lunedì 31 gennaio 2022
lunedì 24 gennaio 2022
IL TEMPO DEI FIGLI
INCONTRO GENITORI QUATTRO PARROCCHIE
SABATO
22.1.2022 – ORE 15,30
Paolo Cugini
1 Non fare troppo per i
tuoi bambini. Non cercare di riempire la vita dei
tuoi figli di decine di attività, anche se ti può sembrare utile per la loro
crescita e per ottimizzare il tempo quando sei fuori per lavoro. Allo stesso
tempo non riempirli di cose, di oggetti, di giochi con i quali passare il
tempo, anche se sono giochi educativi. Se vuoi
davvero educare e infondere i tuoi valori nei tuoi bambini, è meglio che passi
del tempo con loro facendo attività insieme.
Ci vuole pratica, ripetizione e soprattutto dedizione per avere un
impatto positivo sullo sviluppo del carattere dei tuoi bambini. Lasciare degli spazi vuoti per stimolare la creatività
dei figli.
2 Impara a delegare. Uno
dei più grandi sprechi di tempo nella tua famiglia è che tu, come genitore,
cerchi di fare tutto. Delega! Ai bambini possono essere assegnate alcune
faccende domestiche: se possono camminare e parlare, sono esseri umani capaci.
Possono fare i loro letti, raccogliere i loro giochi, aiutarti a caricare la
lavastoviglie, buttare nella pattumiera il pannolino che gli hai appena
cambiato e con un po’ di inventiva e buon senso puoi coinvolgerli nelle
attività quotidiane. Bisogna dar loro fiducia.
3 Stabilisci le priorità. Quando
dici sì a un’attività, stai dicendo no a qualcos’altro,
perché non puoi fare tutto. Se la tua priorità è quella di trascorrere del
tempo di qualità con i tuoi figli, allora dedicare la tua attenzione ad altre
attività potrebbe non essere allineato con i tuoi valori. Devi prima decidere
quali sono le tue priorità e cos’ha più valore nella tua vita. Poi, quando ti
vengono presentate opportunità che richiedono tempo – e capita più spesso di
quanto pensi – puoi essere più preparato per determinare a quali cose vuoi
dire sì e quali vuoi rifiutare.
Imparare a organizzare le
proprie attività quotidiane e a sfruttare bene il tempo è importante anche per
i bambini. Andare a scuola, fare i compiti a casa e avere anche
tempo per giocare… si può fare tutto con un po’ di pianificazione e se i
genitori riescono a insegnare ai bambini che a ogni attività è riservato
un momento preciso.
Gli orari di mamma e papà condizionano la vita quotidiana
dei più piccoli. Quando entrambi lavorano tutto il giorno o quando solo uno dei
due può occuparsi della casa, si tende a riempire la
vita dei figli di attività. In questo modo si finisce per stravolgere
completamente la loro gestione del tempo. Che i bambini saltino da
un’attività all’altra, tuttavia, non significa che sappiano sfruttare bene il
tempo. È anzi probabile che anche noi, in quanto genitori, non riusciamo a
gestirlo al meglio. Eppure, insegnare ai bambini a organizzare il proprio tempo
è senz’altro importante, trattandosi di una competenza che farà parte del loro
bagaglio educativo.
1 Non fare troppo per i
tuoi bambini. Non cercare di riempire la vita dei
tuoi figli di decine di attività, anche se ti può sembrare utile per la loro
crescita e per ottimizzare il tempo quando sei fuori per lavoro. Allo stesso
tempo non riempirli di cose, di oggetti, di giochi con i quali passare il
tempo, anche se sono giochi educativi. Se vuoi
davvero educare e infondere i tuoi valori nei tuoi bambini, è meglio che passi
del tempo con loro facendo attività insieme.
Ci vuole pratica, ripetizione e soprattutto dedizione per avere un
impatto positivo sullo sviluppo del carattere dei tuoi bambini. Lasciare degli spazi vuoti per stimolare la creatività
dei figli.
2 Impara a delegare. Uno
dei più grandi sprechi di tempo nella tua famiglia è che tu, come genitore,
cerchi di fare tutto. Delega! Ai bambini possono essere assegnate alcune
faccende domestiche: se possono camminare e parlare, sono esseri umani capaci.
Possono fare i loro letti, raccogliere i loro giochi, aiutarti a caricare la
lavastoviglie, buttare nella pattumiera il pannolino che gli hai appena
cambiato e con un po’ di inventiva e buon senso puoi coinvolgerli nelle
attività quotidiane. Bisogna dar loro fiducia.
3 Stabilisci le priorità. Quando
dici sì a un’attività, stai dicendo no a qualcos’altro,
perché non puoi fare tutto. Se la tua priorità è quella di trascorrere del
tempo di qualità con i tuoi figli, allora dedicare la tua attenzione ad altre
attività potrebbe non essere allineato con i tuoi valori. Devi prima decidere
quali sono le tue priorità e cos’ha più valore nella tua vita. Poi, quando ti
vengono presentate opportunità che richiedono tempo – e capita più spesso di
quanto pensi – puoi essere più preparato per determinare a quali cose vuoi
dire sì e quali vuoi rifiutare.
Imparare a organizzare le
proprie attività quotidiane e a sfruttare bene il tempo è importante anche per
i bambini. Andare a scuola, fare i compiti a casa e avere anche
tempo per giocare… si può fare tutto con un po’ di pianificazione e se i
genitori riescono a insegnare ai bambini che a ogni attività è riservato
un momento preciso.
Gli orari di mamma e papà condizionano la vita quotidiana
dei più piccoli. Quando entrambi lavorano tutto il giorno o quando solo uno dei
due può occuparsi della casa, si tende a riempire la
vita dei figli di attività. In questo modo si finisce per stravolgere
completamente la loro gestione del tempo. Che i bambini saltino da
un’attività all’altra, tuttavia, non significa che sappiano sfruttare bene il
tempo. È anzi probabile che anche noi, in quanto genitori, non riusciamo a
gestirlo al meglio. Eppure, insegnare ai bambini a organizzare il proprio tempo
è senz’altro importante, trattandosi di una competenza che farà parte del loro
bagaglio educativo.
martedì 18 gennaio 2022
LA MISSIONARIETA’ DELLA COMUNITA’ POST-CRISTIANA
Paolo Cugini
Affermare che è finita l’epoca della cristianità non
significa dire che il cristianesimo è finito: anzi. Forse mai come in questa
epoca è possibile davvero vivere con maggiore autenticità e intensità il
messaggio cristiano, perlomeno, così come era presentato alle origini e vissuto
nei primi secoli. Del resto, è proprio il lavoro svolto durante il Concilio
Vaticano II, considerato da molti un Concilio di rottura con la tradizione,
mentre, in realtà, la grande rivoluzione operata in esso è stata quella di riprendere
i contenuti dei Padri della Chiesa, grazie all’impulso degli studi della
Nouvelle Teologie, che per decenni ha tradotto non solo i testi di questi
Padri, ma ne ha proposto degli approfondimenti, delle ricerche.
Il
problema maggiore, consiste nell’accompagnare questa fase estremamente delicata
di passaggio epocale, nella quale mentre vediamo la fine di un’epoca storica,
che ha segnato per secoli l’occidente, dall’altra si tratta di riprendere, per
così dire un discorso interrotto da secoli, quello di comunità evangeliche, che
non cercano di contare qualcosa nel mondo o di incidere nella società, ma si
sforzano di vivere il Vangelo nella vita quotidiana. In questo cammino anche il
ruolo della guida della comunità va ridimensionato o meglio, riportato al suo
significato iniziale.
Un aspetto significativo che ha caratterizzato le comunità cristiane nel loro sorgere, è stata la dimensione missionaria. Paolo, il protagonista dei primi viaggi missionari documentati non solo dalle sue lettere ma anche dal libro degli atti degli Apostoli, non riusciva a tenere per sé il grande incontro che lui stesso aveva fatto con il Risorto sulla strada di Damasco (cfr. At 9): sentiva il desiderio di comunicarlo a tutti. La verità dell’incontro con il risorto sembra essere il desiderio di comunicarlo a tutti. La dimensione missionaria della fede è intrinseca al cammino della comunità cristiana. L’uscita prima dalla comunità di Antiochia e poi dalla comunità di Gerusalemme, conduce Paolo a scoprire una delle novità più significative della Chiesa degli inizi: anche i pagani sono chiamati alla salvezza attraverso il Vangelo. Paolo non avrebbe mai scoperto questa novità se fosse rimasto chiuso tra le mura della comunità. La scoperta di Paolo e del suo compagno di Viaggio Barnaba, sarà fondamentale nella discussione avvenuta nell’assemblea di Gerusalemme (At 15) sulla necessità di non imporre le Leggi mosaiche a coloro che entravano nella comunità cristiana provenendo da un contesto pagano, perché a partire da Gesù, dalla sua passione morte e risurrezione – è questo il kerigma che Paolo annunciava nei suoi viaggi – è solo la grazia che salva.
È uscendo dalla comunità per andare a portare il kerigma a coloro che ancora non lo conoscono che la Chiesa scopre cose nuove e permette, in questo modo di crescere, arricchendosi di contenuti e significati nuovi. L’aspetto missionario è, dunque, uno dei primi e fondamentali elementi che il nuovo contesto che si sta creando con la fine della cristianità, permette di recuperare e valorizzare. Nell’epoca della cristianità la parrocchia ha identificato il cammino della comunità e la sua caratteristica, oltre a voler controllare il territorio sul piano religioso, è una chiusura asfittica, al punto che ogni parrocchia era un mondo chiuso a se stante. Il campanilismo è la malattia cronica delle parrocchie, comunità chiuse e autoreferenziali, con il desiderio di comunicare agli altri l’annuncio del risorto, praticamente azzerato. Riprendere in mano la dimensione missionaria significa, in primo luogo, fare esperienza del risorto, sentirne la presenza per poi muoversi verso l’esterno, e penare cammini di nuova evangelizzazione o, meglio, di rievangelizzazione.
Non si tratta di processi d’indottrinamento, né di catechizzazione a tappetto, ma di condivisione del motivo centrale che dà gioia alla propria vita. Come per Paolo, la verità dell’incontro con il risorto, si manifesta nel desiderio, che diventa necessità di dire agli altri il motivo della propria gioia, della propria rinascita. Quando questo avviene, è nei consigli pastorali della comunità che si decide in che modo uscire e come. La comunità che esce a portare al mondo circostante il Vangelo della gioia sente la necessità di rimettere, per così dire, ordine in “casa”. Si esce per annunciare il Vangelo e, allo stesso tempo, s’invitano le persone incontrate a partecipare della nostra festa della domenica, che è il giorno del Signore. Lo slancio missionario della comunità provoca, come conseguenza, il riordino della liturgia, lo svecchiamento in cui spesso e volentieri si trovano i nostri culti i cui protagonisti sono sempre le stesse persone, che compiono gli stessi gesti e cantano le stesse canzoni.
L’uscita verso l’esterno della
comunità provoca, come conseguenza, la necessità di un riassetto interno. Chi
infatti, invita qualcuno a casa, la ripulisce, la sistema: la vuole presentare
bella. È questo un effetto significativo della dimensione missionaria della
comunità: produce un movimento di ripulitura.
giovedì 13 gennaio 2022
A TELEREGGIO PRESENTAZIONE DEL LIBRO: QUALE CHIESA?
Venerdì 14 gennaio alle ore 8,30 a
Telereggio
intervista
a don Paolo Cugini per la presentazione del libro:
Quale Chiesa? Di
Matteo Zuppi e Paolo Cugini
mercoledì 12 gennaio 2022
VERBUM CARO FACTUM EST
L’INCARNZIONE
DEL VERBO
(esercitazioni
Pèguyane del 1992)
Paolo Cugini
L’Incarnazione del Verbo si è verificata nel più
naturale dei modi: è questo che è sconvolgente. IL Figlio di Dio ha assunto una
natura che è simile alla mia. Vive un tempo e in uno spazio come me. È
difficile riconoscerlo all’esterno perché non offre prove tangibili. Che cosa
vedono i pastori se non un bambino come tanti altri, come tutti gli altri? La
grazia è un’operazione interiore nascosta, che sfugge all’apparenza, alla
superficie. IL cristiano è l’uomo della profondità, del silenzio, del deserto
perché solo in questa situazione di spoliazione Dio si manifesta. Tutto deve
essere fatto nel segreto perché bisogna cercare di amare con tutto se stessi un
solo Dio. Tentazione di apparire santi con dei sotterfugi, con delle tecniche,
con delle violenze. Dio ci vuole santi, “Siate vuoi dunque perfetti come è
perfetto il Padre nostro celeste” (Mt 5, 48).
Questa
santità non passa per le strade dell’evidenza, dell’apparenza. Tentazione
meschina di voler essere apprezzato dagli uomini, e così trasformare in
movimento lento, interiore del cuore in una maschera superficiale. Aspettare la
forza dello Spirito in silenzio, nel nascondimento, vincendo la tentazione di
voler mostrare al mondo la falsa santità, perché se l’essere cristiano è solo
una facciata per far vedere quanto siamo bravi, è spazzatura perché alimenta l’orgoglio.
C’è un solo Signore.
Il
Verbo si è Incarnato. Si è sottomesso alla natura umana. Ha accettato la
condizione umana. Ha obbedito ai suoi genitori. Nel nascondimento. Nella
condizione normale di ogni essere umano che vive in una famiglia. Gesù fino a
trent’anni ha vissuto come vive ogni uomo, come vivo io. E in questa condizione
ha imparato la volontà del Padre. Ha appreso che cosa il Padre gli chiedeva. Ha
capito che il Padre esigeva da Lui, il suo unico Figlio, il suo vero Figlio il
suo primo Figlio, di una lunga generazione di figli qualcosa di particolare, che
nessun altro avrebbe potuto fare. Che tutta l’umanità era in attesa da secoli.
E Lui non avrebbe mai voluto deludere suo Padre. E Lui il figlio ricolmo
d’amore verso il Padre non avrebbe mai voluto deluder l’immenso amore del
Padre. In nessuno modo. Per nessuno motivo.
Si
trattava di svolgere un compito. Una missione. Si trattava di obbedire al
volere del Padre. E Gesù, il Figlio, non aspettava altro. E Gesù, il Figlio,
sin dall’eternità non aspettava altro che rispondere all’amore del Padre. E
Gesù, il Figlio dilettissimo era quasi impaziente, viveva quasi
nell’impazienza, non vedeva l’ora di eseguire la volontà del Padre. Perché lo
amava. E l’amore non può che domarsi. Senza sosta. Senza nulla risparmiare. E
Lui, il Figlio, non vedeva l’ora di donarsi tutto al Padre. Per amore. Fino
alla morte. E il Padre lo ha accontentato. Et verbum factum est. E il
Figlio è nato.
“La verità germoglierà dalla terra e la
giustizia si affaccerà dal cielo” (Ps 84, 12). La verità si è resa
presenza, si è materializzata. C’è uno sguardo orizzontale che la può vedere,
descrivere, analizzare. I pastori che nella notte, in quella stupenda notte, in
quella indimenticabile notte, sono accorsi alla grotta, hanno visto un bambino,
come tanti. Hanno visto un bambino che era uguale a tutti gli altri bambini.
Hanno visto un bambino che piangeva come gli altri bambini. Che si nutriva come
gli altri bambini. Che rideva come gli altri bambini. Ma era il Figlio di Dio. Atteso
dall’eternità. Era quel Figlio di Dio che era stato annunciato dai profeti. Da
una schiera di profeti. E in quella notte, in quella indimenticabile notte era
là. Bambino come tutti i bambini. E i pastori adoravano un bambino. Che non era
diverso dagli altri bambini. “La verità germoglierà dalla terra”.
I
pastori si prostrarono a quel bambino che era il Figlio di Dio. “La
giustizia si affaccerà dal cielo”: I pastori avevano riconosciuto in quel
bambino dalle fattezze simili a qualsiasi altro bambino, il Figlio di Dio,
colui che doveva venire. Riconobbero il Figlio di Dio. “C’erano in quella
regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardi al loro gregge.”
Era una sera come le altre. Il cielo della Giudea era stellato come tante altre
notti. I pastori si apprestavano a caricarsi dopo la giornata di lavoro passata
nella terra di Betlemme. Il caldo per tutto il giorno li aveva assillati
costringendo le pecore stesse a sotterfugi inusitati per potersi riparare dai
raggi del sole. Ebbene, la sera era giunta; i pastori intorno al focolare si
raccontavano qualche storiella, per passarsela un po’ il tempo. E intanto, fra
una chiacchiera e l’altra, facevano la guardia al loro gregge. Come tante sere.
Come tutte le sere. E qualcuno, a turno, s’addormentava. Sempre, però c’era chi
vegliava. Non si poteva lasciare il gregge incustodito. Occorreva vegliare. A
turno. Uno alla volta. Uno o due alla volta. Così tra una chiacchiera e l’altra,
accanto al fuoco acceso passava il tempo. Mai avrebbero sospettato che quella
era una notte particolare. Uguale alle altre ma, allo stesso tempo particolare.
Uguale alle altre, a tutte le altre innumerevoli notti, ma con un carico di
presente in più. Una notte come tutte le altre, ma molto più pesante. C’era un
carico di profezie che stava arrivando a compimento. In quella notte. C’erano
secoli di profezie che stavano rovesciandosi in un punto di presente che si
trovava nelle vicinanze di quella notte. Notte uguale a tutte le altre notti
passate a badare il gregge, ma allo stesso tempo diversa. Perché c’era
nell’aria un rumore strano, come se qualcosa stesse arrivando da lontano e si
stesse rovesciando. Improvvisamente. Bruscamente. C’era nell’aria un brusio che
sembrava venire da lontano. E i pastori avrebbero voluto dirselo. I pastori
avrebbero voluto dire che c’era un brusio, ma non lo fecero. I pastori si erano
accorti che quella notte, uguale a tante notti, a tutte le notti, aveva
qualcosa di diverso ma non lo dissero, lasciarono perdere, tanto sarebbe giunto
il giorno. I pastori, in realtà, si erano accorti che quella notte aveva
qualcosa di particolare. I pastori: questi uomini del silenzio abituati al
silenzio. Che cosa potrebbe a loro sfuggire? “Un angelo del Signore si
presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono
presi da grande spavento, ma l’angelo del Signore disse loro: “non temete ecco
vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella
città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 9-11).
Sublime mistero! Il tempo d’ora innanzi non
sarà più lo stesso. Sublime mistero di un tempo sconvolto dall’irruenza
dell’eterno. Nel tempo - dall’infinito nel finito. Dallo spirito nella carne.
Poveri pastori così silenziosi, così schivi al rumore. A loro è toccata
l’irruenza, quasi prepotente, dell’ineffabile messaggio angelico. Pastori
silenziosi. Erano intenti a sorvegliare il gregge in una notte come tutte le
altre notti. E all’improvviso l’angelo del Signore si presentò davanti a loro.
È vero che un po’ se n’erano accorti. Quei furboni dei pastori. Così
silenziosi, così notturni. Quei pastori. Così simili alle loro pecore tutte
uguali. Così simili alle loro notti. Tutte uguali. A loro è toccato di
assistere all’irruenza dell’Eternità. Nel tempo. Nel presente. In un’ora. In un
istante. Da tempo atteso. Da secoli annunciato. Quei pastori che facevano la
guardia al gregge furono avvolti di luce. La luce della gloria del Signore.
Quei pastori così schivi non erano abituati alla “grandeur” e, proprio
loro, furono avvolti dalla luce della gloria del Signore. Improvvisamente “un
angelo del Signore si presentò davanti a loro”. Sublime mistero.
Il miracolo si compie nelle più normali delle
giornate. Mistero dei misteri. Secoli di profezie giungono a compimento in un
giorno come tutti gli altri. In una notte come tutte le altre. In una notte
uguale a quella del giorno precedente. Gli angeli di Dio (“la giustizia si
affaccerà dal cielo”) si presentarono ai pastori in una notte come tante
altre notti (“la verità germoglierà dalla terra” (Ps 84, 12). 1992.
IL DENARO
Paolo
Cugini
Per chi intenda comprendere l’elemento caratterizzante della nostra
epoca contemporanea (1800-1900) non mi sembra azzardato affermare che tale
specificità vada cercato nel denaro. Il mondo occidentale, dalla rivoluzione
industriale in poi, si è identificato con il capitalismo. Dire occidente è la
stessa cosa che dire capitalismo. Se è vero questo, sarebbe importante
analizzare le condizioni di possibilità che il pensiero greco – romano aveva in
germe per approdare ad un tale punto di arrivo. Il capitalismo come teoria,
come sistema esistenziale era prevedibile a partire dalle categorie della
filosofia classica? Il capitalismo è la logica conseguenza della speculazione
filosofica classica passando per il pensiero cristiano? Sono domande
inquietanti, perché mettono in discussione tutto un modo di sentire e di
pensare, che cerca nei valori metafisici le ragioni di possibilità
dell’esistenza umana.
Da una parte, si nota l’origine speculativa, l’amore per la
riflessione astratta, concettuale, l’attenzione allo spirito e a tutto ciò che
ruota attorno a questa dimensione; dall’altra, si constata un mondo materiale
nel senso stretto del termine, un mondo cioè dove ciò che è importante è legato
a ciò che serve all’uomo per il soddisfacimento dei propri bisogni. L’occidente
nasce spiritualmente e sta morendo affondato nella materia. L’amore per lo
spirituale è stato soppiantato dal bisogno materiale. È evidente che,
un’analisi di questo tipo corre il rischio di essere troppo generalizzante, di
non cogliere alcuni aspetti fondamentali dell’evoluzione del pensiero
occidentale. In questa prospettiva, credo che il problema acquisti una visione
diversa se si considera il rapporto spirito/materia. Ogni volta che nella riflessione
speculativa si sono separati questi due elementi, si è giunti a situazioni ove
vengono radicalizzate le posizioni: spiritualismo e materialismo.
Su questa linea di ricerca è possibile individuare le cause
del capitalismo occidentale come un frutto in germe dalla stessa riflessione
della cultura classica. Il capitalismo è, dunque, l’eredità più limpida di una
tradizione di pensiero che ha separato lo spirituale dal materiale,
considerando quest’ultimo l’aspetto predominante della realtà. A partire da
un’antropologica dualistica è possibile giustificare il materialismo assoluto
contenuto nel capitalismo.
Sarebbe,
comunque, troppo restrittivo considerare il capitalismo come il frutto maturo di
una determinata tradizione filosofica. Esistono, infatti, altri fattori che
possono essere considerati come determinanti per l’affermarsi di una tale
materializzazione del mondo. Penso, a questo punto, al ruolo che la religione
ha avuto. Penso al ruolo giocato dalla Chiesa nei secoli, al suo contributo,
alla separazione tra spirituale e materiale. È chiaro che, in questa
prospettiva, il pensiero corre al potere temporale della Chiesa medioevale e di
come questo sodalizio sia continuato nelle epoche successive e continui, pur in
modo moderato, tutt’ora. Il problema, anche a questo riguardo, non consiste
tanto nel fatto, più o meno scandaloso, dei compromessi della Chiesa con il
potere temporale e della conseguente sua affermazione attraverso soprusi e
crociate. Credo che il problema vada ricercato nella stessa natura umana dalla
quale la Chiesa è costituita, come qualsiasi istituzione storica.
Il
denaro esercita su ogni uomo una forte attrattiva. Con esso, infatti, scorge la
possibilità di impossessarsi in breve tempo di tutto ciò che la natura sembra
avergli negato. O, ancora, con il denaro l’uomo avverte la possibilità di
appagare tutto ciò che altrimenti rimarrebbe per sempre inappagato: d’altronde
si vive una volta e basta e allora vale la pena rischiare tutto ciò che si
possiede e tutto ciò che è possibile fare pur di appropriarsi di questo
strumento di così grande potenza. In gioco c’è il senso stesso dell’esistenza
un senso che ha una matrice molto consistente: la natura umana.
(articolo del 1992).
mercoledì 5 gennaio 2022
POSTCRISTIANITA' E IL NUOVO CAMMINO DEL CRISTIANESIMO
Paolo Cugini
Dove il cristianesimo svanisce ritornano le forme
pagane (Chantal Delson).
Quali
sono gli elementi che ci possono indurre a pensare che l’epoca della
cristianità è finita? In primo luogo, il fatto che la Chiesa non incide più
nella società, non è più un tutt’uno con essa. La cristianità ha modellato per
secoli la società al punto che anche i riti religiosi erano parte del tessuto
sociale, che identificava un popolo. Oggi, chiaramente e, possiamo
tranquillamente dire, fortunatamente, non è più così, al punto che molti si
dichiarano atei. Anche coloro che si dichiarano credenti, hanno una scarsa partecipazione
alla vita religiosa. La cristianità è stata l’involucro che ha ricoperto dall’esterno
la cultura occidentale, ne ha plasmato anche alcuni valori, ne ha dato un’identità,
nel bene e nel male.
Com’è
potuto avvenire questo crollo epocale, questa fine di uno stile sociale così
significativo? Sono tanti i fattori che contribuiscono ad offrire elementi per
questa risposta. Si tratta, senza dubbio, di un cambio epocale, di un cambiamento
di paradigma che, per avvenire, necessita della convergenza di quei fattori che
l’avevano caratterizzata. La fine della cristianità porta via con sé un tipo di
cristianesimo, un modo di pensare e di vivere il rapporto con Dio. Dopo il IV
secolo d.C. la distanza dalle fonti della prima comunità cristiana segna il
passo dell’avvento della cristianità, che s’identifica progressivamente con una
forma politica e sociale: il Sacro romano Impero. Del cristianesimo primitivo,
cioè quello delle origini, rimangono i contorni esterni, assieme ad alcuni contenuti,
che acquisiscono significato per il servizio che offrono al mantenimento di una
specifica impostazione culturale.
I
temi del peccato, della salvezza, assieme a quelli del pentimento, della
conversione e della penitenza, temi evangelici ma svuotati del loro significato
profondo e, soprattutto, sganciati dal messaggio di misericordia di Gesù, sono
serviti per secoli a mantenere il popolo ignorante sottomesso al potere della
Chiesa. La cristianità è stata dunque una religione asservita al potere
politico, che ha creato un sistema di riti, una liturgia, una morale e una
teologia in grado di mantenere il popolo sottomesso, in perenne senso di colpa,
necessitato del perdono, che solo i funzionari della chiesa potevano elargire. Peccato,
colpa, penitenza, salvezza: sono i temi che hanno modellato la cristianità, la
sua struttura politico- sociale. Non è un caso che, una volta crollata l’impalcatura
esterna della cristianità, gli stessi contenuti da lei elaborati e propugnati,
si sono svuotati di significato e la gente si è allontanata da quella struttura,
che la teneva sottomessa.
Se
la cristianità come struttura sociale è svanita in poco tempo e nessuno ne
sente più la mancanza, ben diversa è la situazione sul piano prettamente religioso.
Secoli di riti, predicazioni, liturgie segnate dal tema del peccato e della paura
dell’inferno, hanno lasciato un segno profondo nella coscienza del popolo
religioso, hanno plasmato una mentalità. Non è bastato il Concilio Vaticano II
a scalfire il disastro spirituale perpetrato nel periodo della cristianità. Non
sono bastati i contributi delle più avanzate ricerche teologiche, esegetiche e
storiche, per dimostrare come tutto quello che era stato spacciato di cristiano,
in realtà non era altro che un grande inganno, una grande impostura, la grande
invenzione di una religione a servizio del potere. Secoli di inchini, di
turiboli, di culti dal linguaggio incomprensibile per la maggior parte, hanno
fatto credere in modo definitivo che la religione proposta dal Vangelo aveva quella
specifica forma. E così, mentre le cattedrali vengono chiuse e molte chiese
vendute perché i fedeli le hanno abbandonate, permane la religione che la
cristianità ha plasmato.
Basteranno
ancora pochi decenni per spazzare via i detriti di questa religiosità per fare
posto al Vangelo? La risposta non è facile. Di certo, quello che si vede oggi,
è la resistenza di coloro che non vogliono perdere la loro identità plasmata
dall’epoca della cristianità. Questo è il problema centrale. Chi identifica la proposta
di Gesù con quella specifica forma religiosa, non accetta il cambiamento. E
così, assistiamo al ritorno delle talari, delle liturgie pontificali, dei prelati
che con discorsi duri, dimostrano che vogliono ancora contare. In realtà,
questo stile religioso, non dice più nulla alla società, serve solo ai pochi
adepti, chiuso in loro stessi, per paura di quello che accade fuori. Ciò che
invece si sta delineando, è lo spazio per un nuovo modo di vivere il Vangelo ed
è proprio su questa nuova possibilità che va posta l’attenzione.