mercoledì 22 dicembre 2021

MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

 



1° GENNAIO 2022

Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro:
strumenti per edificare una pace duratura

 

1. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).

Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.

Ancora oggi, il cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.

In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.

Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.

2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace

In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni». 

Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.

Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.

Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.

Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci», ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili.

Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri».  Senza le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?

Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». Vanno perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale.

D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in vista del bene comune.

3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace

Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e progresso.

Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. 

È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.

Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura.  Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media».  È dunque necessario forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature».  Un patto che promuova l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente. 

Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro. 

4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace

Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.

La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche.

In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.

Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale».  Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società.

È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.

In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella dottrina sociale della Chiesa.

Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.

Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2021


Francesco

 

martedì 21 dicembre 2021

NATALE 2021

 




Paolo Cugini

        Contemplando le pagine dei vangeli che narrano gli eventi che hanno caratterizzato la nascita di Gesù, colpiscono le scelte di Dio. C’è un percorso specifico e, allo stesso tempo, sorprendente che viene tratteggiato nei vangeli, un percorso che siamo invitati a percorrere se desideriamo conoscere il Signore della vita. Colpiscono le contraddizioni lasciate nel percorso, i contrasti eclatanti rispetto al modo comune di pensare Dio. Nasce escluso tra gli esclusi. Infatti, non c’era posto tra le case di Betlemme per accogliere i due pellegrini di Nazareth, Maria e Giuseppe. C’era posto per tutti, ma non per loro. Eppure era visibile che Maria stava aspettando un bambino e aveva bisogno di attenzione e accoglienza. Gesù, prima ancora di nascere, porta i segni del rifiuto, del non voluto.

 Povero tra i poveri. Gesù fu deposto in una mangiatoia. Anche questo aspetto della nascita di Gesù fa molto riflettere. Vengono alla mente i tanti cristi che ogni notte dormono sotto i portici al freddo: Gesù è senza dubbio tra loro. Migrante tra i migranti. Con pochi anni di vita Maria, Giuseppe e il bambino Gesù sono stati costretti ad emigrare in Egitto, a causa della follia di un re pazzo. Gesù sperimenta l’umiliazione di essere non voluto nella propria terra, esiliato, migrante, sradicato. Porta nella sua anima le ferite che, un’esperienza come questa, possono provocare, lasciando un segno profondo, che esige molto amore per essere curata. Gesù nei primi anni di vita fa l’esperienza della radicale povertà che caratterizza tutta quell’umanità che vive ai margini della storia, nelle baraccopoli, ai confini in cerca di un posto accogliente, umiliato e rifiutato perché diverso, maltrattato perché nullatenente.

Questa nascita così strana, con un percorso così diverso da come si sarebbe potuto pensare, non è a caso, ma è un’indicazione misteriosa e, allo stesso tempo chiarissima, per tutti coloro che sono alla ricerca di un senso della vita.  

 

 

martedì 14 dicembre 2021

I VANGELI DELL’INFANZIA Intervento di Paolo Squizzato

 



Sintesi: Paolo Cugini

I primi libretti circolanti su Gesù sono i vangeli dell’infanzia, anche se appaiono per ultimi.

Perché ad un certo punto si è sentita l’esigenza di dare alla comunità un resoconto sull’infanzia di Gesù?

Nell’antichità quando si raccontava la biografia degli uomini illustri, si partiva dalla nascita per mostrare che avevano avuto un’infanzia eccezionale e hanno avuti tutti madri eccezionali. Madri che vengono fecondate da un raggio di luce. C’è spesso un intervento divino.

Isacco, Esaù, Giacobbe, Sansone, Giovanni Battista: sono personaggi che hanno avuto nascite eccezionali.

Paolo è stato il primo a scrivere su questo tema. Come fa Paolo a non conoscere una nascita miracolosa del Nazareno? Possibile che al tempo di Paolo non se ne parlasse? Paolo era un uomo colto; conosceva le storie di Romolo, Remo e altri. L’ipotesi che viene avanzata è che quando paolo scrive attorno al 51 d. C. se non dice nulla sulla nascita di Gesù significa che quella tradizione non era ancora nata.

Galati: si narra che dopo la conversione di Paolo, va in Arabia e dopo tre anni va a Gerusalemme incontra Pietro e Giacomo, il fratello del Signore. Domanda: se la nascita miracolosa fosse stato un fatto assodato, possibile che Paolo non ne avesse conoscenza, e Pietro e Giacomo non le avessero raccontato di questa nascita?

Paolo non fa mai riferimento alla madre e al padre di Gesù. Unico riferimento a Maria è Gal 4,4: Gesù nato da donna, come qualsiasi altra persona.

Se Gesù è la manifestazione di Dio, se in Gesù di Nazareth Dio si è fatto uomo, qual è stato il momento in cui la divinità si è unita all’uomo? Per Paolo non c’è dubbio, questo momento è il momento della resurrezione. Lo scrive in modo chiaro in romani 1,3-4. La cosa curiosa è che man mano che si procede con gli scritti e ci si allontanerà dagli eventi, gli scrittori – Mt, Lc, Mc Gv – pongono questo momento dell’unione sempre prima, l’anticipano. Per Mc, che scrive intorno al 70, questa unione avviene nel Battesimo. Per Mt che scrive nell’80e Lc, che scrive nel 90, il momento è anticipato Lc 1,31: il momento è il concepimento. In Gv, che è l’ultimo a scrivere, il momento dell’unione è da rintracciarsi da sempre, dall’eternità.

Mc. Il primo atto che riguarda Gesù è il battesimo ricevuto da Giovanni. Non si parla della paternità di Gesù. Concezione cosmogonica al tempo di Gesù. Per scrivere questa scena Mc usa un Materiale dell’A.T.: Is 42 e Salmo 2. Mc servendosi di questo materiale ci dice che dal luogo dove abita Dio scende la vita per inabitare in Gesù. Lo spirito Santo è l’agente maschile del concepimento. Tra le cose incredibile che Gesù fa, trasgredisce il comandamento più grande dell’AT che è l’osservanza del sabato. Gesù trasgredisce e firma la sua condanna a morte. Mc 2,31: è la prima volta che in tutta letteratura si parla della famiglia di Gesù. Questo atteggiamento di Maria e dei fratelli di Gesù sarebbe motivata se Maria avesse ricevuto quell’annuncio dell’angelo straordinario? Non avrebbe dovuto dire che è tutto normale quello che sta accadendo? La tradizione sulla nascita prodigiosa su Gesù non era ancora stata elaborato quando Mc scrive.

Cap 6.: è la prima volta che sappiamo il nome di Maria. I compaesani di Nazareth indicano Gesù come il falegname. Non si fa riferimento al padre. Il figlio è sempre chiamato in riferimento al padre, era una prassi culturale. Qui viene fatto riferimento alla madre, in un contesto in cui la donna non era nulla. Essere indicato come figlio della propria madre è dispregiativo, perché indica la nascita ignobile. Dopo la nascita di Gesù circola una leggenda nera che dice che Gesù sarebbe nato da una relazione di Maria con un soldato romano. È Celso che diffonde questa notizia. Origene scriverà contro Celso, per difendere la tradizione cristiana. Come leggere l’affermazione dei conterranei di Gesù? Alcuni studiosi recuperano un passaggio del Vangelo di Giovanni 8. “Noi non siamo nati da prostituzione” Qualcuno legge questa affermazione come se facesse riferimento alla leggenda nera.

Mt e Lc. Se mettessimo i Vangeli dell’infanzia di Mt e Lc in sinossi ci accorgeremmo che dicono cose diverse. Gesù dov’è nato? Mt scrive 10 anni prima di Lc ed è nato sotto Erode il Grande introno al 5 a.C. Lc invece fa nascere Gesù durante il censimento del governatore Quirino nel 6 d.C. Lc ci ricorda che Giuseppe per ottemperare gli ordini di Roma deve andare a farsi censire a Betlemme (Lc 2,4). Qui c’è un problema. Infatti, gli storici ci dicono che Roma non chiedeva questo. Infatti l’uomo doveva farsi censire dove lavorava, dove pagavano le tasse. Il viaggio a Betlemme è storicamente immotivato. Secondo problema. La legge romana richiedeva solo al maschio di farsi censire. E allora perché Lc fa mettere in viaggio questa famiglia per una cosa che non si doveva fare? La motivazione è solo teologica. Gesù doveva nascere a Betlemme e quindi s’inventa qualcosa per questo.

Mt. Per Mt Giuseppe e Maria vivono già a Betlemme da sempre. Non si parla di grotta, stalla, ma di una casa. Non c’è stato nessun viaggio massacrante. Mt 2,23: dopo quel giro incredibile in Egitto, il testo dice: sembra che Nazareth sia in una cittadina nuova, sconosciuta. Il problema che si presenta a Matteo è diverso da quello di Lc, perché deve motivare il viaggio da Betlemme a Nazareth. C’è un’altra profezia di mezzo: Sarà chiamato nazareno.

Che cosa sono questi vangeli? Ci si deve accostarli come dei midrash, dei racconti che prendono episodi della letteratura del vecchio testamento cercando di dare una rilettura del momento presente. Sono racconti veri senza essere reali, nel senso che non sono storici come la pensiamo noi. La verità ha a che fare con la fecondità.

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=bGslvQyIi6k

 

FINISCE LA CRISTIANITA’ E RIAPPARE LA GIOIA DEL VANGELO

 





Paolo Cugini

       C’è una sensazione di vuoto spirituale che si percepisce nella vita delle comunità cristiane. Si fa fatica a cambiare di paradigma. Si fa fatica a vivere la fede non solo in un clima di minoranza, ma anche si fa fatica a pensarsi in modo diverso. Veniamo da secoli e secoli in cui tutti erano cristiani e il cristianesimo era la forma della società. Le messe, i sacramenti, i rituali, le feste liturgiche hanno plasmato la struttura sociale dell’occidente. Ora che tutto questo mondo è crollato, nessuno si sente più obbligato ai rituali cristiani.

Nell’epoca della cristianità non partecipare alla vita religiosa significava la dannazione eterna, l’inferno nel futuro. Ora che l’involucro sacrale non c’è più, son svanite tutte le paure. Che cosa ci rimane? La fine della cristianità coincide con la fine della religione come forma sacrale, che plasma la società. La cristianità ha veicolato un messaggio che faceva coincidere l’apparenza sociale con l’appartenenza alla religione, alla chiesa. Il problema adesso è vivere la fede promossa dal Vangelo senza la pretesa che alla società interessi. È questa una fase delicata perché, nonostante l’epoca della cristianità sia terminata, rimangono ancora presenti nella società tutta una serie di rituali e di elementi sacrali, che hanno identificato per secoli l’appartenenza alla vita sociale e che sono rimasti all’interno del tessuto sociale, nonostante non se ne conosca e non si comprenda il significato. Molti genitori, nonostante non credano nel Vangelo e non frequentano una chiesa, si rivolgono alla chiesa per battezza i loro figli o per chiedere di partecipare al cammino per i sacramenti, provocando perdite di tempo, tensioni a non finire. Ci si rivolge alla chiesa come se fosse un negozio qualsiasi, in cui chiunque ha il diritto di comprare quello che vuole. È senza dubbio una fase di passaggio che, come tale, sarà destinata a sparire. Fase di passaggio che è portatrice di tensioni tra coloro che gestiscono la vita religiosa e che non sempre hanno la coscienza del passaggio che stiamo vivendo, e le persone che vivono la religione solamente come appartenenza sociale.

Poi verrà il tempo in cui potremo vivere la proposta di Gesù in piccoli gruppi, tra coloro che hanno accolto il messaggio del Vangelo e hanno fatto delle scelte a riguardo, senza dover rendere conto ad una società che, ormai, ignorerà ciò che è divenuto minoranza e non ha più la pretesa d’incidere sulla società, per lo meno dal di fuori. Saremo come il fermento nella massa – finalmente! -, liberi dalla tirannia dell’apparenza e della prestazione a tutti i costi. Ci troveremo nelle case, anche perché, nel frattempo, le chiese e le cattedrali saranno già state riconvertite in strutture di uso sociale e collettivo. Ed è nella dimensione familiare della casa che potremo riassaporare il gusto di una diversità di vita, di scelte, che solo il Vangelo sa offrire, liberi dall’affanno di dover dimostrare qualcosa. In quel tempo, ci saremo liberati delle cattedrali, delle pesanti strutture ecclesiali, delle processioni, delle statue, degli abiti liturgici, da tuti quegli orpelli frutto della rincorsa sfrenata che la chiesa ha fatto per secoli al potere, pagando un prezzo altissimo. Non vedremo più per le strade qui personaggi vestiti di nero, simbolo di una morte prematura, quando invece avrebbero dovuto indossare gli abiti colorati della gioia. Ci sarà pace nei nostri cuori credenti nel Vangelo, in Gesù Cristo e ci saremo finalmente liberati da quelle dottrine costruite apposta per contare qualcosa nel mondo.

 

venerdì 3 dicembre 2021

MARIA NEI DOGMI DELLA CHIESA-INCONTRO CON SELENE ZORZI


 

VENERDI 3 DICEMBRE 2021


Dogmi: in teologia parliamo di due cose, la gerarchia de dogmi e l’evoluzione.

Gerarchia dei dogmi: non tutti i dogmi sono uguali. Questo vale anche per il dogma mariano, che è secondario rispetto ai dogmi cristologici. Nella storia della teologia inizialmente i Padri riflettono sul monoteismo, poi sulla Trinità e su Gesù Cristo. I dogmi mariani sono gli ultimi ad arrivare e già questo ci deve dare la misura di come comprendere i contenuti dei dogmi.

Evoluzione del dogma: ogni teologo prova ad esprimere la fede nei termini ella cultura in cui si trova. Una verità di fede è sempre espressa in un linguaggio, modello teologico che si riferisce ad un’epoca. Ciò significa che questi modelli cambiano, come le nostre modalità e quindi è necessario comprenderlo in altre parole. I contenuti rimangono, ma cambia il modo di esprimerli.

Maria è appendice di altri dogmi che sono il fondamento della fede.

Anche il dogma mariano subisce un’evoluzione, un’interpretazione tramite nuovi modelli.

Per quanto riguarda la figura di Maria abbiamo avuto due modelli su Maria.

1.     Nel primo millennio, Maria è collocata all’interno della comunità. Nei primi tre secoli c’è un silenzio su Maria. Quando si definisce la Theotokos stiamo dicendo qualcosa di Cristo tramite Maria. Per dire la divinità di Gesù la Theotokos ci ha aiutato. All’interno del primo millennio si aveva la consapevolezza che Maria è simbolo della Chiesa Madre.

 

2.     Nel secondo millennio inizia una trasformazione di Maria, che diventa sempre più isolata. Maria viene vista come mediatrice della misericordia. Maria impersona l’aspetto divino della misericordia. La figura di Maria diventa qualcosa che separa i cattolici dai protestanti. La Mariologia inizia nel ‘600. Da questa spinta arrivano i dogmi mariani. La singolarità di Maria e la diversità rispetto a tutti i credenti. A Maria si sono riferiti quegli atteggiamenti che sono dello Spirito. Ciò è avvenuto quando si è sviluppata la Pneumologia, la riflessione teologica sullo Spirito Santo. Maria diventa sempre più madre e madre della Chiesa.

 

Il primo titolo è la theotokos, titolo che fa emergere lo scontro tra due padri della Chiesa che si concilieranno nel concilio di Efeso. Indica il carattere divino del figlio. Si vuole sottolineare che c’è una nascita terrena. La Theotokos è contro Nestorio. In latino viene Dei genetris e mater Dei. Dio è nato. Nell’antichità Dio era eterno e non si opoteva pensare che Dio potesse nascere, soffrire e morire. La Theotokos vuole dire che Dio può nascere perché in Cristo le due nature sono così unite che dimostra questo. È quindi un titolo che ha una valenza cristologica. Quando applichiamo a Maria l’idea che è la madre di Dio. Si credeva che solo l’uomo poteva dare vita al genere umano. L’antica idea era: siccome basta un seme maschile, Maria porta in grembo Cristo, che però è figlio di Dio. Qui Maria è strumentale. Perché Maria è solamente un ricettacolo del seme maschile.

 

Ineffabilis Deus: dogma dell’immacolata Concezione (1854) Maria fu preservata per particolare grazia in previsione dei meriti di Gesù Cristo salvatore del genere umano. È rimasta immune dalla macchia del peccato originale sin dal primo istante del suo concepimento. Questo testo ci dice che Maria senza l’intervento della grazia sarebbe nata con il peccato originale. Il dogma è legato alla dottrina del peccato originale. Si pensava che la sessualità fosse di per sé peccaminosa (Sant’Agostino). La sessualità non è peccaminosa (cfr. Gaudium et Spes). C’è un modello antico: la sessualità come peccaminosa e l’insistenza dell’idea come verginità. C’è la questione del collegamento tra anima e corpo. Tutta Maria è piena di grazia: panaghia, tutta santa, che in latino diventa sempre vergine. L’immacolata ci dice che c’è un inestimabile valore della donna. L’idea che Dio si è rivolta a Maria come donna prima che avesse un ruolo, è molto stimolante.

Assunzione al cielo: Sembra impossibile figurarsi che dopo questa vita possa essere separata da Cristo colei che concepì e lo strinse al petto. Nel cristianesimo c’è l’idea di una totalità della persona. Il corpo è ciò per cui faccio esperienza della vita, io sono le mie esperienze. Questo modello dualista plasma il dogma dell’Assunzione. L’Assunta è molto più semplice da riportare ai testi biblici, perché è il modello ella pienezza a cui tutti siamo chiamati. Il credente che vive in pienezza la sua vita è chiamato verso la pienezza definitiva. Maria è il modello del credente.

Come recuperare Maria? Intanto la recuperiamo come credente. Maria è una credente che ha avuto le sue difficoltà E poi Maria è stata una discepola e una creatura. Maria anticipa la nostra resurrezione e, per questo è modello della Chiesa. In questo è nostra sorella. Maria è una figura controcorrente perché come maternità è chiacchierata, che ha dovuto attraversare i giudizi delle persone. Maria è profetessa e lo si vede nel Magnificat. Maria è anche madre, con una relazione materna con Gesù. La maternità ha varie fasi. Maria è in questo modo recuperata come icona della Chiesa, dei credenti e anticipazione di ciò che dovrebbe accadere al vero credente, ma anche una Maria ecumenica. Una Maria più biblica aiuta nel cammino di comunione delle differenti fedi e comunità.

Il credente è colui che deve partorire Dio. Etty Hillesum: una cosa diventa evidente e cioè che tu Dio non puoi aiutare noi, ma noi aiutiamo te e forse possiamo aiutarti a disseppellirti dall’idea devastata dagli latri uomini.


giovedì 2 dicembre 2021

FEDE E FEMMINISMO IN ITALIA LA PROFEZIA DELLE DONNE

 



Si è svolto giovedì 2 dicembre, Organizzato dall’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, il convegno Trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata. IV tavola rotonda Donne e religioni, presso la Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII a Bologna.

 

Sintesi. Paolo Cugini

 

Cettina Militello

Profezia delle donne. In genere si riflette sulla relazione tra le donne e lo Spirito. Donne e profete ci sono nel primo e nel secondo Testamento e nell’arco della storia delle comunità cristiana. Il problema nella chiesa cattolica è stato il discernimento dello spirito profetico gestito dalla gerarchia maschile. Le donne, le ribelli. Delicatissima è la soglia del riconoscimento. La profezia come intelligenza del presente che apre al futuro. Forme di profezia. A fare la differenza è il consolidarsi per le donne allo studio. Adriana Zarri è un punto di riferimento. Nel mondo cattolico l’accesso alla teologia è stato l’aspetto più significativo. Letizia Tommasone. Negli ultimi vent’anni si è incrementata la presenza delle donne nella chiesa, anche se la gerarchia non apre molto spazio. Spesso quando una donna entra nei giri della gerarchia, come le teologhe che insegnano in alcune facoltà cattoliche, significa che ha interiorizzato il maschilismo e, quindi, è inquadrata. Altro dato significativo è la crisi della vita religiosa. Significativo è il coordinamento teologhe italiane. Per le cattoliche resta l’esclusione dall’ordinazione sacerdotale. C’è un impegno sororale che va oltre le confessioni. Le donne sono molto presenti nelle comunità israelitiche, anche nel campo letterario (cfr. Liliana Segre). C’è un altro tipo di presenza: quello del martirio. Non basta essere donne per rimuovere moduli maschilisti e gerarchici. Maria Laura Benetti, suore italiane morte di Ebola. Molte donne religiose sono state uccise in Africa. Le donne possono dare un grande contributo nella trasformazione delle chiese. La questione oggi è la presenza normale nel vissuto delle chiese. La differenza è una chance in più.

Carla

presenza e ruolo delle donne nell’ebraismo e nelle chiese cristiane dagli anni ’70 ad oggi.

Ho frequentato i gruppi donne delle comunità di base, un percorso profetico. C’è il problema del potere sulle coscienze delle gerarchie. A Pinerolo abbiamo attivato una comunità di base, un percorso radicalmente nuovo, uomini e donne insieme. Abbiamo creato un rapporto con femministe che ci ha permesso di entrare in dialogo con varie realtà di base e teologiche. Ci siamo confrontate a lungo sulla nostra differenza sessuale e abbiamo deciso di uscire da un sistema maschile precostituito. Con le donne delle altre comunità di base ho capito che dobbiamo tenere insieme mente… occorre riportare ad unità l’intero nostro essere. È la teologia corporea. Nel 1988 abbiamo proposto il seminario le scomode figlie di Eva, dove un gruppo di sole donne ha presieduto l’eucarestia. Attraverso questo gesto, si era sprigionato un forte desiderio di libertà femminile. Questa prima celebrazione è stata la prima di una serie. Trent’anni dopo, un gruppo di donne in Germania ha celebrato l’eucarestia con la partecipazione di molte persone. La manifestazione ha contagiato altre diocesi in Austria e Svizzera. Abbiamo riscoperto le donne delle prime comunità e con esperienze mistiche successive. Nel 2003 la partecipazione al sinodo interreligioso delle donne a Barcellona è stato un momento di scambio importante. Il sinodo delle donne può offrire un modello significativo. Paestum 2012: la sfida del femminismo nel cuore della politica.  L’abbattimento delle strutture gerarchie e maschiliste ha creato un vuoto, che abbiamo riempito con nuovi significati. Nuovi interrogativi, dire Dio nell’esperienza soggettiva di ciascuna. Occorre favorire confronti che vanno oltre ai cammini prefissati. Confronto con donne delle diverse appartenenze religiose. Il nostro è stato un cammino che crea comunità come misura femminile nel mondo. 1988 gli uomini hanno cominciato a comprendere che non esiste un solo cammino, quello maschile, ma anche femminile. Il nostro percorso ha prodotto alcuni cambiamenti negli uomini, cammino di autocoscienza maschile. Ciò ha permesso di provocare nuove riflessioni su temi delicati come la prostituzione. Vivere la profezia significa essere se stessi. “sto imparando a farmi mediazione vivente”. Alcune di noi hanno intrapreso un percorso di storie viventi, per scrivere il proprio vissuto, fare memoria.

Mondo femminista ebraico.

Non avendo un’autorità religiosa centrale, i gruppi hanno uno sviluppo autonomo.

Movimento nato nell’800 in Germania proclamando l’uguaglianza di uomini e donne nell’ambito sinagogale. C’è un gruppo che ha cercato di cambiare i libri di preghiera, per togliere l’impronta maschilista. Anche i rabbini si sono accorti che hanno un approccio più pratico per risolvere un problema. Ci sono delle donne che nelle comunità stanno diventando rabbine. Viene fatto riferimento a Debora per fondare la possibilità delle donne ebree di prendere la parola nella sinagoga. Ci sono piccole comunità in cui sta avvenendo un cambiamento.

 

Alessandra Trotta (Valdese)

1967: la chiesa valdese consacra delle donne pastore. Ho vissuto in una chiesa del sud Italia, che ha accompagnato l’evoluzione della comunità in modo democratico. Negli organismi della chiesa valdese c’è una presenza significativa e paritaria delle donne, anche negli organi di potere.  Il fondamento biblico riconosce molti spazi alle donne, a differenza delle letture maschiliste che vengono proposte. C’è un’ermeneutica che viene introdotta dal mondo femminile nelle chiese. Nelle chiese protestanti il ministero non è di tipo sacerdotale, quindi rimane fuori il tema del puro e impuro. Nelle chiese protestanti la centralità è il ministero della Parola, più che sacramentale. Anche la concezione dell’autorità nella chiesa: c’è distinzione tra autorità umana e divina e tutte le autorità ecclesiali sono riportate alla dimensione umana. Si sviluppa un ministero che sottolinea il valore della cura, della relazione. Si dice profezia delle donne, vuole dire che crediamo in un modo diverso di esercitare il potere. Problema della collegialità reale ed effettiva. C’è poi il problema delle donne e l’ecumenismo. C’è il problema della chiesa inclusiva, che fa fatica a svilupparsi, soprattutto a riguardo dei migranti. Altro problema: universo giovanile. Ci sono categorie mentali e metodologici molto distanti tra le generazioni.

 

 Paola Cavallari

È la quarta tavola rotonda. Appello alle chiese in Italia sulla violenza alle donne.

Fiorire della forza debole. Ci riconosciamo nella vulnerabilità di cui sono fatti i nostri corpi. Ci sono molti esempi di infedeltà a se stessi. Solo una minoranza di donne nere si sottrae alla forza del patriarcato, perché la strada è molto dura. Divenire coscienza non è tendere all’indipendenza, ma va compreso nel percorso di farsi strada di un sé a fatica. Mary Dely: richiede ciò che realmente siamo richiede coraggio per affrontare l’esperienza del nulla. Con il femminismo le donne hanno visto la necessità dello scontro. La speranza umana è ontologica. Alcune voci femminili.

Ivone Gebara. Narra della sua vocazione al monastero. “Non riesco a fare del sogno di mia madre il mio sogno: c’è un abisso”. Il senso di colpa ha accompagnato la mia vita. Avevo paura del mio corpo, del peccato. Avevo paura. La chiesa gerarchica mi ha reso il cammino difficile.

Carla Lonzi. Si è definita profeta. Il bisogno di autonomia entra in contrasto con il bisogno di amore. L’uomo vede l’amore di una donna per sorreggerlo. Carla sentiva un grande desiderio di testimoniare la verità. L’idea di migliorarci viene dalla sofferenza.

Anna Deodato. Segue le vittime di violenza subite da suore. Emerge un quadro devastante, ma anche da riscatto. Una donna violata si sente una donna sporca. A causa dell’abuso è perso la vita e il senso globale dell’esistenza. Paura di non essere creduta. Viene taciuta dalla comunità per miseri giochi di potere. Desiderio di risorgere. Guardare il percorso fatto come lotta per la vita. Sto ritrovando l’armonia. Sento rivivere il desiderio di dare.

 

Con l’Osservatorio è nata una bambina.

Occorre una teologia dal basso dove l’agire è quasi più decisivo del pensiero. Favorire la consapevolezza che la violenza contro le donne sono un elemento strutturale e non emergenziale. Giovanni Salupi ha dato un grande contributo. Il patriarcato è un veleno. Auspichiamo la pace, ma una pace che non sai dimentico del furto degli uomini, del loro dominio sulle donne. 

venerdì 26 novembre 2021

QUALE CHIESA? Un libro del Cardinal Matteo Zuppi e don Paolo Cugini

QUALE CHIESA? UN LIBRO CON IL CARDINAL MATTEO ZUPPI

 


 

Parlare di Chiesa è sempre un argomento delicato, perché si entra in un ambito in cui convergono stili e pareri differenti, spesso contrastanti. Lo diventa ancora di più in un’epoca storica, come la nostra, in continuo e veloce cambiamento, che richiede una capacità di adattamento non facile da assimilare. Cambiano le situazioni storiche e cambia anche la Chiesa, il modo di pensarsi nel tempo. L’annuncio del Vangelo, compito specifico affidato da Gesù alla Chiesa, esige una costante riflessione, per comprendere e mettere in atto le modalità che sembrano più idonee per la realizzazione di questo servizio. Annunciare il Vangelo esige una comunità che si sforza di vivere ciò che desidera annunciare. È il tema della comunità cristiana, che ha visto nella parrocchia un modello ecclesiale significativo e privilegiato per molto tempo, uno degli snodi del problema.

In occidente, parlare di parrocchia ha significato parlare di parroci, della loro preparazione e formazione. Ogni parrocchia ha sempre avuto il proprio parroco di riferimento al punto che, nell’ecclesiologia tridentina, la parrocchia era la sposa del parroco che, una volta entrato in parrocchia, rimaneva per sempre. Fedeltà al ministero, in questo contesto, significava fedeltà alla comunità parrocchiale, presenza costante in essa. Proprio per questo, il Concilio di Trento prevedeva che le parrocchie non dovevano essere né troppo estese né troppo numerose per permettere al parroco il contatto personale e costante con i parrocchiani. Questo modello è durato secoli e ha avuto un valore altamente positivo. Il parroco era colui che accompagnava nella vita di fede le persone durante tuta la vita, dal battesimo sino alla morte. Il parroco, in questo modo, diveniva punto di riferimento costante nei problemi della vita quotidiana, perché era lui ad essere presente nella comunità, a condurla in un contesto in cui la dimensione religiosa s’identificava con quella ecclesiale. C’è stato un periodo lunghissimo della vita in occidente in cui era famoso l’adagio che diceva che, in un paese c’erano tre persone fondamentali: il dottore, il prete e il farmacista. Ogni comunità, anche la più piccola, aveva dunque il suo parroco, che curava la dimensione religiosa delle persone, all’interno di relazioni umane, che si consolidavano nel tempo, grazia alla permanenza del prete nella comunità.

Poi, in poco tempo, tutto questo mondo è crollato. Forse, il problema maggiore, è che il crollo è stato così veloce, che molte persone e anche molti prelati, non se ne sono accorti o, forse, non lo vogliono ammettere e accettare. Dinanzi ad un cambiamento così rapido del contesto culturale occidentale, che ha travolto anche il modello ecclesiale vigente, di struttura piramidale, che identificava l’autorità ecclesiale con la comunità, si fa fatica ancora oggi a produrre i passi necessari per un cambiamento di mentalità, soprattutto, per mettere in atto un nuovo modello ecclesiale. Accompagnare un cambiamento in atto di una realtà così complessa com’è la Chiesa, non è cosa facile, anzi. La tentazione di chiudersi in se stessi, di non accettare la realtà e riproporre il passato e i suoi fasti come se niente stesse accadendo, è sempre dietro alla porta. Il popolo di Dio, assieme ai suoi pastori, è invece chiamato ad un lento cammino di discernimento comunitario, per tentare d’interpretare alla luce della parola di Dio i segni dei tempi, ed elaborare proposte che esigono in ogni modo, una continua verifica. Un aspetto importante di questo delicatissimo momento storico, è che la comunità cristiana non è sola, ma ha diversi strumenti che possono orientarla nel cammino di discernimento comunitario.

 In primo luogo, ci sono i documenti del Concilio Vaticano II, che offrono ancora oggi notevoli spunti di riflessione per il cammino della Chiesa. In secondo luogo, la comunità locale ha a disposizione il Magistero di Papa Francesco, attento sia alle grandi intuizioni del Vaticano II, che alla realtà in cui viviamo e, per questo, capace d’interpretare il cambiamento in atto e offrire linee guida per la riflessione comunitaria. Infine, il Magistero vivo del Cardinale Matteo Zuppi, attento a traghettare la comunità locale nelle difficoltà che incontra ad incarnare il Vangelo in questa epoca di cambiamento. Strumenti, dunque, che dicono di un’attenzione provvidenziale del Signore che cammino con noi e in mezzo a noi, dove le onde e il mare in burrasca non devono spaventarci e disorientarci nel compito che abbiamo di essere testimoni del Risorto.

Le pagine che proponiamo, sono frutto di un percorso di formazione permanete degli adulti delle parrocchie di Palata Pepoli, Dodici Morelli, Galeazza e Bevilacqua dell’Archidiocesi di Bologna, che per alcuni mesi si sono confrontati sul tema: quale Chiesa? I primi due capitoli sono stati curati da don Paolo Cugini, amministratore parrocchiale delle suddette parrocchie. L’ultimo capitolo, oltre a riportare la relazione del Cardinale Matteo Maria Zuppi realizzata durante il percorso formativo, riporta anche alcuni suoi interventi sul tema specifico. 

venerdì 12 novembre 2021

MARIA LA MADRE DI GESU’- INTERVENTO DI SELENE ZORZI




 I VENERDI TEOLOGICI

VENERDI 12 NOVEMBRE 2021


Sintesi: Paolo Cugini

 

Per accostarci a Maria dobbiamo pulire gli occhiali. Maria è divenuto un personaggio ingombrante nella vita delle donne. Maria è un personaggio onnipresente nella vita di fede.

Maria nome comune: Maria è divenuto un nome comune. Maria nell’immaginario collettivo rappresenta tutte le donne. Si nota l’universalizzazione del patriarcato. Tutto ciò che non è maschile è neutro.

Naturalizzazione Le donne sono soprattutto madri, sono importanti come madri, dimenticandosi che hanno anche un cervello.

Steretipizzazione Generalizziamo per vedere e volere un certo tipo di donna. Abbiamo ideologizzato anche Maria.

La mentalità cattolica è androcentrica, produce una forte idealizzazione nei confronti delle donne. Maria è la benedetta fra le donne, ma è solo lei e questa unicità la stacca dalle altre donne. Da qui nasce l’ideologizzazione delle donne.  Maria diventa problematica come presenza fra le donne. Nessuna donna potrà mai essere come lei, e quindi diventa un modello schiacciante.

Maria è stata punto di riferimento delle omelie e parlavano di Maria e il corpo delle donne viene collegata all’idea del peccato. La verginità acquista un significato sociale e il suo ruolo teologico si perde nelle moralizzazioni.

Antropologia dualista: divide i due sessi come poli opposti, come complementari. Questa antropologia oppositiva ha creato il personaggio di Maria che, per molto donne, risulta troppo ingombrante. L’antropologia dualista, quando legge Maria, crea l’eterno femminino, un archetipo che guarda Maria come un’incarnazione dell’ideale dell’essenza del femminile. Qui il maschio è sempre primo. La donna è funzionale al maschio e le donne sono servitrici.

La verginità può essere interpretata come l’autonomia della donna. Può essere interpretata in senso moralista. Serve al maschio per sapere che il primo figlio sarà suo.

Madre: funzione biologica. La funzione di madre appartiene ad ogni credente, perché tutti dobbiamo partorire Dio nella nostra vita di fede.

Come si è arrivati a ciò?

Nei primi secoli c’era già l’idea della dea madre. Iside, Demetra, ecc. Sono dee che hanno un aspetto materno. I Padri della Chiesa accostano Maria a queste figure. La nostra Maria cattolica la troviamo sui monti, grotte e altro, luoghi tipici delle dee mediterranee. Sono luoghi che indicano il contatto con la forza della terra.

I Padri della Chiesa prendono dei titoli delle dee e le attribuiscono a Maria. Le prime Marie sono delle donne che allattano. Le prime vere raffigurazioni di una Maria che allatta come divinità le troviamo in Egitto nei monasteri, che la riprendono dalle dee egizie. I padri hanno adattato la figura di Maria alla dea materna, hanno fatto un lavoro di inculturazione. Assumendo queste caratteristiche Maria viene sempre più divinizzata e diventa una divinità. Nel Medioevo a Maria vengono attribuite tutte le funzioni cristologiche e pneumatologiche. Maria è corredentrice, sullo stesso piano del Dio maschio.

Elisabeth Jonson: relazione tra la figura di Maria e di Gesù e non c’è distinzione tra le due. In qualche modo l’immaginario religioso di un Dio al maschile sente il bisogno di avere una femminilità. Occorre pulire gli occhiali da queste scorie culturali che hanno confuso la Maria del Vangelo. La questione è che non abbiamo avuto un linguaggio del dire Dio al femminile. Nessuno ce la fa a dire Dio al femminile, a dire Dea.  Da Gen 1 abbiamo al convinzione che le donne sono create ad immagine di Dio, ci sono delle metafore femminili per parlare di Dio.

Nell’AT la parola ruah, che indica lo Spirito, è una parola femminile e ha funzioni femminili. Crea spazio, fa vivere. Shekinà, la tenda di Dio tra noi: è una metafora femminile.

Le teologhe hanno cercato le metafore in cui Dio è detto madre. Viscere di misericordia, Dio ha un utero che ama come una madre. Isaia 49: La madre non si dimentica di suo figlio.

Filone della divina sapienza. La Sapienza dell’AT è un personaggio. Il Logos è accanto a Dio. La sapienza che rompe gli stereotipi perché parla nelle piazze. Dio qui ha caratteristiche femminili.

Ci sono due parabole: dramma e lievito. È un mondo che viene espresso al femminile. Gesù ha preso spunto dalle azioni di sua madre. Capire come Gesù di Nazareth ha fatto esperienza di una donna, con sua madre.

Lo studio delle teologhe aiuta a riavvicinarsi a Maria.

La divinizzazione di Maria si è venuta a creare pian piano, dovuto anche all’ambiente culturale, al modello patriarcale. L’unico spazio che il cristianesimo ha lasciato alle donne è stato il corpo di Maria.

Se Cristo ha assunto la maschilità non salva le donne, invece Cristo assume l’umanità. Maria è divenuta anche lo schema sociale del ruolo che doveva avere la donna in una certa cultura che poi è stata spiritualizzata.

Nel si di Maria c’è il rispetto di Dio per le donne, perché Maria poteva anche dire di no.

 

mercoledì 10 novembre 2021

Chiesa popolo di Dio / Dall’esperienza brasiliana alla proposta di papa ...

CONTAMINAZIONE IN TEOLOGIA COME FORMA DI INCULTURAZIONE

 




Paolo Cugini

 

Che cosa s’intende quando si usa questo termine in teologia? Contaminazione è un aspetto dell’inculturazione, del cammino dell’evangelizzazione in contesti culturali non cristiani, o di culture diverse. In ogni processo d’inculturazione c’è un aspetto di contaminazione, vale a dire, che venendo in contatto con una cultura diversa ci sono elementi di quella determinata cultura che vengono assorbiti dal processo di evangelizzazione, contaminando, per così dire, la struttura della dottrina. La contaminazione mette in discussione l’idea che la dottrina sia un blocco incorruttibile, compatto, immodificabile. In realtà, il cammino di evangelizzazione sin dagli inizi è passato attraverso vari momenti d’inculturazione che hanno comportato contaminazioni, che hanno modificato il nucleo dottrinale, assorbendo elementi della cultura incontrata. Esempio di quanto sto dicendo è la contaminazione avvenuta nell’ambito della cultura greca, che tra l’altro ha permesso la formulazione del credo niceno-costantinopolitano. Ciò significa che la contaminazione, lungi da essere un fenomeno negativo, è anzi un momento di arricchimento positivo necessario. Così com’è stato formulato l’idea di contaminazione nel processo d’inculturazione del Vangelo esige, da una parte, il riconoscimento di valori nelle culture incontrate e, dall’altra, l’azione dello Spirito Santo che agisce liberamente in ogni contesto culturale. È questo momento riconoscitivo che provoca lo stile dialogico, l’atteggiamento di ascolto dell’altro, la presa di coscienza della presenza dell’amore di Dio, che si manifesta in forme diverse. Sempre in questa prospettiva, l’idea di contaminazione aiuta a valorizzare la diversità nella sua accezione più ampia.

 La contaminazione in teologia indica che ci sono elementi nuovi, sconosciuti nelle culture altre che vengono assorbite dal vangelo, perché implicitamente riconosciute come novità significative e in sintonia con i contenuti espressi. La contaminazione fa dunque crescere la dottrina, la modifica, la rende più completa. Contaminazione significa che il processo di apprendimento del mistero non termina mai. Ammettere il processo d’inculturazione nel suo aspetto di contaminazione significa dire addio alla concezione desueta della dottrina come un blocco immodificabile, che identifica l’idea di verità con la realtà immobile, e la perfezione con la stabilità. L’aspetto di storicità della storia della salvezza, la manifestazione di Dio nella storia degli uomini e delle donne, apre lo spazio all’idea del mistero di Dio che non può essere codificato da nessuna dottrina teologica e, allo stesso tempo, che rimane sempre aperta, appunto, sempre disponibile alla contaminazione. In questa prospettiva l’idea di contaminazione in teologia prima di essere e d’indicare un momento negativo, manifesta invece un momento positivo dell’azione dello Spirito nella storia. Dice, infatti, che la sua azione non può essere racchiusa in nessuno spazio e nessuno può avere la presunzione di codificarne i contenuti.

 C’è una ricchezza della presenza di Dio non solo nei cammini delle chiese e delle religioni, ma anche in ogni luogo. “Tutto è stato fatto in Lui e in vista di Lui” (Ef 1). Il processo di contaminazione è richiesto da tutti coloro che sono alla ricerca del mistero e vivono di Lui.

giovedì 28 ottobre 2021

ANCORA UNA VOLTA VINCE IL PREGIUDIZIO E L’IGNORANZA

 




Riflessioni sulla votazione sul ddl Zan del 27 ottobre 2021


Don Paolo Cugini

 

Raramente firmo un articolo o una riflessione con la sigla: don. Questa volta, però, è più che necessario. Scrivo queste poche righe come membro dell’istituzione Chiesa per dire che il dibattito è aperto, che non è ancora detta l’ultima parola, che ci sono nella Chiesa molte persone che stanno camminando per costruire una società più libera, in cui la dignità di tutte e tutti sia protetta e rispettata. Questo cammino lo facciamo in nome di Gesù Cristo, che ha detto che lo riconosciamo nei poveri, nei carcerati, nei forestieri, negli esclusi e, tra questi oggi più che mai ci sono i trans, le lesbiche, gli omosessuali, in una sigla che raccoglie tutti: LGBTQ+ (cfr. Mt 25,32s). Il ddl Zan è una proposta di legge per proteggere le tante vittime di omofobia che ci sono ancora in Italia: perché non è passata?

Come prete che ha scelto di vivere in mezzo al popolo, cercando di mettermi a servizio di tutte le persone che incontro, sono a favore del ddl Zan e la notizia che non è passato al Senato, mi ha rattristato molto. Mentre leggevo i giornali, pensavo non solo alle tante persone incontrate in questi anni nei gruppi cristiani LGBT, negli incontri con gli operatori pastorali, ma anche alle lettere firmate a sostegno del ddl Zan, l’impegno della rete raccolta attorno Progetto Gionata e al gruppo Tre volte Genitori, che raccoglie il cammino dei tanti genitori con figli LGBTQ+. Tristezza nel vedere i senatori esultare in modo impressionante come se avessero vinto non so cosa. Sono gesti di esultanza che colpiscono, perché esprimono lo stato di confusione di una fetta del popolo italiano che non ha capito la posta in gioco in questa votazione.

Mi rattrista il pensiero che una fetta di Chiesa abbia esultato per il risultato di ieri. Come si fa a non capire che c’è in gioco un pezzo di Vangelo? C’è un cammino nuovo aperto dallo stile di Chiesa popolo d Dio, proposto dal Concilio Vaticano II e che Papa Francesco con coraggio sta rilanciando. Cammino di Chiesa segnato dalla misericordia del Padre manifestata dallo stile di Gesù, dal suo modo di rivolgersi con attenzione a tutte e tutti, per far sì che nella comunità nessuno si senta escluso, anzi per mettere proprio le persone più emarginate al centro, proprio come faceva Gesù (cfr. Mc 3,1-6). Perché esultare, allora?

In ogni modo, una cosa mi sembra chiara leggendo qua e là i commenti di coloro che da anni camminano con i cristiani LGBTQ+: il movimento è troppo grande per arrestarsi. C’è tanta speranza, tanta voglia di cose nuove, di un’umanità nuova, che non si fermerà dinanzi ad una votazione negativa, passeggera. Si va avanti. 

FEDI E FEMMINISMI IN ITALIA: LA PROFEZIA DELLE DONNE





 Trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata IV tavola rotonda Donne e religioni Il convegno si terrà giovedì 2 dicembre dalle 10 alle 17,30 presso la Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII, Via S. Vitale 114 a Bologna In ottemperanza alle norme anti-Covid, il numero dei posti della sala è limitato.

Chiediamo quindi di prenotarsi a questo indirizzo mail: convegnoivd@libero.it Saranno accettate le iscrizioni in ordine di arrivo. Si ricorda l’obbligo del green pass e l’uso della mascherina. Info: Gabriella Rustici 349.2124565 – 349.4118686

giovedì 21 ottobre 2021

Dove sbaglia chi critica il ddl Zan sulla questione identità di genere?

 


Ricevo e volentieri pubblico:

Dea Santonico 20 ottobre 2021

 

La questione di gran lunga più discussa a proposito del ddl Zan e su cui si addensano più critiche è sicuramente quella sull'identità di genere. La critica che arriva da più parti, anche da un pezzo del mondo femminista, ripresa e strumentalizzata poi da una parte del mondo politico, è che, con l’attuale testo, la legge porterebbe ad una sorta di libera autocertificazione di genere, ad un annullamento del dato biologico. Ma è così? Proviamo a ragionarci, partendo da ciò di cui la legge si occupa e dall’obiettivo che ha. Il ddl non si occupa di certificazioni, né per introdurle, né per cancellarle in favore di autocertificazioni: nulla cambia rispetto ai processi di certificazione (di cui è un'altra legge già in vigore ad occuparsi) con o senza il ddl Zan. Ma allora perché l'articolo 1 della legge parla di "identificazione percepita"? In quell’articolo c’è infatti questa definizione: “Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Prima di rispondere alla domanda che ho posto, è importante sottolineare che la definizione di identità di genere contenuta del ddl Zan non ha il merito di essere originale, si trova, oltre che in altri documenti, in sentenze della Corte di Cassazione e in direttive UE. L'obiettivo del ddl è solo uno: proteggere le persone vittime di violenza per i fattori di discriminazione di cui la legge si occupa. Per farlo, e farlo pienamente per tutte le persone che non si identificano con il genere registrato alla nascita (che non sono solo quelle "certificate" come trans), c'è bisogno di una definizione ampia, che le comprenda tutte, e tale definizione è quella data nell'articolo 1 della legge, che permette di proteggere da crimini d’odio chi ha intrapreso ma non ancora concluso il percorso si transizione, chi quel percorso non se lo può permettere, per motivi economici, di salute o di età, chi, per altri motivi, non vuole o non può intraprenderlo. Il ddl non sta introducendo nessuna autocertificazione, sta invece dicendo un’altra cosa: che nessun certificato è richiesto alle vittime, che la legge le protegge sempre e comunque tutte, senza richiedere che abbiano i documenti “in regola”, che certifichino l'avvenuta transizione o lo stato del loro percorso di transizione. Non dice la legge che la certificazione non serve in assoluto, dice che non serve per essere protetti da violenze e discriminazioni.

Dov'è quindi l'errore che ha portato a spostare la discussione dal merito della legge ad altro? Sto pensando qui a chi fa considerazioni intellettualmente oneste, non a chi le usa per mascherare, dietro il cambiamento, l’obiettivo di cancellare la legge (qui non c’è un errore, c’è un lucido ragionamento). L’errore sta, a mio avviso, nell’aver staccato, da parte di chi critica il ddl sulla questione identità di genere, l'articolo 1 dal corpo della legge stessa. L’articolo 1 è funzionale al testo della legge, da le definizione necessarie, come qualsiasi documento serio, che sia o no una legge, dovrebbe fare. Importante sottolineare le prime parole di quell’articolo: “Ai fini della presente legge, per sesso si intende…, per genere si intende…, per orientamento sessuale si intende…, per identità di genere si intende…”. Appunto. Le definizioni lì contenute valgono e sono rilevanti nel contesto e ai fini di questa legge, non in assoluto. Estrapolare una definizione e far derivare da questa questioni estranee alla legge, può essere un esercizio interessante e volentieri potrei unirmi a chi lo vuole fare, ma ostacolare il ddl Zan su questa base significa prendersi, magari in buona fede, una responsabilità non da poco di fronte alle tante vittime di violenza omotransfobica. E con quale risultato? Nessuno: la definizione di identità di genere seguiterà ad esistere, con o senza il ddl Zan, in molti altri documenti, anche di natura giuridica. Pensiamoci.