C’è una sensazione di vuoto spirituale che si percepisce nella vita delle comunità cristiane. Si fa fatica a cambiare di
paradigma. Si fa fatica a vivere la fede non solo in un clima di minoranza, ma
anche si fa fatica a pensarsi in modo diverso. Veniamo da secoli e secoli in
cui tutti erano cristiani e il cristianesimo era la forma della società. Le
messe, i sacramenti, i rituali, le feste liturgiche hanno plasmato la struttura
sociale dell’occidente. Ora che tutto questo mondo è crollato, nessuno si sente
più obbligato ai rituali cristiani.
Nell’epoca
della cristianità non partecipare alla vita religiosa significava la dannazione
eterna, l’inferno nel futuro. Ora che l’involucro sacrale non c’è più, son
svanite tutte le paure. Che cosa ci rimane? La fine della cristianità coincide
con la fine della religione come forma sacrale, che plasma la società. La
cristianità ha veicolato un messaggio che faceva coincidere l’apparenza sociale
con l’appartenenza alla religione, alla chiesa. Il problema adesso è vivere la
fede promossa dal Vangelo senza la pretesa che alla società interessi. È questa
una fase delicata perché, nonostante l’epoca della cristianità sia terminata, rimangono
ancora presenti nella società tutta una serie di rituali e di elementi sacrali,
che hanno identificato per secoli l’appartenenza alla vita sociale e che sono
rimasti all’interno del tessuto sociale, nonostante non se ne conosca e non si
comprenda il significato. Molti genitori, nonostante non credano nel Vangelo e
non frequentano una chiesa, si rivolgono alla chiesa per battezza i loro figli
o per chiedere di partecipare al cammino per i sacramenti, provocando perdite
di tempo, tensioni a non finire. Ci si rivolge alla chiesa come se fosse un negozio
qualsiasi, in cui chiunque ha il diritto di comprare quello che vuole. È senza
dubbio una fase di passaggio che, come tale, sarà destinata a sparire. Fase di
passaggio che è portatrice di tensioni tra coloro che gestiscono la vita
religiosa e che non sempre hanno la coscienza del passaggio che stiamo vivendo,
e le persone che vivono la religione solamente come appartenenza sociale.
Poi
verrà il tempo in cui potremo vivere la proposta di Gesù in piccoli gruppi, tra
coloro che hanno accolto il messaggio del Vangelo e hanno fatto delle scelte a
riguardo, senza dover rendere conto ad una società che, ormai, ignorerà ciò che
è divenuto minoranza e non ha più la pretesa d’incidere sulla società, per lo
meno dal di fuori. Saremo come il fermento nella massa – finalmente! -, liberi
dalla tirannia dell’apparenza e della prestazione a tutti i costi. Ci troveremo
nelle case, anche perché, nel frattempo, le chiese e le cattedrali saranno già
state riconvertite in strutture di uso sociale e collettivo. Ed è nella
dimensione familiare della casa che potremo riassaporare il gusto di una diversità
di vita, di scelte, che solo il Vangelo sa offrire, liberi dall’affanno di dover
dimostrare qualcosa. In quel tempo, ci saremo liberati delle cattedrali, delle
pesanti strutture ecclesiali, delle processioni, delle statue, degli abiti
liturgici, da tuti quegli orpelli frutto della rincorsa sfrenata che la chiesa
ha fatto per secoli al potere, pagando un prezzo altissimo. Non vedremo più per
le strade qui personaggi vestiti di nero, simbolo di una morte prematura,
quando invece avrebbero dovuto indossare gli abiti colorati della gioia. Ci
sarà pace nei nostri cuori credenti nel Vangelo, in Gesù Cristo e ci saremo
finalmente liberati da quelle dottrine costruite apposta per contare qualcosa
nel mondo.
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