mercoledì 17 dicembre 2014

MAFIA, CORRUZIONE E CHIESA


Paolo Cugini
La notizia è recente: Italia prima in Europa per corruzione, sorpassando anche Bulgaria e Grecia. Un bel traguardo. Siamo al 69 posto, al pari del Brasile nella nuova graduatoria stilata da Transparency International, che indica il livello di corruzione dei Paesi nel mondo. La corruzione in diritto indica, in senso generico la condotta propria del pubblico ufficiale che riceve denaro (detta tangente) o altre utilità che non gli sono dovute, creando spesso un danno economico (cfr. Wikipedia). Anno dopo anno l’Italia sta scalando questo non invidiabile classifica raggiungendo dati allarmanti. Il problema, però, è che sembra non aver la minima intenzione di fermarsi. La settimana successiva, infatti, all’apparizione sui giornali di tutto il mondo di queste classifiche, è esploso il caso del comune di Roma, dell’infiltrazione della mafia nel potere politico della capitale. Certamente non c’era bisogno di scomodare Roma su questi temi. I casi dell’Expo di Milano o delle nostre cooperative reggiane esplosi nei mesi scorsi rivelano un percorso comune, una mentalità, che ormai è insinuata nel tessuto politico italiano da parecchi decenni.
E’ proprio di questa mentalità che mi pare necessario parlare, perché sembra ormai infiltrata dappertutto nel tessuto sociale italiano. Non possiamo più, infatti, identificare come facevamo un tempo la corruzione con la politica o la mafia con il meridione. Troviamo casi di corruzione, di favori personali, di ricerca del proprio interesse e di uso del bene pubblico per avvantaggiarsi in molti settori. Allo stesso modo, di mafia se ne parla a Palermo come a Milano, al sud come al nord. Mentalità di corruzione che porta a cercare il proprio interesse a scapito del bene comune, a creare sotterfugi e menzogne pur di riuscire ad accaparrarsi un favore. Mentalità che troviamo nelle relazioni quotidiane, nel modo di pensare al bene comune, non più come patrimonio da gestire assieme, ma di depredare, usare, manipolare a proprio piacimento, sfruttare il più possibile e gli altri che si arrangino.

Anche la chiesa non è esente da questa infiltrazione. Non è necessario riferirsi al Vaticano, allo scandalo dello Ior che ogni tanto torna sulla scena. Non è nemmeno necessario scomodare gli inchini della madonna davanti alla casa del mafioso locale in alcune processioni del sud. Basta guardare al modo di gestire il denaro dei fedeli che avviene nelle nostre diocesi o nelle nostre parrocchie. Quante volte in un passato troppo recente i conti della parrocchia si sono identificati con quelli del parroco creando confusione dopo il suo decesso ( i soliti famelici parenti!). Quante volte tra i fedeli serpeggia il malcontento per i costi milionari della costruzione di edifici o la restaurazione di altri, voluti dall’alto, con una volontà pochissimo condivisa a non essere per la richiesta di finanziamenti.  

Basterebbero alcuni piccoli accorgimenti per fare in modo che il Vangelo predicato dall’altare contagiasse le scelte economiche delle nostre parrocchie e delle nostre diocesi. In primo luogo un modo più dialogico (non ho scritto democratico, perché è una termine che in ambito ecclesiale suscita molte perplessità e antipatie: anche questo è già tutto un programma!) di prendere le decisioni, soprattutto quando si tratta di decidere su edifici sia di uso dei fedeli che di raccolte di denaro che li coinvolge. In secondo luogo, basterebbe mettere in fondo alla chiesa tutti i mesi un foglietto con scritto quello che è entrato e quello che è uscito. Piccoli accorgimenti che, però, possono costituire passi enormi nel segno di quella trasparenza che invochiamo nella società e che ci permetterebbe di testimoniare con più vigore quel Vangelo che a volte, anche a causa delle nostre incoerenze, sembra un libro di fiabe per bambini.


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