Paolo Cugini
Uscito dall'ubriacatura idealista del
mondo moderno, il cristianesimo può guardare con occhi nuovi non tanto al
proprio futuro, ma al proprio presente. In questo caso, però, dovrà guardarsi
allo stesso tempo da alcune tentazioni che possono trasformarsi in altrettante
crisi.
La prima tentazione è quella di non accettare
il presente, il cambiamento in atto e di conseguenza, rifugiarsi nel passato.
Questa tentazione la si coglie a differenti livelli. Nella vita pastorale
quotidiana, che non cambia nulla nei suoi programmi, che sembra non voler
ascoltare le sfide che la postmodernitá sta proponendo creando, così,
involontariamente spesso e volentieri una separazione tra fede e vita, tra il
mistero che celebra e la storia nella quale è inserita. Smarrimento e
svuotamento di senso, in questa prospettiva, non sono solamente frutto di una
filosofia anti metafisica che nega nella sua essenza i fondamenti del discorso sull'essere, ma soprattutto il risultato di una vita che non trova più spazio
nella liturgia, di un mondo che non é più espresso nel culto. L’esodo dei
giovani fuori dal tempio può essere forse il risultato di questa tendenza. La
crisi delle ideologie che la cultura postmoderna sta vivendo, sta provocando
una concentrazione sul tempo presente, la vita nel frammento. Mi sembra che a
questo punto del problema non si possa più continuare solamente demonizzando
quello che é ormai considerato uno stile di vita. Si tratta forse di
considerare il problema a partire dal dato di fatto e non solo nonostante
questo. La vita nel frammento, schiacciata per così dire nel presente, non
presenta solamente aspetti negativi. In fin dei conti viviamo la nostra vita
nel tempo presente. L’epoca postmoderna forse ci può aiutare a guardare al
tempo presente con più attenzione, a guardare al quotidiano non solo come
momento di passaggio, o come meta di un fine, ma come il momento scelto dal
Signore del tempo e della storia per manifestarsi. Il mistero
dell’Incarnazione, centro di tutto il mistero cristiano, ha forse più di ogni
altra epoca, la possibilità di essere compreso nella sua profondità. La carne,
il tempo, il vissuto quotidiano sono elementi imprescindibili per coglier e
accogliere il senso del mistero dell’Incarnazione. Sempre in questa
prospettiva, e cioè di una maggiore attenzione al vissuto quotidiano come
chiave ermeneutica per cogliere il mistero del Verbo Incarnato, si possono
offrire alcune osservazioni sul mistero celebrato, vale a dire il legame
imprescindibile tra liturgia e vita.
Questo nuovo quadro culturale che
stiamo vivendo ormai da alcuni decenni potrebbe offrire l’opportunità di
riflettere in una nuova prospettiva questo legame così importante tra la
liturgia e la vita. E', infatti, una sensibilità nuova che si sta sviluppando,
ben visibile nelle nuove generazioni, una sensibilità che dovrebbe trovare
riscontro anche nella liturgia. Di che sensibilità si tratta? L’ho già
accennato poco sopra, vale a dire un’attenzione preponderante sul tempo presente,
su ciò che l’oggi può offrire, sull'utile che si può ricavare nell'immediato.
Non basta a questo punto demonizzare, gridare contro il relativismo. Se si
vuole condurre lo schiacciamento nel presente, la vita nel frammento, ad
un’apertura verso il futuro, é necessario inculturarsi, mettersi in ascolto,
capire che cosa sta avvenendo. Solo così potrà avvenire quell'incontro significativo nel quale il Vangelo potrà produrre i suoi frutti più maturi. Questo incontro, questa inculturazione, questo ascolto attento della cultura
postmoderna dovrebbe essere visibile nel centro della vita cristiana, vale a
dire nella celebrazione liturgica. E' al suo interno, infatti, che la storia
viene assunto per essere trasformata, per partecipare del mistero della
ricapitolazione in Cristo di tutto il creato e di tutta la storia. Liturgie,
allora, meno asfittiche, meno preoccupate con i fronzoli, e più attente agli
interlocutori e alle loro vite. Chi entra in una celebrazione eucaristica
dovrebbe immediatamente capire che quello che si sta celebrando ha qualcosa in
comune con ciò che si sta vivendo, con il vissuto, con i problemi che si
affrontano nella vita quotidiana. Quando entriamo in Chiesa per partecipare ad
una celebrazione Eucaristica dovremmo poter capire che il centro di tutto è Gesù Cristo, che non è appena il Signore della storia, ma della nostra storia
una, della nostra esistenza chiamata ad essere trasformata in amore. Se non
avviene questo incontro delle due umanità, quella di Cristo e la nostra, in pericolo è tutto il progetto di Dio di
ricapitolare in Cristo le cose. Non si
tratta di schiacciare al ribasso la liturgia, ma permettere al vissuto
quotidiano di questo mondo sempre più postmoderno, di essere trasformato dal
Vangelo. Compito della pastorale è portare Cristo al mondo e, allo stesso
tempo, condurre il mondo a Cristo. ciò dovrebbe essere chiaramente visibile
nella liturgia eucaristica. Mi sembra questo il significato di un’attenzione
alla cultura postmoderna, anche nei suoi risvolti più negativi come il relativismo
e la vita frammentata, che la pastorale ordinaria deve prendere sempre più a
cuore.
É chiaro che queste affermazioni ci
conducono verso un nuovo tipo di riflessione che é, allo stesso tempo, una
nuova sfida che la cultura postmoderna sta dirigendo implicitamente al
cristianesimo. Mi riferisco al modo d’intendere e di realizzare la pastorale
ordinaria. Il nuovo quadro culturale che si sta sempre più delineando ci
costringe ad uscire non solo dai nostri centri pastorali, dal tempio, ma anche
e soprattutto dai nostri schemi pastorali. Non possiamo più permetterci di
pensare la pastorale solamente a partire dai problemi interni: catechesi,
liturgia. La parrocchia dovrebbe divenire sempre di più aperta al dialogo con
le culture, le religioni, le forze sociali presenti sul territorio.
La tentazione di rifugiarsi nel passato per
difendersi dalla novità del presente la si coglie anche nelle forme
spiritualiste che stanno accompagnando l’esperienza religiosa in questi ultimi
tempi. La fuga dalla storia, da tempo
presente si traduce, sul piano spirituale, nella presa di distanza dall'impegno per la trasformazione della società nella quale si vive. É questa la
caratteristica delle tante chiese neo-pentecostali che s’incontrano in Africa e in America Latina,
caratterizzate da una predicazione diretta soprattutto al singolo e non alla
comunità. É la salvezza individuale la grande preoccupazione delle chiese neo-pentecostali, preoccupazione per una salvezza imminente, che produce il
disinteresse per tutto ciò che riguarda la terra, il mondo. Questa fuga dalla
storia la incontriamo anche in alcune forme spirituali della chiesa cattolica
in Occidente, forme che si manifestano nell'identificazione dell’esperienza
religiosa con l’ambito strettamente liturgico e devozionale. La ricaduta di
questo atteggiamento di fuga la si trova anche qui nel disinteresse per un impegno più attivo nella vita politica
e civile.
Una’altra tentazione che accompagna
il cristianesimo postmoderno è quella di non accettare il cambiamento in atto.
Come già dicevo poco sopra, nei documenti ufficiali della Chiesa si coglie la
percezione del cambiamento epocale in atto, ma poi non si compie il passo
successivo di un dialogo impostato con criteri nuovi. Il mondo postmoderno sta
ponendo da diversi anni nuove sfide al cristianesimo a differenti livelli:
etico, politico, culturale, sociale. Le risposte che, però, incontra non sono
ancora all’altezza della situazione. L’Istituzione non è più la voce unica alla
quale tutti si sottomettono, come accadeva nella cristianità. Ci si attende
dalla Chiesa una parola di carità, di comprensione, di amore. Ciò non significa
lasciare andare, dire di si a tutto e a tutti. Quello che dalla Chiesa il mondo
sta aspettando e sperando é una parola di misericordia, che purtroppo non
sempre arriva. Come questo possa esprimersi nei documenti ufficiali é quello
che deve essere scoperto nella pratica quotidiana dell’amore, nello sforzo di
pensare in modo nuovo problemi antichi. É chiaro che con queste osservazioni
non sto affermando la necessità di modificare i contenuti del dogma: ci
mancherebbe altro. Solamente mi sembra opportuno un cambiamento di modalità, si
potrebbe dire di stile. La cultura postmoderna ha bisogno di parole nuove non
nel contenuto, ma nella forma. Abbandonare i discorsi e i documenti ufficiali
per tentare di dire qualcosa di più personale, di più vero alle persone che
vivono in un determinato contesto sociale e che necessitano di una parola
misericordiosa, meno carica di fermezza e più attenta alla circostanza. Per
questo tipo d’incontro forse sarebbe necessario decentrare sempre di più il
potere ecclesiale, affinché appaia sempre meglio il significato di servizio del
potere della Chiesa.
Anche la teologia fa fatica ad uscire da un’impostazione
classica, di tipo deduttivo e sistematico, per una più induttiva e, per certi
aspetti, narrativa. Non è un caso allora, che dinnanzi a queste sfide
irrisolte, gli interlocutori non procurino più i teologi ma bensì i filosofi.
Se grande spazio hanno trovato nel dibattito scientifico contemporaneo le tesi
di Appel, Habermas, Rorty, solo per fare
alcuni nomi, é forse anche perché in campo teologico, al di là di
eccellentissime sintesi, non si trovano più degli spunti in grado di aprire il
dibattito in forme nuove. Si sente la necessità
di una elaborazione del pensiero antropologico alla ricerca di un’idea di
persona che possa offrire spunti nuovi al dibattito scientifico contemporaneo,
spesso e volentieri impaludato in vecchi schemi ormai obsoleti. La cultura
postmoderna ha bisogno di dialogare con idee teologiche che nascono dal
contatto con la realtà, idee intuitive, dunque, e non mere elaborazioni
concettuali che non riescono ad esprime più nulla di significativo, se non una
semplice riproduzione del passato. Per dialogare con una cultura nichilista e
relativista come è quella attuale, non servono più delle reiterate condanne,
che si presentano come chiusure: occorre un cammino teologico nuovo.
Oggi più
che mai c’è bisogno di una riflessione teologica che riesca a discutere sui
valori fondamentali dell’esistenza con un apparato concettuale legato al
contesto storico, alle nuove categorie ermeneutiche, ai nuovi schemi di
riferimento facilmente individuabili per coloro con i quali s’intenda dialogare.
In parole semplici, oggi più che mai la cultura contemporanea ha bisogno di una
riflessione teologica che venga dal basso, dalla terra. Affinché questo avvenga è necessario quello sforzo d’inculturazione simile a quello avvenuto nei primi
secoli della storia della Chiesa, quando i grandi padri, per esprimere le verità
di fede, utilizzavano i concetti della filosofia greca,modificandoli, riempendoli
di nuovi significati. La crisi delle ideologie provocata dalla fine delle meta
narrazioni, ha aperto lo spazio ad un vuoto culturale che se non verrà riempito
con contenuti significativi nuovi, potrà produrre azioni in campo sociale e
politico devastanti.