sabato 17 settembre 2022

PROGETTO FORMATIVO SU FEDE E OMOSESSUALITA'

 




L’associazione La Tenda di Gionata, nell’ambito delle iniziative di formazione, propone gratuitamente un modulo di tre incontri sul rapporto tra la Chiesa e le persone LGBT+ alle parrocchie, movimenti e gruppi che desiderassero approfondire questo tema. 

Come? Si tratta di un modulo unitario costituito da 3 incontri distinti: 

1. Cosa dice la Bibbia?, per capire se e come la Scrittura approccia la tematica LGBT+; 

2. Cosa dice la Chiesa cattolica?, per approcciare i pronunciamenti del magistero, le sue problematiche e prospettive antropologiche, alla luce del contributo offerto dalla teologia contemporanea; 

3. Cosa diciamo noi?, basato sulla testimonianza di giovani e adulti LGBT+, single o in coppia, e genitori con figli LGBT+.

Nei primi due incontri, la conduzione è affidata a operatori e operatrici pastorali formati sul tema.

Dove terremo gli incontri? In tutte quelle parrocchie, gruppi, movimenti e associazioni che ne faranno richiesta. Gli incontri saranno proposti anche nella forma mista, in presenza o online.

 

Quando? A partire da questo inverno 2022/2023.

 

Perché? Per imparare a conoscersi, dialogare e concretamente camminare insieme su questi termi. È tempo di aprire finestre sul mondo, costruire ponti, vivere la Chiesa come “Casa per tutte e tutti”.

Per maggiori informazioni contattare l’equipe formativa de La tenda di Gionata alla mail tendadigionata@gmail.com


Equipe formativa:

Paolo Spina : 3385060213

Paolo Cugini: 3319183700

giovedì 15 settembre 2022

ADULTI SENZA ANIMA?

 




Paolo Cugini

Sono ormai trent’anni che lavoro pastoralmente con adolescenti e giovani, in luoghi e situazioni diverse e mi sono fatto una mia idea. Ho lavorato con delle compagnie di ragazzi, con gruppi giovani nei quartieri poveri del Brasile, con giovani nelle comunità terapeutiche e con ragazzi incontrati nelle parrocchie.

In primo luogo c’è un problema d’identità cristiana. Le comunità cristiane che non provengono da un cammino fondato sull’ascolto della Parola di Dio, quello che hanno da offrire sono delle tradizioni che non hanno più nulla da dire alle nuove generazioni, assieme a delle liturgie spente. Aiutare queste comunità a riscoprire la bellezza del vangelo per liberarsi dalle cianfrusaglie del passato, è uno dei compiti più importanti che la Chiesa si trova d’innanzi, nell’epoca postcristiana che stiamo vivendo. Più che processioni, pontificali, turiboli, cappucci, medaglioni e candelabri d’oro, mi piacerebbe vedere adulti che sperimentano la bellezza della preghiera di Gesù, il desiderio di una vita di comunione, attenta alle persone più fragili.

In secondo luogo, c’è una constatazione che colgo sul mondo degli adulti, dei genitori. Si percepisce sempre di più un affanno, la difficoltà di portare avanti con serenità le scelte fatte nella giovinezza. Certamente, la situazione economica in perenne crisi, non aiuta. A mio avviso, comunque, il problema è un altro. L’adulto che non ha lavorato sulla propria interiorità nell’adolescenza e nella giovinezza, si trova costretto a riempire il buco che si ritrova nell’anima, con delle cose, della materia, del movimento. La vita spirituale non s’improvvisa. Incontro ragazzi disorientati e quando gratto un po' sotto, scopro che provengono da genitori che non hanno altro da offrire che delle cose, della materia. La difficoltà a dare una direzione educativa, nasce dalla difficoltà a prendere delle decisioni che abbiano una coerenza e una durata nel tempo. Chi non proviene da un cammino spirituale, difficilmente ha imparato la fatica di prendere e abitare decisioni scomode. Spiritualità non vuole dire chiesa. La spiritualità è il materiale che troviamo alle risposte che cerchiamo durante la vita. Senza dubbio la religione offre un materiale spirituale, ma non è l’unico. La meditazione non è un’attività specifica di una religione, ma è una proposta per imparare a valorizzare la propria vita interiore. Il disorientamento di tanti giovani proviene proprio da qui, dal non aver incontrato in casa del materiale che li possa aiutare a valorizzare, a scoprire la dimensione interiore della vita.

Senza dubbio, c’è tempo anche da adulti ad imparare a curare la propria spiritualità, la dimensione interiore.

Per quanto mi riguarda, la cura della dimensione interiore l’ho appresa da mio padre. Si chiamava Cesare. Era un operaio, che lavorava dieci ore al giorno e aveva sulle spalle una famiglia di quattro figli oltre alla moglie e i suoi genitori: eravamo in otto. Non mi ha mai detto o insegnato a pregare: l’ho visto io. Da bambino e poi da adolescente, mi colpiva il fatto che si alzava due ore prima del lavoro per leggere la Bibbia, dire un rosario, recitare le lodi. L’ho scoperto per caso una mattina all’alba mentre andavo in bagno. Ho visto la luce accesa in cucina e sono sceso lentamente per vedere chi c’era. Ho visto lui, mio padre, intento a leggere la Bibbia. Dopo quella prima volta, l’ho osservato di nascosto molte altre volte.  Lavorava come un asino, spesso maltrattato sul posto di lavoro, umiliato perché era un operaio, ma quando arrivava a casa era sempre sorridente. È questo sorriso che mi ha incuriosito nel tempo, perché non aveva una giustificazione materiale. Osservandolo più da vicino ne ho colto il segreto e l’ho fatto mio. Non gliel’ho mai detto.

Curare la vita spirituale non è una questione di denaro n’è di tempo, ma di desiderio di una vita diversa, più autentica. Non c'è solo la materia: c'è qualcos'altro. 

mercoledì 14 settembre 2022

PERCHE’ LE COPPIE NON INVESTONO NELLA COMUNITA’ CRISTIANA?

 





Riflessioni a cuore aperto dopo il dialogo con i genitori che hanno chiesto di portare i loro figli al catechismo

Paolo Cugini

Sto terminando il colloquio con i genitori che hanno chiesto di introdurre i loro figli nel cammino della catechesi. Accanto ad alcune prese di coscienza, sto ponendomi anche alcune domande.

Pochissimi genitori dei bambini che sono stati iscritti al catechismo sono in chiesa alla domenica. C’è dunque, una scarsa relazione tra la richiesta fatta – chiedere che il bambino faccia la catechesi – e le scelte dei loro genitori. Questo dato mi lascia basito e mi chiedo: perché dei genitori che non frequentano l’eucarestia vogliono che i loro figli facciano il catechismo? Che senso ha? Perché costringono i loro figli a fare una cosa che non rientra nei loro progetti di vita? Perché portano i figli a messa mentre loro vanno al bar a bere un caffè? Che senso ha una cosa così? Non è una grande ipocrisia, una perdita di tempo?

 Senza dubbio in questi genitori non è chiaro che la messa è il centro della vita di fede, il culmine e la fonte da cui si genera la vita Cristiana. È stato Gesù Cristo, infatti a dire: fate questo in memoria di me. Il percorso del catechismo è un cammino che conduce ad approfondire la conoscenza di Gesù e della sua comunità, che si trova alla domenica per celebrarlo. Più chiaro di così! Devo disegnarlo?

Ho constatato il dato che pochissime coppie considerano la comunità parrocchiale una risorsa su cui investire, per un arricchimento spirituale e umano. Per la maggior parte dei genitori che ho incontrato, il catechismo dei propri figli è una cosa che va fatta e che la parrocchia deve dare. Non ci sono, dunque, motivazioni spirituali o ecclesiali, ma più che altro sociali: è giusto che mio figlio, mia figlia possa avere quello che gli altri hanno. Ho provato a spiegare che il catechismo non è obbligatorio, che lo Stato non interviene con l’esercito se un bambino non va al catechismo. La Chiesa è un’entità privata, con i suoi tempi, il suo calendario, i suoi riti. Facciamo delle proposte in linea con il Vangelo che c’ispira idee sempre nuove, ma aderisce chi vuole. Solo una signora si è messa in discussione sulle tante che ho incontrato. Nel catechismo noi proponiamo lo stile di vita di Gesù, che è una scelta libera: non è un obbligo.

In pochi c’è la consapevolezza di che cosa sia una comunità cristiana, che non è un’associazione e nemmeno la proloco. Pochissimi comprendono che la messa domenicale è il centro del cammino di fede di coloro che trovano in Gesù e nelle sue parole il senso della vita. Non a caso, nelle parrocchie i bambini con i loro genitori, spariscono letteralmente durante i mesi estivi. Ciò significa che, per queste famiglie, la catechesi non è altro che un corso come gli altri, che ha una sua durato e, alla fine, c’è il diploma. Ho provato varie volte a spiegarlo con il Vangelo alla mano che, in realtà, si tratta di un’altra cosa: non c’è verso.

 Forse è giunto il tempo per la Chiesa d’impostare una pastorale che non tenga conto dei numeri, che non stia più a preoccuparsi se tra i banchi c’è poca o molta gente. L’importante è che chi entra dalla porta della chiesa sia consapevole di ciò che sta facendo, sia desideroso di conoscere Gesù Cristo, il suo Vangelo. Forse arriveremmo ad avere comunità i persone che si vogliono bene, che si dedicano con gratuità e disinteresse al servizio dei fratelli e sorelle, soprattutto i più piccoli e bisognosi.  

sabato 10 settembre 2022

La metafisica classica all’origine del processo di scristianizzazione?

 



Paolo Cugini


Il titolo del paragrafo dice già l’orientamento della nostra analisi. Prendiamo, infatti, come punto di riferimento l’occidente, che ha visto affermare il cristianesimo come cristianità, come forza istituzionale e politica, che si è imposta dal punto di vista filosofico con la metafisica e, dal punto di vista politico, con l’impero. Le analisi che vengono solitamente proposte sul processo di scristianizzazione dell’occidente, come quella di Cuchet non vanno alla radice del problema, ma si soffermano ad analizzare i fenomeni esterni che dicono della crisi della cristianità. Tra questi vengono individuati alcuni, come la crisi del sacramento della penitenza e della partecipazione alla messa domenicale. Altri fenomeni simili sono la caduta verticale dei genitori che chiedono di battezzare i loro figli e, ancor più netto il calo impressionante delle coppie che si uniscono in matrimonio. Chi presenta questo tipo di analisi, oltre a lanciare strali su coloro che amministrano i sacramenti, vale a dire i preti, presentano proposte protese a recuperare il terreno perduto. In ogni storia andata male, ci sono sempre dei colpevoli, ma nessuna indicazione positiva rivolta al futuro. I nostalgici sembra che sappiano solo piangere.

  La crisi in atto è, invece, a mio avviso, il sintomo che nel tempo si sta manifestando in modo evidente, che l’interpretazione che la Chiesa ha offerto per secoli non corrisponde all’evento originario, vale a dire Gesù Cristo e che, di conseguenza, non vanno ripristinate le situazioni che stanno andando in crisi, ma vanno radicalmente cambiate. Sotto accusa va messa la scelta d’identificare l’interpretazione metafisica dei misteri narrati nel Vangelo, come l’unica possibile. Il problema va analizzato alla radice, vale a dire nel modo in cui si è interpretato l’evento di Gesù Cristo, sostituendolo con l’interpretazione metafisica dell’essere. Sin dall’origine, dunque, l’impostazione metafisica classica si è impossessata dell’evento sostituendolo con l’essere, producendo un’identificazione tra cosmologia e ontologia, tra antropologia e gnoseologia. Il problema, che del resto ha segnato tutta la cultura occidentale, consiste nel fatto che l’essere pensato dalla metafisica non viene colto nella sua manifestazione storica e quindi concepito come movimento, come possibilità di manifestarsi in modo diversi, ma è un essere pensato come immobile, identificando questa immobilità con la perfezione. La metafisica ha la pretesa di descrivere l’essere nella sua totalità proprio perché è pensato immobile e, di conseguenza, completamente oggettivabile.  La Chiesa[1] sin dai primi secoli ha cercato di fissare attraverso le categorie prese in prestito dalla metafisica greca, il contenuto del Credo rendendolo, in questo modo, oggettivo. La storia del dogma così come sono stati formulati nei primi secoli, è il processo di oggettivazione dei contenuti della fede utilizzando categorie prese in prestito dalla metafisica greca, trasformandola. È questo un processo che diversi studiosi hanno segnalato[2], considerato nella maggior parte dei casi come positivo e originale.  È il tipo di lettura che viene fatta dell’evento di Cristo come essere che, con il tempo, manifesta tutti i suoi limiti. Senza dubbio, rappresentanti della Chiesa hanno utilizzato gli strumenti che avevano a disposizione e questo è comprensibile. L’errore, ed è tale per come sono andate le cose, è stato considerare quegli strumenti culturali, nel caso il sistema neoplatonico, come l’unico possibile. Ratzinger è arrivato a sostenere che la lettura metafisica dei misteri del cristianesimo operata nei primi secoli dai padri della Chiesa è di natura provvidenziale, vale a dire, che è volere di Dio l’incontro tra cristianesimo delle origini e modello metafisico neoplatonico[3]. Osservando il dibattito avvenuto nella Chiesa dei primi secoli lo sforzo dei loro leaders è stato quello di fare di tutto per delineare una dottrina che salvasse il messaggio di Gesù dalle tante interpretazioni che si stavano manifestando. Del resto, una religione che si fonda sul monoteismo, non può accettare cammini diversi. Il ricorso alla metafisica, più che essere un dato provvidenziale, con buona pace di Ratzinger, ha costituito l’utilizzo di quella modalità di pensiero che più di ogni altro avrebbe permesso la formalizzazione della dottrina, in un sistema uniforme. A mio avviso, è propria questa pretesa uniformità, che sta all’origine del processo di scristianizzazione. L’idea astratta, che è pensata indipendentemente dalla realtà, non può pretendere di comprenderla. Ci troviamo, infatti, su due parametri di comprensione opposti, come il cielo e la terra. L’evento per sua natura e Gesù Cristo è un evento storico, si presta ad una pluralità d’interpretazioni che possono considerarsi tutte aderenti alla realtà. È il punto di vista che cambia e, tale cambiamento non significa riduzione del significato né tato meno cammino verso il relativismo della verità, ma possibilità di comprendere l’evento in modo diverso, una diversità che, invece di diminuire il valore dell’oggetto osservato, lo aumenta.

C’è un autore che, più di ogni altro, all’inizio del ‘900 ha proposto una riflessione sui temi che stiamo analizzando: Charles Péguy[4]. In Casse-cou[5]  troviamo un’offensiva politico-filosofica contro le incongruenze e le degenerazioni di ogni concezione metafisica (materialistica o spiritualistica che sia), di ogni visione sistematica e monistica della realtà. È in questo contesto polemico – e la polemica nell’opera di Péguy è all’ordine del giorno – che Péguy precisa la propria posizione identificando una fenomenologia dell’alterità retta dal principio d’individuazione, in base al quale la realtà è il regno della molteplicità e delle differenze. Il reale ci presenta non solo delle dualità, ma delle pluralità […]. La realtà ci appare e si presenta divisa in molte parti”[6]. Contro una tradizione di pensiero ostinatamente attenta ad elaborazioni sintetiche ed uniformi della realtà, Péguy afferma l’esigenza di accogliere il reale per come esso si manifesta nella mobilità del presente, cioè nella sua pluralità.

Secondo Péguy, il problema è grave, in quanto la fissazione in schemi rigidi di ciò che per natura è mobile, sovverte tutte le successive costruzioni intellettuali. Una generalizzata menzogna, colta da Péguy nel mondo moderno, lo costringe, in un certo senso, a spingere in profondità la critica, per rendere visibile il sovvertimento operato. È nel presente che Péguy individua il centro fondamentale a partire dal quale è possibile cogliere la realtà. Dipende, infatti, da come lo si ascolta, da come lo si percepisce o – ed è il caso del moderno – da come lo si modifica.

“Tutto proviene da ciò. Tutto deriva da questo punto del presente. Le economie, le civiche, le morali, le metafisiche sono rette dal modo in cui trattano questo punto del presente. Partendo da ciò esse sono comandate. Ed esse stesse sono determinate. Potranno prosperare più o meno, potranno più o meno fiorire ognuna nel proprio senso. Ma il loro stesso senso è determinato ed anche esse stesse sono determinate da quel punto di origine. Dimmi come consideri il presente e ti dirò che filosofo sei”[7].

Il presente è dunque il punto nel quale si manifesta la realtà. Cogliere il presente significa afferrare il nuovo, ciò che non era. Nel presente vi è la novità del reale, una novità che è donata gratuitamente[8] e che impone all’uomo, sorpreso da un tale gesto, una ricomprensione. “Il reale ci presenta non solo delle dualità, ma delle pluralità […]. La realtà ci appare e si presenta divisa in molte parti”[9]. Contro una tradizione di pensiero ostinatamente attenta ad elaborazioni sintetiche ed uniformi della realtà, Péguy afferma l’esigenza di accogliere il reale per come esso si manifesta nella mobilità del presente, cioè nella sua pluralità. Il problema del mondo moderno, che era presente già all’epoca della filosofia greca, consiste nel creare una situazione in cui non esiste turbamento, in cui l’impatto con la dinamicità destabilizzante possa essere attutito. Il passato offre questa possibilità poiché è fermo, rigido e soprattutto lo si può osservare e schedare. L’uomo moderno ha imparato a narcotizzare il presente trasformandolo (snaturandolo) in passato. Basta trasferirsi mentalmente nel futuro e da quella piattaforma artificiale di sicurezza osservare il presente come se fosse passato, e il gioco è fatto.

“Questo bisogno mostruoso di tranquillità che si manifesta nell’infecondità di tutto un popolo, nell’annientamento di tutta una razza, è soltanto un ingrossamento enorme di quel bisogno mostruosamente comune di tranquillità morale che ci fa sempre pensare al domani e sacrificare l’oggi al domani, e quel bisogno morale è esso stesso soltanto una codificazione di quel bisogno mostruoso di tranquillità che in psicologia e in metafisica ci fa sempre sacrificare il presente all’istante successivo”[10].

Se la realtà è possibile coglierla nella sua essenza solamente nella mobilità del presente, allora, irrigidendo il punto della sua manifestazione, tutto diviene artefatto, irreale. L’uomo moderno ha imparato a considerare la vita nel momento in cui è divenuta morte: eliminando dal presente la mobilità, viene meno la fecondità e, dunque, la vita stessa. Péguy accusa la Scolastica di Tommaso di aver narcotizzato la forza vitale dell’evento Gesù Cristo con le griglie concettuali di Aristotele applicate freddamente ai misteri di Cristo. In questo modo la dinamicità dell’evento Cristo e la molteplicità che portava con sé è stata bloccata per permettere al Tomismo di trasmettere le sintesi necessarie a mantenere tranquille le future generazioni borghesi. Facendo proprio il pensiero di S. Tommaso hanno accolto nel loro seno il più moderno dei filosofi antichi: Aristotele.

 Essendo forse Aristotele il solo antico che sia stato un moderno, voglio dire un moderno come ne vediamo noi, e come dovevano nascerne dopo di lui soltanto nel 19° secolo dopo Cristo. Il solo antico che sia stato privo della saggezza e soprattutto dell’intelligenza antica e che abbia rivestito, ma completamente e subito, l’intelligenza moderna. Perciò essi sono andati a cercare proprio lui[11].

Ciò che in definitiva ripugna di più del tomismo a Péguy, è il sistema aristotelico che pretende di mettere in paragrafi l’esistenza, la libertà, la vita.

Lo sosteneva già Heidegger all’inizio del ‘900 che il problema della metafisica sta nel fatto di aver sostituito l’evento con l’essere, la realtà con l’idea e, di conseguenza, la metafisica contiene già al suo interno l’annuncio della sua fine[12]. La metafisica occidentale ha preteso di inglobare l’evento nell’idea, di dirigere la realtà, luogo della manifestazione dell’evento, nella sua precomprensione ideologica e, in questo modo, ha preteso di ordinarla, indirizzarla, pretendendo di spiegarla con una sintesi. Il fatto è che la realtà è più di un’idea e, di conseguenza, anche le migliori idee, le migliori sintesi non reggono alla storia reale, alla realtà che si manifesta non in modo uniforme, che l’idea potrebbe interpretare tranquillamente, ma molteplice. La realtà, nella sua manifestazione storica, ha per così dire fatto esplodere i grandi sistemi moderni, le metanarrazioni che hanno preteso per secoli d’interpretare in modo apodittico, unilaterale e indiscutibile la realtà. La realtà, che per sua natura è molteplice, non accetta, per così dire di essere sintetizzata, perché la sintesi lascia sempre da parte elementi ritenuti marginali a partire dalla precomprensione di chi la opera. Il pensiero che ha plasmato l’Occidente nasce con questa ricerca di un principio primo che è fondamento di tutto. Interessante è scoprire che lo stesso Platone, nei testi non scritti[13] e rivelati dai suoi discepoli, testi che trasmetteva oralmente a loro e che costituivano il centro del suo insegnamento, proprio per la sfiducia che aveva dei contenuti scritti[14], sostiene l’ipotesi che all’origine di tutto non vi sia un principio prima, ma l’Uno e la Diade, che agisce sui numeri e su tutti i livelli della realtà. Il tentativo di salvare, per così dire, il fenomeno Gesù, costruendo attorno a Lui un pensiero rigido, che lo difendesse da qualsiasi idea differente da quella interpretata dal pensiero ufficiale, non solo risente di un impianto concettuale, quello metafisico, dimostratosi perdente e insufficiente con il tempo, ma nega la stessa apertura mentale del messaggio dello stesso Gesù. Quando nel Nuovo Testamento si parla di apertura ai pagani del messaggio della salvezza[15], oltre a realizzare le profezie universaliste dell’ultimo Isaia, rivela anche la grande apertura del messaggio salvifico di Gesù, ben lontano dalle restrizioni unilaterali di color che avevano il compito di dare compimento alla sua Parola e non di decurtarla. La pace proposta da Gesù è in linea con la proposta dei profeti che affermava: “Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso (Is 11, 6-8). Queste bellissime immagini profetiche rivelano il sogno di Dio, che Gesù ha manifestato con la sua comunità di discepoli e discepole, diversi tra di loro e mai uniformizzati. L’esatto contrario del pensiero metafisico che sistematizza le differenze in un unico pensiero e dell’operazione della teologia dogmatica, che formalizza i contenuti in modo tale da escludere radicalmente qualsiasi opinione differente. Verrebbe da dire: tutto il contrario del Vangelo. Come ha fatto il pensiero accogliente delle diversità come quello di Gesù, essere preso e divulgato dalla teologia dogmatica che va nella direzione opposta? Sono misteri che si comprendono solamente quando si analizza la storia.

Le periodiche e costanti crisi che stiamo vivendo nell’epoca contemporanea, hanno messo in discussione i più importanti sistemi economici. La crisi climatica che stiamo vivendo con sempre maggior evidenza, ha messo in ginocchio tutte le pretese della tecnologia di costruire un mondo a misura d’uomo, infischiandosene della natura che, ora, sta presentando un conto salatissimo. La pretesa politica di poter esportare un sistema democratico ritenuto l’unico capace di garantire equilibrio e sicurezza per i cittadini, si è dimostrato limitato e poco rispettoso delle diversità culturali che maturano nel tempo in un determinato luogo. La pretesa della cristianità d’imporsi come unica religione, sta facendo i conti con alcuni errori fondamentali d’impostazione presenti all’inizio e che ne hanno segnato la fine. Il primo consiste nell’aver utilizzato la metafisica per interpretare i principali contenuti della sua proposta religiosa. Come ha sostenuto Gianni Vattimo l’evento della croce aveva già al suo interno l’annuncio della fine della metafisica, prima ancora che la cristianità iniziasse ad utilizzarla. La morte, infatti, di Cristo-Dio, cioè dell’Essere sulla croce, annunciava la fine di ogni futuro tentativo di sistematizzare gli venti della realtà plurale[16], con la durezza monolitica dell’Essere parmenideo. Le impostazioni teologiche del cristianesimo sviluppatesi in altre parti del mondo, rifiutano da decenni l’unicità della narrazione metafisica della teologia cattolica occidentale. È il caso, solo per fare un esempio, della teologia della liberazione latinoamericana, che non accetta l’imposizione della sintesi occidentale per comprendere la manifestazione di Dio così come è avvenuta ed è stata interpretata nel cammino delle comunità ecclesiali di base (CEBs)[17]. Molto più duro e radicale è il rifiuto netto delle teologie indigene che stanno leggendo l’evento di Gesù alla luce delle proprie visioni cosmogoniche molto differenti da quella occidentale[18]. L’insistenza sulla metafisica tomista identificata ancora nel 1998 dall’enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II come il punto di riferimento della chiesa cattolica[19], con il tempo si è verificata riduttiva e fuorviante. Il processo di scristianizzazione in atto sta dimostrando di essere rapido e irreversibile. I tentativi che vengono fatti dalla gerarchia ecclesiastica d’imporre l’unicità d’interpretazione del mistero di Gesù oltre a dimostrarsi perdente, sta manifestando l’incapacità di leggere gli eventi della storia. Ormai è chiaro anche in occidente che ogni forzatura, ogni azione violenta e coercitiva per imporre un’idea, ha solo una parvenza immediata di successo, perché il tempo mostrerà il conto. Il pensiero metafisico occidentale ha in sé germe di violenza perché nasce con la pretesa di leggere in modo onnicomprensivo e unico la realtà plurale e, di conseguenza, sente l’esigenza d’imporlo[20]. Questo sentimento malvagio ha provocato nei secoli il senso di superiorità dell’occidente sulle altre culture. Lo sterminio delle popolazioni indigene attuato prima in Nord America e poi in Sud America è basato su questa pretesa superiorità culturale e religiosa[21]. Lo stesso si può dire nello stermino delle differenti dottrine operato dalla Chiesa cattolica. La storia dei Catari e dei valdesi, solo per fare qualche esempio, sono a conoscenza di tutti. Storie di violenza che non costituiscono una mera eccezione, ma una conseguenza dell’impostazione iniziale, vale a dire l’interpretazione metafisica dell’evento e la sua necessaria imposizione a tutti. L’unicità d’interpretazione ha poi richiesto una classe dirigente rigida, dura, implacabile. C’è una violenza intrinseca al pensiero metafisico occidentale che è alla base di tante guerre di religione e all’origine dello sterminio di intere popolazioni in nome del Vangelo di Gesù Cristo. Un dato chiarissimo per chi legge il Vangelo oggi in modo sereno e disinteressato è il messaggio chiaramente non-violento di Gesù, che alla violenza subita dagli uomini religiosi del tempo ha risposto con il silenzio, con atteggiamenti e scelte non violente. I danni del pensiero metafisico greco riletto in chiave cristiana sono incalcolabili ed estremante dolorosi.

 



[1] Con questo termine intendiamo la Chiesa cattolica nei suoi rappresentanti ufficiali come il papa, i vescovi, il clero. Non c’è riferimento, dunque, alle tante esperienze ecclesiali sorte nei primi secoli, ricche di carismi e di diversità.

[2] Cfr. WILKEN, R.L. Alla ricerca del volto di Dio. La nascita del pensiero cristiano. Milano: Vita e pensiero, 2006.

[3] RATZINGER, J. Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni de mondo. Siena: Cantagalli, 2005.

[4] Charles Péguy (1873-1914). Fu allievo di Romain Rolland e di Henri Bergson, le cui lezioni lo segnarono molto e di cui poi divenne amico. In quegli anni sviluppò le sue convinzioni socialiste. fondò la rivista Cahiers de la Quinzaine, allo scopo di far scoprire nuovi talenti letterari e pubblicare sue opere. Nel 1907, si convertì al cattolicesimo. Da allora, produsse sia opere in prosa di argomento politico e polemico (Notre Jeunesse, L'argent), sia opere in versi mistiche e liriche. Tenente della riserva, durante la prima guerra mondiale si arruolò nella fanteria. Morì in combattimento, all'inizio della prima battaglia della Marna, il 5 settembre 1914.

[5] Casse-cou, in PÉGUY, C. Ouvres em prose, Paris: Gallimard, pp. 303-307

[6] Ivi, p. 23.

[7] PEGGUY, C. Cartesio e Bergson, Lecce: Milella, 1977, pp. 227-228.

[8] A questo proposito PRONTERA A.  afferma che: “bisogna sottolineare il ruolo che assume in queste analisi filosofiche di Péguy il senso di termini come “dono” o come “decerner”, preso nel suo senso più pieno e complesso di decidere, decretare, ma anche di accordare, donare, aggiungere, attribuire utilizzati spesso come elementi propri di un oggetto: il “reale” (la filosofia come metodo. Libertà e pluralità in Charles Péguy. Lecce: Milella, 1987, pp. 186-187).

[9] Ivi, p. 23.

[10] Ivi, p. 210.

[11] Ibidem.

[13] Cfr. REALE, G. Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle «Dottrine non scritte». Milano: Vita e pensiero, 1997.

[14] Platone sostiene questa tesi nella Lettera 7 e nel Fedro. Cfr. REALE, G. Platone. Alla ricerca della sapienza greca. Milano: Vita e Pensiero, 2019.

[15] Cfr. È Pietro che dice: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto” At 10, 34-35.

[16] VATTIMO, G. Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso. Milano: Garzanti, 2002.

[17] Cfr. BOFF, L. Chiesa, carisma, potere. Saggio di ecclesiologia militante.  Roma: Borla, 1984.

[18] MUNIZ, A. Teologia anticolonial. Caminhos do cristisanismo indigena. San Paolo: Saber criativo, 2021; SANCHES, S-M, PURI,A., RIBEIRO DOS REIS,P. Teologia Indígena Cristã. San Paolo: Saber Criativo, 2022.

[19] GIOVANNI PAOLO II, Fides et ratio, Vaticano, 1998.

[20] Cfr, VATTIMO, G. Dopo la cristianità, cit. p. 99s.

[21] Cfr. TODOROV, T. La conquista dell’America. Il problema dell’”altro”. Torino: Einaudi, 2014. 

ESPRIT NOVANT'ANNI DOPO

 



Paolo Cugini

Ricorre nel mese di ottobre, l'anniversario delle rivista Esprit, uscita per la prima volta il primo di ottobre del 1932. Sono, dunque, novant'anni che Esprit è presente nel panorama culturale non solo francese, ma europeo. L'ideatore e creatore di questa rivista è stato il filosofo francese che, all'età di 25 anni, rinunciò alla carriera universitaria per imbattersi in un'avventura di grande spessore culturale. Sarà sulle pagine di Esprit che nascerà la corrente filosofica del personalismo comunitario, pensiero di matrice cristiana, aperto al dialogo con le ideologie dell'epoca.

Prendere in mano i testi di Emmanuel Mounier, sfogliare le pagine di Esprit da lui fondata può sembrare un gesto obsoleto, nostalgia del passato. In parte è anche così, ma c’è di più. Ciò che accompagna le pagine di Mounier è il desiderio di condividere un mio personale percorso filosofico più che trentennale, alla ricerca di un pensiero cristiano in grado di leggere e interpretare la realtà, mostrando allo stesso tempo, la novità e la forza del Vangelo. Mounier è stato nella sua epoca, un riferimento per tutti coloro che cercavano di leggere le pagine buie della storia tra le due grandi guerre, in una prospettiva cristiana. In questo sforzo era in buona compagnia. Nella Francia degli anni Trenta, infatti, il dibattito sul pensiero cristiano e sulla possibilità di una filosofia cristiana, era molto vivace. Autori come Blondel, Gilson, Maritain, solo per fare alcuni nomi, avevano alzato la voce, aprendo sul tema in questione un dibattito significativo. Cercare una relazione tra fede e vita, liturgia e storia non è mai stato semplice. Ne sono testimonianza pagine di storia in cui spesso si assiste o al ripiegamento intimistico e individualistico, che dimostra la paura del mondo, più che il desiderio di trasformarlo dal di dentro, immergendosi in esso facendo affidamento al contenuto della fede a cui si aderisce. Dall’altra, la tentazione di immergersi a tal punto nel mondo a tal punto da dimenticare o rinnegare le proprie origini cristiane. Questo equilibrio delicato tra fede e vita Mounier l’ha vissuto in prima persona ed è sempre stato molto attento a descriverlo, a mostrare cammini concreti per realizzare un’armonia possibile. Accompagnare il suo impegno per non lasciarsi portare via dalla smania dell’azione, per rimanere concentrato nella ricerca dei fondamenti spirituali che possano illuminare e dare senso all’azione, sarà l’obiettivo della prima parte di questa ricerca, che tenta di narrare la nascita della rivista Esprit. Uno degli aspetti più interessanti dell’esperienza culturale di Mounier la troviamo proprio in quello che possiamo definire il laboratorio spirituale e culturale che è stata la rivista Esprit. Mounier non è il classico pensatore che a tavolino elabora una filosofia, un sistema filosofico onnicomprensivo. Il personalismo comunitario è nato sulle pagine della rivista Esprit, una rivista voluta e pensata come laboratorio culturale attorno al quale Mounier ha saputo coinvolgere le migliori menti pensanti della Francia degli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso. Un pensiero che ha voluto e saputo confrontarsi con il mondo religioso protestante e cattolico e con il pensiero politico di sinistra, nella ricerca continua di offrire alla crisi di civiltà che l’Europa stava vivendo, non solo spunti culturali di rilievo ma, forse e soprattutto un metodo.

Cercare punti di riferimento, percorsi già battuti di una rielaborazione concettuale che cerchi di leggere i dinamismi della storia alla luce della proposta cristiana è quanto mai importante, soprattutto in questa fase delicata di post-cristianesimo, in cui si corre il rischio di dimenticare tutto, di cancellare dalla memoria storica, anche i contributi più preziosi. Confrontarsi in questo frangente della storia con il personalismo comunitario di Emmanuel Mounier, può essere stimolante, anche perché non si tratta di una proposta filosofica maturata a tavolino, lontana dai problemi del vissuto quotidiano. Il postcristianesimo è una fase di passaggio epocale in cui diventa facile lasciarsi trasportare dall’ebrezza della novità, della ricerca di cammini nuovi, senza preoccuparsi troppo di che cosa si lascia, di ciò che rimane alle spalle. Guardare a Mounier significa considerare la persona come il punto di partenza fondamentale per tutti coloro che desiderano percorrere un cammino nella novità che l’epoca attuale sta portando, sena correre il rischio di perdersi, di confondersi. Questo riferimento alla persona diviene ancora più importante nel clima filosofico post metafisico, di perdita di quei fondamenti che hanno segnato l’Occidente. Non, dunque, un riferimento qualunque, ma al modo in cui il personalismo di Mounier intende la persona, ancorata alla fonte cristiana in cui ancora oggi è possibile abbeverarsi senza il timore di rimanere schiacciati sotto le macerie di un passato ingombrante. Per questo motivo, nella seconda parte della presente ricerca presenteremo alcuni dei temi che hanno segnato il cammino della proposta personalista di Mounier, temi che, come avremo modi di dimostrare, rimangono costantemente aperti al confronto con le dinamiche culturali del tempo.

Come ogni pensiero e come ogni proposta culturale che segna un’epoca e che offre spunti di riflessione per intere generazioni, anche la proposta di Mounier non nasce a caso, non si sviluppa in modo isolato, ma ha delle origini, provoca dei confronti. È questo il senso della terza parte della ricerca, che propone un confronto con l’autore che lo stesso Mounier definisce un maestro: Charles Péguy. Ci sono delle relazioni culturali che si trasformano in amicizie spirituali, anche se gli autori non si sono mai conosciuti, com’è il caso di Mounier e Péguy. Amicizie culturali che segnano una vita, perché vanno in profondità, aprono varchi nell’anima e nel cuore, dirigono il pensiero, costituiscono una guida così importante da rimanere sempre presenti durante il cammino della vita. Nel corso degli anni, mentre approfondivo il pensiero di Mounier, mi sono imbattuto in alcuni autori le cui riflessioni rimandavano costantemente al padre del personalismo comunitario. Uno di questi è la filosofa francese Simone Weil. Mi sono interrogato spesso sul motivo della scarsa collaborazione tra i due pensatori e, per questo, ho pensato di dedicare qualche pagina al tema.

L’ultimo sforzo della ricerca è direzionato all’attualità. Qui il cammino si complica, perché il rischio è quello d’impantanarsi nella palude dell’immediato, delle simpatie tematiche, correndo il rischio di perdere di vista la serietà del percorso, l’attenzione alle prospettive che s’intendono osservare. Ho ritenuto allora opportuno, un confronto del personalismo con il mio campo specifico di lavoro, che è la pastorale, che consiste nello sforzo quotidiano di annunciare il Vangelo nel contesto specifico di una parrocchia. È questo il contenuto della quarta e ultima parte di questa ricerca.

Senza dubbio la riflessione di Mounier presenta degli aspetti superati, in quanto legati all’epoca in cui la sua proposta è stata elaborata. La situazione politica e culturale dei nostri giorni è cambiata e, per certi aspetti, non sono proponibili dei paralleli. In ogni modo, ciò che è significativo nel personalismo di Mounier è la capacità di pensare ai problemi incontrati sena cercare risposte immediate capaci di soddisfare la maggioranza, ma di elaborare una proposta guardano avanti. Sempre in questa prospettiva progettuale è significativo lo sforzo di Mounier di coinvolgere nella ricerca persone

 

lunedì 5 settembre 2022

LA PAURA DEL SILENZIO. LA PAURA DEL CAMBIAMENTO

 



Riflessioni esistenziali dopo gli esercizi spirituali

Paolo Cugini



Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si riturò in un luogo deserto e là pregava (Mc 1,35).

 

Come mai gli adulti fanno così fatica a stare in silenzio? È questa la domanda che è entrata nella mia mente durante le giornate degli esercizi spirituali. Mi ha colpito l’assenza di tante e tanti che alla domenica vedo in chiesa o che hanno assunto degli incarichi nella comunità. E allora perché non ci sono, come mai?

La classica scusa: non avevo tempo ero stanco, non funziona. Quasi tutti si sono presi una o due settimane di ferie, giustamente – ci mancherebbe – con la famiglia. Quindi non è un problema di tempo, anche perché per partecipare alla proposta integrale degli esercizi spirituali, basta prendersi una giornata di ferie, il venerdì, e sistemare un po' le cose per riuscire ad accompagnare integralmente la proposta. Del resto, vedo che quando teniamo a qualcosa ci facciamo in quattro per esserci. Ciò significa che il tempo ce l’abbiamo anche ma, allora, perché?

Credo che il problema sia nella paura del silenzio, non la paura dei bambini, ma degli adulti. Nel silenzio prolungato dalla coscienza emergono i fantasmi del passato, le situazioni negative che abbiamo schiacciato e che non vogliamo sentire, prendere in mano. Nel silenzio, soprattutto quando è guidato da spunti spirituali, viene fuori tutto: non c’è verso di schiacciare dentro. Entrare nel silenzio significa accettare di mettersi in gioco e, per questo molti, la maggior parte, preferiscono continuare così, lasciare nel pozzo della coscienza le cose negative del passato, quelle mai risolte e andare avanti, come se niente fosse.

Ma è possibile fare finta di niente? È possibile mentire a se stessi tutta la vita? È possibile continuare a stare male facendo finta di nulla, camminando per le strade della vita con il sorriso fuori e le macerie dentro?

Gesù è l’uomo che viene dal silenzio. La sua adolescenza e la sua giovinezza sono avvolte dal silenzio. Ha iniziato la vita adulta con quaranta giorni di deserto e lì, si sa, non c’è molta gente. Nei tre anni di attività pubblica cercava il silenzio come il pane. Appena poteva si allontanava dalla folla, cercava luoghi isolati, passando molto tempo in preghiera di notte, o all’alba. Chi ama il Padre ama il silenzio, lo cerca, lo bramo, non riesce farne a meno.

Il silenzio è il cammino dell’autenticità. Chi accetta la sfida di trascorre qualche giorno in silenzio, accompagnato da una guida, non potrà più farne a meno. È la scoperta della possibilità di vivere in modo autentico, di non avere più bisogno di nascondersi, di fingere di essere qualcuno che sappiamo non corrispondere alla nostra identità.

Il cristiano è l’uomo, la donna che viene dal silenzio, che abita la pace.