sono gli elementi che ci possono indurre a pensare che l’epoca della cristianità è finita? In primo luogo, il fatto che la Chiesa non incide più nella società, non è più un tutt’uno con essa. La cristianità ha modellato per secoli la società al punto che anche i riti religiosi erano parte del tessuto sociale, che identificava un popolo. Oggi, chiaramente e, possiamo tranquillamente dire, fortunatamente, non è più così, al punto che molti si dichiarano atei. Anche coloro che si dichiarano credenti, hanno una scarsa partecipazione alla vita religiosa. La cristianità è stata l’involucro che ha ricoperto dall’esterno la cultura occidentale, ne ha plasmato anche alcuni valori, ne ha dato un’identità, nel bene e nel male.

Com’è potuto avvenire questo crollo epocale, questa fine di uno stile sociale così significativo? Sono tanti i fattori che contribuiscono ad offrire elementi per questa risposta. Si tratta, senza dubbio, di un cambio epocale, di un cambiamento di paradigma che, per avvenire, necessita della convergenza di quei fattori che l’avevano caratterizzata. La fine della cristianità porta via con sé un tipo di cristianesimo, un modo di pensare e di vivere il rapporto con Dio. Dopo il IV secolo d.C. la distanza dalle fonti della prima comunità cristiana segna il passo dell’avvento della cristianità, che s’identifica progressivamente con una forma politica e sociale: il Sacro romano Impero. Del cristianesimo primitivo, cioè quello delle origini, rimangono i contorni esterni, assieme ad alcuni contenuti, che acquisiscono significato per il servizio che offrono al mantenimento di una specifica impostazione culturale.

I temi del peccato, della salvezza, assieme a quelli del pentimento, della conversione e della penitenza, temi evangelici ma svuotati del loro significato profondo e, soprattutto, sganciati dal messaggio di misericordia di Gesù, sono serviti per secoli a mantenere il popolo ignorante sottomesso al potere della Chiesa. La cristianità è stata dunque una religione asservita al potere politico, che ha creato un sistema di riti, una liturgia, una morale e una teologia in grado di mantenere il popolo sottomesso, in perenne senso di colpa, necessitato del perdono, che solo i funzionari della chiesa potevano elargire. Peccato, colpa, penitenza, salvezza: sono i temi che hanno modellato la cristianità, la sua struttura politico- sociale. Non è un caso che, una volta crollata l’impalcatura esterna della cristianità, gli stessi contenuti da lei elaborati e propugnati, si sono svuotati di significato e la gente si è allontanata da quella struttura, che la teneva sottomessa.

Se la cristianità come struttura sociale è svanita in poco tempo e nessuno ne sente più la mancanza, ben diversa è la situazione sul piano prettamente religioso. Secoli di riti, predicazioni, liturgie segnate dal tema del peccato e della paura dell’inferno, hanno lasciato un segno profondo nella coscienza del popolo religioso, hanno plasmato una mentalità. Non è bastato il Concilio Vaticano II a scalfire il disastro spirituale perpetrato nel periodo della cristianità. Non sono bastati i contributi delle più avanzate ricerche teologiche, esegetiche e storiche, per dimostrare come tutto quello che era stato spacciato di cristiano, in realtà non era altro che un grande inganno, una grande impostura, la grande invenzione di una religione a servizio del potere. Secoli di inchini, di turiboli, di culti dal linguaggio incomprensibile per la maggior parte, hanno fatto credere in modo definitivo che la religione proposta dal Vangelo aveva quella specifica forma. E così, mentre le cattedrali vengono chiuse e molte chiese vendute perché i fedeli le hanno abbandonate, permane la religione che la cristianità ha plasmato.

Basteranno ancora pochi decenni per spazzare via i detriti di questa religiosità per fare posto al Vangelo? La risposta non è facile. Di certo, quello che si vede oggi, è la resistenza di coloro che non vogliono perdere la loro identità plasmata dall’epoca della cristianità. Questo è il problema centrale. Chi identifica la proposta di Gesù con quella specifica forma religiosa, non accetta il cambiamento. E così, assistiamo al ritorno delle talari, delle liturgie pontificali, dei prelati che con discorsi duri, dimostrano che vogliono ancora contare. In realtà, questo stile religioso, non dice più nulla alla società, serve solo ai pochi adepti, chiuso in loro stessi, per paura di quello che accade fuori. Ciò che invece si sta delineando, è lo spazio per un nuovo modo di vivere il Vangelo ed è proprio su questa nuova possibilità che va posta l’attenzione.