sabato 26 maggio 2018

INTRODUZIONE A MADELEINE DELBREL






SAGRA DI REGIONA PACIS – REGGO EMILIA
VENERDI 25 MAGGIO 2018



Prof. Edi Natali


Sintesi: Paolo Cugini
Via: è una delle parole chiave di Madeleine, perché la vita avviene nella strada. Quali sono le caratteristiche del cristiano? Chi è il cristiano? La maggior parte non si pone la domanda. Noi ci troviamo in un mondo indifferente.

Madeleine vive in un ambiente ateo, anticlericale. “Il cristiano deve imparare a perdere la fede del prestigio”: il cristiano non deve cercare il prestigio.
Annichilamento: rinunciare a servirsi. Dobbiamo uscire da noi stessi. Rinunciare a ciò che noi pensiamo, alle nostre giornate iper-organizzate per accogliere. Come cristiani tendiamo ad incasellare tutto. Con questo sistema, diceva Madeleine, rischiamo di non incontrare l’altro così com’è. Il cristiano non è il migliore degli uomini e non ha bisogno di azioni eccezionali.

Dio ha bisogno di un volume di sottomissione. Madeleine ricorre spesso alla parola: obbedienza.
Il cristiano è colui che parte alla ricerca di Dio senza una carta stradale. Madeleine non indica un percorso. Dio si trova lungo il cammino e non alla fine. La condizione del cristiano è una insicurezza vertiginosa.
Abramo lascia la sicurezza per l’incertezza: insicurezza vertiginosa.
Qual è la vocazione del cristiano? E’ la chiamata di Cristo che in tutti i tempi è sempre precisa per ogni uomo. Ognuno di noi è interpellato dove si trova.
Gesù è stato un uomo perfetto per essere perfettamente nella nostra vita. Gesù è in tutte le vocazioni umane per questo Madeleine dice che non vuole essere specializzata in nessuna specializzazione.
Essere cristiano è non avere le giornate iper programmate. Essere chiamati dove ci si trova e comprendere che Gesù abita in mezzo a noi, sotto le sembianze di chi è nudo, affamato, straniero, senza rifugio.

Peregrinus e il viator. Mentre l’homo viator ha un messaggio da dare e una strada chiara da percorrere, il peregrino è colui che va per agros, cioè per i campi, a tastoni. Non c’è una strada segnata. La fede è provocata dal contatto di chi non è credente. La fede non è intimismo. Il cristianesimo di Madeleine Delbrel è lontanissimo dal moralismo. Per essere siamo figli e questo ci rende fratelli e sorelle. Spesso facciamo del cristianesimo una dottrina morale.
Madeleine Delbrel desidera imitare Cristo e per questo non privilegia nessuna via particolare. Cercare di avere un cuore capace di mettersi in ascolto, nei panni dell’altro: sentire insieme.

Un amore che non è mai spezzettato: Madeleine dice che non posso amare il fratello se non amo Dio. Tutto quello che fai in orizzontale dev’essere una risposta al contatto verticale. Chi commette l’ingiustizia anche lui ha bisogno della nostra preghiera. Il cristiano non divide mai il mondo in buoni e cattivi, perché il cattivo ha bisogno di redenzione.
Il silenzio è anche ascoltare ed è fondamentale. Un prete che legge il Vangelo e basta è sufficiente. Non dobbiamo mai smettere di ruminare il Vangelo.

Leggere il Vangelo ed annunciarlo. Il Vangelo non può stare chiuso nelle aule accademiche. Se la teologia non è preghiera non serve a niente.
La precarietà è un elemento della vita. Nella sua comunità Madeleine dice di non avere capitali per non creare sicurezze materiali. La povertà per Madeleine è qualcosa di reale. La ricchezza è l’attaccamento. Posso essere povero ma attaccato al poco che ho. Povertà è mancanza di attaccamento. Prima di tutto la povertà mostrata dal Signore: la mancanza di potenza e la mancanza di cipiglio. Avere la porta aperta. Sprofondare nella densità del mondo. Accoglienza adorante di ciò che capita. Bisogna tuffarsi nel mistero.

Un Dio infinitamente buono urta contro la sofferenza, la guerra, il male. Bisogna andare tra gli uomini come a dei perdonati. Il cristiano va a parlare come perdonato, non come innocenti. Riceviamo la fede come un dono che non è nostro.

Cercare di accettare una gioia trafitta dalla croce. Quando possiamo soffrire e amare è il massimo. Senza sofferenza ci sono solo ideali e non amore vero. Siamo chiamati ad amare non nonostante il male, ma a causa del male. A causa del male dobbiamo amare ancora di più.
Non solo amare il prossimo come te stesso, ma come Cristo ti ha amato. Siamo collaboratori alla redenzione.
La preghiera non è semplicemente regolata da situazioni precise, ma anche dalle situazioni della vita. Era una contemplativa attiva. Era molto impegnata, ma molto contemplativa.


venerdì 25 maggio 2018

IL CONTRASTO ALLA POVERTÀ IN ITALIA





TAVOLA ROTONDA
REGGIO EMILIA 25 MAGGIO 2018
SOCIAL COHESION DAYS

Sintesi: Paolo Cugini

Giuseppe De Marzo (Libera): Coordina la campagna Numeri Pari. Dieci anni di crisi ridefinisce l’idea di Paese. Le disuguaglianze nel nostro paese non sono mai state così elevate. Abbiamo lanciato la campagna: Miseria Ladra. Nel momento in cui vengono tagliati i servizi sociali sono le Mafie che si propongono. C’è anche una povertà culturale. E’ necessario ricostruire un dibattito dal basso. Secondo il Censis gli italiani a rischio di esclusione sociale sono il 38%. La povertà minorile e la dispersione scolastica in Italia è la più alta in Europa. Dopo 10 anni di crisi si assiste ad un attacco al cuore al significato di civiltà Occidentale. La costituzione italiana insiste sulla dignità della persona umana. Che cosa succede in un paese in cui salta questa idea? L’articola 34 della carta diceva: nessun cittadino deve uscire dalla garanzia della dignità. Ci sono te misure fondamentali:

1.      Reddito minimo
2.      Servizio sociali di qualità
3.      Abitazione

Quando parliamo alle periferie si fa fatica a sostenere questi tre punti. Quale proposta può garantire un minimo di dignità? La proposta dev’essere individuale e non c’è una condizionalità. Le misure che garantiscono il reinserimento è il reddito minimo garantito. Il beneficio deve durare fino a quando la condizione della persona povera non cambia. I soldi ci sono, ma mancano le priorità politiche. Senza un progetto politico e costruiamo una consapevolezza della dignità e intangibilità umana, si mette in mano la popolazione ai populismo. Occorre rimettere al centro ciò che tutto il Paese si aspetta.
Cristiano Gori (Trento):
Elena Granaglia (Roma): Di fronte ai numeri sull’entità della povertà in Italia, che cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Prospettiva di un reddito di cittadinanza. Ci sono due cambiamenti rilevanti:
1.      I destinatari sono i cittadini italiani
2.      Elemento laburistico (lavorare in presenza del beneficio)
La richiesta di un lavoro non sempre è una richiesta negativa. Questi due cambiamenti possono essere rimessi in discussione.
Punto di fondo: ammontare dell’importo. Si fa riferimento ad una povertà relativa. La prospettiva è di dare 780 euro al mese a persona singola. Di fronte a questo importo le posizioni sono semplicistiche. Da un lato non ce lo possiamo permettere. Dall’altro c’è il problema del rapporto con coloro che hanno già qualcosa. Occorrerebbe cercare di arrivare all’obiettivo, anche se non abbiamo ora i soldi. Questa proposta è l’unica in Italia che ha come riferimento la povertà. Dobbiamo essere attenti. 800 euro al mese può essere un problema nell’immediato. Dovremmo dare molto più attenzione sulla redistribuzione.
Fare leva su di una misura come il reddito di cittadinanza, crea divisione. Dovremmo fare più leva su una piattaforma di misure più universale. La prima misura è quella di un sostegno per i figli. Sul plafon per tutti poi su può andare su altre misure più specifiche.

Mila Sansavini: (Regione Emilia Romagna): Siamo in un territorio ricco. Però dinanzi alla crisi ha messo in evidenza delle criticità e aumento di povertà. Il percorso di studio della realtà è partito del 2015 e prende vita nel 2016. Connessione con la normativa nazionale sulla povertà. Nasce anche con la finalità di estendere i beneficiari. Nel nostro territorio ricco essere poveri può diventare umiliante, e spesso sono persone che non hanno rapporto con i servizi. Ci sono state 8 mila domande presentate. Creare una rete per reinserirsi nel sociale. E’ stato siglato un protocollo di contrasto alla povertà. C’è anche la Caritas in mezzo. C’è un’alleanza contro la povertà che la Regione ha creato. E’ una misura costruita in linea con quella Nazionale. Occorre andare verso una logica di ridistribuzione con maggiore equità.

Marcello Natili (Milano): L’Italia è il paese che si è impoverito di più in Europa. Ci sono 4 milioni di persone in Italia in condizioni di povertà assoluta. La povertà assoluta è diminuita solamente per le persone in fascia pensionistica.

Matteo Sassi (Reggio Emilia): il reddito pro capito fra il 2008 al 2015 è aumentato. In questi anni è aumentata la disuguaglianza dei redditi. Tra i 30 ai 70 anni la differenza di reddito tra uomini e donne aumenta. Altra variabile è il numero di componenti della famiglia. Aumentando il numero di componenti il reddito pro capite cala. Le famiglie con bambini tra gli 0 ai 7 anni dichiarano fino a 15 mila euro. E’ la fascia più esposta ad uno scivolamento verso la povertà. Son coloro che non sono conosciuti dai servizi sociali. I dati in cui siamo in possesso ci invitano a ripensare la distribuzione del reddito. C’è una fascia ampia della popolazione che è in situazione di fragilità. Occorre intervenire. Tutti devono far convergere le proprie forze per elaborare una strategia, che con competenza sappia arginare il problema della povertà. Stiamo attenti a non cadere nella trappola delle fasce. Anche la concezione universalistica del reddito di cittadinanza ha il limiti che dice solo di trasferimento monetario senza parlare di servizi. Occorre pensare alle politiche delle case. Il 34 % dei bambini che nasce oggi a Reggio sono stranieri. Come si fa a costruire una comunità coesa partendo da elementi discriminatori.



giovedì 24 maggio 2018

PER UNA NUOVA EUROPA





TAVOLA ROTONDA
REGGIO EMILIA 24 MAGGIO 2018
SOCIAL COHESION DAYS

Sintesi: Paolo Cugini
C’è un futuro dell’Europa dopo il manifesto di Ventotene? La coesione sociale va di pari passo con la partecipazione della società. Rischio di disgregazione sociale.

Prof. Maurizio Cotta (Siena): L’Europa ha bisogno di coesione sociale? Viviamo dentro entità statali che sio sono poste il problema della coesione sociale. Gli stati nazionali non hanno capito subito che un potere democratico non può reggersi se non risponde alle domande di come una società sta insieme. L’Unione Europea non è uno Stato e si è sviluppata come un mercato. Il mercato si occupa di distribuzione di beni e ha bisogno di un apparato regolativo. Attraverso ai fondi regionali si sono cominciate a porre scelte in vista delle situazioni più povere. Gli Stati dedicano circa il 40% per gestire della società. L’Unione Europea dedica l’1 %. La spesa è di 97 euro a persona nella comunità europea. L’UE è un gigante di mercato, ma un nano sociale perché è un nano politico. L’UE può continuare ad andare avanti con un così piccolo investimento in coesione sociale? I mercati non si preoccupano se c’è ingiustizia. Una Unione è diverso da un mercato. I problemi si sono accentuati con la crisi del 2007 e con la crisi legata ai fenomeni di immigrazione. L’UE si concepisce come un mercato di fronte a questo non aveva degli strumenti adatti.
 Le crisi toccano tutti ma in modo diverso. L’UE con queste debole risorse fa fatica ad affrontare le crisi. L’UE ha modificato alcuni sistemi regolativi. L’UE può continuare così debole? I segni di una disaffezione nei confronti della UE sono diversi. La Brexit è uno. La strada ci riporta indietro, quello delle sovranità nazionali in Europa, perché soprattutto i più piccoli fanno fatica a gestire i conflitti. L’Europa fa fatica… La strada è quella di porsi i problemi in modo più diretto. C’è bisogno di passi avanti. Occorre intervenire con dei meccanismi di integrazione sociale. E’ una strada che richiede una visone europea e partiti europei, di leaders capaci di spendersi su questa causa.

Prof. Manos Matsaganis (Milano): oggi il problema è l’ondata di populismo che attraversa l’Europa e ne minaccia l’esistenza come concetto politico. Vale la frase che i populisti pongono delle domande giuste, ma danno risposte sbagliate. Questa Europa non è molto bella. Anche questa Europa brutta è riuscita a fare grandi cose. Nella prima metà del ‘900 erano solo preoccupati ad uccidersi. Ora si tenta a lavorare insieme. L’euro ha complicato le cose in alcuni paesi. Occorre avere un progetto economico più concordato. Non è facile individuare le misure giuste. Non si risolve il problema dell’Europa tornado ai confini dello Stato Nazionale. Nel 1914 gli europei avevano perso la memoria di una guerra, eppure successe un macello che nessuno previde. Non possiamo concepire l’idea di un ritorno di uno stato nazionale.

Assessore Serena Foracchia (Reggio Emilia): Livello dei comuni: qui il dibattito sull’Europa assume un valore diverso. Qual è l’Europa di cui abbiamo bisogno? L’Europa non è visibile nelle città perché non c’è una crescita consapevole della dimensione politica europea. Questo lo si percepisce quando viene inaugurata un’opera: non c’è mai l’Europa presente. La prima cosa importante è rendere evidente che c’è una dimensione etica che dev’essere fatta del peso che assume l’UE nella quotidianità della vita. Il programma Erasmus dà la possibilità a tanti giovani di studiare in varie città europee. 
E’ strano che dopo diventino antieuropeisti. Non aiuta in questo dibattito il fatto che non esistono dei percorsi nelle scuole che riguardano la storia dell’Europa. E’ importante inserire la dimensione educativa sull’Europa nella scuola. Aiutare i giovani a capire i processi, i trattati che hanno segnato il cammino dell’Europa. Qual è l’Europa da cui non possiamo prescindere? E’ il governo delle politiche migratorie. Governare significa avere una disciplina comune e condivisa. L’Europa decresce e l’Africa cresce in modo esponenziale e provoca pressione sull’Europa. Non si può puntare sull’innovazione tecnologica se poi non c’è chi ci lavora. Occorre sviluppare un investimento congiunto anche con l’Africa sui temi della ricerca. C’è una Europa che investe sulla ricerca e sull’innovazione anche con i paesi vicini. Come sistema di enti locali vediamo i fondi che arrivano a livello locale. L’Europa di cui parliamo oggi ha subito delle crisi forti. La migrazione è un argomento sta rialzando il dibattito sull’UE. Oggi ci chiediamo quanto siamo disposti a lavorare per avere un progetto comune.

Elena Schlein (Parlamento Europeo): oggi quella che abbiamo di fronte non è quella che avevano in mente i fondatori e le fondatrici. Quali saranno le prospettive future? Come mai le cose sono state così? In questi anni abbiamo visto una crisi politico-istituzionali a cui si è aggiunta una crisi economica. Ci son coloro che hanno voluto i benefici ma non le responsabilità. Ci sono state poche risposte sul tema delle disuguaglianze. C’è una certa retorica. La verità è che tutte le decisione che vengono prese nell’UE sono politiche. Il fiscal compact son state adottate a livello intergovernativo. Il tentativo è quello di tenere al margine il Parlamento europeo. L’Europa è sbilanciata. Non è molto forte rispetto ai governi. Spesso si adottano dei compromessi al ribasso. Le sfide maggiori sono:

1.      Migratoria: regolamento di Dublino. Sei paesi membri su 28 hanno affrontato da solo le richieste da soli. Questi egoismo nazionali al Parlamento europei li abbiamo affrontati e abbiamo vinto. Non si può volere solo i benefici. Nel 2016 sono state presentate un milione e 300 mila di richieste di asilo. Obbligo dei ricollocamenti. Sono stati fatti 30 mila. Il Canda in 4 mesi ha reinserito 40 mila siriani.

2.      Politiche economiche sociali: L’unica cittadinanza europea può essere possibile quando sono condivisi i progetti che elabora: Erasmus, Cosmes, ecc. Conoscere queste opportunità.

3.      Climatica: nessun paese può affrontarla da solo. Occorre un quadro di regole comuni; cfr. Parigi.

4.      Politiche estere di sicurezza: In un mondo così interconnesso come può l’Europa se è divisa in 28 interessi diversi?

5.      Giustizia fiscale: i paradisi fiscali sono dietro case. Ci sono 28 sistemi fiscali diversi. L’Evasione fiscale costa all’Europa circa 1000 miliardi all’anno. Se ci fosse la volontà politica si potrebbe affrontare alla svelta.

Ultima sfida: democratizzare l’impianto europeo. Riguarda una riforma in alcuni punti del trattato. Per superare gli egoismo servirebbero partiti più europee. Piazze, stampa più europee.



martedì 22 maggio 2018

La Chiesa come Popolo di Dio nell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco




Paolo Cugini

Il perno dell’impostazione ecclesiologica di papa Francesco è la ripresa di uno dei temi centrali del Concilio Vaticano II, vale a dire la Chiesa come Popolo di Dio. In un recente saggio Roberto Repole afferma che: “La categoria più importante con cui il Concilio Vaticano II ha parlato della Chiesa è stata quella del Popolo di Dio”[1]. Quando la Lumen Gentium descrive la Chiesa nel suo svolgimento storico, lo fa parlando della Chiesa come Popolo di Dio. Francesco riprende, dunque un’immagine di Chiesa, cara al Concilio, ma che per tante ragioni nei decenni successivi era andata perdendosi, lasciando spazio ad altre immagini, prima fra tutte la Chiesa come comunione. Con Francesco, dunque, c’è una ritrovata centralità della categoria ecclesiale di Popolo di Dio, che il Papa esprime in diverse occasioni sin dagli inizi del suo pontificato.

L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di Dio. E’ la definizione che uso spesso, ed è poi quella della Lumen Gentium al numero 12. L’appartenenza ad un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non c’è identità piena senza appartenenza ad un popolo. Nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae considerando la complessa trama di relazioni interpersonali che si realizzano nella comunità umana. Dio entra in questa dinamica popolare. Il popolo è soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia, con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo”[2].

 La Chiesa è un mistero che sorge dalla Trinità e s’incarna storicamente in un “Popolo pellegrino ed evangelizzatore”. E’ questa idea di popolo, così centrale nella riflessione conciliare[3], che permette a Papa Francesco di sviluppare un’idea a lui cara e che riprenderà anche in altri documenti, vale a dire il dato biblico, che il pensiero profetico ha, ad un certo punto del suo percorso, sviluppato e approfondito, che tutti sono chiamati alla salvezza. E’ questo “tutti”, che acquisisce una dimensione universalista nella riflessione bergogliana, e che provoca e stimola la Chiesa ad allargare i propri orizzonti. La sensibilità ecclesiale di Francesco che esprimerà non solo nei pronunciamenti magistrali successivi, primo fra tutti il capitolo ottavo dell’Amorsi Laetitia, che affronteremo in seguito, è già ben evidente nei primi passi del suo pontificato. La Chiesa come Popolo di Dio esprime la volontà di un destino universale della salvezza. Anche questo tema è mutuato dall’impostazione conciliare che esprimeva il desiderio di una Chiesa aperta a tutti, sentita e percepita come casa di tutti, senza nessun escluso[4]. “Mi piacerebbe dire a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, a quelli che sono timorosi e agli indifferenti: il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con rispetto e amore” (EG 114). Senza dubbio è possibile percepire in simili espressioni il nesso tra universalismo della salvezza e Chiesa della misericordia, anche questo tema assi caro a Papa Francesco, che segna in profondità il suo pontificato.

 La percezione che nessuno si salva da solo, implica l’importanza di una convocazione ecclesiale rivolta a tutti. “Questo popolo che Dio si è scelto e convocato è la Chiesa. Gesù non dice agli Apostoli di formare un gruppo esclusivo, un gruppo di élite. Gesù dice: Andate e fate discepoli tutti i popoli (Mt 28,19)” (EG 113). Francesco fa notare che, quest’appello di Gesù, fu recepito sin dall’inizio dalla comunità cristiana. Infatti, San Paolo afferma nella lettera ai Galati che “non c’è più giudeo né greco… Perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Se, allora, i cristiani sono invitati ad annunziare a tutte le genti il Vangelo della salvezza, ciò significa che essere Chiesa vuole dire essere Popolo di Dio, aperta a tutti, senza esclusione di nessuno. La dimensione missionaria della Chiesa è intrinsecamente legata alla comprensione che ha di se stessa come Popolo di Dio.

La più significativa conseguenza dell’immagine della Chiesa come popolo di Dio è la corresponsabilità di tutti al processo di evangelizzazione. Nessuno deve sentirsi escluso, soprattutto in virtù del battesimo, che ci rende tutti figli e figlie di Dio, con uguale dignità.

“Tutti facciamo il nostro ingresso nella Chiesa come laici. Il primo sacramento, quello che suggella per sempre la nostra identità e di cui dovremmo sempre essere orgogliosi, è il battesimo. Attraverso di esso e con l’unzione dello Spirito Santo, i fedeli vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo” (LG 10).

 E’ da questa importante presa di posizione del Concilio Vaticano II che Papa Francesco rilancerà con forza la necessità di una Chiesa in cui tuti e tutte si sentano corresponsabili. A partire dalle importanti intuizioni espresse nell’Evangeli Gaudium sulla corresponsabilità dei laici alla vita della Chiesa, Francesco ha espresso più volte e in diverse circostanze la portata ecclesiale della visione della Chiesa come Popolo di Dio. Da una parte, conduce alla valorizzazione del laicato e, dall’altra, ad una nuova comprensione del ministero presbiterale. Famose, a questo proposito, sono le reiterate prese di posizione nei confronti di quella malattia endemica che Francesco chiama clericalismo[5], tipica di chi vive il ministero più come un prestigio personale, che come un servizio da realizzare all’interno del popolo di Dio, in relazione al gregge affidato.

“Ci fa bene ricordare che la Chiesa non è un élite dei sacerdoti, dei consacrati, dei vescovi ma che tutti formiamo il santo popolo fedele di Dio […] Siamo, come sottolinea bene il Concilio Vaticano II, il Popolo di Dio, la cui identità “è la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo Spirito Santo come in un tempio” (LG, 9)[6]

In questa prospettiva per Francesco diventa di fondamentale importanza il lavoro che viene svolto nei seminari, durante gli anni che preparano i futuri pastori del gregge. Nel discorso che il Papa ha tenuto all’incontro con i vescovi responsabili del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM) nel 2013, sosteneva che la formazione dei seminaristi non può essere orientata solamente alla crescita personale, ma alla sua prospettiva finale: il popolo di Dio[7].
C’è dunque, una comune dignità che ci rende tutti figli e figlie di Dio, appartenenti allo stesso Popolo di Dio, chiamati per vocazione ad annunciare a tutti la gioia del Vangelo. E’ su questo dato specifico che si fonda la corresponsabilità di tutti i fedeli, nessun escluso. Certamente, la sensibilità su questo specifico tema così caro a Papa Francesco deriva dal cammino della Chiesa Latinoamericana dalla quale proviene. In ogni modo, è significativo sottolineare che la scelta di Francesco di utilizzare e valorizzare l’immagine della Chiesa come Popolo di Dio non è casuale e arbitraria, ma fonda un modo specifico d’intendere il ruolo dei fedeli laici, la loro corresponsabilità e ministerialità.

Proprio perché è Popolo di Dio, la Chiesa è invitata ad incarnarsi in tutte le culture che incontra sul proprio cammino. La cultura dice del modo di essere di un popolo. E’ nella cultura di un popolo che incontriamo la sua identità, perché raccoglie il suo stile di vita, le proprie modalità espressive maturate durante i secoli e che lentamente si sono strutturate in una forma specifica. Siccome la persona umana è per sua natura relazionale, tende a costituire una società. “L’essere umano è sempre culturalmente situato: natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse. La grazia suppone la cultura, e il dono di Dio s’incarna nella cultura di chi lo riceve” (EG 115). La Chiesa, dunque, non può esistere se non inculturata. E’ questa la lezione che deriva da testi conciliari come LG 13 e GS 53-62.
“Il popolo di Dio nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo, ma al contrario favorisce e accoglie tutte le risorse, le ricchezze, le consuetudini dei popoli, nella misura in cui sono buone e, accogliendole, le purifica, le consolida ed eleva” (LG 13).

Questa sensibilità tipicamente conciliare, deve comunque molto al particolare tipo di recezione avvenuta in America Latina e, soprattutto, in Argentina. E’ ormai parere comune[8]che l’idea della Chiesa come popolo di Dio presente in modo così significativo nel magistero di Papa Francesco, oltre ad essere espressione del contributo conciliare al dibattito sulla Chiesa, viene mutuato dal Papa a partire dalle riflessioni della teologia del popolo di matrice argentina. Vale la pena, allora, soffermare la nostra attenzione un istante su questo passaggio. Secondo il teologo argentino Scannone, La teologia del popolo formulata in Argentina a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso, costituisce una versione contestualizzata della teologia della liberazione che, in quegli anni del dopo-concilio, si andava formulando in America latina[9]. La teologia del Popolo identifica con quest’ultimo termine i poveri che, oltre a costituire la maggioranza della popolazione, mantengono e trasmettono la cultura propria del popolo a cui appartengono[10]. Due elementi fondamentali derivano da questa basilare constatazione.
 La prima, è l’attenzione costante che la teologia del popolo ha mantenuto sulle culture locali, come forma di sopravvivenza dell’identità dei poveri. Non a casa Papa Francesco dedica pagine significative nel suo magistero al tema delle culture non solo nell’Evangli Gaudium, ma anche tutte le volte che nei suoi viaggi entra in contatto con popoli le cui culture locali sono minacciate. Toccare la cultura di un popolo significa mettere a rischio la sua sopravvivenza. Significative sono le reiterate prese di posizione nei confronti della salvezza delle culture dei popoli indigeni, minacciate dalla distruzione causata dalle multinazionali stranieri sul territorio latinoamericano. L’altro aspetto importante è la presa di posizione nei confronti dei poveri. Non a caso, i teologi argentini sosterranno l’opzione preferenziale per i poveri, realizzata per la prima volta nel 1968 a Medellin. Ecco perché Scannone sostiene che:

“L’opzione preferenziale per i poveri, realizzata a Medellin e formalizzata a Puebla (1979), non si oppone all’opzione compiuta da quest’ultima Conferenza per l’evangelizzazione della cultura e delle culture dei popoli, giacché, de facto, coincidono. E probabilmente anche de jure, perché sono loro – i Juan Pueblo, le persone comuni prive dei privilegi del potere, dell’avere o del sapere – che fanno trasparire nel modo migliore e più autentico la cultura comune del Popolo”[11]

Prima di essere una categoria sociologica, il popolo indica uno stile di vita comune, che identifica un popolo rispetto ad un altro. In questa prospettiva, afferma Repole, “Il popolo di Dio non può che esistere strutturalmente nei diversi popoli, ovvero nelle differenti culture: è l’unico popolo di Dio, che esiste però concretamente come abitato dalla pluralità dei popoli e delle culture in cui vive”[12]

Del rapporto Vangelo e cultura così come Papa Francesco lo intende ne tratteremo in modo approfondito più avanti. In questo paragrafo, strettamente legato al tema della Chiesa come Popolo di Dio, è importante sottolineare una tematica che nella Evangeli Gaudium è centrale, vale a dire il sensus fidei dei credenti[13]. L’evangelizzazione dei popoli non può essere delegata ad un corpo speciale della Chiesa, perché tutti, in virtù del Battesimo, sono discepoli e missionari:

 “In tutti i battezzati, dal primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione che lo rende infallibile in credendo. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. (EG 119)[14].

Secondo Papa Francesco, Dio ha dotato i fedeli di un sensu fidei, un istinto della fede, che gli permette di discernere ciò che viene direttamente da Dio. Del resto, questa intuizione è in linea con la teologia del cuore che il pensiero profetico aveva elaborato all’epoca dell’esilio in Babilonia, che sosteneva che Dio avrebbe impresso nel cuore di ogni uomo la sua legge, per permettere a tutti di conoscerla. In virtù del Battesimo ogni fedele riceve lo Spirito Santo che concede loro una relazione intima, intuitiva con la realtà divina, che dona loro una saggezza speciale, anche se non posseggono gli strumenti adeguati per esprimerla con precisione. Probabilmente Francesco deduce queste riflessioni dal suo lavoro pastorale precedente, svolto all’interno della Chiesa argentina. Sono le situazioni critiche della vita che conducono i fedeli a sperimentare la forza dello Spirito Santo ea discernere la scelta giusta da realizzare. In questa prospettiva il sensus fidei, prima di essere un tema teologico, è un’esigenza che il Popolo di Dio sperimenta nel vissuto quotidiano. In ogni modo, tutti i membri del Popolo di Dio sono discepoli e missionari, chiamati ad annunciare il Vangelo a tutti. Non si può parlare di nuova evangelizzazione e di nuovo impulso missionario, senza il coinvolgimento effettivo del Popolo di Dio.
 Chi ha fatto l’esperienza dell’amore di Dio non può esimersi dall’impegno di evangelizzare. Per questo compito, sottolinea Francesco, non c’è bisogno di corsi specifici, perché l’esperienza dell’amore di Dio vissuta dal cristiano è sufficiente per il primo annuncio. E’ esplicito il richiamo in questi passaggi, alla riflessione realizzata nella Chiesa latinoamericana e contenuta nel documento di Aparecida, in cui s’invitano tutti i discepoli e missionari a realizzare una grande missione su tutto il territorio del Continente[15]. Il teologo Repole ha fatto notare come Francesco porti sul campo della pastorale ordinaria un tema centrale nel Vaticano II, ma che non fu sufficientemente approfondito nel dopo concilio[16]. Il sensus fidei del Popolo di Dio permette di comprendere meglio il senso di una Chiesa tutta coinvolta nel processo di evangelizzazione e chiamata a discernere i segni dei tempi nel vissuto quotidiano. Ecco perché la teologia argentina ha sempre avuta un’attenzione particolare per la pietà popolare, come espressione del sensus fidei fidelium. L’ha considerata come un elemento costitutivo del cammino del popolo di Dio. Anche Papa Francesco collega il sensus fidei alla pietà popolare, presentandola come espressione del Vangelo inculturato e invita a leggere le sue azioni quali espressioni di una vita teologale, “dal momento che vi è all’opera quello Spirito Santo di cui i cristiani sono unti”[17]. Agli occhi di Papa Francesco le azioni della pietà popolare, che non ha nulla da spartire con la devozione popolare, sono la manifestazione di una vita teologale animata dall’azione dello Spirito Santo che è stato riversato, come ci ricorda san paolo nella lettera ai Romani, nei nostri cuori (cfr. Rom 5,5). La pietà popolare è, in questa prospettiva, “spiritualità incarnata nella vita dei semplici” (EG 124)[18].




[1] REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, cit. p. 50; cfr.: ALMEIDA, L. et al. El futuro de la reflexión teológica en América Latina. Bogotá: Editorial CELAM, 1996. p. 195-241;
[2] SPADARO, A., Intervista a papa Francesco, p. 459
[3] Cfr. VITALI, D., Popolo di Dio, Cittadella, Assisi 2013
[4] Per la posizione conciliare su questo tema specifico della prospettiva universalista della salvezza cfr.: CANOBBIO, G., Chiesa perché. Salvezza dell’umanità e mediazione ecclesiale, San Paolo, Cinisello Balsamo 1994. Cfr. anche: YÁNEZ, H. M. (a cura di). Evangelii gaudium: il testo ci interroga. Roma: Gregorian University Press, 2014. p. 159-170
[5] Cfr. “Il clericalismo si dimentica che la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartiene a tutto il Popolo di Dio (cfr. LG 9-14) e non solo a pochi eletti e illuminati” in Lettera del Papa Francsco al Cardinale presidente della Pontificia Commissione per l’America Latine, sta in: FRANCISCO, Palabra profetica y mision, Santiago de Chile, Ed. Copygraph, 2016 p. 15
[6] FRANCESCO, Il santo popolo fedele di Dio, in Il Regno/Doc 61 (2016/7), 201-2014, p. 202
[7] “La formazione è un’opera artigianale, non poliziesca. Dobbiamo formare il cuore. Altrimenti formiamo piccoli mostri. E poi questi piccoli mostri formano il popolo di Dio. Questo mi fa venire davvero la pelle d’oca […] Bisogna sempre pensare ai fedeli, al popolo fedele di Dio. Bisogna formare fedeli che siano testimoni della resurrezione di Gesù. Il formatore deve pensare che la persona in formazione sarà chiamata a curare il popolo di Dio. Bisogna sempre pensare nel popolo di Dio” (discorso citato in: SPADARO, A. Svegliate il mondo! Colloquio di Papa Francesco con i superiori generali, in La Civiltà Cattolica
[8] Cfr. REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica – L’ecclesiologia di papa Francesco, Cit., p.65s; SCANNONE, JC., Quando il popolo diventa teologo, EMI, Bologna 2016; ID, Vientos nuevos del Sud: La teología argentina del pueblo y el Papa Francisco, in Rev. Pistis Prax., Teol. Pastor., Curitiba, v. 8, n. 3, 585-611, set./dez. 2016; SCANNONE, J. C. Papa Francesco e la Teologia del popolo. La Civiltà Cattolica, n. 3930, p. 571-590, mar. 2014; POLITI, S. Teología del pueblo: una propuesta argentina a la teología latinoamericana 1967-1975. Buenos Aires: Ediciones Castañeda, 1992.
[9] Su questo tema specifico cfr. GUTIERREZ, La teologia della liberazione, Queriniana, Brescia 1968; SCANNONE, J.C., La teologia della Liberazione. Caratteristiche, correnti, tappe in Stromata 38 (1982) p. 3-40
[10] Cfr. SCANNONE, J.C., Quando il popolo cit. p. 13s
[11] Ivi, p. 14
[12] REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica, cit. p. 67; cfr. anche su questo tema: GALLI, C. M. El pueblo de Dios en los pueblos del mundo. Catolicidad, encarnación e intercambio en la eclesiología actual. 1993. 455 f. Tesi (Dottorato in Teologia) — Facultad de Teología, Universidad Católica Argentina, 1993.
[13] Su questo tema cfr. VITALI, D., Sensus fidelium: una funzione ecclesiale di Intelligenza della fede, Morcelliana, Brescia 2013; Commissione Teologica Internazionale, Il Sensus fidei nella vita della Chiesa (disponibile in francese sul sito della Santa Sede),  giugno 2014.
[14] Significativo notare che in nota il testo rimanda al numero 12 di LG.
[15] Cfr. CELAM, Aparecida
[16] Cfr. REPOLE, R., Il sogno di una Chiesa evangelica, cit. p. 71
[17] Ivi, p.75
[18] C’è      ui, in questo passaggio significativo, un’espicita citazione del documento di Aparecida, di cui Bergoglio fu uno dei principali redattori.

lunedì 21 maggio 2018

VEGLIA DI PREGHIERA DI REGGIO EMILIA: IL SIGNORE HA CAMMINATO IN MEZZO A NOI







Paolo Cugini

E’ stato un momento di preghiera indescrivibile. E’ questa la sensazione a caldo che si sentiva nell’aria, vale a dire la sensazione di aver partecipato ad un evento carico di emozioni in cui si sentiva forte la presenza di Dio. Senza dubbio Dio è stato presente con noi in questa veglia, non solo perché eravamo in una chiesa, ma perché ha fatto sentire la sua presenza attraverso gesti, parole, incontri, canti.  Molta gente, proveniente anche dalle città vicine, hanno partecipato all’evento. Si sono viste persone di tutte le età. C’erano giovani, anziani, scout, giovani africani, fedeli parrocchiani. Non è stata una veglia, dunque, ristretta a coloro che ruotano attorno al mondo LGBT: c’era tutta l’umanità presente nella chiesa di Reggio Emilia.  La presenza del Vescovo ha senza dubbio attirato il mondo cattolico alla Veglia. Questo è già un primo fatto estremamente positivo, che vale la pena sottolineare. La presa di posizione coraggiosa del Vescovo non ha sol creato unità, ma ha soprattutto attirato l’attenzione di tutta la comunità sul tema delle persone omosessuali. E’ stato proprio questo il punto di partenza del discorso di Mons. Camisasca: “prima di tutto sono qui perché voi siete persone”.

C’era  molta attesa per le parole del vescovo Massimo Camisasca, che si è dimostrato un vero padre, un vero pastore che guida il suo gregge, mostrando attenzione per tutti, esprimendo parole di accoglienza e di comprensione.

Sono qui per pregare. Che cos’è una Veglia: è attingere allo sguardo che Gesù ha avuto sull’uomo e sulla donna e chiedere Dio che questo sguardo possa entrare anche in noi. Gesù non è stato connivente con nessun peccato dell’uomo. Se oggi possiamo dire nel tuo essere straniero, nel tuo orientamento di vita che non c’è nulla che possa discriminarti lo dobbiamo a Gesù. Il suo è stato un segno spesso non compreso. Occorre una continua conversione del cuore. Per questo partecipo alla sofferenza di chi è rimasto colpito”.

La maggior parte delle persone presenti, non addentro alle tematiche delle persone omosessuali, hanno colto il valore di una Chiesa che si sta sforzando di capire, di porsi al fianco delle persone LGBT, per ascoltare la loro sofferenza, camminare con loro. A me sembra che la veglia abbia aiutato ad aprire gli occhi dei fedeli. E’ stato come un collirio. Grazie alla presenza del vescovo i fedeli si sono accorti che esistono persone omosessuali, che non ha senso demonizzarle, perché sono persone e perché davanti a Dio tutti possono inginocchiarsi e pregare. La presenza del Vescovo ha tolto il velo sui pregiudizi che derivano dall’ignoranza, e dall’accettare, senza riflettere, il pensiero comune. E’ stato, dunque, un atto di svelamento, di comprensione nuova. Ai fedeli presenti alla Veglia è tata offerta la possibilità di comprendere in modo nuovo il mistero delle persone omosessuali.

“Cos’è la verità che rende liberi: è Gesù, è metterci alla sua scuola, è accogliere tutte le sue parole, senza selezionarle a nostro piacimento. Dio non ci chiede tutto subito, è paziente. Chiede a noi quello che passiamo dare oggi. Nello stesso tempo è esigente, per trovare orizzonti nuovi alla nostra carità. Sono queste le due parole che vorrei consegnarvi in questa veglia: pazienza di Dio ed esigenza del suo messaggio”.

Il Cammino di una piena integrazione delle persone LGBT dentro la chiesa è ancora molto lungo. Ma siccome il cammino per raggiungere qualsiasi meta è fatto di tappe, senza dubbio quella della veglia del 20 maggio a Reggio Emilia, è stata una tappa significativo verso l’accoglienza piena delle persone LGBT nella Chiesa.