domenica 24 dicembre 2023

Il post-teismo non è ateismo

 




 

Paolo Cugini

 

La presa di coscienza che il teismo e il paradigma venutosi a formare con quella che potremmo definire in modo un po' azzardato, ma in linea con quello che stiamo presentando, l’invenzione di Dio, conduce il pensiero post-teista verso nuovi orizzonti. Come ha sostenuto il gesuita Paolo Gamberini nel suo ponderoso e affascinate studio sul tema:

com’è stato per il passaggio dalla visione tolemaica a quella copernicana della terra, così anche in teologia è necessario tener presente il passaggio da una visione antropomorfica-mitica di Dio ad una in cui diventiamo coscienti che tutto ciò che ascriviamo a Dio fa riferimento alla nostra percezione di Dio: al nostro punto di vista[1].

Il punto di vista dell’epoca che stiamo vivendo è segnato profondamente dal paradigma scientifico. La domanda che un credente del ventunesimo secolo e che lo stesso Gamberini si pone è la seguente: come si può continuare a credere in Dio in una visione del mondo che ha cambiato radicalmente i suoi punti di riferimento cosmologici e mitologici? Non è più possibile vivere in un ambiente culturale che ha assorbito il paradigma scientifico in tutte le sue forme e risponde ai grandi enigmi della vita riferendosi alle discipline della fisica, delle neuroscienze, della microbiologia e delle altre discipline scientifiche e poi, alla domenica, dare adito a forme mitiche, aderendo a narrazioni che non corrispondono più alla vita quotidiana degli stessi fedeli. Il post-teismo, dunque, come sostiene Claudia Fanti, “è fortemente debitore delle scienze biologiche e cosmologiche rispetto alla nuova visione, a cui si richiama, della materia”[2]. La ricerca scientifica da una parte e la tecnologia dall’altra, hanno manifestato l’esigenza di criteri d’identificazione di ciò che definiamo verità, che non possono più essere affidati a principi apriori come quelli utilizzati dalla metafisica. Se le religioni stanno vivendo una crisi profonda è anche a causa del loro modo di proporre i contenuti, ai quali i fedeli sono chiamati ad un assenso acritico. Lo sviluppo delle scienze ha messo a nudo i limiti della proposta religiosa, ne ha relativizzato i contenuti e, soprattutto, la loro attendibilità. D’ora innanzi è difficile pensare ad un’entità personale che interviene dall’esterno a modificare le sorti del mondo. Come sostiene sempre Claudia Fanti che in uno studio riporta le analisi contradditorie sul tema della religione, in ogni modo: “è impossibile negare che sia in atto in molti luoghi un’evoluzione verso una laicizzazione di dimensioni inedite che la comprensione della religione […] ne risulti profondamente trasformata”[3]. Se religione e scienza per secoli hanno camminato a braccetto, manifestando anche, in alcuni casi, i limiti di ognuna quando danno spazio ai reciproci fondamentalismi – la dogmatica nel caso della religione e il positivismo per quanto riguarda la scienza - l’avvento della scienza come paradigma onnicomprensivo, ha provocato l’accantonamento della proposta religiosa. È vero che anche in occidente si riscontra una specie di ritorno del sacro, in ogni modo la religione non è più il riferimento per le scelte sui grandi problemi del mondo attuale.

Accompagnando le riflessioni degli autori presi in esame, potrebbe sembrare che l’analisi post-teista conduca all’ateismo: in realtà non è così. La loro proposta ci mostrerà una differenza sostanziale tra la loro posizione e quella elaborata dal neopositivismo logico all’inizio del secolo scorso, o dallo stesso positivismo dell’800. Mentre quest’ultimo aveva una chiara deriva ateista, il post-teismo invece sbocca in un nuovo modello di spiritualità. Il non teismo non conduce all’ateismo di tipo materialista, come è emerso nell’800 e nelle derive nichilistiche e nell’esistenzialismo ateo del ‘900. Come sostiene Vigil:

Il non teismo non è in sé né ateo, né nichilista, né materialista riduzionista, né chiuso al mistero, alla sacralità o alla divinità. Semplicemente, si sbarazza criticamente e consapevolmente di un prodotto evolutivo creato dall'essere umano, una fantasia utile di cui si è servito in un momento dato dello sviluppo della sua cultura e della sua infrastruttura materiale, un elemento la cui origine il cui statuto siamo riusciti a conoscere solo ultimamente e che si rivela ora chiaramente ingiustificato, obsoleto e responsabile di conseguenze nocive anche per il pianeta[4].

A questo punto diviene chiaro che Il problema, allora, è il theos, non la divinità. Scoprire la genesi mitologica di Theos, come pure l'evidenza della sua impraticabilità in una società adulta, scientifica e post mitica, non conduce all'ateismo, ma semplicemente al post teismo, al non teismo. L’affermarsi del paradigma scientifico conduce alla messa da parte definitiva del paradigma teista che per secoli ha influenzato nel bene e nel male il cammino dell’umanità. La difficoltà più grande, a questo punto, consiste nel rileggere i dati della realtà e della spiritualità alla luce del nuovo paradigma post-teista. Che cosa rimane della lettura che il cristianesimo ha fatto della realtà utilizzando il paradigma teista? Se è vero che il post-teismo non imbocca il cammino dell’ateismo, che tipo di spiritualità si profila all’orizzonte? È proprio questo che cercheremo di scoprire nei prossimi paragrafi.

 



[1] gamberini, p. Deus. Due punto zero. Ripensare la fede nel post-teismo. Verona: Gabrielli, 2022. p. 23.

[2] fanti, c. «Come l’oceano per l’onda, Le sfide del post-teismo», in: Fanti C. - Vigil M. J. (a cura di), Oltre Dio. cit., p. 31.

[3] fanti, c. «Per un nuovo incontro tra divino e umano», in: Fanti C. - Sudati, F. (a cura di), Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana, Verona: Gabrielli, 2022, p. 17.

[4] vigil, J.M. Rivisitando la questione Dio, cit. p. 81.

venerdì 22 dicembre 2023

Abbiamo sempre avuto bisogno di Dio? Nascita e sviluppo del teismo

 




 

 

Paolo Cugini

 

La critica post-teista e la sua proposta ha come punto di partenza il teismo. La riflessione sulla proposta di un nuovo paradigma, che sostituisca quello precedente, ha provocato un percorso alla ricerca dell’origine del paradigma teista. La domanda che sta alla base di diversi studi apparsi nell’ultimo decennio, soprattutto in Italia e in Sudamerica, è la seguente: è sorto prima Dio o l’uomo? In altre parole: da quando l’uomo ha sentito la necessità di Dio?

Secondo il teologo latino-americano di origine spagnola José Maria Vigil, da anni uno dei più attivi in questo campo di ricerca: “il teismo è semplicemente una tappa dell'evoluzione del nostro sviluppo cognitivo e dell'ampliamento permanente della nostra conoscenza”[1]. Per molti secoli, dunque, l’uomo ha vissuto senza Dio. Secondo gli studi riportati da Vigil in uno dei suoi numerosi saggi sull’argomento, gli ominidi risalgono a sei milioni di anni fa ed è solo da pochi millenni che è stato elaborato Theos. Le stesse religioni hanno appena 4500 anni e ciò porta Vigil ad affermare che: “abbiamo vissuto moltissimo tempo in più senza Dio che con Dio, senza religioni che con esse”. All'inizio, sostiene sempre il nostro autore, nulla era designato come sacro, perché tutto lo era, nulla era religioso, non esisteva neppure il concetto, che è potuto sorgere per contrapposizione solo quando qualcosa, molto più tardi, sarebbe stato considerato profano, non sacro. Il sorprendente senso di sacralità dei nostri antenati può essere considerato una risorsa dell'evoluzione biologica per far sopravvivere l’uomo minacciato dalla natura. Ciò significa che tutta questa sacralità non è caduta dall'alto, ma è stata elaborata dagli umani. Questo è un punto fondamentale dell’analisi post-teista che ritorna in vari autori, vale a dire che il sacro è frutto dell’elaborazione umana, uno sforzo d’immaginazione, che ha permesso agli uomini di offrire alcune risposte ai fenomeni che incontravano e ai quali non sapevano dare soluzioni pertinenti.  Il sacro, la religione e lo stesso Dio sono, dunque, costruzioni umane e, di conseguenza, di rivelato dall’alto non c’è nulla. Prosegue Vigili:

Fino a circa 6000 anni fa, non è apparso tra noi alcun Dio, con questo o con qualunque altro nome. Sono invece stati elaborati concetti o idee per rispondere alla realtà. La misteriosa vita dell'essere umano, per esempio, il cui principio è stato identificato per primo con il sangue, ha condotto a pensare a un'anima, un'entità indefinita ma più sottile che terrebbe in vita il corpo umano, gli esseri umani avrebbero un'anima. E sono apparsi anche altri elementi ugualmente sfuggenti, tra il misterioso e il magico, come gnomi, folletti, temoli, demiurghi, elfi, fate, e tutta un'interminabile serie di realtà misteriose di cui ci siamo serviti spesso per far finta di saper spiegare quello che non sapevamo[2].

Se il sacro sorge ad un certo punto della storia, presentando una cesura radicale con il periodo antecedente, ciò significa che siamo dinnanzi ad un cambiamento di paradigma che segnerà in modo definitivo l’epoca successiva. È all’interno di questo nuovo paradigma sacrale che viene elaborato Theos e, di conseguenza, il teismo. Secondo gli studiosi che stiamo esaminando, verso la fine del calcolitico[3] l’evoluzione umana sperimenta una profonda trasformazione, simile a quella che Karl Jaspers, parlando di tempo assiale, aveva individuato verso il VI secolo a.C. Secondo Jaspers, tra l’800 e il 200 a. C., sarebbe avvenuta nelle principali società umane una rivoluzione assiale. Il culmine di questo processo rivoluzionario si sarebbe verificato tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C. La rivoluzione assiale avviene, infatti, “quasi contemporaneamente in Cina, in India e nell’occidente, senza che alcuna di queste regioni del mondo sapesse di quanto avveniva nelle altre”[4]. La rivoluzione assiale è un evento spirituale. Secondo Jaspers da quel periodo si elaborarono quelle concezioni da cui si mosse il pensiero filosofico, la fine dei racconti mitici sostituiti dai principi morali e dalle dottrine religiose e spirituali, l'avvio della ricerca delle cause naturali dei fenomeni fisici.

Gli studiosi del post-teismo considerano che, prima di questa rivoluzione assiale, ve ne sia stata un’altra ancora più profonda che ha modificato radicalmente il modo di vedere e percepire gli eventi storici. Non si può descrivere nei dettagli questo cambiamento, né è possibile descriverne le cause. Ciò che è possibile, invece, consiste nel mettere insieme alcuni eventi che si riscontrano in un particolare periodo storico che risale a cinque-seimila anni a. C. e che hanno determinato un cambiamento così profondo, che ha condizionato la cultura per circa duemila anni. C’è chi pone come indicatore del cambiamento la rivoluzione agraria: si è passati da una vita basata prevalentemente sulla caccia e a spostamenti periodici per cercare piante da frutta, a imparare la coltivazione, che ha generato gli insediamenti, vale a dire la permanenza prolungata in un territorio. Altri notano, negli scritti e nei resti archeologici del periodo, una specie di progresso naturale nello sviluppo cognitivo e nella capacità di astrazione. Una delle tesi più significative e riportate dagli autori citati sopra, sostiene che il periodo che stiamo esaminando è stato caratterizzato dall’invasione dei Kurgan[5], un popolo proveniente dall’Asia centrale e dalla Siberia che sembrano aver trasmesso la loro visione dualista della realtà. Si sarebbe trattato di tre ondate differenziate di invasioni dei popoli Kurgan nella vecchia Europa, popoli alla ricerca di terre da conquistare per il proprio bestiame, portatori di una visione del mondo molto elaborata e, soprattutto, con una visione religiosa originale, un dio guerriero, un dio spirituale, maschile, conquistatore violento e senza riguardi. sempre a favore del suo popolo, un dio tribale. Queste annotazioni conducono Vigil ad affermare che:

dalla fine del ventesimo secolo è convinzione comune tra gli antropologi, i paleontologi e gli archeologi che, per esempio, tutta la regione dell’Europa e del Medio Oriente costituisca un continuum culturale in virtù del quale le elaborazioni religiose, i testi, le scritture, i riti, che divinità appartengono a un universo religioso comune[6].

Secondo questa impostazione condivisa da diversi autori, ci sarebbe stato un processo di contaminazione culturale così profonda e intensa da determinare un universo religioso comune che avrebbe generato divinità con caratteristiche molto simili nei popoli vicini. L’idea di Theos sarebbe, dunque, sorta in questo periodo come prodotto di questo intreccio culturale che abbiamo descritto, e che avrebbe generato un paradigma religioso di così grande qualità da influenzare i millenni successivi. In questo modo, le pratiche magiche, la mantica, la credulità relativa alla presenza di prodigi divini da ogni parte, gli oracoli facilmente a disposizione, le guarigioni a richieste, la divinazione di, l'astrologia, l'interpretazione rivelatore dei sogni sorte all’epoca dello sviluppo del teismo per dare ragione dell’inconoscibile, oggi appaiono incomprensibili. In questa prospettiva di tipo storico-culturale, il theos sarebbe una creazione culturale e costituirebbe l'elemento centrale di un modello di rappresentazione del mondo originato millenni fa e ha aperto una nuova tappa storica per il nostro sviluppo della coscienza, cognitivo, materiale e che è entrato in crisi ma senza essere interamente soppiantato.

Secondo José Arregi il paradigma teista, mentre viene elaborato, manifesta anche una valenza politica. Nello sviluppo della complessità delle società primitive, serviva un elemento culturale per dare coesione, far rispettare le leggi. Niente di meglio, allora, che una forza divina, che dall’esterno fonda e impone le sue leggi. C’era bisogno di: dei che configurano la religione teista come sistema di credenze, riti e norme dirette e controllate da un corpo sacro, sacerdotale gerarchizzato, considerato come il rappresentante della divinità. Mentre i ruoli si specializzano e la società si fa più complessa nell’età dei metalli e dello sviluppo dell’agricoltura, c’è bisogno di miti, di narrazioni che diano ragione di ciò che sta avvenendo, di una classe sacerdotale in grado di gestire e, allo stesso tempo, garantire la stabilità del sistema teocratico. L’invenzione di theos ha prodotto una struttura religiosa capace di elaborare un sistema di leggi e norme in grado di giustificare il potere politico ed economico del tempo.

In questa trasformazione paradigmatica e assiale, l’elemento centrale a cui tutto converge e che diviene la chiave ermeneutica di tutto è dio, theos. A partire da questo momento che stiamo descrivendo, gli esseri spirituali proliferano nella noosfera particolare di ogni popolo e di ogni cultura. All’improvviso, tutto parla di dio e tutto si riferisce a lui. Dio diviene la spiegazione di qualsiasi fenomeno e la causa prima di tutto. Questa mentalità, che potremmo definire teologica, si è modellata lentamente nel tempo al punto da plasmare la cultura. Ogni ricerca della causa ha come suo punto specifico di riferimento il theos. “In tutte le religioni – sostiene Vigil – constatiamo lo stesso procedimento: sono gli dei creati da noi che ci dettano il messaggio che noi mettiamo in bocca loro […] Non è una caratteristica di qualche religione, è un meccanismo universale”.

Come notavo poco sopra, nell’analisi post-teista viene portata una critica radicale al concetto di rivelazione, che è la base delle religioni del libro. Tutto ciò che viene indicato come “rivelato” non è nient’altro che una proiezione umana. Se infatti, theos è un’invenzione umana, non possono che essere della stessa qualità le parole attribuite a lui. Su questo punto specifico tornerò nelle conclusioni finali.

Negli studi del post-teismo che stiamo analizzando, il paradigma teista si è imposto in modo così profondo e radicale non solo da plasmare la cultura, ma da far dimenticare il periodo precedente con un paradigma di pensiero non-teista. Tutti sono rimasti imprigionati nella presunta evidenza assiomatica di tale proto-paradigma, un'evidenza per di più indiscutibile in quanto sacralizzata per molti secoli, praticamente fino ad oggi nelle chiese. La stessa filosofia platonica, che poi ha influenzato il cristianesimo, a detta di Vigil, è stata contaminata dal teismo. In realtà, come ci dicono gli studiosi di storia della filosofia, non è proprio andata così: vedremo in sede di conclusione cosa si può dire a riguardo.

 



[1] Vigil, J.M. «Rivisitando la questione Dio». In: Fanti C. - Vigil M. J. (a cura di), Oltre Dio. Verona: Gabrielli, 2022, p. 77.

[2] Vigil, J.M. «Rivisitando la questione Dio», cit. p. 61.

[3] Calcolitico in paletnologia è il termine con il quale, con più ristretta precisazione cronologica, si designano tutte le industrie, anche mancanti del rame, contemporanee a quelle che invece lo utilizzano. Per le aree europee corrisponde al periodo in cui, durante il 3° millennio, sono avvenuti importanti cambiamenti nella struttura socia­le e nel sistema culturale dei gruppi umani (attestati dall’inizio di sepolture megalitiche, fortificazioni, metallurgia, ceramica a cordicella ecc.). Cfr. Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/calcolitico/ .

[4] Jaspers, K. Origine e senso della storia. Milano: Mimesis, 2014, p. 20.

[5] La cultura kurgan è l'insieme di quelle culture preistoriche e protostoriche dell'Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia, fino ai Monti Altai e alla Mongolia occidentale), che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari chiamati appunto kurgan, edificati a partire dal 4000 a.C. circa e particolarmente nell'Età del Bronzo. Deriva da una parola turco-tartara che indica collinette o tumuli contenenti una sepoltura in una tomba a fossa, una casa sepolcro o una tomba a catacomba. In letteratura russa si trova anche il termine jamna (cfr. Crescioli, L. «I Kurgan reali del periodo Scita: complessità architettonica, ideologia e ritualismo funerario», in Aa.Vv. Eurasiatica. Quaderni di studi su Balcani, Anatolia, Iran, Caucaso e Asia Centrale 6, Venezia: 2016, p. 65-116).

[6] Ivi, p. 70. 

sabato 2 dicembre 2023

IL CREDO DELLE DONNE CON SIMONA SEGOLONI - LUNEDI 4 DICEMBRE 2023

 



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Lunedì 4 Dicembre ore 20.45 ultimo incontro con la teologa SIMONA SEGOLONI: Credo la chiesa apostolica. Discepole, apostole e la chiesa oggi. Finisce la prima parte del percorso de "IL CREDO DELLE DONNE". Non mancare e aiutaci a diffondere, se vuoi. #edizionisanlorenzo #graziemille 

lunedì 20 novembre 2023

IL CASO BIBBIANO-TESTIMONIANZA DI UNA FAMIGLIA AFFIDATARIA

 Pubblico questa bella testimonianza sul caso Bibbiano

 

Come in ogni cosa esiste sempre una verità e il suo esatto contrario

Veronica Prampolini

 

Quando scoppiò il “caso Bibbiano” noi famiglie affidatarie restammo, basite, incapaci di comprendere, orfani e privati di ogni riferimento professionale che aveva in carico i nostri bambini, impauriti e incerti sul futuro che ci attendeva. Chiamavano Demoni quelli che per me erano Angeli e per cercare di comprendere meglio iniziò quella concitazione di telefonate e messaggi per confrontarci tra noi famiglie affidatarie. Volevamo portare le nostre testimonianze, tentavamo tramite i social di dare il nostro contributo, ma la melma di odio cresceva sempre più, si allargava fino a coprire tutto il sistema affidi a livello nazionale. Ad ogni testimonianza che riuscivamo ad apportare alla causa, ci tornava come un boomerang odio e disprezzo. Venivamo sospettati anche noi perché cercavamo di difendere ciò in cui abbiamo sempre creduto.

Diventavamo Demoni anche noi, eravamo guardati con sospetto e vedevamo i ruoli capovolgersi.  Le famiglie bio alle quali erano stati allontanati i figli per metterli in sicurezza, diventavano Angeli e noi affidatari che crescevamo con fatica e sacrificio i figli di altri facendo parte di un sistema malato, diventavamo Demoni. Piano piano tutti noi abbiamo fatto un passo indietro, ci siamo rifugiati nel silenzio, soprattutto perché il nostro timore era quello di danneggiare i Servizi Sociali indagati, anziché alleggerirli. E così in questi anni ho avuto modo di riflettere tanto su ciò che era accaduto, su come chiunque di noi, per un motivo o per un altro potrebbe svegliarsi una mattina, trovare i lampeggianti sotto casa e diventare un Demone, disprezzato sui Social, con una carriera spezzata, una vita distrutta, rapporti sociali azzerati. Resti solo tu, con la tua verità, sull’orlo di un abisso profondo.

Cosa avrei fatto io, se fosse accaduto a me?

Avrei trovato la forza di continuare a vivere? Cosa mi avrebbe tenuta in vita?

Forse la voglia di dimostrare la Verità.  Solo quella.

Ma nel frattempo poi la vita è andata avanti, i tempi della giustizia sono lunghi anni e si deve trovare la forza di restare a galla, possibilmente in salute. È luogo comune pensare e parlare male dell’operato dei servizi sociali, perché a volte ad urlare all’ingiustizia sono proprio quei genitori che non hanno saputo essere accudenti con i figli, non hanno saputo proteggerli, non hanno saputo amarli. E il cattivo giornalismo di oggi, ci va a nozze con le ingiustizie urlate, senza però approfondire, senza sentire la controparte.  I social poi completano l’opera di diffamazione dando voce a chi non conosce nemmeno la differenza tra la parola “adozione” e la parola “affido”. E ancora una volta la “colpa” è dei servizi sociali che tolgono i figli. Nella mia “carriera” di mamma affidataria ho collaborato con tanti servizi sociali, non tutti del mio comune di residenza, ho quindi purtroppo avuto modo di conoscere dei pessimi assistenti sociali (pochi per fortuna) che non mettevano al centro il benessere del bambino, ma solo quello degli adulti e degli assistenti sociali speciali e coraggiosi che non si piegavano davanti alle minacce e alle sfuriate dei pessimi genitori. Quando io mettevo piede nella sede della Valdenza era per me eccitazione. Era un sentirsi a casa. In un ambiente che offriva protezione. Eccitazione di incontrare persone altamente qualificate, accoglienti, mai giudicanti, che ti illustravano un progetto tenendo conto delle tue competenze di accoglienza, rassicurandoti nelle difficoltà, garantendoti presenza nel compiere questo cammino insieme.

La responsabile ci fornì il suo cellulare per eventuali emergenze, tramite un gruppo Whattsapp aggiornavo in tempo reale responsabile, educatrice e assistente sociale sull’andamento del mio affido e quando mi trovai a gestire una situazione di sospetto pericolo ebbi immediata risposta della responsabile che nonostante fosse notte e fosse in ferie, allertò subito le forze dell’ordine per metterci in sicurezza. Io quei servizi sociali lì, li rimpiango là dove vedo soffrire bambini, là dove si ignorano i loro disagi, là dove il nostro ruolo di affidatario risulta essere solo fastidioso.  Provo tanta dolore quando penso a questa brutta pagina di cronaca, voglio però avere fiducia nella magistratura e mi auguro che presto la verità possa ridare dignità e vita a queste persone che sono state per ora giudicate e giustiziate dall’ignoranza e dell’egocentrismo di chi vuole emergere dando aria ai denti, senza rendersi conto del male che questo ha portato al sistema affidi e quanto ora i bambini siano in pericolo perché non si ha il coraggio di proteggerli per paura di svegliarsi la mattina e trovare i lampeggianti sotto casa.

domenica 19 novembre 2023

IL CREDO DELLE DONNE - CREDO LA CHIESA SANTA - SECONDA SERATA

 




Lunedì 20 novembre 20.45 secondo incontro on-line aperti a tutte e tutti de "IL CREDO DELLE DONNE". La teologa SIMONA SEGOLONI affronterà il tema: "Credo la chiesa santa: santità del popolo e santità delle donne

 PER PARTECIPARE UTILIZZA QUESTO LINK: https://meet.google.com/gtt-oefm-pxw  che trovi nel volantino.

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mercoledì 15 novembre 2023

REPAM: LETTERA DAL GRIDO DELL'AMAZZONIA

 



 

Paolo Cugini

Una lettera dinanzi al Grido dell'Amazzonia è stata preparata dai partecipanti all'incontro della Rete Conferenza Ecclesiale Panamazzonica (REPAM), tenutasi a Florencia, Caquetá - Colombia, dal 8-10 novembre 2023. Il testo inizia chiedendo "un cessate il fuoco immediato in Gaza e altri luoghi di conflitto, con meccanismi e accordi internazionali per la costruzione della pace".

 Nei suoi 10 anni di vita, la REPAM si presenta come "una risposta profetica del Vangelo, con il compito di promuovere la cura della Casa Comune, facendo risuonare la voce dei popoli e la difesa dei diritti umani", sottolineando che "siamo ispirati dalla spiritualità incarnata nel territorio, impegnati a nuove forme di sinodalità, per una Chiesa dal volto amazzonico".

La lettera mostra le preoccupazioni della REPAM, "afflitta dall'agonia di questo bioma e della sua consapevoli della loro importanza per il pianeta: la crisi climatica e il collasso sistemico in Amazzonia; estrattivismo predatorio; sviluppo l'energia minerale in Amazzonia; le false soluzioni della green economy; il narcotraffico.

La REPAM chiede "l'attuazione di un piano d'azione globale per la protezione e la difesa della Panamazzonia e i suoi popoli, con un serio impegno da parte delle autorità pubbliche e la società civile per prevenire ulteriori violenze, aiutare le vittime e Invertire la situazione". La lettera ricorda anche le richieste delle comunità e dei Popoli amazzonici alla Chiesa: un'alleanza nella ferma difesa dei loro territori. Anche "La REPAM ratifica l'appello di Papa Francesco per una governance globale in tempi di crisi climatica, chiedendo che le conferenze delle Nazioni Unite sul clima (COP) per prendere decisioni efficienti, vincolanti e facilmente accessibili", invocando "l'unità dei popoli e delle reti ecclesiali per la ecologia integrale, attraverso un percorso di mobilitazione e consapevolezza".

 

sabato 11 novembre 2023

TORNA IL CREDO DELLE DONNE

 



 

 

Lunedì 13 novembre 20.45 ripartono gli incontri on-line aperti a tutte e tutti de "IL CREDO DELLE DONNE". La teologa SIMONA SEGOLONI affronterà il tema: "Credo nella Chiesa Cattolica: donne e uomini in un'unica chiesa. Inclusività e diversità.

PER PARTECIPARE UTILIZZA QUESTO LINK: https://meet.google.com/gtt-oefm-pxw

 

SIMONA SEGOLONI, Nata a Perugia (Italia) il 26/02/1973, coniugata dal 21/04/2001, quattro figli. Dopo la maturità classica (Perugia) e il baccalaureato in teologia (Assisi), ha conseguito la Licenza in teologia dogmatica e il Dottorato presso la Facoltà Teologica dell’Italia centrale di Firenze. Dal 2001 al 2012 ha lavorato in Segreteria come applicata, iniziando contestualmente l’insegnamento, quindi dal 2012 è docente a tempo pieno. Docente assistente dal 2006, incaricata dal 2008 e dal 2014 docente stabile straordinaria di teologia sistematica all’Istituto teologico di Assisi. Dal 2007 al 2021 docente incaricata presso l’Istituto superiore di Scienze religiose di Assisi. attualmente insegna a ecclesiologia a tempo pieno presso l'istituto Giovanni Paolo II a Roma. 

 

tra le ultime pubblicazioni potremmo citarne alcune; ma forse questo può essere detto all'inizio della conferenza, mentre la si presenta:

2019    Donne e uomini, corresponsabilità e reciprocità: leadership e potere in L. Garbinetto (ed.), Corresponsabili nella diaconia, EDB, 2019, 111-134.

2019    Per forza o per amore. Riscoprire come e perché andare a scuola, Porziuncola, 2019.

2019    La vita nel grembo di Dio, Padova, 2019 (Quaderni della scuola di spiritualità Sant’Antonio dottore)

2020    Gesù maschile singolare, EDB, Bologna, 2020

2021    Carne di donna, ITL, Milano, 2021

mercoledì 8 novembre 2023

RISPOSTE DELLA CHIESA SUI TRANSESSUALI

 

Mons. Victor Manuel Fernandez prefetto del DIcastero per la dottrina della fede


RISPOSTE DEL DICASTERO PER LA DOTTRINA DELLA FEDE A MONS NEGRI SUL TEMA DEL BATTESIMO DI UN TRANSESSUALE, LA LORO POSSIBILITA’ DI ESSERE PADRINI E DI SPOSARSI

 

In data 14 luglio 2023, è pervenuta a questo Dicastero una lettera di S.E. Mons. José Negri, Vescovo di Santo Amaro in Brasile, contenente alcune domande riguardo alla possibile partecipazione ai sacramenti del battesimo e del matrimonio da parte di persone transessuali e di persone omoaffettive. Dopo uno studio al riguardo, questo Dicastero ha risposto nel seguente modo.

Risposte del Dicastero a S.E. Mons. Negri

 Le seguenti risposte ripropongono, in buona sostanza, i contenuti fondamentali di quanto, già in passato, è stato affermato in materia da questo Dicastero.

1.      Un transessuale può essere battezzato?

 Un transessuale – che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso – può ricevere il battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il Battesimo. Nel contempo, occorre considerare quanto segue, specialmente quando vi sono dei dubbi sulla situazione morale oggettiva in cui si trova una persona, oppure sulle sue disposizioni soggettive verso la grazia. Nel caso del Battesimo, la Chiesa insegna che, quando il sacramento viene ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale. Il Catechismo afferma: «Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa». San Tommaso d’Aquino insegnava, infatti, che quando l’impedimento alla grazia scompare, in qualcuno che ha ricevuto il Battesimo senza le giuste disposizioni, il carattere stesso «è una causa immediata che dispone ad accogliere la grazia». Sant’Agostino di Ippona richiamava questa situazione dicendo che, anche se l’uomo cade nel peccato, Cristo non distrugge il carattere ricevuto da questi nel Battesimo e cerca (quaerit) il peccatore, nel quale è impresso questo carattere che lo identifica come sua proprietà. Così possiamo comprendere perché Papa Francesco ha voluto sottolineare che il battesimo «è la porta che permette a Cristo Signore di stabilirsi nella nostra persona e a noi di immergerci nel suo Mistero»  . Questo implica concretamente che «nemmeno le porte dei Sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi. Questo vale soprattutto quando si tratta di quel sacramento che è “la porta”, il Battesimo […] la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa».

Allora, anche quando rimangono dei dubbi circa la situazione morale oggettiva di una persona oppure sulle sue soggettive disposizioni nei confronti della grazia, non si deve mai dimenticare quest’aspetto della fedeltà dell’amore incondizionato di Dio, capace di generare anche col peccatore un’alleanza irrevocabile, sempre aperta ad uno sviluppo, altresì imprevedibile. Ciò vale persino quando nel penitente non appare in modo pienamente manifesto un proposito di emendamento, perché spesso la prevedibilità di una nuova caduta «non pregiudica l’autenticità del proposito». In ogni caso, la Chiesa dovrà sempre richiamare a vivere pienamente tutte le implicazioni del battesimo ricevuto, che va sempre compreso e dispiegato all’interno dell’intero cammino dell'iniziazione cristiana.

2.      Un transessuale può essere padrino o madrina di battesimo?

A determinate condizioni, si può ammettere al compito di padrino o madrina un transessuale adulto che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e a intervento chirurgico di riattribuzione di sesso. Non costituendo però tale compito un diritto, la prudenza pastorale esige che esso non venga consentito qualora si verificasse pericolo di scandalo, di indebite legittimazioni o di un disorientamento in ambito educativo della comunità ecclesiale.

3. Un transessuale può essere testimone di un matrimonio? Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale che proibisca ad una persona transessuale di essere testimone di un matrimonio.

4. Due persone omoaffettive possono figurare come genitori di un bambino, che deve essere battezzato, e che fu adottato o ottenuto con altri metodi come l’utero in affitto? Perché il bambino venga battezzato ci deve essere la fondata speranza che sarà educato nella religione cattolica (cf. can. 868 § 1, 2 o CIC; can. 681, § 1, 1o CCEO).

5. Una persona omoaffettiva e che convive può essere padrino di un battezzato? A norma del can. 874 § 1, 1o e 3o CIC, può essere padrino o madrina chi ne possegga l’attitudine (cf. 1o ) e «conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume» (3o ; cf. can. 685, § 2 CCEO). Diverso è il caso in cui la convivenza di due persone omoaffettive consiste, non in una semplice coabitazione, bensì in una stabile e dichiarata relazione more uxorio, ben conosciuta dalla comunità. In ogni caso, la debita prudenza pastorale esige che ogni situazione sia saggiamente ponderata, per salvaguardare il sacramento del battesimo e soprattutto la sua ricezione, che è bene prezioso da tutelare, poiché necessaria per la salvezza8 . Nello stesso tempo, occorre considerare il valore reale che la comunità ecclesiale conferisce ai compiti di padrino e madrina, il ruolo che questi hanno nella comunità e la considerazione da loro mostrata nei confronti dell’insegnamento della Chiesa. Infine, è da tenere in conto anche la possibilità che vi sia un’altra persona della cerchia famigliare a farsi garante della corretta trasmissione al battezzando della fede cattolica, sapendo che si può comunque assistere il battezzando, durante il rito, non solo come padrino o madrina ma, altresì, come testimoni dell’atto battesimale.

6. Una persona omoaffettiva e che convive può essere testimone di un matrimonio? Non c’è nulla nella vigente legislazione canonica universale che proibisca ad una persona omoaffettiva e che convive di essere testimone di un matrimonio.

ABUSI ZERO – UNA IMPRESSIONANTE RACCOLTA DI FIRME

 




 

Assistenti sociali, famiglie, educatori, medici, medici pediatri, volontari, insegnanti, consulenti, psicologi, psicoterapeuti, comunità di accoglienza, cittadini. Insieme per ascoltare e proteggere i bambini.

C’è un’emergenza invisibile che riguarda i bambini, persone che invece avrebbero necessità di maggior ascolto, cura e protezione da parte della nostra comunità. Il ‘Caso Bibbiano’, purtroppo, ha già mietuto vittime. E le vittime sono prima di tutto loro. I minori. Gettando ombre e sospetti su servizi e famiglie, la macchina del fango (social e media) si è accanita contro gli educatori, i volontari, gli assistenti sociali, gli insegnanti, le famiglie affidatarie, le figure educative che operano intorno ai minori, inducendo molti di loro a pensare che proteggere i minori fosse troppo rischioso, o addirittura sgradito, e non un servizio essenziale per la nostra comunità.

Tutto ciò ha reso più indifesi i minori e più fragile la nostra comunità.

Dal 2019 in poi è aumentata esponenzialmente la difficoltà dei servizi nell’attività di protezione dei minori. Da sempre i servizi sociali svolgono funzione di sostegno e numerosi interventi preventivi sul territorio, ma, nonostante ciò, occorre prender atto che vi sono anche famiglie fortemente maltrattanti o abusanti: in questi casi i servizi hanno il dovere di intervenire per mettere in sicurezza i minori. Anche a fronte di episodi acclarati di violenze - segnalate da scuola, Polizia, Carabinieri, Pronto Soccorso, medici pediatri - sono calate verticalmente le disponibilità delle famiglie a prendere in affido i minori in difficoltà. Tale accoglienza è particolarmente preziosa per i bambini in tenera età. Gli operatori, i genitori affidatari, gli insegnanti, sono spesso a rischio di minacce da parte di cittadini e genitori che, forti della vicenda di Bibbiano, aggrediscono verbalmente o sui social chi si occupa di gestire al meglio situazioni di minori in difficoltà. Sono così anche lievitati i costi per la collettività. Senza famiglie affidatarie, il servizio di accoglienza dei minori viene svolto dalle case famiglie, dalle comunità familiari e dalle comunità educative. In particolare, le comunità educative sono luoghi di accoglienza, cura e protezione autorizzati dalla Regione, con funzionamento a turni che ne aumentano i costi di gestione.

Comunità educative che, oltre a dover accogliere anche i bambini in tenera età, per i quali sarebbe più adeguata una risorsa famigliare, costano fino a sei volte di più di quanto non sia il rimborso per una famiglia affidataria che accoglie un minore. Anche gli operatori delle case famiglie, delle comunità familiari e delle comunità educative sono stati messi costantemente in discussione e in forte difficoltà, rischiando maltrattamenti, discredito per il loro operato, fomentati dall’ignoranza insensibile della gogna mediatica che ha speculato su tutto il sistema di prevenzione, sostegno, supporto e protezione. Le nostre comunità hanno invece bisogno di assistenti sociali che ci credano e che siano tutelati, di insegnanti che continuino senza paura a segnalare i sospetti casi di violenza, di personale educativo sensibile, di un pronto soccorso efficiente e attento, di pediatri coraggiosi, di psicologi, di comunità di accoglienza che sappiano coniugare professionalità e amore.

 Abbiamo bisogno di una comunità intera che sappia mettere il bene del minore al primo posto.

Il sistema dei servizi di protezione dei minori è assolutamente necessario e non è accettabile che la slavina mediatica, alimentata per ragioni meramente strumentali, li indebolisca o li faccia sentire sotto accusa. L’affido e le altre tipologie di accoglienza sono a supporto anche alle famiglie di origine. L’affidamento è infatti uno strumento temporaneo che permette ai genitori di essere sostenuti per poter superare momenti particolarmente difficili. Attraverso un attento sostegno, laddove sia possibile, ci sono famiglie che aiutano famiglie, un’azione civica che in questi ultimi quattro anni è stata ingiustamente umiliata. Non smetteremo mai di ricordare che tutte le azioni di protezione e di sostegno sono sempre decretate dai Tribunali Civili e Minorili, nel prioritario interesse del minore e per il sostegno alla famiglia di origine. I minori hanno bisogno di questi servizi fondamentali perché: - non sono ‘proprietà’ dei genitori che li hanno messi al mondo - purtroppo, esistono anche genitori che non riescono a svolgere il loro importantissimo ruolo, anche solo temporaneamente.

Per questi motivi non smetteremo di impegnarci ogni giorno per la sicurezza e il benessere dei bambini, la qualità della democrazia, la possibilità di costruire insieme un futuro migliore per tutti (seguono oltre 700 firme e non è finita).

venerdì 3 novembre 2023

ABUSI ZERO

 





Ci vediamo in piazza casotti sabato 11 novembre, alle ore 11. Vi terremo aggiornati qui con i dettagli organizzativi. Per ora fate girare l’invito. A presto!

mercoledì 1 novembre 2023

AL CENTRO DEL MONDO

 

Una celebrazione liturgica animata e colorata



La missione diocesana in Amazzonia

 

Paolo Cugini

 

Lo diceva una mia carissima amica, che ha trascorso qualche mese nella missione diocesana a Santo Antonio do Iça: in Amazzonia c’è tutto. Lo diceva non solamente pensando alla biodiversità, alla ricchezza della flora e della fauna, ma a tutta un’altra serie di elementi che spesso ci sfuggono, per il semplice fatto che non li conosciamo. Del resto, l’Amazzonia per noi cattolici è venuta alla ribalda a causa del sinodo che si è tenuto a Roma nell’ottobre del 2018, proprio sul tema della Chiesa dell’Amazzonia. Senza dubbio, prima del sinodo sapevamo qualcosa di questo territorio immenso, dei suoi fiumi, della foresta immensa, del problema della deforestazione. C’è, comunque di più.  Non avrei mai pensato o immaginato che i fiumi di questo immenso territorio potessero seccarsi, eppure così è stato proprio recentemente. Ne sanno qualcosa don Gabriele Carlotti e don Gabriele Burani, che stanno attuando ai confini con la Colombia e che sono abituati a spostarsi sui fiumi. La siccità che ha colpito il territorio amazzonico, considerata la più grande siccità mai vista, ha provocato l’abbassamento impressionante degli affluenti del rio delle Amazzoni, con il conseguente arresto delle comunicazioni. Mercati vuoti a causa della mancanza dell’arrivo delle merci, un numero impressionante di pesci morti a causa della temperatura elevatissima dei fiumi. Il cambiamento climatico, i cui effetti si stanno sentendo dappertutto, è al centro del dibattito non solo sociopolitico, ma anche ecclesiale. Ne ha parlato Papa Francesco nell’enciclica Laudato sii e, più recentemente, nell’esortazione apostolica Laudate Deum. Affermando che: “Per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti.” E noi li stiamo vedendo bene, da vicino.

I responsabili della Facoltà Cattolica di Manaus


La Chiesa di Reggio Emilia e Guastalla è qui in Amazzonia e tocca con mano i disastri di un’economia predatoria, che non guarda in faccia a niente e a nessuno, pur di raggiungere i propri obiettivi. In queste settimane a Manaus, che è la capitale e in cui vivo da alcuni mesi, ci siamo spesso alzati alla mattina avvolti dal fumo causato dagli incendi, quasi sempre dolosi, nelle foreste limitrofe alla città. Essere a Manaus è importante non solo per il lavoro formativo svolto nella Facoltà Cattolica, in cui studiano anche i seminaristi di tutta l’area amazzonica, ma anche per accompagnare da vicino le attività della REPAM (Rete Ecclesiale Panamazzonica) e della CEAMA (Conferenza Ecclesiale dell’Amazzonia), un organismo ecclesiale che promuove la sinodalità e specifica linee di azione pastorale per creare comunità cristiane capaci di donarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino a dare alla Chiesa volti nuovi con caratteristiche amazzoniche, come ha detto Papa Francesco nell’Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia.

Manifestazione per le strade della città da parte delle pastorali sociali della diocesi


E poi ci sono i popoli indigeni, che provocano la nostra riflessione. Alcuni giovani delle tribù indigene sono miei studenti. Nel corso di antropologia filosofica ho attivato un seminario in cui ho chiesto loro di riflettere sulla proposta di uomo e di donna elaborato nei secoli dalle comunità indigena. Dinanzi alla mia proposta mi hanno fatto subito notare, che non sono giovani di un’unica tribù, ma di varie, con lingue e culture differenti. È questa differenza che ci sfugge. Una diversità culturale, che i popoli indigeni hanno difeso e continuano a difendere dall’arroganza tipicamente Occidentale, che si ritiene superiore e migliore. Se la foresta Amazzonica, con tutta la sua ricchezza di biodiversità è ancora al suo posto, lo si deve ai popoli indigeni, che l’hanno difesa e continuano difenderla dall’aggressione vergognosa e predatoria delle grandi multinazionali che, pur di sfruttare il territorio, con le loro ruspe distruggono tutto ciò che si trovano dinanzi, compresi i villaggi dei popoli indigeni, che sono qui da sempre.

Animazione liturgica con alcuni simboli dell'Amazzonia


Camminare ecclesialmente in questo immenso territorio significa mettersi in ascolto, per non rischiare di compiere gli stessi errori di coloro che vengono in Amazzonia solo per sfruttare. Diceva Papa Francesco a Puerto Maldonado, in Perù nel giugno del 2018. “Grazie per la vostra presenza e perché ci aiutate a vedere più da vicino, nei vostri volti, il riflesso di questa terra. Un volto plurale, di un’infinita varietà e di un’enorme ricchezza biologica, culturale, spirituale. Abbiamo bisogno della vostra saggezza e delle vostre conoscenze per poterci addentrare, senza distruggerlo, nel tesoro che racchiude questa regione”. Siamo qui in Amazzonia perché abbiamo bisogno di loro, per imparare a convivere con la natura, a rispettarla, ad amarla. Siamo qui per imparare a vivere il Vangelo in modo più semplice ed essenziale. Siamo qui per imparare a fare comunità mettendoci in cerchio, come fanno i popoli indigeni e come è avvenuto al Sinodo appena concluso, per ascoltare tutti e tutte. Siamo molto contenti di essere qui e di condividere questo cammino con voi. 

mercoledì 25 ottobre 2023

LA CONFESSIONE: PERCHE' NON FUNZIONA?

 



 

Paolo Cugini

 

Fratelli, il peccato non regni più nel vostro corpo mortale, così da sottomettervi ai suoi desideri. Non offrite al peccato le vostre membra come strumenti di ingiustizia (Rm 6,12-18). Leggendo questo brano di Paolo mi chiedo: che cosa pensa che sia il peccato l’apostolo Paolo? È una forza interiore che sottomette il corpo. È una forza legata al desiderio che domina il corpo e lo induce a fare ciò che non vorrebbe. Per certi aspetti, sembra identificarsi con l’istinto, ma è qualcosa d’altro. L’istinto stimola il desiderio che, a sua volta, stimola la passione e la conduce fuori controllo. In questi, casi una confessione non serve, se non a placare per qualche momento la violenza dell’istinto. Serve, invece, prendere coscienza di sé, entrare in se stessi e scoprire l’origine del disordine spirituale, per poterne somministrare la cura. C’è, a mio avviso, un abuso della confessione, perché non si aiutano le persone a prendere coscienza di sé. Senza dubbio, la grazia agisce, ma la struttura umana esige la ricerca delle cause, l’abitudine a guardarsi dentro, a scoprire l’origine di ciò che ha provocato il disordine.

 Non sempre si riesce a risalire alle cause e, a volte, anche scoprendo le cause del disordine, non sempre si riesce ad intervenire. La proposta della Chiesa di una confessione frequente e costante non tiene conto della reale dimensione interiore della persona umana, nel senso che non l’aiuta a rendersi conto del proprio cammino. Inoltre, messa così, la confessione viene svalorizzata, perché sembra un’implicita ammissione della sua incapacità di realizzare quello che proclama, vale a dire, il perdono del peccato che, attraverso la grazia santificante, dà la forza per rimanere saldi e non cadere più. 

Paolo continua affermando: Così, liberati dal peccato, siete stati resi schiavi della giustizia. Paolo è convinto che la liberazione dal peccato da parte dalla legge della grazia sia permanente. Questo, a mio avviso, è il cuore del problema, che la prassi della Chiesa, nel sollecitare la confessione frequente da parte dei fedeli, mette in discussione. Se, infatti, avesse ragione Paolo, che la legge della grazia cura per sempre l’anima dalla schiavitù del peccato, perché allora sarebbe necessaria la confessione frequente?

C’è qualcosa che non quadra in questa proposta. Chi infatti l’accetta, e sono i cattolici ferventi, rimane intrappolato per tutta la vita nella logica del perdono e della caduta, senza potersi prendere il tempo per capire i motivi della caduta così frequente. È come se mettessimo una pomata su una ferita aperta senza prima pulirla e curarla: non funziona. Occorre ritornare alla prassi della Chiesa primitiva, che battezzava solamente persone adulte, che liberamente chiedevano di partecipare alla vita della comunità ed erano disposte a compiere un percorso di tre anni di verifica della propria vita, prendere delle decisioni provocate dalla proposta del Vangelo, che esigevano cambiamenti radicali.

 L’abbandono in massa nei confronti del sacramento della penitenza, che si sta verificando da alcuni decenni nella Chiesa cattolica è il sintomo che le persone hanno colto l’inganno: la grazia santificante non funziona sul corpo malato, perché prima dev’essere curato. La Chiesa sta offrendo la medicina, ma non la cura. C’è tuto un mondo che esce dalla Chiesa alla ricerca di cammini spirituali che siano in grado di fornire quelle risposte che la Chiesa, con la sua proposta sacramentale, non è riuscita ad offrire.

Eppure, scavando nel passato, è possibile trovare un patrimonio immenso nei sotterranei spirituali della Chiesa, fatto di percorsi, di cammini esistenziali, di proposte alte che, con il tempo, sono state dimenticate. Basterebbe aver accesso a questo patrimonio, prendersi il tempo per sperimentarlo e riscoprire la bellezza di un cammino che viene da molto lontano.