giovedì 29 aprile 2021

MAGGIO, MESE DELLE VEGLIE DI PREGHIERA PER LE VITTIME DELL'OMOFOBIA, LA TRANSFOBIA E OGNI DISCRIMINAZIONE

 




Anche quest’anno in Italia ed in Europa, come accade dal 2007, i cristiani LGBT e i loro genitori insieme alle loro comunità di fede organizzeranno nei giorni precedenti in occasione del 17 maggio, giornata internazionale per il superamento dell’omotransbifobia, tante veglie di preghiera ecumeniche e culti domenicali uniti dal versetto biblico «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Giovanni 15:12), per contribuire a superare la violenza dell’omotransbifobia che, come ci ricordano i ragazzi dell’Azione Cattolica di Tusa (Messina), è un dolore “causato dall’odio pregiudizievole verso persone colpevoli soltanto di esprimere loro stesse”.

Anche quest’anno i cristiani di tante comunità diverse (cattoliche, valdesi, battiste, metodiste, etc…) e di tanti paesi diversi (Spagna, Germania, Olanda, etc…) si ritroveranno insieme, in presenza e on line, e veglieranno in preghiera perché le nostre comunità siano “sempre più ‘santuari’ di accoglienza e sostegno verso le persone LGBT e verso ogni persona raggiunta da discriminazione”, come già auspicavano nel 2017 l’Opera per le Chiese Evangeliche Metodiste in Italia, la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, l’Unione delle Chiese evangeliche battiste e la Chiesa evangelica luterana in Italia, perché “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (Gaudium et spes, 7 dicembre 1965).

Perché c’è ancora bisogno di vegliare nelle nostre comunità cristiane contro l’omotransfobia? Scrive Carmine, un giovane cristiano LGBT:

“Innanzitutto, per mostrare a chi è solo che esiste un’ampia comunità di persone che abbraccia l’Italia tutta intera, che esiste e che ha fede che le cose cambieranno.

Secondariamente per alzare una voce all’unisono al di là dell’indifferenza politica e sociale in cui siamo immersi, indifferenza personificata in chi sente di poter parlare in generale, perdendo di vista un dato molto importante: dietro la sigla LGBTQ+ ci sono sempre persone uniche, con un proprio bagaglio di sofferenze e rifiuti, amore e amicizie. Allora vi chiedo, … vegliamo insieme?”.

 

Chi desidera maggiori informazioni può entrare nel sito del progetto Gionata:

https://www.gionata.org/

 

[l’articolo pubblicato è preso da materiale pubblicato sul progetto Gionata]

mercoledì 28 aprile 2021

LA RELIGIONE COME TENTAZIONE

 



 

Paolo Cugini

      È la difficoltà nell’attendere le risposte ai quesiti della vita, che ci fa correre incontro alla prima religione che ci capita sotto il naso che, nella stragrande maggioranza delle volte, coincide con quella che troviamo in famiglia. È la regione a basso prezzo, che ci costa poco, se non il prezzo di una misera candela elettrica. In fin dei conti, basta poco per tranquillizzare la nostra coscienza e tornare alla svelta al nostro lavoro quotidiano, che consiste, per dirla alla spicciolata, nel perdere tempo, nel far passare il tempo, senza pensare esattamente al perché delle cose, ai motivi per cui facciamo una cosa invece di un’altra. E il tempo passa, e a noi sembra lento, ci sembra fermo.

      Tentati continuamente dalla religione per non pensare, per metterci al riparo, per trovare un rifugio sicuro, con la garanzia della tradizione e, soprattutto, con altra gente che, forse, è la maggiore garanzia per chi fa fatica a cercare le proprie risposte. È la droga del senso comune, del si è sempre fatto così, del pensiero bell’e fatto. E poi ci sono i riti sempre uguali, con le stesse identiche parole che danno una grande sicurezza per tutti coloro che, impauriti dalla vita, cercano un sofà per riposare tranquilli, lontani dagli affanni.

     Bisogna aver imparato a camminare in solitudine alla ricerca di se stessi, di un senso delle cose che si vivono. Occorre aver iniziato a percorrere questo cammino sin dall’adolescenza, per divenire giovani che non indietreggiano dinanzi alla stupidità di massa, al senso comune che vuole entrare nei meandri della coscienza, per fagocitare tutto.

     Contro la forza dell'evidenza fatta religione, non c’è ragione che tenga. Quando il pensiero di un gruppo diventa uniforme, non è più possibile ragionare e, il pensiero diverso, il pensiero che pone domande e s’interroga, diventa pericoloso per l’intera comunità. In questi casi, per lo spirito libero, per colui che semplicemente cerca il senso delle cose, è meglio cambiare aria, andare altrove.

CONFESSIONE E SACRIFICIO

 



PAOLO SQUIZZATO

Sintesi: Paolo Cugini

 

Paolo Farinella, Il peccato e il perdono. Racconta quello che sente quando si mette nel confessionale. Abbiamo ridicolizzato il sacramento della confessione. È un sacramento in crisi. È un sacramento istituito dalla Chiesa tardivamente. Giacomo: confessate i peccati gli uni gli altri. È un sacramento che ha avuto vari cambiamenti. All’inizio avveniva una volta nella vita e quindi le penitenze si davano una volta nella vita e quindi ci si confessava alla fine della vita.

Nascono i libri penitenziali, i tariffari: ad ogni colpa la penitenza. Le penitenze erano molto dure. Ad un certo punto la pena si trasforma in denaro: nascono le indulgenze. Il purgatorio nasce per giustificare la pena che continua anche dopo la morte.

Riforma del sacramento. Malgrado la riforma c’è ancora grande crisi, perché la riforma non è stata applicata. Pensiamo ancora il sacramento com’era nel medioevo. Cosa ci dice il nuovo Ordo? Non si parla più di confessione: dire l’elenco del peccato. Ora il centro del sacramento non è il peccato, la colpa. Al centro del nuovo rito c’è la Parola di Dio e l’importanza dell’imposizione delle mani, l’effusione dello Spirito. I Vangeli ricordano la bontà di dio che è misericordia. Cambia tutto. Il sacramento significa comunicazione di vita divina.

Sperimentiamo che la vita è fragile, difficile, perché sono difficili le relazioni. La fatica delle ferite. E allora facciamo esperienza di un amore che ci abbraccia e ci risintonizza con Dio e poi, dopo questa esperienza, è tornare nel mondo riconciliato. Il frutto della confessione è come usciamo, come amiamo i fratelli e le sorelle. C’è un perdono ricevuto, che esige di essere donato. La confessione dell’elenco della spesa, e non ci cambia, siamo sempre gli stessi. Non si cresce in questo modo, se non c’è un’esperienza riversata sulle persone.

Confessione è risintonizzarsi sul cuore di Dio e lo fa non minacciando con dei castighi, ma con un’iniezione della sua vita in noi. Ecco perché è importante l’imposizione delle mani. Centro del sacramento non è il peccato, anche perché il peccato non offende la santità di Dio. Ci riconciliamo con i fratelli e sorelle attraverso l’amore che il Signore ci dona. L’amore non si può offendere.

Il criterio del sacramento è l’amore del Padre. Come ci si prepara? Con Luca 15 e Luca 19. Luca 15: il figlio esce di casa, tocca il fondo e vuole tornare. Dal padre riceve solo un abbraccio, non gli interessa dov’è stato, cos’ha fatto. Quello che è importante è l’esperienza presente, come figlio di nuovo del re e il figlio ricomincia a vivere.

Il peccato ha offeso me, non Dio. Ho bisogno di un amore che cura le ferite, davvero. L’amore è infinito.

Zaccheo. Uomo caduto e Gesù lo avvolge a casa sua. L’amore previene. Non gli chiede pentimento.

 

SACRIFICIO

C’è in sottofondo l’A.T. Gesù vede a Gerusalemme una situazione specifica della religione del tempio. Intorno al tempio di Gerusalemme vi era una organizzazione spaventosa: venti mila sacerdoti vi lavoravano, 24 turni settimanali. C’erano i leviti, che erano aiutanti. Nel Tempio lavoravano tra 50/ 60 mila persone. Le loro funzioni cominciavano prima dell’alba con la pulizia. Solo all’alba si portava l’agnello da sacrificare. L’agnello doveva essere perfetto in tutte le sue parti. Poi venivano aperte le porte del santuario. Ci volevano decine di persone per aprire i portali. Il rumore dell’apertura delle porte si sentiva fino a Gerico (25 km).

Sacrifici: si tratta di animali domestici, che vengono sgozzati. Il sangue veniva versato sull’altare e il resto macellato. L’animale bruciato viene chiamato olocausto. L’idea di sacrificare una vittima è richiesta dalla Torah per avvicinarsi a Dio. Anche Gesù è stato allevato in una famiglia osservante, religiosa: era questo il clima naturale di una coppia d’Israele. Si sacrificava per diversi motivi: salute, ringraziamento, lode. Tutto veniva donato al sacerdote. Offrire, sacrificare qualcosa di sé per far piacere alla divinità. È un’idea comune alle grandi culture. In alcune culture era sacrificato il primogenito per aggraziarsi la divinità.

Sacrificio di Isacco. Abramo lo fa, sale il monte Moria, che oggi è la parte più alta di Gerusalemme. Questo episodio è significativo perché si suppone che all’epoca in cui è stato scritto vigessero i sacrifici umani e per interromperli è stato scritto questo testo.

Gesù ha sperimentato tutto questo, ha visto tutte queste scene di violenza. Ha visto i sacerdoti arricchirsi con questo sistema commerciale dei sacrifici. Gesù spettatore ad un certo punto dice basta.

Nel film “Io sono con te” c’è questo aspetto del sacrificio, di Gesù che assiste a questo spettacolo del sacrificio e si chiede: perché Dio ha bisogno di tutto questo sangue. Dio non è il dio dei sacrifici. Dio non ha bisogno dei nostri sacrifici. Con Gesù si passa dalla logica del sacrificio alla logica evangelica del dono. Il Dio di Gesù chiede il dono di sé e non del sacrificio. Nella dinamica del dono si condivide ciò che è prezioso. Dare le primizie alla divinità per far piacere alla divinità, con Gesù cade. Nella dinamica del dono si dona ciò che è prezioso ampliando la propria vita, non la consumazione, la frantumazione, Nel dono c’è l’intensificazione della vita. Nel donare c’è un atto di accrescimento. Nel sacrificio c’è l’idea di mortificazione. Faccio morire una cosa sperando che Dio mi dia vita. Nella croce ad essere salvifica non è la morte, ma il dono d’amore di sé. È l’amore che scavalca la morte, non un atto mortificante. La mortificazione non produce nulla. L’amore è fecondo.

Misericordia io voglio, non il sacrificio: più chiaro di così!

Sacrificio: sacrifcium: sacrum facere: azione sacra per unirsi alla divinità. Rendo sacro un’azione per potermi legare a Dio in un atto religioso. Torna l’idea del fare l’azione sacra per essere ben accetti a Dio. Questa idea, molto forte nella religione ebraica, è passata ed è rimasta nel cristianesimo. Non si offre più nel cristianesimo animali, ma peggio ancora, si sacrifica se stessi. È passata l’idea del disprezzo di sé. Più mi disprezzo, più Dio è contento. Si dà importanza alle rinunce, Alle mortificazioni. È la logica del fioretto. È un’idea che non è evangelica, perché ha il sapore di morte. Gesù dice e annuncia il Dio dei vivi e non dei morti. Aggiunge vita e non la toglie. Che idea di Dio ci siamo portati entro per secoli? Como può avere senso un Dio che è contento della mia mortificazione, della rinuncia a vivere?

Quando Gesù banchettava e diceva che non c’è nessun elemento che rene impuro l’uomo, stava rompendo lo schema sacrificale. Amare Dio con tutto il cuore, con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e sacrifici. Già i profeti lo dicevano che Dio non accetta i sacrifici, gli olocausti. Dio desidera l’amore, la vita. Il Vangelo è chiarissimo: l’unica azione capace di donare la salvezza, non è il sacrificio, ma l’amore misericordioso verso gli uomini e le donne. Non si può parlare di croce come sacrificio, perché la croce è un atto d’amore. La croce non tocca Dio.

Il problema è con Paolo, che gli rimane tutto il vocabolario sacrificale. Paolo non è stato capace di abbandonare il bagaglio della cultura ebraica di cui era inzuppato. Paolo è certo che Dio salva attraverso il sacrificio.

Sacrificio: dobbiamo capire il senso. L’unico sacrificio è quello di Gesù. Sulla croce Gesù ha vissuto la croce come conseguenza ultima dell’amore. Gesù ha amato sino alla fine gli uomini e le donne. Solo l’amore per gli altri è Vangelo.

Gc 1,27: una religione pura e senza macchia è visitare gli orfani e le vedove. Tutto il resto non tiene. Chi perde la vita per gli altri, per amore, la acquista.

Cristo come sacerdote. Gesù non era sacerdote. Nel Vangelo non se ne parla. Gesù non ha istituito i sacerdoti. I presbiteri sono un’altra cosa dai sacerdoti. I presbiteri sono gli anziani della comunità, anziani come carisma. Gesù non è mai al tempio, oppure lo si trova a guarire e a insegnare, perdonare, mai a celebrare.

Il tempio come spelonca di ladri. Gesù non ha mai letto la sua morte come sacrificio gradito a Dio. Gesù è il profeta contro il sacerdote. Profeta è colui che denuncia un potere. Tutto questo è passato all’eucarestia: il sacrificio eucaristico.

Nella messa si parla tantissimo di sacrifico. Nel NT non c’è la parola sacrificio.

Siamo vittime di questa tradizione che ci pesa sulle spalle. Non è solo di parole, ma il fatto che le parole hanno un peso.

Misericordia: aiutare a far respirare.

martedì 27 aprile 2021

IL PECCATO ORIGINALE - PAOLO SQUIZZATO

 



17 DICEMBRE 2017

 

Sintesi: Paolo Cugini

Che cosa è venuto a fare Gesù sulla terra? È venuto a deporre i potenti dai troni e ad innalzare gli umili (Lc 1). Gesù ha provato a contestare un ordinamento politico e religioso ingiusto, un potere che sfigurava l’uomo. Gesù si è reso conto che c’era un mondo di donne e uomini che avevano bisogno di assaporare un po' più di felicità, perché schiacciati dal potere politico e religioso. Gesù incarna, attualizza e attua la profezia di Isaia 61. Ha reato uno spazio di libertà; è venuto ad instaurare il regno di Dio. Gesù è venuto a fare questo.

Gesù ha risposto al bisogno degli uomini più che al dovere a Dio, per questo lo hanno ucciso.

La croce in questa ottica, è la conseguenza del tentativo di Gesù di amare l’umanità per risollevarla alla piena dignità. Croce conseguenza naturale che l’amore di Gesù per gli uomini e le donne. La teologia della croce non c’è nel Vangelo. Gesù non ci ha salvati con la sua croce, quindi la croce non ha nulla di redentivo.

L’impegno di Gesù avrebbe dovuto passare ai suoi, ai discepoli. “Voi farete cose più grandi di me” (Mt 10). Portare la propria croce significa portare le conseguenze dell’amore. Se cominci ad amare, sperimenterai la croce. La croce conseguenza di chi si mette sulla strada dell’amore e non un atto redentivo di per sé.

Subito dopo Gesù è successo qualcosa di devastante. Abbiamo cominciato a dare alla croce un significato più nobile. Lc chiama Gesù il giusto sofferente. Paolo lo considera un capro espiatorio. Giovanni lo vede come agnello pasquale. È come se l’amore non valesse più. Si è fatto della croce come qualcosa di religioso, come offerta di Gesù. Cadiamo nell’assurdo, perché facciamo di Gesù un autolesionista. Croce come offerta di Gesù alla divinità per ottenere dei favori: è il capro espiatorio. Questo ragionamento non ha nulla di evangelico, anche se è stato affermato da Paolo e da Giovanni. Si è fatta saltare l’azione di Gesù con una teologia veterotestamentaria. Gesù passa dall’essere il liberatore (Lc 4), l’amico dei disperati, a Cristo redentore, salvatore ed eterno sacerdote: cosa che Gesù non è stato. Perché la Chiesa subito si è sentita in dovere di dare alla croce e all’eucarestia un significato diverso? Gesù è morto perché ha voluto risollevare i poveri e il potere glielo ha impedito.

Dt 21,23: chi pende dal legno è maledetto. Morire crocefisso è una maledizione divino. I primi cristiani predicano un Cristo redentore, dando un significato più grande di quello che aveva. La croce era riservata ai ribelli. Hanno interpretato la croce con le categorie del giudaismo con le categorie del sacrificio e con l’espiazione. Dal III sec si è aggiunto anche la soddisfazione. Si è incominciato ad interpretare la croce come atto sacrificale, di espiazione e di soddisfazione., La teologia della redenzione e salvezza nasce da qui. Il peccato diventa il centro di tutto. La sofferenza di Gesù non conta più nulla.

Visto che c’è un’umanità peccatrice, c’era bisogno che Dio mettesse le cose a posto. Lo ha fatto con suo Figlio che ha redento, riacquistato, pagato lui per tutti così l’umanità può ripresentarsi pulita davanti a Dio. Gesù ha pagato per tutti. Gesù con la croce, ha calmato l’ira di Dio. Questo ragionamento è follia. Decisivo era eliminare il peccato, anche a costo di sofferenze. Anche oggi diciamo che Gesù ci ha salvati con la sua croce. C’è dietro l’idea che l’umanità fosse bisognosa di essere salvata: non è vero, perché non era razza dannata. Gesù morì come un maledetto, espulso, morto fuori, come un reietto, tra atroci sofferenze, abbandonato da tutti, anche da Dio (Mc 15,34). Morendo così Gesù diventa un simbolo degli umiliati della storia. Gesù morendo così ha compiuto il disegno di Dio, non per guarire, redimere l’umanità. Dio che manda suo figlio a morire è un dittatore. Non siamo stati salvati dal sangue di Cristo. La sofferenza non salva, non redime. Salva e redime l’amore. Gesù compie il disegno di Dio, perché Dio si mettesse dalla parte degli ultimi, dei diseredati sino alla fine. Gesù ha portato le conseguenze ultime del suo mettersi dalla parte degli ultimi: non si è tirato indietro.

Mettersi dalla parte dei poveri e poi si comincia a vivere la via dell’amore. Se questa croce mi fa morire, significa che è l’unico modo per avere indietro la vita. Gesù ci ha salvato, dandoci un esempio.

Resurrezione. Gesù era già il risorto quando è salito sulla croce: per questo è vissuto per sempre. È l’amore che vince la morte, non la sofferenza. Non ci ha salvati con il suo sangue, ma con il suo amore. Ci ha salvati il suo esempio: se viviamo da Dio, con amore, allora non conosceremo la morte. La morte di croce è l’estrema solidarizzazione con l’umanità.

Costantino: la croce diventa trofeo che chiede rispetto. Vivere la nostra vita sulla modalità dell’amore.

Ha senso parlare di Cristo redentore? Teologicamente no. La morte è una conseguenza, non il fine. C’è dietro la visione sacrificale. Dal punto di vista del Vangelo non regge, non tiene.

Agnello di Dio: capro espiatorio degli antichi ebrei. La croce è stata letta in maniera giudaica, perché arriva da tutta questa teologia.

Il peccato originale è questa visione, questa massa dannata che ha bisogno di essere redenta.

Peccato originale: quando è nata questa idea? È stato agostino nel V secolo. Questa dottrina è nata a scopo apologetico, per salvare Dio dall’accusa di aver introdotto il male. È colpa degli uomini. Adamo ed Eva, i primi due, hanno disobbedito, hanno commesso un peccato, che per Agostino era un peccato sessuale, hanno offeso Dio e questo peccato è passato ai figli, nipoti, ecc. Ha inzuppato tutti gli uomini venuti al mondo.

Oggi una spiegazione del genere fa sorridere. Drammatico è il catechismo della Chiesa Cattolica, che su questa cosa è un disastro, perché passa l’idea che sia veramente vissuto Adamo ed Eva. Nel Catechismo c’è Adamo ed Eva, ma non c’è la parola evoluzione. Perché la gente non segue più la chiesa: ma come fai?

CCC 397: l’uomo tentato dal diavolo. Gli ebrei non credono al peccato originale, perché è un’invenzione dei cattolici. È un testo recente Gen 3, ed ha uno scopo didattico.

CCC 400: la morte entra nella storia dell’umanità. I bambini che nascono devono scontare la pena del peccato di Adamo ed Eva. Il Battesimo toglie il peccato originale.

CCC 403-404: Il bambino nasce con un peccato contratto, ma non commesso. È molto strano.

Genesi 3: non è un racconto storico. Ha uno scopo didattico. L’autore vuole dire che l’uomo – adam – e donna sono esseri che all’inizio di ogni giorno fanno esperienza nella propria carne della fatica di andare avanti.

Il mondo non scaturisce da un peccato originale, ma da un amore originante. Siamo in costruzione da migliaia e migliaia d’anni. Ci stiamo sviluppando, stiamo crescendo. Siamo in divenire. Si cresce per prove ed errori.

Eden: c’è in tutte le grandi civiltà, non sta alle spalle, ma davanti. Siamo in tensione verso un paradiso, il regno di Dio. Stiamo lottando perché s’instauri attraverso la nostra crescita personale, affinché gli umili, i poveri possano ricuperare dignità.

Ortensio da Spinetoli: il testo di Gen 3 è una pagina sapienziale che un libro storico. L’uomo è un capolavoro dell’altissimo. Non abbiamo bisogno della zattera della croce di Cristo. Siamo capolavoro dell’altissimo.

Esistere: stare in tensione verso il futuro. Siamo in cammino. Fallibilità creaturale. Siamo povere creature che ogni giorno cercano di crescere un po' di più.

Se facciamo cadere il peccato originale, cade l’immacolata concezione, questa donna, che è nata senza la macchia di peccato originale e ci è stata fornita come modello. Sembra un Dio che fa preferenze.  Salta soprattutto l’idea di Gesù Salvatore e redentore. Va in crisi la teologia, non il Vangelo. Gesù non è la vittima di espiazione, perché Dio non l’ha mai chiesto.

Non basta obbedire ai dettami della Chiesa. Dio ci vuole persone intelligenti.

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=wP7PTIezgRE

 

L’INGRESSO DEL PECCATO NEL MONDO – VITO MANCUSO

 



Sintesi: Paolo Cugini

 

[L'intervento integrale di Vito Mancuso, ordinario di Storia delle dottrine teologiche all'Università di Padova, in occasione della quinta edizione di Colloquia, il Festival delle Idee organizzato dalla Fondazione Banca del Monte 'Domenico Siniscalco Ceci' di Foggia e dalla Biblioteca Provinciale di Foggia 'La Magna Capitana'. Il tema della relazione sviluppata sabato 24 marzo da Vito Mancuso è stato: "L'ingresso del peccato nel mondo'"].

 

Mito della perfezione iniziale, che non conosci il darsi effettivo delle rivoluzioni, che ha portato all’idea del peccato originale e ad una visione del mondo insostenibile.

L’ingresso del peccato nel mondo: è valido solo per determinate scuole di pensiero.

Posizione monista: nega che nel mondo ci sia il male. Il peccato non c’è nel mondo. Spinoza: l’idea di un bene che si contrappone al male è infondato. Spinoza nella sua Etica dice: la realtà e la perfezione sono la medesima cosa. Il pensare che nel mondo ci sia il male è perché ragioniamo dal nostro piccolo punto di vista, senza riuscire ad elevarci al punto di vista del tutto, dell’insieme. La malattia è la conseguenza di una logica evolutiva alla quale dobbiamo la vita. Se non ci fosse quella mutazione che dentro di me si chiama tumore, non ci sarebbe stato nel passato quella mutazione che ha originato gli esseri umani. La medesima logica che sta alla base delle malattie genetiche, l’evoluzione non ci sarebbe, perché l’evoluzione ha bisogno delle mutazioni. La domanda etica che distingue tra bene e male è immatura.

Marco Vannini: è il mio egoismo che mi fa pensare che ci sia bene e male. Il pensiero del male è radicato nell’io. Tutto ha un logos, una ragione. Non c’è irrazionale, il male. Pensare il male è pensare male.

Mancuso: Pensare il male non è per niente pensare male, perché l’uomo come essere capace di oltrepassare le determinazioni della biologia, l’uomo fa il male. Compito del pensiero umano è pensare il male.

Posizione dualista: dire mondo e dire male è la stessa cosa. Non c’è un mondo necessariamente buono per cui il male entra. È il mondo in quanto tale, è la vita che è male. Questa vita per esserci deve sopprimere la vita. Perché ci sia vita ci dev’essere morte. L’esperienza di chi attende il bene provoca il pensiero che il male struttura ogni cosa. Manicheismo, gnosticismo: nascono da questo pensiero. Il creatore del mondo è malvagio, in questa prospettiva di pensiero.

Platone contiene entrambe queste visioni.

Il problema vero ce l’ha il cristianesimo, perché per il cristianesimo il mondo è creato buono per il bene dell’uomo. Ireneo: la gloria di Dio è l’uomo vivente. Il mondo è intriso di male: la Bibbia lo sa. Problema: se Dio c’è, da dove viene il male? Questo è il problema di fondo del cristianesimo. È una questione complessa della teodicea, che ancora oggi non è risolto. È il problema. Come si esce? Smontando la risposta ufficiale che sostiene il peccato originale: originante e originato. Originante: è l’evento del mangiare il frutto proibito, che ha provocato l’uscita dal mondo perfetto. Questo elemento non tiene, perché storicamente inconsistente: monogenismo. Veniamo da molteplici soggetti umani e non da un’unica coppia. Implausibilità dello stato originario. Adamo era del tutto perfetto: la scienza ci mostra che il passato evolutivo dice dell’imperfezione iniziale. L’idea di una perfezione iniziale è un mito. L’ebraismo non ha mai letto Gen 3 come la fondazione di un peccato originale originante. Nella Bibbia non c’è nessun profeta che ne parla. Quella pagina non parla del peccato originale. La cosa più catastrofica riguarda il peccato originale originato: il bambino che viene al mondo è soggetto ad una colpa originaria, che gli viene trasmesso a seguito del peccato di Adamo ed Eva. Si nasce gravati da una colpa. Nascere significa essere colpevoli, perché si parla di peccato. Quali sono le cose che non reggono? In primo luogo non si capisce la logica della trasmissione. In che modo glielo trasmettono i genitori (attraverso la libido dell’atto sessuale, si diceva). La teologia tradizionale non sa rispondere. È un problema che va superato. Tutto ciò è in contraddizione con la logica della morale: è in contraddizione con il principio della libertà. Nella misura in cui noi agiamo responsabilmente nel mondo, agiamo in maniera interessata. Si deve parlare di caos originale. Così come il mondo inizialmente non è stato creato del tutto perfetto, così la vita è logos più caos. La vita nell’evolvere ha bisogno di mutazione, di piccole catastrofi. L’intreccio: logos più caos. La parte cattolica sottolinea molto la dimensione del logos e la parte laica sottolinea la dimensione del caos che diventa caso. Occorre smontare la teologia: non c’è un peccato originale, perché non c’è la perfezione originale. Ci sono delle leggi fisiche, ma l’evoluzione avviene attraverso una continua modificazione, disordine più ordine. Non c’è un ingresso del peccato nel mondo; c’è un mondo che evolve, produce la libertà e a seguito dell’apparire della libertà umana appare il peccato.

 

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=aejgQZ34mAw

lunedì 5 aprile 2021

CONSIGLIO DI LETTURA: INTRODUZIONE AL PENSIERO DI CHARLES PÉGUY

 


 

 

Paolo Cugini

In queste righe desidero motivare il consiglio di lettura del libro che ho scritto sul pensiero filosofico e religioso di Charles Péguy pubblicato dalle Edizioni San Lorenzo.

 

 

       Sfogliando le pagine dell’opera di Charles Péguy (1873-1914), si ritrovano anticipate quelle critiche alla modernità, che hanno caratterizzato il dibattito filosofico sulla postmodernità degli ultimi decenni. La pluralità delle visioni, dei modi di dire e di narrare la realtà, è spesso stata identificata come apertura alle derive relativiste e, di conseguenze, un ostacolo per la comprensione della verità. Abituati da millenni a leggere la realtà con gli schemi della logica aristotelica, del principio di non contraddizione, facciamo ancora oggi molta fatica a vedere nella posizione differente dalla nostra, nel punto di vista altro, non un limite, una limitazione, una contraddizione, ma un valore, un aspetto di verità da porre a lato del nostro, senza voler a tutti i costi fare una sintesi. Péguy ci aiuta a porci in quell’unico punto della storia in cui diventa possibile ascoltare la realtà così come si manifesta, nella sua dinamicità e pluralità: il presente.

La realtà esige di essere ascoltata, direbbe Péguy. Non si possono fare i conti senza l’oste. Quello che è sotto gli occhi di tutti è un mondo che, più che essere ascoltato, è stato interpretato. La storia di questi ultimi decenni ci sta insegnando che non possiamo pensare di prevedere il futuro dell’umanità escludendo dai nostri calcoli la realtà, la vita. Soprattutto però, questa triste e drammatica esperienza che stiamo vivendo, c’insegna che la vita, la natura, la realtà sfuggono al tentativo di essere ingabbiate e interpretate da una semplice serie di logiche. C’è tutta un’imprevedibilità che la vita porta con sé che, più che interpretata dev’essere ascoltata, accompagnata. Cercare un pensiero che ha percorso questo cammino, che si è messo in ascolto della realtà, che ha considerato la pluralità dei punti di vista come una ricchezza più che un limite, che in definitiva si è messo a servizio della vita e della natura più che servirsi di essa: è questo, forse uno dei grandi compiti della cultura Occidentale ed è per questo motivo che ancora oggi sfogliamo le pagine di Péguy.

Affascinanti sono le sue pagine che dedica alla riflessione sui vangeli. Come nelle pagine di poesia e di prosa, anche in queste più specificamente spirituali o, per alcuni, mistiche, Péguy riesce a scoprire novità di significati e di contenuti, analizzando testi ascoltati da sempre e che in apparenza non avrebbero la possibilità di dire nulla di nuovo. Se è vero che è importante ascoltare la realtà, senza volerla anticipare con angusti sistemi di pensiero, che rischiano costantemente di reprimerla, lo stesso vale nel rapporto con la Sacra Scrittura. Troppe volte, secondo Péguy, si è trattato la Scrittura come se fosse un pezzo di materia freddo e distaccato, anticipandone il senso attraverso una griglia concettuale. Ascoltare la Scrittura significa, per Péguy, anzitutto liberarla dagli schemi freddi del metodo moderno, per seguirla pazientemente dove lei vuole condurre il lettore, e cioè alla conversione nel cuore.  Questa relazione stretta tra filosofia e religione, tra metodo intuitivo e poesia, mi sembra una delle caratteristiche specifiche dell’opera di Péguy.

Più si legge Péguy più si rimane meravigliati dal suo percorso culturale, che allo stesso tempo è esistenziale e spirituale. Amante della vita, ha guidato per mano – una mano spesso ruvida – la propria generazione tra le selve oscure del mondo moderno, per riuscire a cogliere quei barlumi di verità che esso lasciava trapelare. Immerso nel presente, gli è venuto incontro l’Autore del tempo. Dal momento in cui Péguy si è sentito avvolto dall’amore del Padre, non ha più smesso di guardarlo. Le sue ultime opere possono essere lette come un inno estatico d’amore. La scoperta inattesa di vivere nel presente fianco a fianco con il Figlio di Dio fatto uomo, lo ha sconvolto a tal punto da non abbandonare mai la riflessione su questo mistero insondabile. Egli che ha cercato affannosamente e tra mille difficoltà e incomprensioni la Verità è stato scoperto e trovato dalla stessa. La sua opera è la testimonianza di questo incontro d’amore e, per questo ne consiglio la lettura.

Chi volesse leggere le pagine del mio libro di presentazione del pensiero filosofico e religioso di Charles Péguy può cliccare qui:

Edizioni san Lorenzo:

https://www.edizionisanlorenzo.it/products/mondo-moderno-e-religione-di-paolo-cugini

 

Amazon: https://www.amazon.it/moderno-religione-Introduzione-pensiero-Charles/dp/8880713221/ref=sr_1_1?dchild=1&qid=1617606623&refinements=p_27%3APaolo+Cugini&s=books&sr=1-1

 

Feltrinelli: https://www.lafeltrinelli.it/libri/mondo-moderno-e-religione-introduzione/9788880713227

 

 

venerdì 2 aprile 2021

SOPRAVVIVERE ALLE FERITE MORTALI

 

 

Paolo Cugini

Un conto sono le ferite lievi, quelle che le curi anche leccandotele, quelle ferite che lo vedi subito che non saranno troppo dannose e quasi ci ridi sopra. Poi, ci sono quelle un po' più profonde, quelle che lasciano il segno e un po' ti spaventano perché ti costringono a fermarti e non le puoi curare solamente con una leccata. Esigono una visita, un medico, delle cuciture: insomma, una cosa seria.

Poi, a volte, arriva il giorno della ferita, che capisci subito che sembra senza cura, sembra qualcosa d’irreversibile e che farai fatica a saltarci fuori. Ci sono degli eventi, che alcune persone vivono nella vita, che producono ferite di una tale forza, con una tale violenza, che non hanno cura, sono senza ritorno, definitive. Con il tempo, per chi sopravvive, si possono cicatrizzare, lenire, ma faranno per sempre male. Quante notti piangerai, quanti giorni passerai pensando a quegli eventi, a quel dolore che ti prende l’anima e non ti lascia in pace. In quanti momenti cercherai di capire com’è potuto succedere. Quanta disperazione invaderà il cuore, per la percezione che non c’è cura, non c’è rimedio, che il dolore sarà infinito, per sempre.

E allora c’è chi non resite, che non riesce ad aspettare. Come biasimarli. Anche perché è facile parlare del dolore dell’altro, dare consigli sul dolore altrui, quando tu non sai nemmeno che cos’è, non capisci neanche di che cosa si sta parlando. Se almeno tacessi, faresti meno male e farebbe meno male! C’è chi invece, ed è la maggioranza, cerca il cammino della dimenticanza, dello stordimento, proprio perché ha capito che non c’è cura ed è stufo di sentire il dolore venire su dall’anima.

Ci sono altri, infine, che proprio dentro questo cammino di eterno dolore, percepiscono la presenza di colui che solo può guarire le ferite mortali ed arrivano a gridare: felice ferita che mi ha permesso di rinascere!