LE AZIONI
DEPONENTI NELLA COSTRUZIONE DEI PROGETTI
EDUCATIVI PER ADOLESCENTI
ALCUNE
RIFLESSIONI DAL CONVEGNO “GENERAZIONE IN RICERCA” SUI DIRITTI DEGLI
ADOLESCENTI. ROMA 14-18 LUGLIO 2014
Paolo Cugini
Apprendere a
costruire percorsi educativi per gli adolescenti mettendo in relazione tutti gli
agenti del progetto educativo: è questa una delle sfide maggiori che ci
attendono. É una sfida perchè non siamo capaci di farlo, non siamo capaci di
pensare all’adolescente come portatore di contenuti educati, ma solo come usufruitore di percorsi e di
spazi che come adulti prepariamo per loro.
Non si possono considerare gli adolescenti meri frutori di un progetto:
in un modo o nell’altro bisogna coinvolgerli. In questa prospettiva Michele Marmo – presidenta di
AssociAnimazione - parla di azioni deponenti e cioè di azioni educative capaci
di fare spazio agli interlocutori, dove la competenza non consiste nel proporre
contenuti nuovi, ma nella capacità di mettere in relazione le persone, di fare
connessioni, di accompagnare gli interlocutori nel percorso che viene costruito
assieme. Aiutare le persone interlocutrici dei processi educativi a spogliarsi
dei ruoli precostituiti, per togliersi un
pó, per fare spazio all’altro, per creare delle condizioni di possibilità
nuove, in una parola, per ascoltare: questa è la prospettiva sulla quale
lavorare. Questo vale a tutti i livelli e cioè anche nella scelta degli spazi.
Come ci ricorda Gustavo Pietropolli Charmet – psichiatra
e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro - l’adolescenza è quella fase nella
vita nella quale la persona trasforma i propri spazi vitali passando dalla
camera alla cameretta. Non vuole più abitare la camera preparata dai genitori,
ma si costruisce il suo mondo, il suo spazio fatto a modo suo, costruito in
modo tale da non permettere all’adulto di entrarvi. Lo stesso vale per tutti
gli spazi che gli adulti costruiscono per gli adolescenti come centri
commerciali, oratori, centri giovani, che vengono sistematicamente disattesi.
Al loro posto prendo spazio i parchi, i giradini, le panchine, gli angoli più
strani della città, che acquistano significato perchè diventano propri, spazi
di appartenenza spesso in contrapposizione non tanto con gli adulti, ma con
altri gruppi di adolescenti. Sono le appartenenze parziali che caratterizzano
il mondo adolescenziale, appartenenze per sintonie, per interessi, o altro. Il
criterio della città vista dal punto di vista degli adolescenti non è estetico,
perlomeno non riguarda i criteri estetici degli architetti, ma rispondo a
specifiche esigenze comportamentali. E allora improvvisamente diventa bello il
luogo più scalcinato del quartiere, per il fatto che diviene abitato e
riqulificato dagli adolescenti che lo occupano.
Secondo Charmet non è vero che gli adolescenti
escudono gliadulti dal loro mondo, ma in realtà li cercano. Gli ambienti che
gli adolescenti si costruiscono servono per comunicare con i loro coetanei e
per lasciare fuori gli adulti, soprattutto quel mondo di adulti che non riesce
ad identificarli, a riconoscerne il cambiamento. L’adolescenza per definizone è
il passaggio successivo all’infanzia. È questo che l’adolescenza aborrisce con
tutto se stesso e cioè l’essere identificato come un bambino. Gli adulti che
non riescono a fare questo passaggio, a riconoscere un cambiamento in atto, una
novità, sono destinati ad essere esclusi. La mamma che continua ad abbracciare
e a baciare il suo bambino, soprattutto quando lo fa davanti a tutti, è
destinata ad essere esclusa. allora gli adolescenti, mentre escludono dai
propri spazi e dal proprio mondo tutti quegli adulti incapaci d’identificarli,
d’identifcare la loro novità rispetto all’infanzia, dall’altra parte cercano
adulti capaci di riconoscerli.
È per questo motivo che i progetti educativi
preconfezionati dagli adulti per gli adolescenti sono destinati a fallire. Imparare
a coinvolgere gli adolescenti nei progetti educativi che s’intende predisporre
per loro, facendosi consegnare i contenuti, costruendo assieme i percorsi,
definendo le mete, permette di realizzare un cammino insieme e non “per” o
direzionato a qualcuno. Detto così può sembrare logico e chiaro. In realtà per
mettere in atto un simile percorso è necessario un deponziamento dei ruoli, una
capacità di mettersi da parte, di creare spazi culturali e mentali affinchè
l’altro, l’adolescente, possa percepire la possibilità di esprimersi. Tirarsi indietro
non è facile, soprattuto quano si è da sempre abituati a farsi a vanti, a
pensare l’educazione come un intervetno diretto, a pensare le competenze com un
discorso individuale da investire su degli oggetti ritenuti come meri
recipienti. Le azioni deponenti di un percorso educativo esigono la capacità di
mettersi in discussione e di lasciarsi mettere in discussione, di lasciarsi
dire quello che solitamente si vuole dire perchè si ritiene di sapere. Le
azioni deponenti esigono la capacità di creare spazi nei quali poter accolgiere
gli abituali usufruitori dei percorsi educativi, facendoli interagire,
mostrandone la loro attività, la loro possibilità di consegnare contenuti, il
loro diritto di sapere di che cosa hanno bisogno. Educare in questo contesto
significa, allora, più che orientare e indicare un cammino, saper accompagnare,
saper mettere ordine a delle idee nate durante il cammino. Ascolto e attenzione
divengono strumenti fondamentali per riuscire a mettere in sintonia stimoli
provenienti da mondi diversi, come quello degli adolescenti, dei genitori,
degli insegnati. Educare deponendo il proprio diritto di parola, significa
aspettare ad intervenire fino a quando non viene detta l’ultima parola da chi
sta intorno. Educare deponendo le presunzioni educative significa anche
stimolare il più possibile gli interlocutori affinchè esprimano la loro
opinione sul problema esaminato per poi assieme scegliere le strategie
necessarie per il raggiungimento degli obiettivi. Costruire itinerari educativi
attraverso un percorso di azioni deponenti richiede un’intuizione fondamentale,
vale a dire che tutte le persone chiamate in causa sul mondo degli adolescenti,
hanno qualcosa da dire di positivo e, più che essere mondi antagonisti –
genitori contro figli, insegnanti contro genitori, educatori contro insegnanti,
ecc. – sono portatori di significati che esigono di essere ascoltati per poter contribuire
in modo costruttivo e non distruttivo, come purtroppo spesso avviene.
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