Paolo Cugini
Bisogna avere il coraggio e alla
stesso tempo la forza di spezzare il muro spesso della banalità, della
superficialità, delle cose come le abbiamo sempre viste, del velo spesso del
già dato, del bell’e fatto. Trovare il coraggio di andare al di là, di guardare
al di là delle apparenze: è il grande compito della vita. Coraggio che non
sempre arriva, che non sempre troviamo, perché ci abituiamo alla comodità,
perché ci fa comodo credere che le cose siano come ce le hanno raccontate; ci fa
comodo pensare come ci hanno sempre insegnato; ci piace cullarci sulle
abitudini che troviamo nel guanciale della vita. Sappiamo, infatti, che si fa
fatica o, se non lo sappiamo, ce lo immaginiamo che si fa fatica a cambiare, che si
soffre troppo a vedere, a intravedere, a capire che quello che abbiamo creduto
essere il vero in realtà è falso, o perlomeno una verità debole, camuffata, una
verità comoda, costruita per noi apposta per sopravvivere e che quello che
abbiamo sempre visto in un modo, in realtà è tutto in un altro modo.
Nasciamo protetti. L’educazione, così com’è pensata nel mondo Occidentale, significa e si realizza nel proteggere i bambini. Proteggerli da cosa? Da tutto ciò che potrebbe fargli male, si dice. Ma che cosa può far male un bambino e da cosa li vogliamo davvero proteggere? Li proteggiamo dalla realtà, da quella realtà che secondo noi potrebbe nuocere loro. E’ questo il dramma dell’educazione Occidentale: la protezione dalla realtà, che è allo stesso tempo, la protezione dalla vita. Pensiamo che la realtà sia troppo dura al punto che vogliamo proteggere le nuove generazioni da questo incontro che pensiamo funesto. Come si fa a pensare di voler proteggere un giovane dalla vita? E’ di questo che si tratta. Siamo così abituati - che disgraziati!- a vivere e cercare la tranquillità, che la vogliamo offrire anche ai nostri figli, pensando che sia questo ciò di cui hanno bisogno per crescere, pensando che per diventare grandi bisogna proteggerli dalla vita, dalla realtà, insomma offrirgli una vita tranquilla. Perchè non ci viene mai il sopsetto che per crescere i bambini hanno bisogno della vita, hanno bisogno di confrontarsi con la realtà, hanno cioè bisogno di sentire nelle vene l'ebrezza dell'inquietudine?
Nasciamo protetti. L’educazione, così com’è pensata nel mondo Occidentale, significa e si realizza nel proteggere i bambini. Proteggerli da cosa? Da tutto ciò che potrebbe fargli male, si dice. Ma che cosa può far male un bambino e da cosa li vogliamo davvero proteggere? Li proteggiamo dalla realtà, da quella realtà che secondo noi potrebbe nuocere loro. E’ questo il dramma dell’educazione Occidentale: la protezione dalla realtà, che è allo stesso tempo, la protezione dalla vita. Pensiamo che la realtà sia troppo dura al punto che vogliamo proteggere le nuove generazioni da questo incontro che pensiamo funesto. Come si fa a pensare di voler proteggere un giovane dalla vita? E’ di questo che si tratta. Siamo così abituati - che disgraziati!- a vivere e cercare la tranquillità, che la vogliamo offrire anche ai nostri figli, pensando che sia questo ciò di cui hanno bisogno per crescere, pensando che per diventare grandi bisogna proteggerli dalla vita, dalla realtà, insomma offrirgli una vita tranquilla. Perchè non ci viene mai il sopsetto che per crescere i bambini hanno bisogno della vita, hanno bisogno di confrontarsi con la realtà, hanno cioè bisogno di sentire nelle vene l'ebrezza dell'inquietudine?
Solitamente l’uomo abituato, la donna abituata,
fanno fatica a pensare le cose in modo diverso, fanno fatica perché si sono
abituati. Quanta tenerezza! L’abitudine risponde al mostruoso bisogno di
sicurezza che è dentro di noi, che ci accompagna dalla nascita alla morte, che
ci conduce sempre a cercare la strada più breve, la scorciatoia per arrivare al
punto stabilito. E tutto questo perché si pensa che la comodità sia qualcosa di
positivo, si ritiene che il non fare fatica, lo stare sdraiati sul sofà della
vita sia una cosa bella, sia una cosa giusta e che la vera ingiustizia sia il
doversi alzare per fare fatica, il dover lasciare la comodità del sofà per
mettersi alla ricerca di qualcosa che ci sembra già avere. Non ci passa nemmeno
per la testa, non ci viene minimamente il sospetto che quel comodissimo sofà in
realtà sia la nostra tomba; raramente ci viene il dubbio che quelle comodità
che troviamo e che non mettiamo mai in discussione siano una sorta di morte
anticipata, un’anticipazione della morte. Che cos’è, infatti, la morte se non
l’impossibilità di vivere? Ebbene le abitudini sono solitamente nell’ordine
della morte.
La tranquillità del pensiero che le abitudini provocano sono nell’ordine dell’impedimento del pensiero. Perché si sa, ragazzi miei, che pensare è fatica, che a pensare ci possono venire dei dubbi, che a riflettere sulla realtà che viviamo, che ci sembra di vivere ci può venire il sospetto, ci può venire il dubbio che forse le cose non stanno esattamente come ce le hanno insegnate e che, probabilmente, sarebbe meglio alzarsi e cominciare a cercare. E scoprire che cosa? Che la realtà è tutto fuorché lineare, che quella che noi chiamiamo realtà e che ce la immaginiamo come tranquilla, compatta e immobile, è invece plurale, molteplice e in movimento. Ce ne accorgiamo quando alzandoci dal letto delle tradizioni e dei pensieri belle e fatti con i quali siamo abituati a guardare la realtà, proviamo a liberarcene e cercare il significato profondo di quello che viviamo, che ci hanno insegnato, scoprendo che il senso della vita è da un’altra parte, che la realtà non è quella cosa tranquilla che ci hanno sempre spacciato, ma è inqueta, plurale, molteplice.
E’ da questo punto di partenza che occorre avere il coraggio e, allo stesso tempo la forza per ripartire e spingere la ricerca in tutte le direzioni possibili, perchè solo la realtà - è bene ricordarcelo- ci può rivelare la verità delle cose.
La tranquillità del pensiero che le abitudini provocano sono nell’ordine dell’impedimento del pensiero. Perché si sa, ragazzi miei, che pensare è fatica, che a pensare ci possono venire dei dubbi, che a riflettere sulla realtà che viviamo, che ci sembra di vivere ci può venire il sospetto, ci può venire il dubbio che forse le cose non stanno esattamente come ce le hanno insegnate e che, probabilmente, sarebbe meglio alzarsi e cominciare a cercare. E scoprire che cosa? Che la realtà è tutto fuorché lineare, che quella che noi chiamiamo realtà e che ce la immaginiamo come tranquilla, compatta e immobile, è invece plurale, molteplice e in movimento. Ce ne accorgiamo quando alzandoci dal letto delle tradizioni e dei pensieri belle e fatti con i quali siamo abituati a guardare la realtà, proviamo a liberarcene e cercare il significato profondo di quello che viviamo, che ci hanno insegnato, scoprendo che il senso della vita è da un’altra parte, che la realtà non è quella cosa tranquilla che ci hanno sempre spacciato, ma è inqueta, plurale, molteplice.
E’ da questo punto di partenza che occorre avere il coraggio e, allo stesso tempo la forza per ripartire e spingere la ricerca in tutte le direzioni possibili, perchè solo la realtà - è bene ricordarcelo- ci può rivelare la verità delle cose.
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