martedì 24 gennaio 2023

OMOSESSUALITA': CHE COSA DICONO LORO?

 


Siamo arrivati al termine del percorso. Venerdì incontreremo le testimonianze di Luca e di una coppia: Beatrice e Giampiero. L'incontro è in presenza ma, come gli altri, può essere seguito anche in meet:

https://meet.google.com/rhv-smys-kbe

 

lunedì 23 gennaio 2023

LA CHIESA E L’OMOSESSUALITA’. SINTESI DELL'INCONTRO DI VENERDI 20 GENNAIO 2023

 




Paolo Cugini

Nel secondo incontro sul tema fede e omosessualità ci siamo chiesti quale sia il tema della Chiesa in proposito. Un primo dato da chiarire è che il materiale che offre il Magistero della Chiesa sul tema in questione lascia aperta la riflessione critica. Non ci troviamo, infatti, dinanzi a documenti di tipo dogmatico, come le affermazioni sulla Trinità o sull’identità di Cristo, sui quali il discorso è già stato chiuso da secoli. Sul tema dell’omosessualità la Chiesa ha sinora prodotto degli orientamenti pastorali (1986), delle affermazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992) e delle indicazioni contenute in alcuni documenti della Congregazione per la dottrina della fede (1975, 2021). Ciò permette ai fedeli un ascolto attento e ai teologi la possibilità di continuare la ricerca per aiutare la Chiesa a comprendere sempre meglio il fenomeno alla luce della rivelazione. La lettura che abbiamo fatto dei testi la sera del 20 gennaio ci ha mostrato il pensiero tutto sommato negativo sull’omosessualità e, ancora di più sugli atti omosessuali considerati “intrinsecamente disordinati”. Il testo del 1986 non vede con favore il lavoro che l’esegesi biblica stava svolgendo in quel periodo, vale a dire quelle che avrebbe poi sostenuto il documento della Pontifica Commissione Biblica che, come abbiamo visto, nel 2019 sosteneva che “Non troviamo nelle tradizioni narrative della Bibbia indicazioni concernenti pratiche omosessuali”. Il giudizio negativo sulle persone omosessuali deriva dalla tradizione elaborata dalla teologia di San Tommaso (XIV secolo) che parlava di un atteggiamento contro natura. Alcune prospettive teologiche attuali sostengono che, facendo riferimento alla rivelazione, più che una fondazione che fa riferimento alla legge di natura, che è un concetto teologico, occorrerebbe fare riferimento alla relazione. “Adottare il modello relazionale, più in linea con il pensiero ebraico-cristiano che il modello naturalistico di matrice filosofico-aristotelica, significa apprendere a valutare i comportamenti interpersonali osservando prima di tutto il livello di relazionalità conseguito” (G. Piana). Su questa linea, alcuni autori (Forcades, Migliorini e Piana) fanno notare che il Concilio Vaticano II ha indicato che fine del matrimonio non è solo procreativo, ma anche unitivo. Per questo motivo il filosofo Migliorini sostiene che: “riconoscere il valore dell’unione di persone omosessuali significa prendere sul serio il valore unitivo del matrimonio, vale a dire il valore della responsabilità di prendersi cura dell’altro, in una relazione di fedeltà” (2014). Per riuscire ad impostare il problema in modo nuovo occorrerebbe partire dalla realtà. L’indicazione del nuovo cammino l’ha offerta papa Francesco quando nell’Evangeli Gaudium ha affermato che la realtà è più importante dell’idea e una riflessione teologica deve partire non applicando schemi precostituiti, ma ascoltando la realtà per poi elaborare una riflessione teologica. Ogni riflessione deve poi tener conto dell’insegnamento di Gesù, che si è sempre messo dalla parte degli esclusi, delle minoranze, dei poveri. Se una teologia considera non naturale una minoranza di persone, è a partire da questa minoranza che occorre rielaborare una riflessione teologica che abbia il sapore del Vangelo. È quello che sostiene la suora e teologa spagnola Teresa Forcades. “Non vogliamo vedere la complessità della realtà che ci circonda, ma è importante prenderne visione affinché la nostra teoria ne tenga conto”. Infine, il teologo italiano Andrea Grillo ci aiuta a comprendere che quando parliamo di omosessualità stiamo parlando di persone e il linguaggio eccessivamente duro utilizzato dalla Chiesa nei suoi documenti, sembra dimenticarlo. Se un comportamento viene giudicato come un male in sé, è ovvio che ogni concreta esperienza, ogni assunzione della coscienza, ogni strutturazione storica di quel comportamento cadrà sempre e comunque al di fuori di ogni possibile valutazione positiva. “Pregiudicare l’esperienza con un linguaggio irrigidito – sostiene A. Grillo -è un’operazione votata al fallimento, proprio perché pregiudica il rapporto con la realtà”. C’è tanto da riflettere e, per questo, ringraziamo i nostri fratelli omosessuali e le nostre sorelle lesbiche e le persone della comunità LGBTQ+ di aiutarci in questo cammino. 

venerdì 20 gennaio 2023

L'AMORE OMOSESSUALE





Il dialogo per una nuova sintesi

Paolo Cugini

In un recente e corposo saggio interdisciplinare scritto a due mani dalla psicologa e psicoterapeuta Beatrice Brogliato e dal giovane studioso e ricercatore Damiano Migliorini[1], gli autori hanno provato ad indicare cammini nuovi nella riflessione teologica sull’omosessualità. Prenderò come riferimento la seconda parte del saggio, quella teologica, più consona alla ricerca del seguente lavoro. Il tema della legge naturale è il punto cruciale o perlomeno uno degli snodi teorici del dibattito teologico sull’omosessualità. Capire che cosa s’intende quando si parla di natura significa aprire o chiudere dei varchi nell’argomentazione. Se il bene supremo è la persona umana allora occorre stare attenti a non assolutizzare la natura. Come ricorda il documento della Commissione Teologia Internazionale sul tema in questione: “La scienza morale e la Legge morale naturale non possono fornire al soggetto agente una norma che si applichi adeguatamente e autonomamente alla realtà concreta, eppure, essa non abbandona mai del tutto la coscienza alla sola soggettività[2]. Occorre allora, vedere la Legge morale naturale come fonte d’ispirazione, mentre, per quanto riguarda i mezzi per raggiungere i fini, tocca allo sforzo di ogni singola persona. Le regole particolari per raggiungere i fini sono sempre ad appannaggio delle persone che vivono nella concretezza del reale. Occorre, dunque, stare attenti a non assolutizzare la natura, a non correre il rischio di farne un idolo e di tirarla nel dibattito dove lei stessa non può andare. La legge naturale non è un copro statico e non è una lista di precetti definiti e immutabili[3], ma è una fonte d’ispirazione. Ciò significa che questa legge, come ricorda Migliorini, “nel passaggio dal generale al particolare, richiede l’esercizio di un’ermeneutica infinita[4]. Siccome l’omoerotismo si riscontra in tutte le epoche storiche, in tutte le culture ed è un orientamento che rientra nella media di un funzionamento psicologico sano, può entrare a pieno titolo tra ciò che è definito naturale. Per giustificare una simile affermazione Migliorini fa riferimento ad una serie di studi scientifici di recente pubblicazione. Non si tratta, dunque, di una perversione, perché il comportamento omosessuale produce un desiderio e un amore che riguarda l’intera personalità dell’altro[5].

Dopo aver analizzato alcuni studi nell’ambito dell’etologia e della genetica, il nostro autore conclude che l’omoerotismo è un fenomeno culturale permanente e universale, sebbene si presenti in forme diverse tra loro lungo la storia[6]. Verificata la naturalità dell’omosessualità, occorre appurare la liceità dei comportamenti omogenitali. Come per ogni organo del corpo umano, anche per i genitali non è possibile stabilire una sola funzione. Per questo Migliorini ne individua almeno tre: una fisiologica, una erotica e una riproduttiva.  Finalizzare la sessualità esclusivamente al fine procreativo significa cadere nel biologismo. Seguendo gli studi di Peinado[7], Migliorini afferma che: “la sessualità umana può prestarsi alla possibilità di essere procreativa, in determinati momenti. La procreazione non rappresenta certo il destino della sessualità umana. Si tratta unicamente di una possibilità offerta in determinati momenti alla maggior parte delle persone”. Il problema etico si pone, dunque, dove manca il significato unitivo, dove l’atto sessuale è avvolto da un clima di violenza, svuotato da un cammino relazionale. La teologia di San Tommaso, che ha esteso il fine procreativo a tutti gli atti sessuali genitali, ha posto in campo un finalismo di tipo organico, identificando natura e biologia. Certamente, la posizione di san Tommaso è frutto del suo tempo, vale a dire l’alto medio evo, epoca in cui il disprezzo per il piacere era sinonimo di virtù. Tutto ciò va visto nel quadro della prospettiva ecclesiologica del tempo di San Tommaso, periodo in cui il papato prende sempre più il sopravvento e la dicotomia tra laici e chierici si radicalizza. L’ideale ascetico proposto come modello unico di santità e il celibato come esigenza evangelica più alta che definisce il vero cristiano, hanno gettato un’ombra profonda sul significato del piacere sessuale, considerato come una devianza dal fine naturale. In questa prospettiva, il fine unitivo e relazionale ha sempre faticato ad essere compreso nella sua valenza etica e valoriale, perché contraddiceva con ciò che era considerato in modo assoluto come il vero valore della sessualità, vale a dire quello procreativo. Recuperare la positività del piacere sessuale come elemento significativo della valenza relazionale dell’amore è, senza dubbio, uno dei grandi compiti del cammino attuale della Chiesa. Come sostiene Erik Borgman, solamente ricollocando al centro del dibattito etico il senso autentico della felicità, considerandolo come fine generale dell’uomo, sarà possibile distanziarsi da ogni tentazione di fissare e irrigidire la natura, per mantenerla aperta al sentire concreto dell’uomo e della donna, per evitare di farsi troppo male[8]. Per Migliorini, sia rimanendo nell’orizzonte delle categorie proposte dalla Chiesa sulla sessualità, sia all’interno del paradigma della Legge morale naturale, non è possibile escludere l’omosessualità dalle espressioni moralmente valide della sessualità. Per dare pieno valore a questa affermazione è necessario definire meglio il carattere oggettivo della sessualità e comprendere meglio il concetto di normalità sessuale. Alcuni casi tragici della storia, come ad esempio l’antisemitismo, c’insegnano che spesso i giudizi di normalità dipendono dai modelli sociali predominanti e anche il senso comune di tutto un popolo può, in alcune circostanze, sbagliare. Non solo il termine normale è soggetto ai condizionamenti culturali, ma assume anche significati diversi nelle diverse discipline. Da un punto di vista generale, si può ritenere normale ciò che rispetta il bene della persona umana. C’è allora, un’idea di normalità che è complessa, come d'altronde è complessa la persona umana. Secondo Thévenot l’idea di normatività sessuale “si sposta un po’ alla volta verso un’idea di normatività relazionale[9]. In questa prospettiva, occorre integrare il discorso della sessualità all’interno della complessità della personalità. La normalità considerata dal punto di vista personalista, più che essere una definizione astratta, è un compito da realizzare.

 Il problema dell’identità delle persone omosessuali, problema evidenziato dal tema della natura degli atti omosessuali, va di pari passo con l’altro importante e significativo problema del riconoscimento. Misconoscere la persona omosessuale parlando di devianza o di atti intrinsecamente cattivi, significa negarla sia sul piano dell’identità personale, che di quello di un riconoscimento sociale. Il cammino del riconoscimento delle differenze è sullo stesso sentiero del principio dell’uguaglianza. Riconoscere il valore dell’unione di persone omosessuali significa prendere sul serio il valore unitivo del matrimonio, vale a dire il valore della responsabilità di prendersi cura dell’altro, in una relazione di fedeltà. Secondo Migliorini, riconoscere le unioni di persone omosessuali sarebbe anche un segnale positivo per i giovani adolescenti omosessuali, che percepirebbero la possibilità di vivere seriamente una futura possibile relazione con un partner, uscendo dai torbidi e negativi cammini delle forme discriminatorie. L’autore si chiede se sarebbe possibile arrivare non solo a celebrazioni civili di persone omosessuali, ma anche di matrimoni religiosi, benedicendo davanti a Dio questo tipo di relazioni. “Riconoscere alcuni diritti civili alla coppia omosessuale (assistenza reciproca, assegnazione di case, reversibilità della pensione, eredità, ecc.) negando il vero e proprio matrimonio, dove condurrebbe?”[10]. Le coppie omosessuali chiedono di potersi prendere pubblicamente e reciprocamente un impegno consensuale. In questo modo, viene espresso il significato unitivo del matrimonio cristiano, poiché dice dell’impegno reciproco tra due persone legate da un sentimento d’amore, impegno dunque di fedeltà. L’unione omosessuale, che riconosce il valore del fine unitivo e della responsabilità nella fedeltà del patner, la rendono testimonianza dell’amore cristiano. Un suo riconoscimento, sostiene Migliorini, conferma e rafforza l’antropologia cattolica, la quale non può essere ridotta a un’antropologia fondata sulla perpetuazione della specie[11]. La coniugalità nei suoi aspetti di fedeltà e indissolubilità può essere attribuita alla coppia omosessuale che sceglie d’impegnarsi in un progetto di fedeltà. Migliorini, nella sua argomentazione, insiste nell’evidenziare la positività dell’aspetto relazionale dell’amore omosessuale che, per certi aspetti diventa feconda, perché arricchisce i soggetti coinvolti, dando loro nuova vita, una prospettiva futura, in altre parole una progettualità. In questa prospettiva, le persone omosessuali escono dall’ambito in cui la società le ha collocate, vale a dire nella sfera dei richiedenti diritti, ma potranno esercitare i loro carismi, esprimendo la loro possibilità di amare con responsabilità e in piena libertà. Anche se non verrà usato il termine matrimonio a livello sacramentale, ma la benedizione di due persone omosessuali che si promettono amore fedele reciproco, avrà il valore di riconoscimento del significato umanizzante di una relazione omosessuale stabile. (Ricordarsi d’inserire la riflessione sulla realtà alla fine del capitolo sull’interpretazione della bibbia)



[1] BROGLIATO, B.-MIGLIORINI, D., L’amore omosessuale. Saggi di psicoanalisi, teologia e pastorale. In dialogo per una nuova sintesi, Cittadella, Assisi 2014

[2] COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE (CTI), Legge naturale ed etica universale, in Il Regno 17 (2009), n 59

[3] Cfr. CTI, Legge naturale ed etica universale, cit., n 113

[4] MIGLIORINI, L’amore omosessuale, cit. p. 228. La stessa idea è ripresa da papa Francesco nell’Amoris Laetitia al capitolo otto quando afferma: “E’ vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari” (n. 304).

[5] Ivi, p. 231.

[6] Ivi, p. 235

[7] PEINADO, V., Liberazione sessuale, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004

[8] Cfr. BORGMAN, E., Non “fissare” la natura in termini statici. Omosessualità e innovazione della legge naturale, in Concilium 1 (2008), p. 92-104. “Vanno bene il dovere, la responsabilità, le virtù e anche la rinuncia, ma se manca il riferimento ultimo alla felicità, un sistema etico non sta in piedi” (ivi., p. 100).

[9] THEVENOT, X., Omosessualità maschile e morale cristiana, Leumann-LDC Torino 1991, p. 104

[10] MIGLIORINI, L’amore omosessuale, cit. p. 324

[11] MIGLIORINI, L’amore omosessuale, cit., p. 327

Omosessualità e prospettiva relazionale nella teologia di Giannino Piana

 





Paolo Cugini

In alcuni scritti[1] il teologo italiano Giannino Piana ha preso posizione non solo sul rapporto tra Chiesa e persone omosessuali, ma anche sulle dichiarazioni contenute in alcuni documenti ecclesiali. Secondo Giannino Piana, l’autorità ecclesiastica ha paura che l’attuale contesto socio-culturale, favorevole alle persone omosessuali, possa provocare delle rivendicazioni insostenibili da parte dei gruppi di cristiani omosessuali e, per questo, ha irrigidito la dottrina. Eppure, sono ormai diverse le discipline che orientano verso una comprensione più complessa della realtà, capace d’integrare quelle diversità che sino ad ora sono rimaste fuori dai rigidi schemi antropologici. L’autore fa riferimento sia alle scienze biologiche che a quelle psicologiche e sociali, giungendo ad affermare che: “Ci hanno aiutato a prendere coscienza che la diversità dei modelli comportamentali tra i sessi non è dovuta prevalentemente a ragioni naturali, ma culturali, riproducibili, in ultima analisi, al diverso instaurarsi di rapporti di potere[2].  

In questa prospettiva, anche la riflessione filosofica ci ha aiutato a comprendere che anche il “maschile” e il “femminile”, prima di essere due elementi separati e contrapposti, sono invece dimensioni costitutive dell’umano, in quanto presenti tanto nell’essere-uomo, quanto nell’essere-donna, con modalità quantitative differenti, che danno origine a vere e proprie differenze quantitative. I contributi della scienza e della filosofia hanno permesso, secondo la riflessione di Giannino Piana, di superare le teorie naturalistiche, dalle quali scaturiva la condanna dell’omosessualità da parte della Chiesa, ma anche le teorie culturali incapaci di andare al di là del semplice riduzionismo della differenza sessuale come prodotto della cultura. “E’ venuto sempre più sviluppandosi una teoria interpretativa della differenza uomo-donna di carattere “relazionale”, tesa cioè a privilegiare come dato fondante la relazione[3]. Dire relazione significa collocare la realtà della differenza sessuale nel quadro più ampio del contesto socio-culturale, tenendo anche conto della connotazione biologica. La prospettiva relazionale permette di cogliere anche che, il rapporto uomo-donna, pur essendo fondante, non esaurisce in sé tutte le possibili modalità espressive della relazionalità “anzi, diventa la radice di cui si dipartono tutte le altre relazioni e il paradigma cui esse devono ispirarsi se intendono conservare il loro carattere pienamente umano[4].

A questo punto l’autore prende come punto di riferimento la riflessione biblica, la rivelazione ebraico-cristiana, per dimostrare come il primato della relazione s’incontri sia nelle pagine dell’Antico che del Nuovo Testamento. Senza dubbio, troviamo il discorso del primato della relazione nelle pagine della Genesi, dove l’uomo è definito come immagine di Dio. Il tema dell’immagine non è riferito alla singola persona, ma alla realtà della relazione che, anche se trova nel rapporto uomo-donna il principale referente, si estende tuttavia ad ogni altra forma di rapporto interumano. “Da tali racconti – sostiene Piana – si evince che la differenza viene dopo (non solo cronologicamente) l’unità e che è a quest’ultima del tutto subordinata, al punto che l’umano si presenta fin da principio – si pensi alla figura dell’Adam collettivo – come un’unità che si esprime e si realizza in una differenza[5].

Secondo Gianni Piana il discorso sulla relazione e il riconoscimento dell’unità originaria dell’umano, pur non sminuendo l’importanza del significato della differenza sessuale, mette in luce il carattere secondario e dipendente che essa riveste di fronte all’attuazione dell’esperienza relazionale. Il Nuovo Testamento accentua tale impostazione in due direzioni. In primo luogo, interpretando in chiave trinitaria la categoria dell’immagine, che rende sempre più trasparente la priorità della relazione rispetto alle modalità secondo le quali si realizza. In secondo luogo, proponendo di fatto una modalità asessuata, al punto da ridimensionare l’importanza della differenza, attraverso la demitizzazione degli istituti tradizionali quali il matrimonio e la famiglia. L’autore, prendendo come riferimento alcuni testi del Vangelo di Luca[6],sostiene che Gesù ha relativizzato le istituzioni tradizionali dinanzi all’evento del Regno di Dio e alla radicalità delle esigenze evangeliche, che spingono l’uomo e la donna verso un cammino di conversione, di cambiamento radicale. Ancora più significativo, a detta di Piana, è il brano di Paolo della lettera ai Galati, in cui sottolinea la radicale caduta di ogni differenza dinanzi all’unità di tutti gli uomini in Cristo: “Non c’è più n’è giudeo né greco, né schiavo né libero, né uomo né donna[7]. La prospettiva che Paolo propone è senza dubbio sconvolgente, nel senso che, dinanzi al mistero di Cristo, ogni differenza non trova più alcuna giustificazione. “L’avvento della salvezza spinge l’uomo a vincere la tentazione di chiudersi entro modelli tradizionali per aprirsi a forme nuove, dove ciò che conta è la percezione di ogni soggetto umano come persona redenta dal Signore[8].

Immediate sono le conseguenze sul terreno etico, che questa riflessione comporta, soprattutto a riguardo dell’omosessualità. Secondo Piana, adottare il modello relazionale, più in linea con il pensiero ebraico-cristiano che il modello naturalistico di matrice filosofico-aristotelica, significa apprendere a valutare i comportamenti interpersonali osservando prima di tutto il livello di relazionalità conseguito. Ciò significa che la bontà morale di un rapporto è dato dalla capacità che ha di esprimere il mondo interiore di due persone in modo autentico e profondo, prima di qualsiasi altra considerazione anche di ordine sessuale. Solo in questo modo si creano le condizioni per una autentica interpersonalità, “che si realizza nella misura in cui si abbandona la tentazione di trattare l’altro (l’altra) come oggetto e si riconosce invece la sua unicità irripetibile e la sua inestimabile dignità[9].

Giannino Piana è consapevole del rischio di idealizzare la relazione. Sappiamo, infatti, che la comunione e la comunicazione tra persone non sono mai totali e si sviluppano gradualmente. L’incontro tra persone va pensato come esperienza di vicinanza che lascia intatta la distanza o, dicendolo con la Forcades, che fa spazio all’altro. Senza dubbio, la relazione eterosessuale rimane il momento più alto di attuazione delle possibilità di comunione, come è senz’altro chiaro che la relazione omosessuale è segnata da limiti intrinseci, come l’assenza della fecondità procreativa. “Questo non significa tuttavia – sostiene Piana – che si debba a priori negare a quest’ultima la possibilità dello sviluppo di una vera reciprocità, talvolta soggettivamente maggiore di quella che ha luogo in alcune forme di rapporto uomo-donna connotate da dinamiche strumentalizzanti e alienanti”[10]. Occorre allora più che mai sottolineare il valore di ogni relazione autentica, che per potersi sviluppare deve prendere coscienza della propria identità, il riconoscimento della propria condizione, in un clima di superamento dei sentimenti di colpa paralizzanti. E’ a queste condizioni che è possibile giungere ad una piena maturità sessuale, che conduce a vivere nel segno del rispetto e della donazione di sé, uscendo in questo modo, dai percorsi oscuri della strumentalizzazione dell’altro.



[1] Cfr in modo particolare: PIANA,G., La condizione omosessuale in una prospettiva teologica, in AA.VV, Il posto dell’altro. Le persone omosessuali nelle chiese cristiane, Meridiana, Bari 2000, p 13-18: ID., Ipotesi per un’interpretazione antropologica-etica dell’omosessualità, in Credere Oggi, 116 (2000), p47-56; ID., Omosessualità, una proposta etica, Cittadella, Assisi 2010

[2] PIANA, La condizione omosessuale in una prospettiva teologica, cit. p.14

[3] Ivi, p. 14

[4] PIANA, Ipotesi per una reinterpretazione antropologica-etica dell’omosessualità, cit. p. 51

[5] Ibidem

[6] Cfr. Lc 11,27-28; 8,20-21

[7] Gal 3,28

[8] PIANA, La condizione omosessuale in una prospettiva teologica, cit. p. 16

[9] Ivi. p. 16

[10] Ivi p. 17

martedì 10 gennaio 2023

Ecumenismo ricettivo in Svezia


Dal 2019 Mario e Laura, una coppia di Reggio Emilia membri dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, vivono in Svezia e dal 2021 risiedono all'interno della parrocchia Luterana S:T Matteus a Malmö.
Quello che insieme ad alcuni amici descrivono nel video è la loro esperienza di ecumenismo ricettivo, un tipo di ecumenismo che indica la pratica imparare gli uni dagli altri attraverso l'ascolto profondo dell'esperienza altrui e la condivisione della vita.

sabato 7 gennaio 2023

A 150 ANNI DALLA NASCITA DEL POETA E FILOSOFO CHARLES PEGUY




  

Oggi, 7 gennaio 2023, ricorre il 1500 anniversario della nascita del poeta e filosofo francese Charles Péguy. Condivido due parole su questo stupendo filosofo al quale ho dedicato mesi di lettura della sua stupenda opera.

 Deluso da una cristianità che, a suo avviso, consumava la propria appartenenza al progetto divino nelle mere elucubrazioni del mondo moderno, Péguy ha fatto l’esperienza del rifiuto e dell’abbandono. Per sorta, però, di quel divino mistero dell’amore di Dio, che nell’Incarnazione del verbo trova la sua completa realizzazione, lo stesso Péguy in costante atteggiamento di ricerca e di attesa, ritrova il senso della propria natura creaturale. A questo punto del cammino Péguy non può fare altro che mostrare all’umanità i tranelli che più o meno consapevolmente la natura umana pone come ostacoli alla realizzazione del piano di Dio. La foga che Péguy mette nelle dense righe della propria prosa, è tutta protesta e mostrare che Dio non si è allontanato dall’uomo morendo sulla croce, ma che proprio in virtù di questo gesto supremo si è legato a lui indissolubilmente dall’eternità. Percorrendo la strada del figliol prodigo Péguy ha sperimentato l’immensa paternità dell’amore di Dio. La sua opera è la testimonianza di questo lungo viaggio.

Se ancora oggi sfogliamo le pagine di Péguy è proprio perché sono molto attuali. Nella sua opera infatti, oltre ad una critica serrata al metodo moderno, troviamo soprattutto interessanti indicazioni di metodo per ascoltare la realtà, per valorizzare la pluralità. Assieme all’analisi puntuale dei danni provocati dalla mentalità moderna, soprattutto all’interno della cultura francese – bellissime sono le pagine sulla vita contadina nelle campagne francesi -, troviamo in Péguy una lucidità intellettuale capace di mostrare con precisione le cause delle faglie del metodo moderno.

Gli anni successivi alla sua conversione religiosa imprimeranno una profondità spirituale che lo condurranno a rileggere la Sacra Scrittura con occhi nuovi, gli occhi appunto del metodo intuitivo appreso da Bergson e messo a punto negli anni delle sue battaglie polemiche a tutti i livelli con gli uomini di cultura del suo tempo.



Affascinanti sono le pagine che Péguy dedica alla riflessione sui vangeli. Come nelle pagine di poesia e di prosa, anche in queste più specificamente spirituali o, per alcuni, mistiche, Péguy riesce a scoprire novità di significati e di contenuti, analizzando testi ascoltati da sempre e che in apparenza non avrebbero la possibilità di dire nulla di nuovo. Più si legge Péguy più si rimane meravigliati dal suo percorso culturale, che allo stesso tempo è esistenziale e spirituale.

Amante della vita, ha guidato per mano – una mano spesso ruvida – la propria generazione tra le selve oscure del mondo moderno per riuscire a cogliere quei barlumi di verità che esso lasciava trapelare. Immerso nel presente gli è venuto incontro l’Autore del tempo. Dal momento in cui Péguy si è sentito avvolto dall’amore del Padre, non ha più smesso di guardarlo. Le sue ultime opere possono essere lette come un inno estatico d’amore. La scoperta inattesa di vivere nel presente fianco a fianco con il Figlio di Dio fatto uomo lo ha sconvolto a tal punto da non abbandonare mai la riflessione su questo mistero insondabile. Egli che ha cercato affannosamente e tra mille difficoltà e incomprensioni la Verità è stato scoperto e trovato dalla stessa.

Se vuoi approfondire lo studio di Charles Péguy, puoi farlo leggendo il mio studio:

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