lunedì 26 dicembre 2016

LA VITA DELLA GENTE ALL'EPOCA DELLA SICCITÀ


ARCHIVIO BRASILE



Mercoledì, 25 luglio. Visita alle famiglie della regione di Lagoa das pombas. C´é più acqua nella regione rispetto alle altre comunità che ho visitato in questo periodo. Il motivo è un temporale di due settimane fa che ha riempito le cisterne e gli açudes. Nonostante ciò la gente continua a preparare il cibo per gli animali, perché la pioggia non è stata sufficiente per far crescere l’erba nei campi. Sarebbero state necessarie altre due piogge così, ma purtroppo ciò non è avvenuto. Ho incontrato un giovane de 35 anni, Edicarlos, in una casa molto lontana dalle altre. Mi ha colpito il fato che vive da solo. Mi ha raccontato brevemente della sua vita. Aveva molta voglia di parlare e, ogni volta che facevo una mossa come per andarmene, iniziava subito un argomento. Edicarlos mi ha raccontato che è stato cattolico, poi evangelico e ora non frequenta più nessuna chiesa. Lui stesso mi ha detto che quando una persona passa per varie chiese poi si stanca e non si avvicina più a nessuna. Mi è sembrato un uomo buono, tranquillo. Gli ho chiesto se non aveva intenzione di sposarsi e lui mi ha risposto che è una decisione che richiede molta riflessione. “Vede padre, con i tempi che corrono, non é facile trovare la persona giusta disposta a condividere la vita. Non ho fretta. Vedremo”. Pranzo a casa di una signora responsabile della comunità. Mi ha raccontato della solitudine che vive. Il marito lavora nei campi, i i figli a scuola e lei sola in casa. Il problema é che la casa e sperduta in mezzo ai campi. Mi ha parlato della depressione che ha vissuto per alcuni anni e superata soprattutto grazie alla preghiera. A provocare la depressione sono stati anche i continui tradimenti del marito. Ora, dice lei, tutto sembra sotto controllo. Speriamo che sia vero. Dopo pranzo ho preso la bicicletta per tornare a casa. Mi sono fermato nella comunità di Raspador nella casa di Nedinha. Mi piace visitare i responsabili delle comunità: è un modo per valorizzarli. Nedinha è una signora molto attiva e simpatica. Ha un figlio che studia in Salvador e un altro che fa le elementari. Dopo poco arriva suo marito Giovanni, che lo scorso anno mi aveva accompagnato in moto nella visita alle famiglie della comunità. Saluto anche Nedinha e mi dirigo verso casa. Mentre sono in viaggio decido di andare a Ipiraí con l’obiettivo di invitare Celita per l’evento di domani pomeriggio a Tapiramutá. Celita mi accoglie molto sorridente e mi offre subito da bere. Parliamo un pó delle ultime vicende politiche della città di Capela. Suo marito si lascia molto coinvolgere e Celita éèpreoccupata. Mi dice che farà di tutto per partecipare domani all'evento. Speriamo.
Arrivo in casa verso le 16 abbastanza stremato per il lungo viaggio di circa 80 km nelle comunità, ma sostanzialmente contento per gli incontri realizzati.
Alla sera messa nel settore 5 della città. Poca gente in chiesa. Luca, uno dei responsabili della comunità, mi dice che il motivo è la morte di un giovane in una comunità li vicino. Nonostante tutto, la messa è ben partecipata anche perché animata da un piccolo coro di adolescenti.


LETTERA AI GIOVANI

ARCHIVIO BRASILE






  Paolo Cugini
Fogliano, 17 settembre 2006

Carissimi giovani,
sono in Brasile da circa otto anni e da quattro non tornavo in Italia. Vivo a Tapiramutá, un città della Bahia, nel Nordest del Brasile, una regione colpita dalla siccità e, soprattutto dalla corruzione dei politici che lascia la maggior parte delle popolazione in condizioni di indigenza.
Tutti i giorni incontro moltissimi ragazzi e giovani in giro per le strade o nei bar senza far nulla. Con alcuni giovani della parrocchia abbiamo pensato di fare qualcosa e abbiamo così progettato la creazione di gruppi giovani in tutti quartieri della città. L’obiettivo che ci siamo proposti è stato quello di offrire una proposta alternativa ai giovani per il sabato sera. Infatti, l’unica proposta che incontrano nella città è il bar. Quando dico bar non dovete pensare a quei locali carini e bellini, pieni di cose e di leccornie che vedete a Reggio Emilia. I bar di Tapiramutà offrono solo due cose: la cachaça, che è una specie di grappa, e la birra. E allora i giovani al sabato sera riempiono questi locali, che spesso si trasformano in discoteche – anche qui tiratevi dalla testa l’idea di discoteca che avete – per bere e ubriacarsi.

La maggior parte dei giovani, non appena finiscono le superiori, che in Brasile dura tre anni, emigrano in altre città in cerca di lavoro o per provare ad entrare nelle università. Molto presto, a 16-18 anni, lasciano le loro famiglie, le loro origini, per immergersi nel caos delle grandi città e, spesso, perdersi. E’ pensando a queste situazioni che, assieme ai collaboratori che incontro nella parrocchia, pensiamo proposte da rivolgere ai giovani. Proposte alla nostra portata, conforme ai nostri mezzi. Proposte soprattutto formative, per offrire a questi giovani di famiglie povere, che non hanno condizioni per comprarsi libri o giornali, strumenti che possano aiutarli a leggere la realtà con occhi diversi. E’ con queste riflessioni che è nata l’idea di mettere in piedi una biblioteca per offrire anche un materiale che metta in condizione i giovani di prepararsi per entrare all’università. Qui in Brasile, infatti, per accedere all’università, è necessario passare un esame di ammissione, abbastanza difficile, basato su domande di attualità che richiedono la conoscenza dei problemi sociali e politici oltre alla letteratura brasiliana e internazionale contemporanea. E’ chiaro che, coloro che non hanno accesso a riviste e libri aggiornati, sono tagliati fuori. Un giovane che non riesce a studiare, o si perde nelle grandi città, o diviene preda facile del sistema politico, che li coopta offrendo loro lavori umilianti a bassissimo prezzo in cambio dell’appoggio politico. Per questo il potere politico locale non investe quasi nulla in cultura, per mantenere la gente ignorante e, quindi, sottomessa. La cultura è strumento di liberazione, di riscatto sociale. Le nuove economie emergenti – Corea del Sud, Sudafrica, India e Cina – per uscire dalla situazione di miseria in cui si trovavano, hanno investito nella rinnovazione dei loro sistemi scolastici. Il problema è che in questi paesi emergenti il rinnovamento sociale e culturale è rivolto sempre e solo alle classi più elevate. Ai poveri si danno alcune briciole, per metterli a tacere e per avere in mano uno strumento di ricatto.
La biblioteca che stiamo mettendo in piedi non è fatta solo di libri, ma soprattutto di idee. Assieme a Domingos - un padre di famiglia di Tapiramutà, che da anni lavora pere i progetti sociali della diocesi di Ruy Barbosa, soprattutto sui progetti legati alla riforma agraria e che molti di voi hanno conosciuto lo scorso anno – abbiamo radunato vari giovani in biblioteca per pensare a forme di cooperative che potrebbero generare posti di lavoro a Tapiramutà. Oltre a ciò, con un gruppo di giovani che stanno partecipando del cammino formativo per ricevere il sacramento della Cresima (qui a Tapiramutà non è obbligatorio entrare nella catechesi della Cresima, entrano solamente quei giovani che amano la Chiesa e quindi desiderano conoscere di più Gesù e la sua Parola), abbiamo elaborato una serie di proposte per promuovere la cultura e l’amore alla lettura tra i giovani. E così sono nate diverse idee, tra le quali l’idea del " Concorso Dom Helder Camara" dove offriamo un premio in denaro ai primi tre classificati. L’idea, anche, di offrire borse di studio per i giovani poveri che desiderano tentare l’esame di ammissione all’università e che non hanno i soldi per pagassi la tassa d’iscrizione. Stiamo pensando di organizzare corsi di letteratura, storia, inglese chiamando qualche professore dell’università di Jacobina, che dista circa 130 km da Tapiramutà. In vista anche delle elezioni municipali del 2008, abbiamo intenzione di organizzare un corso di formazione politica, come primo passo per formare il movimento "Fede e Politica", che in Brasile si prefigge l’obiettivo di coscientizzare politicamente le persone, affinché non si lascino corrompere, ma apprendano a valorizzare il loro diritto al voto. Abbiamo pensato anche, soprattutto per i mesi estivi, di attivare un cineforum da realizzare nei quartieri più poveri.
E’ chiaro che per realizzare queste idee ci servono dei fondi. Come li raccogliamo?
La prima regola che ci siamo dati è di non chiedere nulla ai politici locali, per non rimanere intrappolati nei loro ricatti. Organizziamo delle tombole con premi donati dai commercianti locali. Al sabato, al mercato, vengono vendute torte fatte da alcune signore e da alcune ragazze al venerdì sera nella cucina della parrocchia. Il salario del parroco è un’altra fonte irrinunciabile. Ci affidiamo anche alle offerte che vengono dall'Italia.
Su questo ultimo punto vorrei soffermarmi per chiarire il discorso. Non basta aprire il portafoglio e fare un’offerta. A volte la carità invece di aiutare offende, umilia. Quando i politici danno delle cose ai poveri, lo fanno per fargli capire la differenza e per fare in modo che, questa differenza di livello sociale, rimanga e si rinforzi. Non basta fare la carità: bisogna vedere che cosa c’è nel cuore. Per noi cristiani, che crediamo nella proposta evangelica di Gesù, la carità è dono di Dio e stimola alla responsabilità con i fratelli e le sorelle che il Signore ci pone accanto. Anche perché c’è da dire una cosa che forse non sapete. I giovani poveri che conosco, con i quali collaboro tutti i giorni, non hanno i soldi perché i loro genitori sono poveri, ma hanno una grande dignità. Fernanda, Cleidiane, Uilma, Laise e Marineide, per esempio, sono le volontarie della biblioteca parrocchiale. Oltre ad andare a scuola, ognuna di loro tiene dietro alla casa e ai loro numerosi fratellini. Non fanno i capricci perché il papà non gli dà i soldi per uscire al sabato sera. Se vogliono comprarsi un paio di pantaloni o di scarpe nuove, non vanno a piangere soldi dalla mamma o dalle nonne: si tirano su le maniche e se lo guadagnano, facendo servizi umili a casa dei ricchi. E tutto ciò con il sorriso sulle labbra. Non c’è nulla di bambine viziate nei loro atteggiamenti: c’è invece una grande dignità, un orgoglio per i propri genitori, per la propria vita, che a volte mi mette soggezione. E penso: io alla loro età non ero così forte, non avevo quella dignità. Tutte le volte che avevo bisogno di qualcosa, correvo dal papà ed esigevo quello che per me era il dovuto. E ancora. Quando ero ancora in Italia, tutti i giorni ero immerso dalle bestemmie e dalle volgarità dei giovani che frequentavano l’oratorio parrocchiale. In quasi otto anni di Brasile non ho mai ascoltato una bestemmia. Nelle nostre parrocchie brasiliane non abbiamo gli oratori miliardari che ci sono da queste parti, super attrezzati per accogliervi, ma vi assicuro che ci sono giovani educati, rispettosi e riconoscenti per quello che la Chiesa fa per loro. I giovani della parrocchia di Tapiramutà sono poveri, non dei poverini. Scrivo queste cose per aiutarvi a combattere un preconcetto abbastanza diffuso e cioè che un povero è un pezzente, un essere inferiore. Fate un piccolo esame di coscienza e pensate un momento: con che occhi guardate coloro che non hanno le scarpe o i pantaloni alla moda? Che cosa esprimete quando vi deprimete perché non potete avere quella determinata cosa? Perché non ce la fate a vivere sereni e contenti se non avete determinate cose? Come vi ha ridotti questa società?
Ancora una volta vi dico: ho incontrato più dignità, più amore alla vita, più riconoscenza a Dio nei giovani poveri di Tapiramutà o di Miguel Calmon ( la parrocchia nella quale ho lavorato per cinque anni), che in tanti giovani ricchi e viziati italiani. Essere uomini, essere donne, non dipende dal conto in banca o dalla casa nella quale si abita o dalla moto, dalla macchina che si ha nel garage: è una questione di dignità, di amore e questo non si compra. Ringrazio allora Dio, la Chiesa, il Vescovo che mi ha mandato in Missione in Brasile per diventare più uomo, per crescere in umanità, per scrollarmi di dosso quella vita superficiale e a basso costo che ho appreso in Italia.
I miei amici giovani di Tapiramutà, non hanno bisogno delle nostre briciole: sono abituati alla vita dura. Hanno bisogno di amici che gli vogliano bene, di amici che amano la vita, che non si disperano per la mancanza di cose di cui si può benissimo fare a meno. Carissimi giovani, se ci pensate bene i miei amici giovani di Tapiramutà vi stanno offrendo una grandissima occasione per crescere in umanità. Questo è il bello della missione: si pensa di fare qualcosa di buono per gli altri e si scopre che sono loro a farlo per noi. Non vi chiediamo di organizzare cene, gnoccate, o altre cose del genere. Peggio ancora, non andate a chiedere ai vostri genitori dei soldi per mandare in missione: per favore non fateci anche voi del male! E allora che cosa vogliamo?
Desideriamo che voi apprendiate a vivere con l’essenziale, che vi liberiate di ciò che è inutile. Lo sappiamo che è una proposta un po’ pesante, forse scioccante, ma è una proposta che sgorga dal Vangelo e come tale va presa e pensata. Desideriamo che i soldi che riceviamo da voi non siano soldi facili, a basso prezzo, che non vi costano nulla, ma difficili, che vi costino fatica, sacrifici. Perché è così che sono le nostre vite: difficili, piene di sacrifici. Accettiamo volentieri offerte che siano il segno di una vostra rinuncia di qualcosa che potete benissimo fare a meno. Non scendo negli esempi particolari per non cadere nel banale, ma credo che ci siamo capiti. Se però avete bisogno di capire meglio, vi faccio l’esempio di Martina.
Martina è una bambina di otto anni. I suoi genitori le hanno letto la lettera che avevo scritto a tutti i genitori, in cui esprimevo più o meno queste idee che state leggendo. Un giorno eravamo assieme in macchina e la mamma gli ricordava che tra pochi giorni ci sarebbe stato il suo compleanno. " Che cosa dici Martina, – la interrogava il papà al volante, scherzando con lei - perché non facciamo come ha suggerito don Paolo nella lettera, invece dei regali chiediamo ai tuoi amici di raccogliere i soldi e mandarli ai bambini di Tapiramutà?". Martina sorrideva e taceva e la cosa finì lì. Otto giorni dopo ho ricevuto una letterina di Martina, il cui contenuto è il seguente:
"Ciao don Paolo ho seguito il tuo consiglio: alla mia festa di compleanno ho chiesto ai mie amici di non portare regali, ma se volevano fare un’offerta per i tuoi bambini.
Loro sono stati contenti, uno mi ha dato un biglietto di auguri con scritto che era una bellissima idea. Qualche regalo è arrivato lo stesso. La Sara, una mia amica, anziché comprarmi un regalo ha fatto per me un bellissimo fiore. Io sono contenta e quando ci vediamo ti do quello che mi hanno offerto. A tutti i miei compleanni farò sempre questa cosa. Ciao Martina."

Domenica 17 settembre, dopo la Messa delle 11, Martina mi ha consegnato i soldi del compleanno.
Quella di Martina è stata una storia che mi ha commosso moltissimo. Ho capito perché Gesù diceva ai suoi discepoli: "Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 19,14). Noi adulti siamo diventati troppo complicati e quindi complichiamo la semplicità del Vangelo e facciamo fatica a viverlo.
Quello che Martina ha realizzato è ciò che io intendo come scambio della missione, e cioè gesti semplici, personali che nascono dal Vangelo e lentamente distruggono le abitudini mondane che abbiamo imparato e che facciamo fatica a scrollarcele di dosso. Gesti che sono frutto di nostre rinunce, che paghiamo di persona e che, quindi non facciamo pagare agli altri. Non si tratta, allora di quantità, ma di qualità, di stili di vita. E’ sullo stile di vita, sul nostro stile di vita che sarebbe bello confrontarsi, per capire se ciò che stiamo facendo ci rende davvero felici o dobbiamo cambiare qualcosa. 



LOTTA CONTRO LA CORRUZIONE POLITICA




ARCHIVIO BRASILE




Le “fischiate” del Movimento Fede e politica di Tapiramutá(Ba) contro la corruzione elettorale: maggio giugno 2008



Paolo Cugini


Il Movimento fede e politica, sorto in Brasile negli anni ottanta, ha tra i suoi obiettivi quello di aiutare le persone a comprendere l’autentico valore della politica. In una regione come il Nordest Brasiliano, campione di corruzione politica, questo lavoro di coscientizzazione è veramente arduo. Nella città di Tapiramutá, una delle più politicamente corrotte della regione- nel senso che solo Dio sa quanti milioni di reais il sindaco ha rubato alle casse del Municipio- il Movimento Fede e Politica é sorto como frutto del corso di formazione politica che la parrocchia ha organizzato alla fine del 2007, per preparare sia i candidati politici, che la gente in generale, alle elezioni politiche del 2008.
Il Movimento fede e politica nella prima parte dell’anno ha organizzato una serie di manifestazioni chiamate “Apitaço” e cioè “fischiata”. Il motivo di questo nome é molto semplice, e cioè è legato al fatto che tutti  i componenti del movimento presenti alla manifestazione ricevono un fischietto per fischiare. É un modo divertito di protestare contro la corruzione elettorale e, allo stesso tempo, allertare la gente sui danni sociali che  la corruzione produce. É stato bello vedere centinaia de persone, dai babini alle persone piú anziane, salire sui camion e con allegria partire per le comunità a protestare contro la corruzione elettorale. Già il fatto di partecipare ad un evento como questo é da considerare formativo. Camminare per le strade di una città ( siamo già stati nelle città di Mundo Novo, Piritiba, Miguel Calmon oltre che, naturalmente, Tapiramutá), o di una comunità della zona rurale (siamo giá passati per Volta Grande e Pau de Pilão, due comunità di Tapiramutá), per gridare slogans contro la corruzione, inneggiando alla libertà e alla fraternità in un contesto come è il nostro, è altamente significativo. Infatti, significa che in qualche modo quella paura dei potenti, dei politici corrotti, delle loro minacce, sta venendo meno.
 Due episodi legati alle nostre marce di protesta sono stati significativi in questo periodo, in relazione alla progressiva perdita di paura da parte della gente. Il primo é avvenuto nella camera degli assessori comunali, che si riunisce tutti i lunedì pomeriggio e, nel’ultimo lunedì del mese, lascia aperto lo spazio per i cittadini che vogliono esprimere il loro parere su qualcosa della città. Il signor Valmir della comunità di Dioclécio, un militante de Movimento, oltre ad essere un membro attivo della comunità cattolica di Dioclécio, nell’ultimo lunedì di maggio ha preso la parola pr denunciare pubblicamente i tentativi di corruzione operati per un assessore di nome Ruy Barros, presente in quel momento nella sala. In un primo momento lo stesso assessore é rimasto incredulo: nessuno aveva mai osato tanto così. In un secondo momento ha cominciato a inveire contro il signor Valmir, sino ad arrivare ad offese personali. Vedendo che il signor Valmir non si intimidiva, ma continuava impavido a citare dati e persone di quelle che l’assessore stava coinvolgendo nel tentativo di corruzione, l’assessore Ruy Barros, in un impeto di rabbia, ha preso il microfono e, gridando cose indicibili, l’ha scagliato con tutta la forza per terra e poi se n'è andato imprecando. Il giorno dopo in cittá non si parlava di altro e cioè del fatto he il povero signor Valmir aveva affrontato senza paura l’assessore del comune Ruy Barros: come a dire Davide contro Golia e, come sempre, nella disputa chi ha la meglio é Davide.
L’altro episodio sintomatico di quella che si púo definire la progressiva scomparsa della paura dei “grandi” da parte dei piccoli, é avvenuto domenica 25 maggio, giorno nel quale il Movimento aveva organizzato una serie di eventi per manifestare contro la corruzione elettorale. E così dopo aver manifestato con le nostre “fischiate”e slogan nella comunità di Volta Grande, ci siamo diretti in città sulle macchine e i camion, sventolando le bandiere del movimento, continuando a fischiare sino ad arrivare nei pressi della chiesa per partecipare alla Messa. Dopo la messa, come concordato con il capo dell’infrastruttura del comune, un gruppo di giovani del Movimento avrebbe realizzato un pezzo di teatro sul tema della corruzione politica, nella piazza principale della città. Nel frattempo, però, i collaboratori del sindaco, sapendo che il Movimento aveva concentrato molta gente nella piazza della città per una manifestazione di massa, aveva organizzato in fretta e alla bene-meglio,  una serie di spettacoli coinvolgendo bambini e adolescenti. L’obiettivo chiarissimo era quello di fare di tutto per distogliere l’attenzione della moltitudine di gente presente in piazza e, soprattutto, non permettere ai giovani del movimento di prendere la parola. Siccome il nostro spazio d’intervento era previsto dieci minuti dopo il termine della messa e cioè esattamente alle 20,40, mi sono diretto verso il coordinatore dell’evento culturale organizzato dal comune per sapre se tutto stava conforme a ciò che si era stabilito in precedenza. Dopo pochissimi minuti ho visto il sindaco con sua moglie discutere animatamente in mezzo ad un vortice di gesti minacciosi con il coordinatore dell’evento culturale del comune. Chiaramente il sindaco non voleva assolutamente che il Movimento si manifestasse quella domenica sera. Al che vari membri del movimento ed io stesso abbiamo cominciato a marcare stretto Val Maia – è questo il nome del povero sventurato coordinatore dei progetti culturali del comune – il quale, non potendone più di tanta pressione, verso le 21,15 ha permesso al Movimento di realizzare ciò che era in programma. A quel punto sono salito sul palco e ho preso la parola spiegando il significato del Movimento Fede e Politica e di prestare molto attenzione a quello che i giovani avrebbero rappresentato. I giovani sono stati fantastici. Hanno presentato il pezzo di teatro sulla storia della corruzione in Brasile e, in modo particolare nel Nordest, con pezzi di musica popolare e dei migliori cantautori brasiliani con un entusiasmo e una partecipazione emotiva da far impressione. La gente stessa, presente in piazza, accompagnava con molta attenzione tutto quanto stava avvenendo. Gli applausi fragorosi sono stati il segno che qualcosa di grande era successo nella piazza centrale di Tapiramutá. Dopo di ciò il professor Leandro, un nostro carissimo amico che, sin dallo scorso anno si è reso disponibile ad accompagnare il progetto Logos e cioè il corso in preparazione all’università che la parrocchia organizza, ha presola parola tentando di attualizzare il contenuto del pezzo di teatro. Il suo discorso è stato breve ma molto incisivo. Tanto incisivo che il sindaco non c’è la fatta a resistere. Dopo che Leandro ha terminato il suo discorso, ancora una volta sommerso da una pioggia di applausi, il sindaco é salito come un fulmine sul palco cominciando a sbeffeggiare Leandro e il movimento. Al ché la gente presente in piazza\ha cominciato a fischiare e a protestare contro il sindaco. Non era mai successo una cosa del genere e cioè, che il sindaco fosse fischiato pubblicamente. Anche questo è stato letto come uno dei tanti sintomi manifestati in questi giorni, di un cambiamento radicale nella mentalità della gente, cambiamento che si sta manifestando con il coraggio di affrontare senza paura e senza reticenze i supposti grandi.
Per rafforzare il lavoro di coscientizzazione per glia aderenti del Movimento Fede e Politica, abbiamo organizzato una giornata di spiritualità, riflettendo sul tema della spiritualità profetica. In un clima religioso a volte alienante, dovuto soprattutto alla presenza dei gruppi religiosi neo-pentecostali, la cui predicazione è un invito alla salvezza individuale, alla ricerca di una sicurezza economica come segno divino della predestinazione salvifica, la riflessione sulla spiritualità de i profeti è servita a capire meglio il senso di ció che stiamo facendo. É significativo, infatti, riflettere e dare un fondamento spirituale ad attitudini per le quali occorre coraggio e fermezza. Sapere, allora, che profeti come Isaia e Geremia, o come Osea e Amos, non avevano paura di denunciare non solo una religiosità ipocrita e disincarnata, ma anche le malefatte dei potenti di quel tempo, é un’esperienza spirituale senza dubbio gratificante e incoraggiante. Per non parlare, poi, delle pagine del Vangelo nelle quali Gesù inveisce contro i soprusi della classe dell'élite religiosa e politica del suo tempo. Come dire: abbiamo una schiera di sante persone, oltre allo stesso Gesù dalla nostra parte, che ci sostengono con il loro esempio.
  La giornata è stata ben partecipata e, oltre a ciò, è servita anche per conoscerci meglio. Molte delle persone, infatti, che si stanno avvicinando al movimento, sono nuove, nel senso che non si vedevano nelle manifestazioni culturali o religiose realizzate in città. Anche questo é un sintomo che il Movimento sta funzionando e sta attraendo nuove persone. Altro dato positivo da segnalare é la presenza di persone evangeliche e anche di partiti differenti. Il movimento, infatti non si identifica con nessuna religione e con nessun partito, ma cerca il contributo di tutti per creare una società più giusta e solidale e, soprattutto, una società in cui i poveri non siano discriminati.
A questo punto non ci rimane che aspettare i cosiddetti mesi di fuoco e cioè agosto e settembre (le elezioni avvengono la prima domenica di ottobre) per vedere se il progetto tiene. Per ora non ci rimane che sfregarci le mani in segno di grande soddisfazione e chiedere a Dio la forza e il coraggio che tutto proceda bene e che il nostro impegno continui.




domenica 4 dicembre 2016

VISIONI




Paolo Cugini

Leggere i testi dei profeti d’Israele è un’esperienza che lascia l’animo inquieto. Sfogliando le pagine di questi personaggi unici nel loro genere, ci s’imbatte in una serie di espressioni letterarie a dir poco originali.  Troviamo, infatti, oracoli, profezie e, soprattutto, visioni. I profeti vedevano cose che gli altri non riuscivano a percepire: come mai? Da dove veniva questa capacità? Come facevano a vedere al di là del presente? È difficile rispondere a questa domanda, anche perché spesso i dati sulla loro vita sono scarsi. Oltre a ciò, oggi non esistono personaggi come i profeti dell’Antico Testamento.
Parlare di visioni non vuol dire spingere la riflessione su un terreno irreale. La visione non è un’illusione, ma esprime la capacità di vedere al di là dei dati materiali e del presente storico, pur rimanendo sul piano della storia. Essa è un modo di cogliere la realtà in una prospettiva storica, che solamente colui che vive e sente la storia può avere. Non a caso i profeti erano persone molto attente ai problemi del loro tempo. Venivano consultati dai re sui problemi economici e politici. Interpretavano gli eventi storici del tempo alla luce della Parola di Dio, che meditavano continuamente. I profeti erano persone che provenivano da un’esperienza profonda di Dio e per questo offrivano ai loro contemporanei ciò che loro stessi vivevano in prima persona pur non cogliendolo, vale a dire il senso della storia e della vita. Avevano appreso a considerare gli eventi storici non come semplici accadimenti, ma come portatori di un significato, come spazio di una rivelazione. Sono i profeti che colgono la storia come manifestazione della volontà di Dio. C’è un Dio che comunica agli uomini la sua volontà e lo fa utilizzando lo stesso linguaggio che l’uomo può comprendere, vale a dire gli eventi storici. E’ nell’evento storico che Dio dona sé stesso, che si rivela.
La profezia per poter esprimere il proprio contenuto non passa sopra la realtà, ma la penetra. La profezia si alimenta della realtà perché dice qualcosa che non è sopra la realtà, ma la interpreta. Ecco perché il profeta come uomo di Dio è profondamente incarnato nel suo tempo. Quello che lui riesce a vedere e ad esprimere è frutto da una parte del suo radicamento profondo ad un territorio e ad una storia e, dall’altro, dal suo rapporto originalissimo con Dio. Certamente una vita così porta con sé molta solitudine. Il profeta però, non disprezza la solitudine, non la tema, ma la esige. Ne ha bisogno come l’aria per poter sprofondarsi indisturbato nel suo rapporto personalissimo con Dio. La cerca per poter penetrare la scorza dura del tempo materiale, che non permette di cogliere ciò che gli eventi contengono. La desidera per non essere travolto dalla superficialità che il mondo materiale porta con sé e che potrebbe intaccare la sua capacità di vedere al di là delle cose. Non è facile l’equilibro richiesto dal profeta. Da una parte la necessità di essere profondamente legato al suo tempo, immerso nella storia; dall’altra uomo di Dio, bisognoso di solitudine per captare la voce del Signore.
Riflettendo sulla vita dei profeti si capisce molto bene il perché oggi questi personaggi non esistano più. Ci manca la loro attenzione al presente, il loro attaccamento alla realtà, il loro desiderio di Dio. C’è troppa distrazione intorno a noi per poter vedere cose diverse da quelle che i nostri occhi vedono. Sono troppo veloci le sollecitazioni sensoriali per lasciar spazio a ciò che è sopra sensibile. Per questo anche la religione non sempre è spazio, nel nostro mondo post moderno, per l’incontro con Dio. Se l’attaccamento alla storia è fondamentale per captare il suo cammino, la sua direzione, allora siamo destinati a rimanere chiusi nella nostra cecità. La nostra cultura Occidentale vive schiacciata in un presente che non mostra nessun futuro. C’è un’eccessiva provocazione delle percezioni sensoriali e pochissimo spazio e, soprattutto, pochissimo tempo che viene concesso per l’elaborazione e interiorizzazione delle esperienze realizzate.
Eppure se c’è una cosa di cui oggi abbiamo più che mai bisogno è proprio questa, vale a dire la capacità di vedere al di là dei dati materiali, la capacità di avere visioni. Ne hanno bisogno i padri e le madri nei confronti dei loro figli. Ne hanno bisogno tutti coloro che esercitano una funzione educativa nella società. Forse è questa capacità posseduta dai profeti, il prezzo più alto che la società post moderna sta pagando, accettando di essere guidata dalle logiche neo liberali, dai mercati finanziari, dalla logica del denaro che massifica e quantifica tutto. Poter vedere al di là delle cose e comunicare queste visioni immette speranza nelle nuove generazioni, le aiuta soprattutto a organizzare il proprio vissuto attorno a dei significati che durano nel tempo. La durata, la resistenza, il rimanere attaccati ai sogni pensati sono elementi fondamentali dell’esistenza, perché permettono di dare un significato alle scelte fatte. Trasmettere visioni è forse uno dei compiti più importanti di un padre e di una made. Creare le condizioni affinché sia coltivata questa capacità è forse uno dei compiti più importanti che la Chiesa ha dinanzi in questo mondo postmoderno. 

mercoledì 30 novembre 2016

PREGIUDIZIO E VANGELO




Paolo Cugini

Lo dice la parola stessa: il pregiudizio è qualcosa che precede. Prima di conoscere l’oggetto lo precedo con un giudizio. Il pregiudizio è dunque, innanzi tutto, un difetto di conoscenza, vale a dire un’affermazione d’ignoranza nei confronti di qualcosa. Il pregiudizio è il modo di affrontare la realtà di colui che si accontenta del poco che sa o del nulla che presuppone di sapere e non ha intenzione di compiere alcun passo verso la conoscenza dell’oggetto in questione. Il pregiudizio si appoggia sulla pigrizia, che va a braccetto con la stupidità. Il problema è che, con l’andar del tempo, il pregiudizio si consolida, diventa rigido e viene confuso con la verità. È in questa fase che, la persona abitata dal pregiudizio, si scatena per difenderlo contro qualsiasi forma di posizione contraria.

Perché Il pregiudizio è così duro a morire? Soprattutto è bene chiedersi, perché la persona abitata dal pregiudizio, fa fatica a prendere le distanze da questo difetto di conoscenza? Il pregiudizio dice di un modo ben preciso di porsi dinanzi alla realtà. È un modo di essere, in un certo senso, uno stile di vita. Il pregiudizio, infatti, non è mai isolato. Quando trova spazio in una persona, non è a caso. C’è già tutto un terreno preparato, coltivato da anni di pigrizia, di chiusure mentali, di barriere alzate contro ogni tipo di novità, di resistenze sistematiche su tutti i fronti. Non si tratta, quindi, di una presa di posizione isolata nei confronti di qualcosa o di qualcuno, ma di uno schema di riferimento, di un modo di porsi. Il pregiudizio trova dunque spazio nelle vite adagiate, tranquille, nelle persone che non vogliono nessun problema, in una parola, nelle persone abituate. Non è che l’abitudine sia qualcosa di negativo, ma l’abitudine a qualcosa dev’essere continuamente verificata, rinnovata per non correre il rischio di vivere su schemi anchilosati e che non riflettono più la realtà. La persona abitata dal pregiudizio vive proteggendosi dalla realtà, perché questa con la sua dinamicità e pluralità provoca la persona al cambiamento, che esige fatica, sforzo di adattamento al nuovo contesto. Il pregiudizio è il contrario della novità: non l’accetta proprio.

In un certo senso il pregiudizio è una forma grezza d’idealismo. Come l’idealismo, infatti, il pregiudizio non ascolta la realtà, ma la precede con un giudizio. L’idealismo elabora un sistema di pensiero a partire da alcuni presupposti teoretici e con questo sistema interpreta la realtà, ne orienta il cammino. Molto meno elaborato e sofisticato è il processo di formazione del pregiudizio, che si alimenta di ciò che trova e non fa il minimo sforzo per approfondire il contenuto trovato. Sia l’idealismo che il pregiudizio sorvolano la realtà, non la considerano come fonte del pensiero e, quindi, della vita. Semplicemente la interpretano, la anticipano. C’è un pensiero bell’e fatto, come direbbe Péguy, che fa comodo a coloro che si lasciano guidare dal bisogno di sicurezza e non c’è nulla di più sicuro che le verità eterne, che i giudizi consolidati nel tempo, che non cambiano mai. La realtà, in questa prospettiva, diventa un problema perché muta continuamente, è soggetta a divenire del tempo e della storia. Per sua costituzione la realtà non è univoca, ma plurale, dinamica: tutte caratteristiche che si trovano agli antipodi con il pensiero fisso dell’idealismo o delle sue forme grezze come il pregiudizio.


Il Vangelo offre la cura per ogni forma di pregiudizio. Nel Vangelo, infatti, la realtà precede l’idea, nel senso che Gesù, la Verità definitiva del Padre, si fa uomo ed entra nella storia, nell’oggi degli uomini e delle donne. A partire da Lui, la Verità smette di essere un concetto astratto, ma diviene concreto, e per coglierla occorre mettersi in ascolto della realtà e non precederla. La Verità di Gesù che si manifesta nella storia è l’annichilimento di ogni forma di pregiudizio e di verità astratta. San Pietro nella sua prima lettera ci ricorda che i cristiani sono pellegrini nel mondo e quindi in continuo movimento: non si fermano mai. Negli atti degli Apostoli le prime comunità cristiane vengono definite il Cammino. C’è una percezione nella chiesa delle origini che il farsi discepolo e discepola del Signore esige la disponibilità a lasciarsi guidare, a camminare, ad alzarsi ed uscire dalle sicurezze precostituite di cui si alimenta l’anima. Seguire il Vangelo richiede l’attitudine al cambiamento, alla costante verifica delle proprie posizioni, alla disponibilità a mettersi in discussione. Il Vangelo non è fatto per persone adagiate, che cercano la tranquillità. La fede in Gesù significa inquietudine, desiderio di autenticità, desiderio di uscire dai cammini torbidi del pensiero precostituito. 

lunedì 21 novembre 2016

INTERVISTA AL PROGRAMMA UOMINI DI DIO



Nella sesta puntata di “Uomini di Dio”, l’ospite in studio è don Paolo Cugini, parroco della unità pastorale “Santa Maria degli Angeli” di Reggio Emilia, che comprende le parrocchie di Regina Pacis, Roncina, Spirito Santo, Codemondo, San Bartolomeo. Nel colloquio con Emanuele Borghi don Paolo parla del suo servizio di pastore di diverse comunità, come dell’impegno missionario, delle prospettive e delle sfide della Chiesa sulle strade indicate da papa Francesco.

giovedì 17 novembre 2016

DIVERSITÀ E UNITA'



PERCHÉ FACCIAMO COSI’ FATICA AD ABITARE LA PLURALITÀ?

Paolo Cugini


Da dove deriva la durezza culturale, l’incapacità di convivere con le diversità di opinione, l’intolleranza nei confronti di un pensiero plurale? Elaborare processi educativi in grado di aiutare le persone a confrontarsi in modo sereno con persone che la pensano in modo diverso, ad un pensiero inclusivo: è una delle grandi sfide della cultura contemporanea. Nonostante la stagione delle idee forti sia finita da un pezzo, la capacità di convivere con un pensiero differente senza volerlo stravolgere ed adeguarlo al proprio schema di riferimento, sembra un’ardua impresa. Questa difficoltà la constatiamo nelle relazioni della vita quotidiana, che è divenuta sempre più complessa. Il rifiuto dell’altro lo si può leggere come forma di difesa della propria identità, in un contesto in cui la molteplicità delle posizioni non permette più di fare sintesi e di assimilare in modo coerente la diversità, che arriva a noi in modo massiccio. Diviene, allora, sempre più facile schierarsi contro qualcuno o qualcosa, piuttosto che apprendere a convivere con le differenze.

Questo atteggiamento di durezza culturale colpisce maggiormente quando proviene da coloro che si definiscono cristiani. L’intolleranza che si esprime ne confronti di coloro che la pensano diversamente su di un aspetto della religione, raggiunge a volte livelli parossistici. C’è, però un aspetto di questo problema che merita una riflessione più approfondita. Questo aspetto riguarda l’intolleranza, o meglio l’incapacità di accettare la diversità d’interpretazione dell’altro. Quante divisioni sono sorte nella storia della chiesa a causa di questo punto fondamentale. Ci si chiede come mai l’interpretazione su di un determinato testo del Vangelo possa essere differente, o possa avere più interpretazioni. Ancora. C’è chi rimane scandalizzato per la diversità d’impostazione liturgica da un luogo ad un altro e chi invece va in crisi di fede quando non trova più le cose al loro posto nella chiesa. Ecco perché facciamo così fatica a lasciarci contaminare dalle ricchezze che l’altro porta con sé, ma anzi facciamo di tutto per difendere la purezza culturale, l’originalità di una specificità che arriviamo a difendere anche in modo aggressivo. Come mai questa difficoltà di accettare la diversità e di convivere con la diversità d’interpretazione?

A mio avviso il problema ha la sua radice nel modo di concepire la verità, vale a dire tutto sorge dal tipo d’idea che ci siamo fatti sul concetto di verità. Esiste un’idea di verità mutuata dalla filosofia e uno dal Vangelo. Quello mutuato dalla filosofia e, in modo speciale dalla metafisica classica, c’insegna che la verità è assoluta, perfetta, unica e irripetibile, statica e uniforme. Chi pensa all’idea di verità in questi termini può dormire sonni tranquilli, perché vive nell’illusione che niente cambierà, che i suoi punti di riferimento rimarranno sempre uguali. Il concetto di verità elaborato dalla tradizione occidentale è in contrapposizione al movimento e alla realtà materiale. Si tratta in definitiva, di un concetto di verità a-storico, che non tiene conto della realtà, ma la scavalca, ci passa sopra.  Una verità così piace a chi fa fatica ad adattarsi ai cambiamenti, a chi è abituato ad imporre la propria idea, a chi non tollera di essere contraddetto, perché ritiene di avere la verità in tasca. Una verità immobile, infatti, è riconoscibile nella stessa forma in tutte le epoche e in tutti tempi. Si tratta di quel tipo di verità assiomatico, che non permette discussioni: è così e basta.  È da questa visione della verità come idea fissa e permanente che sorge l’elaborazione dei valori indiscutibili. Una simile idea di verità sorge da quello che il filosofo e poeta francese Charles Péguy definiva il mostruoso bisogno di sicurezza. In questa prospettiva, non si tratta di ricercare la verità, ma di difenderla. Se, infatti, la verità si pone come qualcosa d’indiscutibile, allora non ci rimane altro che proteggerla e difenderla dagli attacchi di coloro che la mettono in discussione.

La verità che incontriamo nel Vangelo è invece di tutt’altro tipo. In Gesù Cristo Dio si è fatto presente ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Ciò significa che se vogliamo comprendere la verità di Dio manifestata in Gesù Cristo, che è per i cristiani l’unica possibilità di comprendere la Verità, dobbiamo guardare agli eventi storici che hanno caratterizzato la sua vita. Si tratta, quindi, di un’impostazione che si trova agli antipodi rispetto a quella filosofica analizzata in precedenza. Se, infatti, nella prospettiva metafisica la Verità per essere conosciuta necessita di uno sforzo di astrazione dalla realtà, per la verità che incontriamo nel Vangelo l’attenzione alla realtà e alla dimensione storica è fondamentale. Fare riferimento alla realtà e al cammino della storia significa tenere in considerazione il cambiamento. Le verità di tipo storico cambiano nel tempo perché sono soggette al cammino della storia, ai cambiamenti culturali, alle dinamiche della storicità. Per cogliere la loro essenza e l’universalità del loro messaggio è necessario, quindi, verificarne continuamente l’impatto con gli eventi storici, la novità che gli eventi portano con sé. Se Dio si è offerto come dono nella storia di Gesù, ciò significa che proprio perché dono non è mai totalmente raggiungibile dalla percezione umana. C’è sempre qualcosa che ci sfugge e che rimane altro da noi nella manifestazione della Verità evangelica. Per questo coloro che seguono il Signore non possono che alzarsi e andare dietro di Lui per tutta la Vita. Non c’è, allora, esperienza o situazione che possa esaurire la possibilità di conoscenza che il Signore ha immesso dentro la storia, ma c’è un cammino lento che dev’essere realizzato. In questa prospettiva storica per conoscere la verità del Vangelo divengono di fondamentale importanza i testimoni, sia coloro che hanno vissuto al tempo di Gesù, sia coloro che ne hanno colto deli aspetti significativi anche dopo la sua morte. Infatti, il Signore è risorto e dunque è il vivente che cammina con noi sino alla fine dei tempi e, sino a quando i tempi non termineranno sarà presente nella storia per incontrare gli uomini e le donne nel cammino della vita. E allora, seguendo il Signore, ascoltando i suoi testimoni si può tranquillamente affermare che c’è sempre e ci sarà sempre qualcosa da imparare, perché la Verità che il Signore ha donato e continua a donare all’umanità non si esaurisce mai. Gli amici e le amiche del Signore sono dei cercatori di Verità, animati da quella disposizione che ci pone aperti alla novità, nella consapevolezza che la Verità ci farà liberi da ogni tentativo di fissarla con le forme storiche e culturali.

È lo stesso Signore Gesù, la Verità che si è fatta uomo, che è venuta ad abitare in mezzo a noi, che ci ha offerto il metodo per conoscerla in profondità. Gesù venendo ad abitare in mezzo a noi ci ha rivelato in primo luogo che è la storia, gli eventi storici il luogo in cui conoscere e amare la Verità. Ciò che era inconcepibile per i filosofi greci è divenuto realtà in Gesù Cristo. Lo stile di Gesù ci rivela inoltre che per conoscere la Verità occorre mettersi in cammino. Ciò significa che, lungi dall’essere una verità assiomatica, la Verità che troviamo nel Vangelo esige il tempo, l’ascolto della realtà presente, l’attenzione. Questa dimensione del cammino ci dice che ciò che incontriamo più avanti nel cammino della vita o ciò che incontrano oggi gli uomini e le donne, non è migliore o diverso o in contraddizione con ciò che coglievamo noi in passato. C’è, infatti, un rapporto di continuità e differenza nella Verità che si rivela nella storia. Continuità tra il Vangelo e quello che lo Spirto Santo rivela alla Chiesa; differenza per la profondità d contenuti che il tempo porta con sé. È ciò che ad esempio, constatiamo nella storia dei dogmi, di quelle verità di fede che la chiesa ci dona come frutto di un attento ascolto della realtà, della Parola e di quello che lo Spirito Santo rivela alla luce degli eventi storici. Sempre in questa prospettiva, è possibile cogliere il motivo delle pluralità d’interpretazioni che la Scrittura offre a coloro che vi si accostano. La ricchezza d’interpretazioni differenti e complementari, non diminuisce lo spessore veritativo del testo sacro, ma anzi ne arricchisce la qualità e ne rivela l’essenza.

La ricerca della Verità presente nella persona di Gesù Cristo, manifestatosi nella storia degli uomini e delle donne, ci rende persone dinamiche, attente a valorizzare la pluralità delle manifestazioni della Verità, che rimane sempre più grande di noi. La pluralità delle manifestazioni lungi d’essere una contraddizione della realtà della verità, ne rappresenta invece il senso profondo del suo significato. Non si capisce, allora, come coloro che si definiscono i seguaci di Gesù, vale a dire i cristiani, non siano per antonomasia persone aperte e accoglienti, capaci di abitare in ogni momento e in ogni circostanza della vita la differenza.
  

sabato 29 ottobre 2016

LOTTARE CONTRO LA CORRUZIONE POLITICA: INCONTRO A BRESCELLO-RE



Giovedì 3 novembre alle ore 21 a Brescello nella sala Prampolini si terrà la presentazione del libro Rivoluzione. Diario di una rivoluzione politica nel Nordest brasiliano. L'incontro fa parte di una serie d'incontri organizzati dal gruppo SCIOGLIERE L'INDIFFERENZA. QUI ED ORA PER BRESCELLO, che ha l'obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica sui temi della mafia e della corruzione politica. 

sabato 22 ottobre 2016

PARTECIPARE E ANNUNCIARE





CONVEGNO NAZIONALE – RETE VIANDANTI
CHIESA DI CHE GENERE SEI?
BOLOGNA 22 OTTOBRE 2016

PARTECIPARE E ANNUNCIARE. NUOVA CONSAPEVOLEZZA DEL SACERDOZIO UNIVERSALE
Relatrice: Cettina Militello
Sintesi: Paolo Cugini

Manuale di Ecclesiologia, Dehoniane 2013

Non ci sarebbe un convegno sulla Chiesa se non ci fosse stato il Vaticano II. Partecipazione e annuncio possono essere fatti propri dai laici a partire dalla grazia battesimali, grazie alle riflessioni emerse al Concilio. Il punto di partenza per appartenere alla chiesa è il Battesimo. Il rito del Battesimo, soprattutto il RICA,  ha un grandissimo valore per comprendere il legame tra battesimo e annuncio.
Si tratta di un cambio di passo, passare da un’immagine di chiesa ad un altro. Quello che il Rito attiva è il comune sacerdozio. 1 Pt 2,9-10. Disegno di Dio sul popolo che Dio stesso si è scelto. Sacerdozio, profezia, regalità disegnano la dinamica del popolo. Regalità, profezia e sacerdozio è unita nel cammino del popolo di Dio.
La ferita più lacerante è quella sul piano della regalità divenuta potenza, che serve i propri interessi. Corre nella Chiesa l’aspirazione di una piena uguaglianza. La condizione filiale è fondamentale.
Regalità, sacerdozio e profezia si concretizzano in Gesù. L’unzione è un momento importante. La profezia conosce una ritualità visibile. Il tema dell’unzione è presente in 1gv 2, 20-27. La percezione d’essere profeti, re e sacerdoti conoscerà un’eclisse nella sacramentaria di età scolastica. L’antagonismo di papato e re provoca questo svilimento.

La teoria dei tria munera è affermazione del magistero del Vaticano II, che l’applica anche ai laici. Lumen Gentium (LG) 34-36. Nessuno è escluso dall’identità dei tria munera. All’interno di LG 3 i tria munera è enfatizzato ponendo il vescovo nell’ottica del sommo magistero.
LG 10-11: legge la soggettualità del popolo di Dio nel vissuto sacramentale, nella direzione della profezia e ha il suo luogo proprio nell’affermazione del sensus fidei.
LG 13: parla di chiese.

I tria munera come chiave interpretativa della soggettualità ecclesiale. Sintassi battesimale. Il dato generativo è il battesimo. L’ecclesiogenesi battesimale fa la chiesa: la chiesa non solo nasce dalla Eucaristia. In che rapporto stanno i due sacerdozi, comune e ordinato? Lettura tipologica. A partire dalla nostra necessità antropo-sociale, che giustifica anche la distinzione dei poteri legislativo e giudiziale, come segnaletica di sacerdozio e profezia comune. Nella chiesa lo sviluppo abnorme del ministero sacerdotale ne ha stravolto il senso originario. Abbiamo ontologizzato un compito, un ufficio, che ha senso di guida, di segnaletica di ciò che tutti devono condividere. Munus significa dono, ministero di grazia. Il ministero ordinato tipicizza i munera: suo compito è indicare ciò che a tutti è proprio. Il ministero diaconale ipotizza il servizio. Il presbitero, l’anziano, ha nella comunità il compito di testimoniare il Cristo attraverso i segni sacramentali. Il vescovo è il sorvegliante che rappresenta. Il ministero del Vescovo è fare in modo di rendere le persone partecipi della vita della chiesa.
Facciamo fatica a liberarci di modelli che si sono dogmatizzati. Il ministero è chiamato all’annuncio. Abbiamo fatto diventare l’annuncio dottrina.

Un popolo profetico. Esercizio della profezia comune è l’ascolto, ricevere la Parola di Dio, avere davanti la Parola con l’obbligo di studiarla per comprenderla e viverla. Già i catecumeni sono chiamati ad annunciare.
L’ascolto si traduce in testimonianza, perché la comunità non può vivere ripiegata su sé stessa. Parola diretta al mondo. Il testimone è colui che traduce la Parola.
Ciò si accompagna al discernimento dei segni dei tempi che riguarda tutti noi. Profezia dei bisogni è il farsi carico di ogni tipo d’indigenza.

Un popolo sacerdotale. Partecipazione attiva, tutto il popolo di Dio è soggetto dell’azione liturgica. Partecipazione che non si esaurisce nei ministeri. Il popolo di Dio è soggetto del convergere insieme. Ci riuniamo per acquisire coscienza. È il popolo di Dio il soggetto. LG 11: i battezzati sono soggetti attivi. Colletta: farsi carico degli altri, esprime la solidarietà tra le chiese nel segno dell’unità.

Un popolo regale. La regalità di Cristo è anomala, Cristo regna dal legno della croce. Sappiamo che Cristo è re non solo per le profezie messianiche, ma perché lo sostiene la potenza dello Spirito. La comunità eredità la regalità di Cristo e la esercita a partire dalla libertà. Regalità è autonomia e condivisone decisionale. Se il popolo di Dio si esprime non può essere consultivo.
Il vero modello della regalità è quello della sobrietà.
Dobbiamo rifondare la chiesa senza preoccuparci di demolire la chiesa ufficiale, lasciandola andare dove va e cioè verso l’autodistruzione. Occorre fondare comunità nuove, dove c’è uguaglianza e reciproco servizio. L’unica via è quella ecclesiogenetica dal basso, per imprimere la svolta che viene fuori da una coscienza piena, vale a dire dalla consapevolezza che come battezzati non abbiamo bisogno di autorizzazioni per ascoltare la Parola.
Visione perdente della catechesi: ne ha fatto un percorso parallelo della scolarizzazione. Se gruppi familiari si mettessero insieme e si assumessero l’onere della formazione dei loro figli sarebbe più efficace.
La grazia sacramentale ci è stata data: bisogna viverla. Occorre agire. La crisi delle vocazioni è provvidenziale come lo è la richiesta delle donne al sacerdozio. Una chiesa che baratta i valori del Regno non ha posto nel futuro.


martedì 18 ottobre 2016

PRESENTAZIONE DEL LIBRO SULL'OPERAZIONE AEMILIA



Segnalo un'importante iniziativa che si terrà a Brescello sabato 22 ottobre alle ore 17 dove verrà presentato il libro di SABRINA PIGNEDOLI sull'operazione AEMILIA. Conoscere meglio il fenomeno della mafia sul nostro territorio è un modo significativo per prevenirlo.

lunedì 17 ottobre 2016

VERITÀ E REALTÀ




PERCHÉ' LA MISSIONE E' INDISPENSABILE ALLA CHIESA


Paolo Cugini

Ci sono dei dati, anche nella vita spirituale, che risentono dei tempi, dei cambiamenti. E in fin dei conti è giusto così. Se è vero che la Verità si è incarnata, è entrata nella storia, allora è proprio la storia, gli eventi l’ambito privilegiato per comprenderla. La Verità non si dona, quindi, come qualcosa di statico, come un pezzo di marmo, ma si manifesta, si offre negli eventi quotidiani. Il cammino della storia porta con sé anche il cambiamento delle culture, delle tradizioni, dei modi di vedere e di agire. Anche la vita spirituale vive questi cambiamenti. Chi vuole relazionarsi con Dio deve apprendere a camminare dentro la storia, a non identificare la sua fede con i modelli culturali, o con le forme esterne. In fin dei conti, la stessa idea spirituale ed evangelica di conversione, passa attraverso la presa di coscienza del carattere storico delle Verità di fede espresse nel Vangelo, incarnate da Gesù. Se l’idea d’inculturazione, nata e sviluppatasi soprattutto nel mondo missionario, ha trovato sin dalla sua formulazione tanta resistenza, è a causa di una concezione statica dell’idea di Verità. Proviamo ad approfondire brevemente i motivi che conducono a resistere all’idea di una Verità che cammina nella storia e che esige di essere compresa ponendo attenzione agli eventi.

La tradizione culturale Occidentale ha da sempre pensato la realtà e la verità come poli contrapposti, inconciliabili. La prima grande spaccatura si ha con il pensiero di Parmenide, che pone l’essere in contrapposizione con il non essere, il mondo fenomenico. Da lì in poi il cammino tra questi due mondi diviene sempre più in contrapposizione. Il problema sorge dal modo in cui il pensiero Occidentale concepisce la Verità, e cioè come un’idea fissa a sé stante, immobile, staccata dalla realtà, percepita come mobile e quindi imperfetta. Se la verità deve avere lo stesso spessore metafisico di Dio, allora, siccome il dio dei filosofi è immobile, anche le verità che derivano da lui devono essere concepite in questo modo. Platone è considerato il punto di riferimento filosofico per comprendere la filosofia Occidentale. Secondo lui, il Demiurgo, nel momento di creare le cose, ha dinanzi a sé due realtà preesistenti: la materia informe e le idee. Il demiurgo contempla le idee perfette e preesistenti e modella la materia per fare le cose. In questo modo, le cose della realtà sono copie imperfette di idee perfette. È importante riflettere su questi passaggi storici della nostra cultura, perché hanno influenzato pesantemente anche il pensiero cristiano e la sua spiritualità. Nel sistema plotiniano – siamo già nel terzo secolo dell’epoca cristiana -, sistema filosofico chiamato appunto neo-platonico, Plotino nelle Enneadi spiega la realtà come una mancanza di luce. Il Nous nel suo discendere (procedere) e dare consistenza ai diversi livelli della realtà, giunge progressivamente senza energia, senza luce. Ebbene per Plotino la realtà è esattamente questa situazione che si viene a creare quando il Nous è totalmente svuotato di energia. Se il sistema neoplatonico porta a maturazione un cammino della cultura Occidentale durato circa otto secoli, il risultato è la totale separazione e inconciliabilità tra dio e il mondo, tra Verità e realtà.

Interessante notare, quando si sfogliano i testi dei padri della chiesa dei primi cinque secoli, come la loro conoscenza filosofica, che era prevalentemente platonica e neoplatonica, filtri l’interpretazione che loro fanno delle Scritture. Questa mediazione filosofica la si vede soprattutto per quanto riguarda la riflessione sulle pagine della Genesi che narra la creazione del mondo e nella concezione dell’uomo. La svalutazione del corpo a vantaggio dell’anima, con le conseguenti indicazioni mistiche di fuga dal mondo e disprezzo del corpo, hanno più un sapore platonico che evangelico. Siamo sempre nell’ambito delle contrapposizioni: corpo e anima, verità e realtà. La cultura Occidentale non riesce ad elaborare un pensiero capace di conciliare aspetti che percepisce e interpreta come contrapposti. Anche il cristianesimo, pur avendo nella proposta del Vangelo questa visone unitaria della realtà, nel mondo Occidentale viene costantemente riletto a partire dalle categorie filosofiche.

Gesù è il verbo incarnato, l’eterno che entra nel tempo, l’idea immobile che entra nella realtà mobile. Dal punto di vista filosofico è un dato inconcepibile e inconciliabile, anzi è la negazione di quanto era stato pensato sino a quel momento. Come può Dio, da sempre pensato in contrapposizione al tempo e alla storia, venire ad abitare in mezzo a noi? Com'è possibile che la Verità da sempre pensata immobile, uguale a sé stessa in ogni momento e in ogni epoca, entri nel tempo e, di conseguenza, si adatta al cammino della storia che è in continuo divenire? Dice il Vangelo di Giovanni che “Il Verbo si fece Carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Non solo, ma Gesù, sempre nel Vangelo di Giovanni, si definisce la Verità: “Io sono la Via, la Verità e la vita”. Ciò significa che d’ora innanzi Dio non va cercato sulle nubi del cielo o sui libri dei filosofi, ma lo incontriamo nella persona di Gesù Cristo, nella sua storia, nelle sue parole e nei suoi gesti. D’ora innanzi la perfezione non è più un’idea astratta e immobile, ma va cercata nel cammino del tempo, nell’evolversi degli eventi.

Non c’è da stupirsi se ancora oggi tante persone che si definiscono cattoliche, resistono all'idea di una verità che si è fatta storia, rimanendo strettamente ancorati ad un’idea di verità più filosofica (platonica) che cristiana. Ecco perché rimangono meravigliati, anzi scandalizzati se la Chiesa, pensata da loro come un’istituzione fissa nel tempo, una verità fuori dalla storia e dal tempo, ogni tanto per adeguarsi ai cambiamenti della storia, modifica i contenuti, sposta gli accenti, indica nuovi percorsi. Probabilmente è più comodo ed è meno faticoso rimanere avvinghiati ad una verità immobile, che alla Verità che si è fatta storia e che esige continuamente di mettersi in discussione, di cambiare, di convertirsi. Sempre in questa prospettiva, si comprende molto bene se la più profonda esperienza d’inculturazione del Vangelo sia avvenuta nei primi secoli della chiesa per poi, salvi rari esempi, fermarsi lì. Purtroppo sono comprensibile, ma assolutamente non giustificabili, i disastri umani e culturali realizzati dai cattolicissimi spagnoli e portoghesi nelle terre latinoamericane.


Se ancora oggi la chiesa fa così tanta fatica ad inculturarsi, ad accogliere nei suoi riti e nelle sue formulazioni le novità che lo Spirito Santo ha preparato nelle culture dei popoli che incontra, è forse a causa di una cecità provocata dalle concezioni filosofiche e poco evangeliche, che riempiono da secoli le nostre menti. Ecco perché la missione è indispensabile nel cammino della chiesa: per convertirsi, per cominciare a vedere e a leggere in modo nuovo quel Vangelo donato a noi gratuitamente, ma che facciamo fatica a coglierne la profondità a causa delle nostre pre-comprensioni, che ci chiudono gli occhi e la mente. La missione è come il collirio che ci permette di vedere in modo autentico, o perlomeno in modo nuovo quel messaggio evangelico che diciamo di conoscere, ma che poi, alla prova dei fatti facciamo fatica a vivere spesso e volentieri perché mal consigliati. La missione è, allora, per noi una grande speranza: manteniamola viva!

lunedì 26 settembre 2016

LETTERA AI GENITORI CHE CHIEDONO I SACRAMENTI PER I LORO FIGLI






Carissimi mamma e papà,
avete bussato alla porta della Chiesa per chiedere i sacramenti per i vostri figli: a nome della comunità vi ringrazio per questo passo, perché significa che per voi la nostra proposta è positiva.
Ne approfitto, allora, per spiegarvi il gesto che avete compiuto.

Bussare alla chiesa per chiedere i sacramenti dei vostri figli significa, prima di tutto, il desiderio di permettere loro di entrare a far parte della nostra comunità, del nostro cammino. Noi siamo una comunità di persone che cercano di vivere il messaggio di Gesù Cristo. Per noi questo messaggio è una proposta di vita nuova, che trova nel Vangelo i suoi contenuti principali. Nella comunità ci sforziamo, pur consapevoli dei nostri limiti, di vivere il più possibile in comunione, cercando di creare ponti di pace con tutti coloro che ci circondano. Desideriamo un mondo di giustizia, per questo lottiamo contro le disuguaglianze, impegnandoci per un mondo più giusto e solidale. Come ci ha insegnato il Signore Gesù siamo attenti ai nostri fratelli e sorelle più deboli: ci organizziamo per aiutare i poveri (Caritas), per visitare i malati e le persone sole (ministri straordinari dell’Eucarestia). Nelle nostre strutture (Oratorio) accogliamo tutti i giorni i bambini di ogni nazione e religione, che chiedono aiuto per i compiti o che vogliono trascorrere qualche ora a giocare. Proponiamo ai ragazzi e ai giovani percorsi formativi per crescere in umanità e spiritualità.

Come ci ha chiesto il Signore (Fate questo in memoria di me) ci troviamo alla domenica per ascoltare la sua Parola e alimentarci di Lui. È questo il momento centrale nella comunità e una bambino che chiede di ricevere i sacramenti dovrebbe essere aiutato a capire l’importanza di partecipare. Prepariamo la messa domenicale con molta cura. Durante la settimana (al martedì dalle 21 alle 22 a Roncina) ci troviamo per leggere e meditare le letture della domenica successiva. La messa domenicale è poi animata da canti, da persone che leggono, da gente che si dà da fare affinché tutto proceda bene. Senza la domenica noi non siamo nulla. È una frase molto forte utilizzata dai cristiani delle prime comunità per esprimere l’importanza che loro attribuivano al giorno del Signore. È la domenica che ci dà l’identità di cristiani, perché ci permette di stare con Lui, ascoltare la sua Parola, sentire la sua presenza. Nella nostra comunità tutto nasce e si sviluppa dalla messa della domenica. Per questo più che un obbligo, noi cristiani lo sentiamo come una necessità, una priorità della nostra vita. Come faremmo, infatti, ad affrontare l’egoismo di questo mondo, le cattiverie, le gelosie, le invidie, le ingiustizie se non avessimo la possibilità d’interiorizzare il pensiero del Signore, di stare con Lui, di vivere come Lui e di Lui?

Per questo noi della comunità rimaniamo molto confusi quando constatiamo che i bambini che avevano chiesto di ricevere i sacramenti della comunione e della cresima, non frequentano la messa domenicale. Anche perché ricevere i sacramenti non è un obbligo, ma un desiderio di vivere lo stile del Signore. E allora ci chiediamo: perché chiedete che i vostri figli ricevano i sacramenti e poi non frequentano la comunità e, soprattutto, il giorno del Signore che è la fonte e il culmine di tutta la nostra vita, del nostro cammino? I sacramenti sono i segni che il Signore ha lasciato della sua presenza. Non sono quindi cose che si possono acquistare, ma doni che si possono solo accogliere e li accoglie chi li desidera e li desidera chi vuole seguire il Signore per stare con Lui e vivere di Lui.

La catechesi settimanale e la messa domenicale sono in sintonia tra di loro: l’una ha bisogno dell’altra. Infatti, durante la catechesi proponiamo percorsi che cercano di presentare quello stile di vita di Gesù che poi incontriamo alla messa della domenica.

Carissimo papà e carissima mamma, siamo molto contenti della vostra presenza. Se siete abituati a frequentare, queste parole hanno semplicemente rafforzato la vostra scelta. Se invece, per tanti motivi, non frequentate molto la Chiesa, queste parole hanno l’obiettivo di aiutarvi nel discernimento, nel capire se è proprio questo che volete per i vostri figli. Nel rispetto delle reciproche libertà vorremmo che prendeste sul serio queste parole. Ancora una volta vi diciamo: non siamo una bottega che distribuisce cose, ma una comunità felice di vivere il Vangelo del Signore.

A nome della comunità vi saluto. La pace del Signore sia con voi

Reggio Emilia, 26/09/2016 
Don Paolo Cugini