Paolo Cugini
Il
titolo del paragrafo dice già l’orientamento della nostra analisi. Prendiamo,
infatti, come punto di riferimento l’occidente, che ha visto affermare il cristianesimo
come cristianità, come forza istituzionale e politica, che si è imposta dal
punto di vista filosofico con la metafisica e, dal punto di vista politico, con
l’impero. Le analisi che vengono solitamente proposte sul processo di
scristianizzazione dell’occidente, come quella di Cuchet non vanno alla radice
del problema, ma si soffermano ad analizzare i fenomeni esterni che dicono
della crisi della cristianità. Tra questi vengono individuati alcuni, come la
crisi del sacramento della penitenza e della partecipazione alla messa
domenicale. Altri fenomeni simili sono la caduta verticale dei genitori che
chiedono di battezzare i loro figli e, ancor più netto il calo impressionante
delle coppie che si uniscono in matrimonio. Chi presenta questo tipo di
analisi, oltre a lanciare strali su coloro che amministrano i sacramenti, vale
a dire i preti, presentano proposte protese a recuperare il terreno perduto. In
ogni storia andata male, ci sono sempre dei colpevoli, ma nessuna indicazione
positiva rivolta al futuro. I nostalgici sembra che sappiano solo piangere.
La crisi in atto è, invece, a mio avviso, il
sintomo che nel tempo si sta manifestando in modo evidente, che
l’interpretazione che la Chiesa ha offerto per secoli non corrisponde
all’evento originario, vale a dire Gesù Cristo e che, di conseguenza, non vanno
ripristinate le situazioni che stanno andando in crisi, ma vanno radicalmente
cambiate. Sotto accusa va messa la scelta d’identificare l’interpretazione
metafisica dei misteri narrati nel Vangelo, come l’unica possibile. Il problema
va analizzato alla radice, vale a dire nel modo in cui si è interpretato
l’evento di Gesù Cristo, sostituendolo con l’interpretazione metafisica
dell’essere. Sin dall’origine, dunque, l’impostazione metafisica classica si è
impossessata dell’evento sostituendolo con l’essere, producendo
un’identificazione tra cosmologia e ontologia, tra antropologia e gnoseologia.
Il problema, che del resto ha segnato tutta la cultura occidentale, consiste
nel fatto che l’essere pensato dalla metafisica non viene colto nella sua
manifestazione storica e quindi concepito come movimento, come possibilità di
manifestarsi in modo diversi, ma è un essere pensato come immobile,
identificando questa immobilità con la perfezione. La metafisica ha la pretesa
di descrivere l’essere nella sua totalità proprio perché è pensato immobile e,
di conseguenza, completamente oggettivabile.
La Chiesa[1]
sin dai primi secoli ha cercato di fissare attraverso le categorie prese in
prestito dalla metafisica greca, il contenuto del Credo rendendolo, in questo
modo, oggettivo. La storia del dogma così come sono stati formulati nei primi
secoli, è il processo di oggettivazione dei contenuti della fede utilizzando
categorie prese in prestito dalla metafisica greca, trasformandola. È questo un
processo che diversi studiosi hanno segnalato[2], considerato nella maggior
parte dei casi come positivo e originale. È il tipo di lettura che viene fatta
dell’evento di Cristo come essere che, con il tempo, manifesta tutti i suoi
limiti. Senza dubbio, rappresentanti della Chiesa hanno utilizzato gli
strumenti che avevano a disposizione e questo è comprensibile. L’errore, ed è
tale per come sono andate le cose, è stato considerare quegli strumenti
culturali, nel caso il sistema neoplatonico, come l’unico possibile. Ratzinger
è arrivato a sostenere che la lettura metafisica dei misteri del cristianesimo
operata nei primi secoli dai padri della Chiesa è di natura provvidenziale,
vale a dire, che è volere di Dio l’incontro tra cristianesimo delle origini e
modello metafisico neoplatonico[3]. Osservando il dibattito
avvenuto nella Chiesa dei primi secoli lo sforzo dei loro leaders è stato
quello di fare di tutto per delineare una dottrina che salvasse il messaggio di
Gesù dalle tante interpretazioni che si stavano manifestando. Del resto, una
religione che si fonda sul monoteismo, non può accettare cammini diversi. Il
ricorso alla metafisica, più che essere un dato provvidenziale, con buona pace
di Ratzinger, ha costituito l’utilizzo di quella modalità di pensiero che più
di ogni altro avrebbe permesso la formalizzazione della dottrina, in un sistema
uniforme. A mio avviso, è propria questa pretesa uniformità, che sta
all’origine del processo di scristianizzazione. L’idea astratta, che è pensata
indipendentemente dalla realtà, non può pretendere di comprenderla. Ci
troviamo, infatti, su due parametri di comprensione opposti, come il cielo e la
terra. L’evento per sua natura e Gesù Cristo è un evento storico, si presta ad
una pluralità d’interpretazioni che possono considerarsi tutte aderenti alla
realtà. È il punto di vista che cambia e, tale cambiamento non significa
riduzione del significato né tato meno cammino verso il relativismo della
verità, ma possibilità di comprendere l’evento in modo diverso, una diversità
che, invece di diminuire il valore dell’oggetto osservato, lo aumenta.
C’è
un autore che, più di ogni altro, all’inizio del ‘900 ha proposto una
riflessione sui temi che stiamo analizzando: Charles Péguy[4]. In Casse-cou[5] troviamo un’offensiva politico-filosofica
contro le incongruenze e le degenerazioni di ogni concezione metafisica
(materialistica o spiritualistica che sia), di ogni visione sistematica e
monistica della realtà. È in questo contesto polemico – e la polemica
nell’opera di Péguy è all’ordine del giorno – che Péguy precisa la propria
posizione identificando una fenomenologia dell’alterità retta dal principio
d’individuazione, in base al quale la realtà è il regno della molteplicità e
delle differenze. Il reale ci presenta non solo delle dualità, ma delle
pluralità […]. La realtà ci appare e si presenta divisa in molte parti”[6]. Contro una tradizione di
pensiero ostinatamente attenta ad elaborazioni sintetiche ed uniformi della
realtà, Péguy afferma l’esigenza di accogliere il reale per come esso si
manifesta nella mobilità del presente, cioè nella sua pluralità.
Secondo
Péguy, il problema è grave, in quanto la fissazione in schemi rigidi di ciò che
per natura è mobile, sovverte tutte le successive costruzioni intellettuali.
Una generalizzata menzogna, colta da Péguy nel mondo moderno, lo costringe, in
un certo senso, a spingere in profondità la critica, per rendere visibile il
sovvertimento operato. È nel presente che Péguy individua il centro fondamentale
a partire dal quale è possibile cogliere la realtà. Dipende, infatti, da come
lo si ascolta, da come lo si percepisce o – ed è il caso del moderno – da come
lo si modifica.
“Tutto
proviene da ciò. Tutto deriva da questo punto del presente. Le economie, le
civiche, le morali, le metafisiche sono rette dal modo in cui trattano questo
punto del presente. Partendo da ciò esse sono comandate. Ed esse stesse sono
determinate. Potranno prosperare più o meno, potranno più o meno fiorire ognuna
nel proprio senso. Ma il loro stesso senso è determinato ed anche esse stesse
sono determinate da quel punto di origine. Dimmi come consideri il presente e
ti dirò che filosofo sei”[7].
Il
presente è dunque il punto nel quale si manifesta la realtà. Cogliere il
presente significa afferrare il nuovo, ciò che non era. Nel presente vi è la
novità del reale, una novità che è donata gratuitamente[8] e che impone all’uomo,
sorpreso da un tale gesto, una ricomprensione. “Il reale ci presenta non solo
delle dualità, ma delle pluralità […]. La realtà ci appare e si presenta divisa
in molte parti”[9].
Contro una tradizione di pensiero ostinatamente attenta ad elaborazioni
sintetiche ed uniformi della realtà, Péguy afferma l’esigenza di accogliere il
reale per come esso si manifesta nella mobilità del presente, cioè nella sua
pluralità. Il problema del mondo moderno, che era presente già all’epoca della
filosofia greca, consiste nel creare una situazione in cui non esiste
turbamento, in cui l’impatto con la dinamicità destabilizzante possa essere
attutito. Il passato offre questa possibilità poiché è fermo, rigido e
soprattutto lo si può osservare e schedare. L’uomo moderno ha imparato a
narcotizzare il presente trasformandolo (snaturandolo) in passato. Basta
trasferirsi mentalmente nel futuro e da quella piattaforma artificiale di
sicurezza osservare il presente come se fosse passato, e il gioco è fatto.
“Questo
bisogno mostruoso di tranquillità che si manifesta nell’infecondità di tutto un
popolo, nell’annientamento di tutta una razza, è soltanto un ingrossamento
enorme di quel bisogno mostruosamente comune di tranquillità morale che ci fa
sempre pensare al domani e sacrificare l’oggi al domani, e quel bisogno morale
è esso stesso soltanto una codificazione di quel bisogno mostruoso di tranquillità
che in psicologia e in metafisica ci fa sempre sacrificare il presente
all’istante successivo”[10].
Se
la realtà è possibile coglierla nella sua essenza solamente nella mobilità del
presente, allora, irrigidendo il punto della sua manifestazione, tutto diviene
artefatto, irreale. L’uomo moderno ha imparato a considerare la vita nel
momento in cui è divenuta morte: eliminando dal presente la mobilità, viene
meno la fecondità e, dunque, la vita stessa. Péguy accusa la Scolastica di
Tommaso di aver narcotizzato la forza vitale dell’evento Gesù Cristo con le
griglie concettuali di Aristotele applicate freddamente ai misteri di Cristo.
In questo modo la dinamicità dell’evento Cristo e la molteplicità che portava
con sé è stata bloccata per permettere al Tomismo di trasmettere le sintesi
necessarie a mantenere tranquille le future generazioni borghesi. Facendo
proprio il pensiero di S. Tommaso hanno accolto nel loro seno il più moderno
dei filosofi antichi: Aristotele.
Essendo forse Aristotele il solo antico che
sia stato un moderno, voglio dire un moderno come ne vediamo noi, e come
dovevano nascerne dopo di lui soltanto nel 19° secolo dopo Cristo. Il solo
antico che sia stato privo della saggezza e soprattutto dell’intelligenza
antica e che abbia rivestito, ma completamente e subito, l’intelligenza
moderna. Perciò essi sono andati a cercare proprio lui[11].
Ciò
che in definitiva ripugna di più del tomismo a Péguy, è il sistema aristotelico che pretende di mettere in paragrafi
l’esistenza, la libertà, la vita.
Lo
sosteneva già Heidegger all’inizio del ‘900 che il problema della metafisica
sta nel fatto di aver sostituito l’evento con l’essere, la realtà con l’idea e,
di conseguenza, la metafisica contiene già al suo interno l’annuncio della sua
fine[12]. La metafisica
occidentale ha preteso di inglobare l’evento nell’idea, di dirigere la realtà,
luogo della manifestazione dell’evento, nella sua precomprensione ideologica e,
in questo modo, ha preteso di ordinarla, indirizzarla, pretendendo di spiegarla
con una sintesi. Il fatto è che la realtà è più di un’idea e, di conseguenza,
anche le migliori idee, le migliori sintesi non reggono alla storia reale, alla
realtà che si manifesta non in modo uniforme, che l’idea potrebbe interpretare
tranquillamente, ma molteplice. La realtà, nella sua manifestazione storica, ha
per così dire fatto esplodere i grandi sistemi moderni, le metanarrazioni che
hanno preteso per secoli d’interpretare in modo apodittico, unilaterale e
indiscutibile la realtà. La realtà, che per sua natura è molteplice, non
accetta, per così dire di essere sintetizzata, perché la sintesi lascia sempre
da parte elementi ritenuti marginali a partire dalla precomprensione di chi la
opera. Il pensiero che ha plasmato l’Occidente nasce con questa ricerca di un
principio primo che è fondamento di tutto. Interessante è scoprire che lo
stesso Platone, nei testi non scritti[13] e rivelati dai suoi
discepoli, testi che trasmetteva oralmente a loro e che costituivano il centro
del suo insegnamento, proprio per la sfiducia che aveva dei contenuti scritti[14], sostiene l’ipotesi che
all’origine di tutto non vi sia un principio prima, ma l’Uno e la Diade, che agisce
sui numeri e su tutti i livelli della realtà. Il tentativo di salvare, per così
dire, il fenomeno Gesù, costruendo attorno a Lui un pensiero rigido, che lo
difendesse da qualsiasi idea differente da quella interpretata dal pensiero
ufficiale, non solo risente di un impianto concettuale, quello metafisico,
dimostratosi perdente e insufficiente con il tempo, ma nega la stessa apertura
mentale del messaggio dello stesso Gesù. Quando nel Nuovo Testamento si parla
di apertura ai pagani del messaggio della salvezza[15], oltre a realizzare le
profezie universaliste dell’ultimo Isaia, rivela anche la grande apertura del
messaggio salvifico di Gesù, ben lontano dalle restrizioni unilaterali di color
che avevano il compito di dare compimento alla sua Parola e non di decurtarla.
La pace proposta da Gesù è in linea con la proposta dei profeti che affermava:
“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al
capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo
li guiderà. La mucca e l’orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si
sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. Il lattante si
trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del
serpente velenoso (Is 11, 6-8). Queste bellissime immagini profetiche
rivelano il sogno di Dio, che Gesù ha manifestato con la sua comunità di discepoli
e discepole, diversi tra di loro e mai uniformizzati. L’esatto contrario del
pensiero metafisico che sistematizza le differenze in un unico pensiero e
dell’operazione della teologia dogmatica, che formalizza i contenuti in modo
tale da escludere radicalmente qualsiasi opinione differente. Verrebbe da dire:
tutto il contrario del Vangelo. Come ha fatto il pensiero accogliente delle
diversità come quello di Gesù, essere preso e divulgato dalla teologia
dogmatica che va nella direzione opposta? Sono misteri che si comprendono
solamente quando si analizza la storia.
Le
periodiche e costanti crisi che stiamo vivendo nell’epoca contemporanea, hanno
messo in discussione i più importanti sistemi economici. La crisi climatica che
stiamo vivendo con sempre maggior evidenza, ha messo in ginocchio tutte le
pretese della tecnologia di costruire un mondo a misura d’uomo,
infischiandosene della natura che, ora, sta presentando un conto salatissimo.
La pretesa politica di poter esportare un sistema democratico ritenuto l’unico
capace di garantire equilibrio e sicurezza per i cittadini, si è dimostrato
limitato e poco rispettoso delle diversità culturali che maturano nel tempo in
un determinato luogo. La pretesa della cristianità d’imporsi come unica
religione, sta facendo i conti con alcuni errori fondamentali d’impostazione
presenti all’inizio e che ne hanno segnato la fine. Il primo consiste nell’aver
utilizzato la metafisica per interpretare i principali contenuti della sua
proposta religiosa. Come ha sostenuto Gianni Vattimo l’evento della croce aveva
già al suo interno l’annuncio della fine della metafisica, prima ancora che la
cristianità iniziasse ad utilizzarla. La morte, infatti, di Cristo-Dio, cioè
dell’Essere sulla croce, annunciava la fine di ogni futuro tentativo di
sistematizzare gli venti della realtà plurale[16], con la durezza
monolitica dell’Essere parmenideo. Le impostazioni teologiche del cristianesimo
sviluppatesi in altre parti del mondo, rifiutano da decenni l’unicità della
narrazione metafisica della teologia cattolica occidentale. È il caso, solo per
fare un esempio, della teologia della liberazione latinoamericana, che non
accetta l’imposizione della sintesi occidentale per comprendere la
manifestazione di Dio così come è avvenuta ed è stata interpretata nel cammino
delle comunità ecclesiali di base (CEBs)[17]. Molto più duro e
radicale è il rifiuto netto delle teologie indigene che stanno leggendo
l’evento di Gesù alla luce delle proprie visioni cosmogoniche molto differenti
da quella occidentale[18]. L’insistenza sulla
metafisica tomista identificata ancora nel 1998 dall’enciclica Fides et Ratio
di Giovanni Paolo II come il punto di riferimento della chiesa cattolica[19], con il tempo si è
verificata riduttiva e fuorviante. Il processo di scristianizzazione in atto
sta dimostrando di essere rapido e irreversibile. I tentativi che vengono fatti
dalla gerarchia ecclesiastica d’imporre l’unicità d’interpretazione del mistero
di Gesù oltre a dimostrarsi perdente, sta manifestando l’incapacità di leggere
gli eventi della storia. Ormai è chiaro anche in occidente che ogni forzatura,
ogni azione violenta e coercitiva per imporre un’idea, ha solo una parvenza
immediata di successo, perché il tempo mostrerà il conto. Il pensiero
metafisico occidentale ha in sé germe di violenza perché nasce con la pretesa
di leggere in modo onnicomprensivo e unico la realtà plurale e, di conseguenza,
sente l’esigenza d’imporlo[20]. Questo sentimento
malvagio ha provocato nei secoli il senso di superiorità dell’occidente sulle
altre culture. Lo sterminio delle popolazioni indigene attuato prima in Nord
America e poi in Sud America è basato su questa pretesa superiorità culturale e
religiosa[21].
Lo stesso si può dire nello stermino delle differenti dottrine operato dalla
Chiesa cattolica. La storia dei Catari e dei valdesi, solo per fare qualche
esempio, sono a conoscenza di tutti. Storie di violenza che non costituiscono
una mera eccezione, ma una conseguenza dell’impostazione iniziale, vale a dire
l’interpretazione metafisica dell’evento e la sua necessaria imposizione a
tutti. L’unicità d’interpretazione ha poi richiesto una classe dirigente
rigida, dura, implacabile. C’è una violenza intrinseca al pensiero metafisico
occidentale che è alla base di tante guerre di religione e all’origine dello
sterminio di intere popolazioni in nome del Vangelo di Gesù Cristo. Un dato
chiarissimo per chi legge il Vangelo oggi in modo sereno e disinteressato è il
messaggio chiaramente non-violento di Gesù, che alla violenza subita dagli
uomini religiosi del tempo ha risposto con il silenzio, con atteggiamenti e
scelte non violente. I danni del pensiero metafisico greco riletto in chiave
cristiana sono incalcolabili ed estremante dolorosi.
[1] Con questo termine intendiamo la
Chiesa cattolica nei suoi rappresentanti ufficiali come il papa, i vescovi, il
clero. Non c’è riferimento, dunque, alle tante esperienze ecclesiali sorte nei
primi secoli, ricche di carismi e di diversità.
[2] Cfr. WILKEN, R.L. Alla ricerca
del volto di Dio. La nascita del pensiero cristiano. Milano: Vita e
pensiero, 2006.
[3] RATZINGER, J. Fede, verità,
tolleranza. Il cristianesimo e le religioni de mondo. Siena: Cantagalli,
2005.
[4] Charles Péguy
(1873-1914). Fu allievo di Romain Rolland e di Henri Bergson, le cui lezioni lo
segnarono molto e di cui poi divenne amico. In quegli anni sviluppò le sue
convinzioni socialiste. fondò la rivista Cahiers de la Quinzaine, allo scopo di
far scoprire nuovi talenti letterari e pubblicare sue opere. Nel 1907, si
convertì al cattolicesimo. Da allora, produsse sia opere in prosa di argomento
politico e polemico (Notre Jeunesse, L'argent), sia opere in versi mistiche e
liriche. Tenente della riserva, durante la prima guerra mondiale si arruolò
nella fanteria. Morì in combattimento, all'inizio della prima battaglia della
Marna, il 5 settembre 1914.
[5] Casse-cou, in PÉGUY, C. Ouvres
em prose, Paris: Gallimard, pp. 303-307
[6] Ivi, p. 23.
[7] PEGGUY, C. Cartesio e Bergson, Lecce: Milella, 1977, pp. 227-228.
[8] A questo proposito PRONTERA
A. afferma che: “bisogna sottolineare il
ruolo che assume in queste analisi filosofiche di Péguy il senso di termini
come “dono” o come “decerner”, preso nel suo senso più pieno e complesso di
decidere, decretare, ma anche di accordare, donare, aggiungere, attribuire
utilizzati spesso come elementi propri di un oggetto: il “reale” (la filosofia come metodo. Libertà e
pluralità in Charles Péguy. Lecce: Milella, 1987, pp. 186-187).
[9] Ivi, p. 23.
[10] Ivi, p.
210.
[11] Ibidem.
[13] Cfr. REALE,
G. Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei
grandi dialoghi alla luce delle «Dottrine non scritte». Milano: Vita e
pensiero, 1997.
[14] Platone sostiene questa tesi nella
Lettera 7 e nel Fedro. Cfr. REALE, G. Platone. Alla ricerca della sapienza
greca. Milano: Vita e Pensiero, 2019.
[15] Cfr. È Pietro che dice: “In
verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo
teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto”
At 10, 34-35.
[16] VATTIMO, G. Dopo la cristianità.
Per un cristianesimo non religioso. Milano: Garzanti, 2002.
[17] Cfr. BOFF, L. Chiesa, carisma,
potere. Saggio di ecclesiologia militante. Roma: Borla, 1984.
[18] MUNIZ, A. Teologia anticolonial. Caminhos do cristisanismo
indigena. San Paolo: Saber criativo, 2021; SANCHES, S-M, PURI,A., RIBEIRO DOS REIS,P. Teologia
Indígena Cristã. San Paolo: Saber Criativo, 2022.
[19] GIOVANNI PAOLO II, Fides et
ratio, Vaticano, 1998.
[20] Cfr, VATTIMO, G. Dopo la
cristianità, cit. p. 99s.
[21] Cfr. TODOROV, T. La conquista
dell’America. Il problema dell’”altro”. Torino: Einaudi, 2014.
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