1°
GENNAIO 2022
Dialogo
fra generazioni, educazione e lavoro:
strumenti per edificare una pace duratura
1. «Come sono belli
sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).
Le parole del profeta
Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato,
sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di
esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei
diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e
sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa
gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di
una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.
Ancora oggi, il cammino
della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo
integrale, rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e
donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa.
Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si
amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie
di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e
del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua
a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla
condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il
grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare
giustizia e pace.
In ogni epoca, la pace è
insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una
“architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della
società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima
persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a
partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con
l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.
Vorrei qui proporre tre
vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo
tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In
secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e
sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità
umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto
sociale», senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.
2. Dialogare fra
generazioni per edificare la pace
In un mondo ancora
stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni
provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la
affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la
protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra
le generazioni».
Ogni dialogo sincero, pur
non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base
tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a
riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso
della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si
accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa
di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi
anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo
riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di
condivisione, di solidarietà.
Dialogare significa
ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo
tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto
e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.
Mentre lo sviluppo
tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi
contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani
hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli
anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della
creatività e del dinamismo dei giovani.
Le grandi sfide sociali e
i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi
della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani
–; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non
pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati
come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci
indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una
politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi
o soluzioni veloci», ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro,
nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili.
Se, nelle difficoltà,
sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben
radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il
futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le
ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare
l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le
speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri». Senza
le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?
Basti pensare al tema
della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un prestito
che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione
successiva». Vanno perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si
stanno impegnando per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato,
affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo,
soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta,
che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e
socio-ambientale.
D’altronde, l’opportunità
di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere dall’educazione e dal
lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È
l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è
nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si
ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in
vista del bene comune.
3. L’istruzione e
l’educazione come motori della pace
Negli ultimi anni è
sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e
l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse
costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la
persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la
promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione sono le
fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza,
ricchezza e progresso.
Le spese militari,
invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della
“guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante.
È dunque opportuno e
urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche
economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti
pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il
perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che
arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse
finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola,
le infrastrutture, la cura del territorio e così via.
Auspico che
all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per
promuovere la cultura della cura. Essa, di fronte alle fratture
della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio
comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando
dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura
popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica
e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e
la cultura dei media». È dunque necessario forgiare un nuovo
paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le
giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le
università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel
formare persone mature». Un patto che promuova l’educazione
all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di
sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e
l’ambiente.
Investire sull’istruzione
e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce,
attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto
nel mondo del lavoro.
4. Promuovere e
assicurare il lavoro costruisce la pace
Il lavoro è un fattore
indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e
dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si
lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale,
il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo
più vivibile e bello.
La pandemia da Covid-19
ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando
molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i
lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono
servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica;
l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione
nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si
affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione
affrontano oggi prospettive drammatiche.
In particolare, l’impatto
della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori
migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi
nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé
e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un
sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente
solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema
di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi
crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la
dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il
bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un
ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.
Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia
e la solidarietà in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di
sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così
facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte
del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e
di realizzazione personale». Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per
creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età
lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla
vita della famiglia e della società.
È più che mai urgente
promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose,
orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e
sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo,
far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia
l’unico criterio-guida.
In questa prospettiva
vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli,
sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di
lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni,
ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste
ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano
luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla
costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un
ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e
giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai
lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti
nella dottrina sociale della Chiesa.
Cari fratelli e sorelle!
Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei
rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a
dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la
sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare
l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle
persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella
preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.
Ai governanti e a quanti
hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle
comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà,
faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra
le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che
siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia,
si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li
accompagni la benedizione del Dio della pace!
Dal Vaticano, 8 dicembre
2021
Francesco