mercoledì 13 aprile 2022

Una liturgia con i tratti dell’umanità di Gesù

 




Paolo Cugini


Possiamo comprendere il senso della liturgia nella vita della comunità cristiana solamente ritornando alle origini e, in modo speciale, guardando a Gesù, ai Vangeli. C’è un tratto che colpisce nel modo di Gesù di relazionarsi con il mondo, con le persone: la sua umanità. È questo aspetto dell’umanità di Gesù che dovrebbe modellare la celebrazione liturgica.

C’è un cammino di umanizzazione che la vita cristiana deve compiere. Gaudium et Spes ci ricorda che: “chiunque segue Cristo, diventa anche lui più uomo” (GS 4). È nella qualità umana dei singoli credenti e delle comunità cristiane che si manifesta la credibilità del messaggio cristiano. È la qualità umana del vivere che fa la differenza. L’umanesimo evangelico nella sua profonda complicità con l’umano autentico, rappresenta il presente e soprattutto il futuro del cristianesimo. Ciò che c’è da vedere di Dio lo abbiamo visto in Gesù. Qui sta ogni possibile discorso sul senso umano della liturgia. La ricerca di una liturgia più umana non è semplicemente richiamare la dimensione etica della liturgia, né l’ennesima strategia pastorale, ma è di ordine teologico e, pertanto, essenziale se vuole essere liturgia cristiana e non un mero rito religioso come tanti. La nostra liturgia è cristiana se è conforme all’umanità di Gesù.

Se il mistero di Dio si è rivelato attraverso l’umanità di Gesù, allo stesso modo la liturgia dev’essere fedele al modo di questa rivelazione. Anche la celebrazione della rivelazione di Dio deve avere la forma del Vangelo. Il modo di celebrare nella liturgia dev’essere conforme al modo in cui Dio si è rivelato in Gesù, nella sua umanità. La liturgia è rivelazione in atto. Proprio il documento conciliare Sacrosantum Concilium ci ricorda che “Attraverso la liturgia si attua l’opera della nostra redenzione” (SC 1). Sono queste idee che hanno guidato la riforma del Concilio Vaticano II, per riportare la liturgia alla sua origine, cioè al Vangelo. Gesù parlava la lingua del popolo, e non una lingua sacra. Gesù ha parlato e si faceva capire. Ha celebrato la prima volta l’eucarestia attorno ad una tavola. I primi discepoli nelle loro case spezzavano il pane. Un’umanità quella di Gesù caratterizzata da una convivialità costante. Gesù si sedeva a mensa con tutti. La cena è l’ultima di tante cene con i suoi discepoli. La centralità dell’altare delle nostre chiese, ricorda che la comunità cristiana è una comunità di tavola, perché Gesù l’ha voluta così.

Il riferimento di Gesù nell’ultima cena non è il contesto sacrificale, ma domestico, di comunità, una liturgia guidata dal padre di famiglia, in un contesto informale vicino alla vita. Gesù ha voluto per la sua comunità una tavola condivisa in un contesto familiare. Le forme rituali non si devono allontanare dalla vita. Per questo motivo non si comprendono gli atteggiamenti riverenziali e di distanza, tipici di un contesto sacrificale, ma totalmente estranei al contesto famigliare ed umano voluto da Gesù.  Se togliamo dalla liturgia ciò che c’è di autenticamente umano, togliamo allo stesso tempo ciò che c’è di autenticamente divino. Nella liturgia dobbiamo trovare la grammatica della vita. Ciò vale anche per la lingua della liturgia. Il Vaticano II ha dato la possibilità di accedere alle lingue parlate. Gesù parlava in aramaico, la lingua del suo tempo, grazie alla quale si faceva intendere. Gesù non ha parlato una lingua sacra, ma ha utilizzato espressioni della vita della gente. Gesù non viveva nelle sacrestie o nelle università e utilizzava il vocabolario della vita quotidiana, molto più che quello religioso. “Le folle erano stupite del suo insegnamento” (Mt 7,28). “Mai un uomo ha parlato così” (Gv 7,46).

L’annuncio del Vangelo oggi si realizza in larga parte sul crinale delle risposte credibili alla domanda: “credere mi aiuta a vivere”? Il rapporto tra liturgia e vita si presenta in modo nuovo rispetto all’epoca del Concilio. Oggi si declina chiedendo alla celebrazione di essere un luogo vitale, di rigenerare la vita dei singoli credenti. La liturgia come luogo che genera e rigenera il credente alla vita, luogo sorgivo della vita della comunità, richiede una costante attenzione alla riproduzione nel contesto liturgico, dei tratti dell’umanità di Gesù. Tutto ciò che i vangeli riferiscono di Gesù con la sua gente è un’anticipazione del senso della liturgia. La liturgia, dunque, dovrebbe essere una continuazione dei vangeli in modo tale che, le persone che partecipano ai riti, si sentano avvolte dall’umanità di Gesù e lo riconoscono presente in essi. Nei vangeli incontriamo delle affermazioni che esprimono il desiderio della gente d’incontrare Gesù e che sono delle vere e proprie espressioni liturgiche: “Signore, aiutami!” (Mt 15,25); “Gesù abbi pietà di me!” (Mc 10,47);Signore, il mio servo è in casa che soffre” (Mt 8,6). Questa liturgia dei vangeli ci narra di un uomo Gesù, che ascolta le richieste vitali del popolo, che cammina con gli uomini e le donne del suo tempo, si lascia toccare, si ferma ad ascoltare, accarezza, rie, piange: c’è tanta umanità nei suoi gesti. Per questo, d’ora innanzi, dopo Gesù, il sacro non ha più bisogno di essere rivestito con i segni della potenza per indurre timore e riverenza, ma va spogliato, perché il Padre attraverso il Figlio ha deciso di mettere una tenda in mezzo a noi. È la semplicità dei gesti umani che dicono della grandezza dell’amore di Gesù, che incontriamo nella sua umanità. Gesù ha combattuto una battaglia è per la vita e l’ha combattuta sino alla sua stessa morte. Di fronte alla vastità del messaggio cristiano, all’iperattivismo della vita parrocchiale, alla complessità dei nostri riti, della loro ridondanza barocca, impressiona la semplicità della liturgia dei vangeli. Ritornare ai gesti semplici dell’umanità di Gesù è il compito attuale della liturgia nella Chiesa, compito indicato proprio dal Concilio Vaticano II.

Il teologo tedesco Christoph Theobald diceva che: “vita e fede sono intimante legate”. Non si può trasmettere la fede senza trasmettere la fede nella vita. La celebrazione dei sacramenti della fede è luogo di contatto della vita di Cristo con la vita dell’uomo e della donna oggi. Nei passaggi decisivi della vita unici e definitivi dell’esistenza, là dove la vita è più vita, i sacramenti della Chiesa vi proiettano la luce del Vangelo. Scopo dei sacramenti dovrebbe essere quello di significare la vita con la luce del mistero pasquale, per sottrarli alla logica del caso e del destino. Nei sacramenti si rivela tutta l’umanità della liturgia. La pastorale dei sacramenti è l’odierna Galilea delle genti. Dentro alla domanda di sacramenti c’è un senso profondo della vita che va riconosciuto e onorato, c’è una forma germinale di quella fede naturale che ogni essere umano ha della vita. È fede in Dio autore della vita.

Solo una liturgia umana sa celebrare la vita umana, sul solco tracciato da Gesù. La sofferenza è il luogo massimo dell’umanità. Il criterio della verità della liturgia è quella di farsi carico delle sofferenze: abbandono, esclusione, solitudine. Compito di una liturgia umana è quella di contribuire ad umanizzare. Comunione, carità, accoglienza: la liturgia è risorsa di umanità. Come verso Gesù andavano tutti coloro che si sentivano esclusi dalla società, così oggi alla liturgia della comunità dovrebbero trovare accoglienza tutti coloro che nel mondo si sento esclusi, emarginati, derisi, discriminati. È nel segno dei chiodi che è visibile l’amore di colui che il Padre ha risuscitato. Allo stesso modo, è in una comunità che mette al centro delle sue liturgie i poveri, i crocefissi della storia, che il modo può riconoscere la luce del risorto. Nella preghiera Eucaristica V leggiamo: “donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli”. La celebrazione eucaristica è il luogo della fraternità. L’Eucarestia è il più alto magistero di umanità. Non possiamo ricevere in modo innocente il pane di vita, senza condividere il pane per la vita con chi è nel bisogno. La nostra fede eucaristica ci chiama a vivere un’etica eucaristica, che ci porta vivere un’umanità è più profonda nei confronti dei bisognosi. È il Cristo che nella liturgia ci viene incontro con i poveri, i migranti, gli esclusi. L’eucaristia è una protesta contro l’ineguaglianza. L’eucarestia contiene un’utopia. Non è possibile essere umani quando si celebra ed essere disumani quando si esce dalla Chiesa. 

 

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