martedì 18 gennaio 2022

LA MISSIONARIETA’ DELLA COMUNITA’ POST-CRISTIANA

 



 

Paolo Cugini

 

     Affermare che è finita l’epoca della cristianità non significa dire che il cristianesimo è finito: anzi. Forse mai come in questa epoca è possibile davvero vivere con maggiore autenticità e intensità il messaggio cristiano, perlomeno, così come era presentato alle origini e vissuto nei primi secoli. Del resto, è proprio il lavoro svolto durante il Concilio Vaticano II, considerato da molti un Concilio di rottura con la tradizione, mentre, in realtà, la grande rivoluzione operata in esso è stata quella di riprendere i contenuti dei Padri della Chiesa, grazie all’impulso degli studi della Nouvelle Teologie, che per decenni ha tradotto non solo i testi di questi Padri, ma ne ha proposto degli approfondimenti, delle ricerche.

Il problema maggiore, consiste nell’accompagnare questa fase estremamente delicata di passaggio epocale, nella quale mentre vediamo la fine di un’epoca storica, che ha segnato per secoli l’occidente, dall’altra si tratta di riprendere, per così dire un discorso interrotto da secoli, quello di comunità evangeliche, che non cercano di contare qualcosa nel mondo o di incidere nella società, ma si sforzano di vivere il Vangelo nella vita quotidiana. In questo cammino anche il ruolo della guida della comunità va ridimensionato o meglio, riportato al suo significato iniziale.

Un aspetto significativo che ha caratterizzato le comunità cristiane nel loro sorgere, è stata la dimensione missionaria. Paolo, il protagonista dei primi viaggi missionari documentati non solo dalle sue lettere ma anche dal libro degli atti degli Apostoli, non riusciva a tenere per sé il grande incontro che lui stesso aveva fatto con il Risorto sulla strada di Damasco (cfr. At 9): sentiva il desiderio di comunicarlo a tutti. La verità dell’incontro con il risorto sembra essere il desiderio di comunicarlo a tutti. La dimensione missionaria della fede è intrinseca al cammino della comunità cristiana. L’uscita prima dalla comunità di Antiochia e poi dalla comunità di Gerusalemme, conduce Paolo a scoprire una delle novità più significative della Chiesa degli inizi: anche i pagani sono chiamati alla salvezza attraverso il Vangelo. Paolo non avrebbe mai scoperto questa novità se fosse rimasto chiuso tra le mura della comunità. La scoperta di Paolo e del suo compagno di Viaggio Barnaba, sarà fondamentale nella discussione avvenuta nell’assemblea di Gerusalemme (At 15) sulla necessità di non imporre le Leggi mosaiche a coloro che entravano nella comunità cristiana provenendo da un contesto pagano, perché a partire da Gesù, dalla sua passione morte e risurrezione – è questo il kerigma che Paolo annunciava nei suoi viaggi – è solo la grazia che salva. 

È uscendo dalla comunità per andare a portare il kerigma a coloro che ancora non lo conoscono che la Chiesa scopre cose nuove e permette, in questo modo di crescere, arricchendosi di contenuti e significati nuovi. L’aspetto missionario è, dunque, uno dei primi e fondamentali elementi che il nuovo contesto che si sta creando con la fine della cristianità, permette di recuperare e valorizzare. Nell’epoca della cristianità la parrocchia ha identificato il cammino della comunità e la sua caratteristica, oltre a voler controllare il territorio sul piano religioso, è una chiusura asfittica, al punto che ogni parrocchia era un mondo chiuso a se stante. Il campanilismo è la malattia cronica delle parrocchie, comunità chiuse e autoreferenziali, con il desiderio di comunicare agli altri l’annuncio del risorto, praticamente azzerato. Riprendere in mano la dimensione missionaria significa, in primo luogo, fare esperienza del risorto, sentirne la presenza per poi muoversi verso l’esterno, e penare cammini di nuova evangelizzazione o, meglio, di rievangelizzazione. 

Non si tratta di processi d’indottrinamento, né di catechizzazione a tappetto, ma di condivisione del motivo centrale che dà gioia alla propria vita. Come per Paolo, la verità dell’incontro con il risorto, si manifesta nel desiderio, che diventa necessità di dire agli altri il motivo della propria gioia, della propria rinascita. Quando questo avviene, è nei consigli pastorali della comunità che si decide in che modo uscire e come. La comunità che esce a portare al mondo circostante il Vangelo della gioia sente la necessità di rimettere, per così dire, ordine in “casa”. Si esce per annunciare il Vangelo e, allo stesso tempo, s’invitano le persone incontrate a partecipare della nostra festa della domenica, che è il giorno del Signore. Lo slancio missionario della comunità provoca, come conseguenza, il riordino della liturgia, lo svecchiamento in cui spesso e volentieri si trovano i nostri culti i cui protagonisti sono sempre le stesse persone, che compiono gli stessi gesti e cantano le stesse canzoni. 

L’uscita verso l’esterno della comunità provoca, come conseguenza, la necessità di un riassetto interno. Chi infatti, invita qualcuno a casa, la ripulisce, la sistema: la vuole presentare bella. È questo un effetto significativo della dimensione missionaria della comunità: produce un movimento di ripulitura.

 

Nessun commento:

Posta un commento