[Repubblica-10 MAGGIO 2021]
Il
disegno di legge fornisce strumenti minimi per identificare condizioni umane che
possono essere oggetto di aggressioni, disprezzo e odio immotivati e
inaccettabili. Ma è dalla loro comprensione che derivano le libertà più
profonde.
VITTORIO LINGIARDI, CHIARA SARACENO
Il dibattito attorno al ddl Zan ha introdotto nel discorso pubblico
concetti non d'uso comune nel linguaggio quotidiano; non perché siano frutto di
forzature ideologiche, ma perché si riferiscono a realtà complesse e
multi-determinate. Anche Michele Serra, nella sua Amaca di
venerdì, ha lamentato una "eccessiva specializzazione" nel
distinguere tra manifestazioni di odio e violenza rivolte contro il
"genere", l'"identità di genere", l'"orientamento
sessuale".
Proviamo allora a spiegare tali concetti nel modo più semplice possibile,
ricordando che il ddl Zan né li usa per fissarli giuridicamente né ha la
pretesa di entrare in dibattiti filosofici. Fornisce semplicemente strumenti
minimi per identificare condizioni umane che l'esperienza insegna possono
essere oggetto di aggressioni, disprezzo e odio immotivati e inaccettabili.
In questa prospettiva, per sesso si intende l'insieme di
elementi anatomici e biologici che caratterizzano alla nascita una femmina o un
maschio (ma che in qualche caso sono invece incerti, perciò si parla di persona
intersessuale, nata con caratteri sessuali non univocamente definibili di
maschio o femmina: dunque anche il sesso di nascita può non essere
"semplice"). Per identità di genere si intende,
invece, il senso soggettivo di appartenenza alle categorie di femminile, maschile
o altro (dove "altro" rimanda a una dimensione non obbligatoriamente
dicotomica maschile/femminile, per esempio ciò che oggi viene definito genere
non-binario).
L'identità di genere è spesso allineata al proprio sesso biologico (cisgender),
ma può anche non corrispondervi (transgender). Le condizioni cosiddette
di "incongruenza" o "disforia" di genere (i termini
scientifici oggi in uso), non sono capricci di chi, per gioco o bizzarria, si
sente (non "sceglie" di essere) in disaccordo con il sesso assegnato
alla nascita. Si tratta di vite e percorsi del corpo e della mente, non di
abiti che si mettono e tolgono. Le dimensioni transgender,
connotate da una spinta biopsicologica, implicano esperienze psicofisiche
impegnative, intense, anche dolorose, per esempio a causa dell'incomprensione e
del rifiuto delle famiglie. In ambito scientifico e culturale la distinzione
tra sesso e genere è acquisita da anni.
È noto che il termine genere investe il versante sociologico e culturale,
cioè l'insieme di significati che il contesto attribuisce alle categorie
di maschile e femminile. Dal sito
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: "genere si riferisce alle
caratteristiche di donne, uomini, ragazze e ragazzi che sono socialmente
costruite. In quanto costruzione sociale, il genere varia da società a società
e cambia nel tempo".
Altra cosa è l'orientamento sessuale, che come tutti sappiamo si
riferisce alla direzione del desiderio e risponde alla domanda "chi mi
piace" (mentre l'identità di genere risponde alla domanda "chi
sono", "a qualche genere mi sento appartenente"). Nonostante
queste distinzioni siano assimilate da tempo in campo scientifico, pur nella
varietà delle interpretazioni e sfumature, ancora si commette l'errore di
sovrapporre e confondere i concetti di sesso, genere, identità di genere e
orientamento sessuale. Anche per questo motivo, tutte le associazioni
scientifiche e professionali (in tutti i campi: psicologia, medicina,
sociologia) dispongono di glossari e linee guida per spiegare differenze e interazioni
tra questi termini.
Le discriminazioni e le macro- e micro-aggressioni che le persone riunite
(per comodità semplificatoria) sotto l'acronimo Lgbtqi+ subiscono nella vita di
ogni giorno, non sempre derivano dall'ostilità. A volte sono prodotte dalla
poca conoscenza o persino dalla preoccupazione di dover ragionare su cose
troppo complicate, cioè non binarie. Non dobbiamo avere paura della
complessità, è dalla sua comprensione che derivano le libertà più profonde.
L’articolo sulla legge Zan di REPUBBLICA del 10 maggio 2021, a firma di Vittorio Lingiardi e Chiara Saraceno, trascrive e spiega le nuove parole presenti nel decreto, sconosciute alla maggioranza degli italiani. L’articolo conclude affermando che; dalla comprensione della complessità derivano le libertà profonde. Affermazione condivisibile, ma il ddl ZAN aiuta la complessità? Ritengo che sarebbe più semplice applicare la legge costituzionale, la carta dei diritti universali, piene di diritti che abbiamo trascurato, lasciando che il cavallo di Troia, pieno di individualismo e povero di dignità, conquistasse l’umano. Questa legge Zan, non darà accettazione alla disforia, non si riesce ad imporre per legge il rispetto, l’accoglienza, la convivenza; a meno che insieme alla legge si usi la forza. E questo è ciò che avviene nelle nazioni dove leggi simili alla ZAN sono in vigore. Infatti si vorrebbe imporre alla scuola, dalla materna alle superiori, di fare lezioni dove si sostiene che puoi essere quello che vuoi, la natura maschio o femmina non centra. Questo pensiero può essere destabilizzante. In caso di disforia di genere, è l’uguaglianza dei diritti universali che può umanizzare gli atteggiamenti sociali. Una legge specifica per i gruppi lgbtqi+ è discriminatoria inquanto esclude altre categorie come i ciccioni, i tappi, gli spilungoni, i nasoni, gli zoppi…e comunque crea confusione e non credo risponda alla categoria della inclusione. Magari sarebbe opportuno un referendum, perso in partenza, perchè dalla loro parte i disforici hanno i media mondiali, il che significa il pensiero unico. Cari amici lgbtqi+ le associazioni sono legali anche secondo la costituzione, e voi siete un sindacato tra i tanti che lotta per il suo interesse. Ma il fatto che dalla vostra parte avete tanti politici, espressione del potere economico e mediatico, mi fa pensare che il ddl ZAN sia si, contro la discriminazione, ma quella di pensiero. DR
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