giovedì 28 luglio 2016

LE CATECHESI DELLA GMG 2016




Una delle caratteristiche della GMG sono le catechesi, che vengono realizzate in luoghi differenti, tenendo anche in considerazione l'idioma. Alcune delle diocesi dell'Emilia-Romagna hanno realizzato le catechesi nei pressi del Santuario di San Stanislao a circa 60 Km da Cracovia.

La catechesi di giovedì 28 luglio é stata realizzata da mons. Francesco Beschi di Bergamo.  La modalità scelta per questa catechesi è stata quella del dialogo e risposta con i giovani.
Dopo due video significativi sono stati concessi vari minuti per la riflessione personale. In seguito il vescovo si è reso disponibile a rispondere alle domande dei giovani.
La prima domanda è  stata sulla confessione. Nella confessione c'è un gesto e la possibilità di poter incontrare il dono di Dio della Misericordia. È dalla Croce che viene il perdono. Ci sono altri gesti di misericordia. Gesù ci narra la misericordia che avviene attraverso gesti umani. La confessione non è l'unico strumento per ricevere la misericordia di Dio. La riceviamo anche dalla pazienza dei genitori su di noi. La pazienza manifesta una grande misericordia.

Seconda domanda. Nonostante i nostri peccati Dio continua a perdonarci? Mi sono accorto tante volte che il giudice più implacabili siamo noi stessi. Molti hanno ancora paura di Dio. C'è l'impressione di un Dio che ci aspetta dietro l'angolo. Perché Dio è così misericordioso? Dio non si misura, Dio è una meraviglia.

Terza domanda.  Siamo insicuri. Come Dio può liberarci dalle paure?
Noi siamo parte dell'universo, uniti a tutti, ma allo stesso tempo differenti. L'inadeguatezza è il segno della differenza.  Anch'io non mi sento adeguato a fare quello che mi è  stato chiesto. Dio è il Signore della vita e noi siamo suoi amici e starre con Lui ci rende liberi.

Domanda: C'è un equilibrio nel cammino personale tra donazione agli altri e ricerca interiore?
Il Vangelo è chiaro: ama il prossino tuo come te stesso. L'amore per sé stesso è diventata la regola e si è lasciato in secondo luogo l'amore al prossimo. C'èuna cultura del ripiegamento su di sé. Noi ci realizziamo donandoci. Chi pensa solo a se stesso non è capace di amare, che poi è la più grande disgrazia.





domenica 24 luglio 2016

PRIMA SETTIMANA DI GMG: IL GEMELLAGGIO CON LA DIOCESI DI OPOLE




La prima settimana della GMG 2016 è ormai conclusa e vale allora la pena condividere alcune impressioni.
In primo luogo ci ha colpito l'accoglienza. Le persone della parrocchia San Pietro e San Paolo hanno fatto di tutto per farci sentire a nostro agio, come se fossimo a casa. Siamo stati accolti da una comunità che per mesi si è preparata a questo incontro sia con la preghiera che con l'organizzazione.
 I giovani della parrocchia sono splendidi. Sin dall'inizio si sono messi a nostra disposizione, per tradurre dall'inglese e per condividere la loro gioia. Bella a questo punto è stata l'integrazione tra noi è loro perché da entrambe le parti si percepiva la voglia di conoscersi. Canti, balli , preghiere si sono mescolati per manifestare la gioia di un incontro.
Abbiamo trovato una chiesa molto devota, dove il processo di secolarizzazione che sta colpendo la società Occidentale, sembra non aver lasciato il segno. Ci ha impressionato non solo il numero di persone presenti alla messa quotidiana, ma la compostezza, il sentimento profondamente religioso che si respira entrando in chiesa.
Molti sino ad ora sono stati i momenti significativi. La giornata di sabato è senza dubbio stata la più importante. Nella prima parte della giornata abbiamo realizzato un pellegrinaggio al monte di Santa Anna: la prima parte in treno e poi a piedi. Al santuario abbiamo celebrato la Santa messa. È stato un primo assaggio della pluralità della Chiesa, che respireremo a pieni polmoni la prossima settimana. Siamo poi ritornati ad OPOLE per formare un corteo di 7000 giovani circa, verso un parco di un quartiere della città per pranzare e assistere a numerosi spettacoli, canti e concludere con l"adorazione eucaristica all''aperto.
Due parole vale la pena spendere anche sui nostri giovani che stanno partecipando con grande entusiasmo alla GMG. Bisogna proprio dire che ce la stanno mettendo tutta. Se siamo stati accolti molto bene e se l'integrazione è avvenuta sin da subito è anche perché i nostri giovani erano predisposti all'incontro.  È senza dubbio una GMG preparata e non improvvisata. Lo spirito di adattamento alla novità, la voglia di conoscere e farsi conoscere, il desiderio di apprendere musiche e canti polacchi e fare conoscere il nostro repertorio, sono a mio avviso segno di un cammino. È in questi frangenti che si colgono sia il lavoro degli educatori, che le tante esperienze fatte negli anni. I Grest, i campeggini, i campeggi e le tante esperienze realizzate in questi anni, hanno certamente contribuito a creare un gruppo di giovani amici che sa lavorare assieme a che sa camminare verso l'altro.
Oggi Messa alle 12.30 e poi è previsto il pomeriggio con le famiglie ospitanti. Ringraziamo il Signore di questa bella e intensa settimana.

lunedì 18 luglio 2016

UNA MESSA BRASILIANA A REGINA PACIS









È stata una bella messa, partecipata e colorata. I venti giovani brasiliani provenienti dalla diocesi di Ruy Barbosa nella quale siamo presenti da più di 50 anni, e di passaggio per partecipare alla GMG a Cracovia, ci hanno regalato un bel momento ecclesiale e di preghiera. Del resto questi giovani sono abituati ad animare le celebrazioni domenicali nelle loro comunità. No c’è stato bisogno di pregarli per animare i canti e accompagnare qualche momento liturgico con la danza: è qualcosa che gli viene abbastanza naturale. Nelle piccole comunità dell’interno dello Stato della Bahia, dove si trova la diocesi di Ruy Barbosa, la presenza dei giovani è significativa. Anche durante i grandi periodi di siccità, che castiga duramente il territorio nel quale loro vivono costringendoli ad emigrare al Sud in cerca di lavoro e studio, portano questa allegria nei luoghi in cui arrivano. Anche domenica questi giovani ci hanno dato un saggio di cosa significhi celebrare una messa, facendo di tutto per portare dentro la liturgia il vissuto quotidiano, fatto spesso e volentieri di lotte per la sopravvivenza, per avere un pezzo di terra da coltivare, o un luogo dove poter raccogliere l’acqua. In questo sforzo per resistere dinanzi alle varie situazioni della vita che vengono sia dalla natura che, soprattutto, dalla grande corruzione politica che devasta non solo il paese, ma in modo particolare le piccole cittadine dell’interno del Semiarido brasiliano, la fede in Dio manifestata nel Figlio Gesù povero tra i poveri, ha contribuito a mantenere viva la speranza in un mondo migliore, più giusto e fraterno. Ecco perché le celebrazioni domenicali e le messe sono così importanti per questo popolo: rafforzano la fede nel Signore della giustizia, che si è fatto povero con i poveri, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, scegliendo come culla una mangiatoia. È in mezzo ai poveri che il Vangelo si apre ad una conoscenza impossibile da percepire agli esperti della legge. 

giovedì 14 luglio 2016

LO SLANCIO MISSIONARIO DELL'UNITA' PASTORALE: PROPOSTA DI AZIONE

UNITA’ PASTORALE SANTA MARIA DEGLI ANGELI-RE
CONSIGLIO PASTORALE 13 LUGLIO 2016




PROPOSTA DI UNA NUOVA RIORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO PASTORALE



A.     In Ascolto del Papa

(Dall’Evangeli Gaudium di Papa Francesco)
Nella Parola di Dio appare costantemente questo dinamismo di “uscita” che Dio vuole provocare nei credenti.

Oggi, in questo “andate” di Gesù, sono presenti gli scenari e le sfide sempre nuovi della missione evangelizzatrice della Chiesa, e tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo.
La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.
La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia.
Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere. Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa.
Se la Chiesa intera assume questo dinamismo missionario deve arrivare a tutti, senza eccezioni. Però chi dovrebbe privilegiare? Quando uno legge il Vangelo incontra un orientamento molto chiaro: non tanto gli amici e vicini ricchi bensì soprattutto i poveri e gli infermi, coloro che spesso sono disprezzati e dimenticati, «coloro che non hanno da ricambiarti» (Lc 14,14). Non devono restare dubbi né sussistono spiegazioni che indeboliscano questo messaggio tanto chiaro. Oggi e sempre, «i poveri sono i destinatari privilegiati del Vangelo», e l’evangelizzazione rivolta gratuitamente ad essi è segno del Regno che Gesù è venuto a portare. Occorre affermare senza giri di parole che esiste un vincolo inseparabile tra la nostra fede e i poveri. Non lasciamoli mai soli.
Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta:
« Voi stessi date loro da mangiare » (Mc 6,37).

B.      LA PROPOSTA
[Per questa parte mi rifaccio alla proposta di don Davide Poletti presentata all'Unità Pastorale Padre Misericordioso]

La Chiesa in uscita non è una novità:
      Padre Leone Dehon: uscire dalle sagrestie (1870)
      congresso ATI : nuova coscienza della missione (1977)
      Dianich: chiesa estroversa (1978)
      Uscire dal tempio (Mons. Caprioli 1998)

Oggi ci troviamo dinanzi ad una società che presenta fenomeni nuovi:
·         presenza crescente di cittadini di altre religioni
·         presenza di cittadini di nessuna religione
·         crescita numerica di abbandono della fede nei paesi cristiani
·         scollamento tra costume e morale cattolica
·         matrimoni religiosi dimezzati
·         battesimi scesi al 70%
·         Appartenenze parziali
E’ il frutto del cammino di secolarizzazione e di scristianizzazione della società Occidentale.

Che cosa significa evangelizzare in Italia?
·         Situazione di staticità della chiesa istituzionale
·         Scollamento tra gerarchia e Popolo di Dio
·         Liturgie che fanno fatica a rappresentare la vita dei fedeli

Problemi aperti
·         Le Unità Pastorali di recente formazione possono offrire una possibilità concreta per le comunità di aprirsi alle altre comunità e di aprirsi sul territorio.
·         Le unità pastorali costituite nella nostra diocesi propongono un metodo di pastorale che viene generalmente applicato a più parrocchie in modo fisso e sempre uguale.  La spiritualità che nasce dal modello classico e dalla formazione del prete e del laico non è missionaria.  Tutto ciò non aiuta la Chiesa ad esprimersi nella sua missione in uscita sul territorio: il modello assunto finora è centralizzante e campanilistico, legato a strutture e territori.  Questo modello tradizionale non ci stimola neppure ad essere una chiesa comunione perché troppo incentrata sul prete.

Passaggi necessari:
·         Uscire dall’individualismo spirituale e pastorale
·         Uscire dal pretocentrismo pastorale
·         Elaborare cammini per una pastorale che sgorghi sempre di più dalla Parola di Dio
·         Essenzializzare il lavoro pastorale (lasciare indietro ciò che non serve)
·         Percepire sempre più la corresponsabilità nel processo di elaborazione dei cammini di evangelizzazione
·         Studiare modalità differenti per evangelizzare il territorio
·         Non una chiesa a servizio di sé stessa (strutture), ma una chiesa a servizio del Regno

Occorre un cammino di chiesa che:
·         Si decentri sempre di più
·         Senta il mandato missionario sulle persone che vivono sul territorio
·         Propone cammini di fede e di liberazione (corruzione, mafia, attenzione al creato, stili di vita, ecc.);
·         Attenta ai poveri (uscire dall’assistenzialismo)
·         Cammini con le famiglie (Parola e sacramenti)
·         Attenta ai giovani (a tutti, non solo quelli che bazzicano nelle nostre strutture. Elaborare una pastorale giovanile attenta al territorio, che nel lungo termine possa creare una rete per intercettare il grido dei giovani)
·         Cammini con le tante solitudini presenti sul territorio (anziani, vedove/i, singles, etc.)
·         Costruisce piccole comunità a misura d’uomo e donna

PROPOSTA (cfr. UP Baragalla, Cesare Annamaria,Villa Sesso, Castellarano,  CEBs, ecc.)

·         Suddividere le cinque parrocchie dell’UP in zone, o comunità di base, o diaconie,
·         I laici dovrebbero assumere la responsabilità della vita della Chiesa nel quartiere.

·         Assieme ai ministri ordinati, ai catechisti e ai ministri straordinari dell’eucaristia potrebbero iniziare a preparare i battesimi dei bimbi e degli adulti, accompagnare i malati e i morenti, sostenere il cammino dei poveri, animare gli incontri della Parola di Dio, visitare le famiglie (benedizioni, ecc.) e le persone sole, preparare e svolgere una parte della catechesi dei bimbi.

·         Le comunità di quartiere dovranno avere una propria coscienza autonoma senza dimenticare l’unità pastorale in cui sono inserite.

·         Al fine di mantenere una comunione più efficace (intra ed extra) e nello stesso tempo raggiungere una buona autonomia ogni chiesa di quartiere potrebbe scegliere una presidenta o un presidente. Una laica o un laico capace, per carattere, esperienza e doti di coordinare, facilitare, accompagnare, ascoltare, far crescere, appianare, dare spazio, ecc.

·         Il sacerdote dovrà reinventare la sua funzione in modo itinerante, pur vivendo in comunità con altri sacerdoti/laici, Il suo compito sarà principalmente quello di amministrare i sacramenti, ma dovrà anche visitare le comunità nei quartieri, crearne eventualmente di nuove, formare i laici, mantenere la comunione fra le comunità.
·         La DOMENICA diventerà il giorno in cui le comunità di quartiere si ritrovano per celebrare la messa insieme , per portare le gioie, le fatiche e le istanze della gente nell’eucaristia.

COSA FARE? COME FARE?
·         Ascoltare il proprio territorio e riflettere sul cammino da compiere
·         scegliere  la strategia del positivo
·         valorizzare l’esistente in modo particolare partendo dai cristiani che abitano già quel territorio
·         sentirsi servitori del Regno di Dio che è già presente
·         intervenire con umiltà
·         essere una Chiesa che non si difende, ma che aiuta a crescere e raccoglie le domande dell’umanità
·         dialogare

PUNTI DA DEFINIRE
      come leggere la Bibbia in questo nuovo contesto di costruzione del Regno e di cammini di liberazione
      quale tipo di formazione? Non solo teologica e Biblica, ma anche umana (incontro, dialogo, facilitare…)
      quale cammino di iniziazione cristiana per i bimbi
       messe in famiglia/quartiere
      cammini dei ragazzi e dei giovani
      rapporti tra commissioni e comunità di quartiere
      rapporti tra centro di ascolto e comunità di quartiere
      nuovi ministeri: presidente, mediatore di conflittI
      Comunità cristiana / chiesa di quartiere e rapporto con le istituzioni
      cammini dei fidanzati
      ………









martedì 12 luglio 2016

LA LENTEZZA DELLA DISCESA




In ascolto del mistero dell’Incarnazione
Paolo Cugini

La discesa del Verbo nel cuore dell’uomo e della donna per riscattare ciò che sembrava per sempre perduto, è avvenuto sul piano dell’identità e della differenza.

Sul piano dell’identità innanzi tutto. Infatti, che “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi “, ha voluto dire per l’umanità il desiderio di Dio di salvare l’uomo non con un atto esterno, ma creando un rapporto di strettissima vicinanza. In altre parole Dio, in Gesù Cristo, si è spinto vicino all’uomo sin dove poteva. Sono tante le espressioni che nel Nuovo Testamento descrivano questo cammino di Dio verso l’uomo. Innanzi tutto, san Paolo nella lettera ai Filippesi ricorda che Gesù Cristo è “diventato simile agli uomini “. Per salvare l’uomo dal peccato il Verbo ha assunto la carne del peccato stesso facendosi simile in tutte le cose “ai fratelli “eccetto chiaramente il peccato. Per rendere autentica questa partecipazione alla somiglianza della carne e del sangue dell’umanità da salvare, il Verbo ha dovuto attendere. In primo luogo ha atteso la pienezza del tempo, la fine dei tempi.
C’è stata una lunga, secolare preparazione prima che si compisse l’evento dell’incarnazione. Un evento preparato e annunciato nei secoli. Si pensi ad esempio alle profezie che incontriamo al capitolo 24 del libro dei numeri in cui Balaam figlio di Beor, a dispetto delle maledizioni che Balac re di Moab chiedeva sul popolo di Israele accampato ai piedi del monte Baal, disse:”Io lo vedo, ma non ora, io lo contemplo, ma non da vicino: Una stella spunta da Giacobbe… “. Anche la profezia di Natan nel secondo libro di Samuele in cui Dio promette per bocca del profeta al re Davide una alleanza eterna con la sua casa. Profezie millenarie che fanno riflettere sui tempi calmi del Signore, così diversi dai tempi frettolosi degli uomini e delle donne. C’è poi una seconda attesa che avviene nella vita stessa di Gesù. San Paolo la descrive così: “quando giunse la pienezza del tempo, Dio invitò suo Figlio nato da donna, nato sotto la legge”.
Il Verbo si è sottomesso alla legge della natura umana e degli uomini. La partecipazione alla somiglianza della carne e del sangue dell’uomo non è stato qualcosa di fittizio, esterno, formale: è stata una sottomissione autentica, un cammino di apprendimento dentro le mura della famiglia di Nazareth e nella scuola dei saggi di Israele. Infine, c’è l’attesa di Gesù nel deserto prima di iniziare il ministero. Si rimane a lungo con il fiato sospeso prima di ascoltare una parola di Gesù e di vederlo all’opera. È una lentezza non solo imbarazzante, ma, al tempo stesso, impressionante che richiede di essere ascoltata e meditata con attenzione. In effetti, è una lentezza che ha tutti i tratti della delicatezza di Dio. Se è vero, infatti, che Dio interviene nella storia per salvare l’uomo dal peccato e dalla morte eterna, sembra che intenda farlo col modo più delicato possibile, senza ferire troppo una umanità già malata. L’incarnazione del Verbo operata da Dio nella storia vede, quindi, questo primo aspetto fondamentale: il Verbo è disceso lentamente e delicatamente. È stato un incontro talmente lento e delicato che in pochissimi se ne sono accorti: dice infatti Giovanni che “il mondo non lo riconobbe”. Lo stesso vale per il cammino di discesa. Difatti, la somiglianza di Gesù con l’umanità incontrata era talmente grande che non si riusciva a percepire la differenza divina. E la gente si chiedeva “non è questo il figlio di Giuseppe?”.


Disceso sulla terra il Verbo di Dio si è messo subito in movimento. E così, sfogliando il vangelo di Marco, troviamo Gesù che cammina “lungo il mare di Galilea”, che entra in una sinagoga, dirigendosi alla casa di Simone e Andrea, andando nelle città vicine, salendo una montagna, entra in una casa, salendo in una barca, percorrendo la Galilea, dirigendosi al territorio della Giudea e, infine, arrivando a Gerusalemme. Osservando questo momento, si può proprio dire che Gesù ha fatto della storia il luogo dell’incontro con l’umanità. Dopo la triplice attesa, sopradescritta, Gesù ha manifestato il desiderio incontenibile di Dio di parlare faccia a faccia con l’uomo. E lo ha cercato in ogni luogo percorrendo le strade della Palestina. 
Ci si può chiedere allora: che cosa ha significato questo movimento di Gesù verso l’esterno? Che cosa comunica all’umanità? In primo luogo, è segno di una libertà interiore impressionante. Gesù camminando per le strade della Palestina, entra nelle case di tutti, di chi lo invita, sedendosi nel piazzale del tempio per dialogare con il popolo o con i dottori della legge, ha manifestato la sua libertà nei confronti di quelle paure umane che spesso pregiudicano l’incontro con l’altro: la paura di essere giudicato e la paura di non essere accolto. In questo modo, ha rivelato che il contenuto che doveva comunicare – l’annuncio del regno di Dio – era ben più importante di quello che la gente poteva pensare di Lui. In secondo luogo, il movimento di Gesù all’esterno è segno di gratuità. In Gesù tutto era grazia: lo ripete continuamente san Paolo nella lettera ai Romani. Inviando Gesù, Dio non ha atteso che l’uomo meritasse la salvezza. C’è stato un altro tempo di attesa e lo abbiamo visto sopra. Lo zelo, la determinazione, la donazione totale di Gesù, il suo correre incontro all’uomo, alle donne per annunciare la Buona Notizia, sono il segno di una salvezza che è azione misericordiosa di Dio o, come direbbe san Paolo, giustizia di Dio. Dio è giusto non perché l’umanità meritasse questo, ma perché fedele a sé stesso, alle promesse fatte ai Padri, ad Abramo, Isacco, Giacobbe e, in seguito, ai profeti.

Il movimento che Gesù realizza nel mondo è, infine, segno di una progettualità. Non si tratta, infatti di un’azione scomposta. Al contrario, se Gesù entra in una casa non è per mangiare e basta e parlare del più e del meno. In ogni incontro di Gesù, in ogni dialogo, c’è una finalità ben precisa: l’annuncio salvifico del Regno. E allora se incontriamo Gesù sulle rive del lago della Galilea, o su una montagna o a parlare nella piazza del tempio con un gruppo di persone, non dobbiamo immaginare che stia perdendo tempo, anzi, lo sta riempiendo di significato. Il fatto che Gesù sia la pienezza del tempo è manifestato nei vangeli anche attraverso questi piccoli dettagli, nel suo modo di muoversi, di parlare, di essere. Niente di Gesù è fatto o detto a caso, ma le sue parole e i suoi gesti, oltre a essere intimamente connessi, sono segni rilevatori del piano salvifico del Padre.

Il fatto, poi, di mettersi sulle strade della Palestina alla ricerca dell’umanità perduta e disorientata, ha provocato un altro tipo di movimento: non era solamente tutto il popolo a correre da Lui o, come è detto più avanti “molta gente si riunì vicino a Lui”, ma quelli che poi diventeranno suoi nemici come i farisei, i sadducei lo cercano. Che dire poi dell’umanità isolata come i lebbrosi, gli indemoniati, gli ammalati, i cechi, i sordi, tutti camminano verso Gesù. Anche a questo proposito rivolgiamo la stessa domanda: che significato questo andare verso Gesù dell’umanità? Immediatamente viene da rispondere che, se c’è stato un incontro tra Dio e l’umanità attraverso Gesù, questo incontro, non solo è stato preparato, ma voluto. È nell’incontro, nella relazione, che il messaggio è comunicato e questo incontro, per essere significativo, deve mantenere le caratteristiche tipiche dell’universo personale.

 Quali sono queste caratteristiche? Innanzi tutto, lo sguardo. Nell’incontro di Gesù con il giovane ricco ad un certo punto del dialogo instaurato tra i due, l’evangelista Marco annota che Gesù “fissatolo, lo amò”. Al contrario, nella scena della Passione, Pietro riceve uno sguardo di Gesù che lo porta alle lacrime. In una relazione il contenuto non passa solo attraverso la Parola. Gli occhi rivelano i nostri sentimenti e così si rafforzano, cioè danno incisività a ciò che si intende comunicare. Per comunicare la Buona Nuova non possiamo sottrarci allo sguardo dell’altro e, allo stesso tempo, di guardare l’altro. E poi le mani. Con le mani Gesù ha curato gli ammalati, “la prese per mano”, “poi le tocco gli occhi”, ha benedetto i bambini :“allora gli condussero alcuni bambini perché imponesse loro le mani e pregasse”; ha sfamato le folle “prese sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli e i discepoli li distribuivano alle folla” e, finalmente, si è donato ai discepoli all’ultima cena  “mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli”.
Le mani sono fondamentali nelle relazioni interpersonale. Con esse manifestiamo i nostri sentimenti, positivi o negativi, rafforziamo il significato di ciò che stiamo dicendo, con i gesti. Con le mani abbracciamo, salutiamo, accarezziamo.
C’è poi un altro aspetto in quella che potremmo chiamare la fenomenologia della relazione, che è significativa per Gesù: lasciarsi avvicinare, toccare. Spesso nel vangelo il verbo avvicinarsi è utilizzato per esprimere il cammino dell’umanità verso Gesù. Non è comunque un avvicinamento freddo e distante. Al contrario. Chi si avvicina a Gesù lo fa per toccarlo. Sono le folle e gli ammalati che lo toccano. Tra questi troviamo nei vangeli il caso di una donna afflitta da una emorragia da molti anni, che di proposito studia il momento opportuno per toccare Gesù, perché sapeva – o immaginava – che il suo corpo emanasse un’energia che sanava. Memorabile è poi quell’avvicinamento silenzioso e pieno di amore della “donna peccatrice pubblicana”, così come l’evangelista Luca la chiama, che incontra Gesù in casa di un fariseo. La donna sapendo che si trovava a casa di un fariseo, “si mise dietro ai piedi di Gesù, e piangendo si mise a bagnare i piedi con le lacrime e asciugarli con i capelli”: gli baciava i piedi e li ungeva con l’olio. Gli occhi, le mani, il corpo.
Nella vita di Gesù l’annuncio del Vangelo è stato mediato da tutto ciò che appartiene all’universo personale. È il suo corpo lo spazio in cui è avvenuto storicamente l’incontro tra Dio e l’umanità. In Gesù sembra che la relazione preceda, accompagni e segua il contenuto.

Nelle liturgie che celebriamo questi aspetti dovrebbero essere presenti per rendere sempre più visibile la presenza del Signore nella comunità. Per questo motivo, sarebbe positivo che la liturgia Occidentale si lasciasse contaminare dallo stile liturgico dei paesi latinoamericani o africani, nei quali l’aspetto corporale e relazionale è molto significativo. L’occasione ci viene offerta su di un piatto d’argento con il fenomeno immigratorio. Accogliere le persone povere che provengo da queste regioni nelle nostre comunità, significa non solo offrire un pezzo di pane, ma anche coinvolgerle nelle nostre celebrazioni domenicali. In questa prospettiva, costituiscono un grande dono che il Signore sta facendo alla nostra chiesa, per recuperare quegli aspetti che l’eccessiva impostazione concettuale ha smarrito durante i secoli.

lunedì 4 luglio 2016

CONTAMINAZIONI LITURGICHE






Molto bella e animata la messa di Domenica 3 luglio 2016 a Regina Pacis. E' stato il coronamento di un percorso d'incontro, di accoglienza reciproca tra gli studenti universitari del Camerun, Togo e Congo presenti in via Zandonai a Reggio Emilia e le famiglie della Burkina Faso presenti sul nostro territorio. Da mesi ci frequentiamo con incontri biblici, momenti di preghiera e di condivisione. Era giusto che trovassero spazio nella liturgia domenicale per esprimere il loro modo di relazionarsi con Dio. Mi hanno colpito i colori dei vestiti e il coinvolgimento della corporeità. Senza dubbio abbiamo colto che molti di loro provengono da un cammino di chiesa, di comunità. Tra loro ci sono catechisti, ministri dell'Eucarestia, coristi. Sarebbe bello che possano trovare spazio anche nelle nostre comunità, per smetterla, così, di vederli appena come stranieri, e sentirli invece come fratelli e sorelle. E' nella liturgia che possono avvenire dei miracoli. Dinanzi alla presenza del Signore che si è fatto piccolo per noi, nostro fratello, anche noi impariamo ad accoglierci come fratelli e sorelle, andando al di là delle differenze culturali e geografiche. Un grazie, allora, di cuore per la bella celebrazione che ci avete donato.