mercoledì 12 gennaio 2022

VERBUM CARO FACTUM EST

 



L’INCARNZIONE DEL VERBO

(esercitazioni Pèguyane del 1992)

 

Paolo Cugini

 

    L’Incarnazione del Verbo si è verificata nel più naturale dei modi: è questo che è sconvolgente. IL Figlio di Dio ha assunto una natura che è simile alla mia. Vive un tempo e in uno spazio come me. È difficile riconoscerlo all’esterno perché non offre prove tangibili. Che cosa vedono i pastori se non un bambino come tanti altri, come tutti gli altri? La grazia è un’operazione interiore nascosta, che sfugge all’apparenza, alla superficie. IL cristiano è l’uomo della profondità, del silenzio, del deserto perché solo in questa situazione di spoliazione Dio si manifesta. Tutto deve essere fatto nel segreto perché bisogna cercare di amare con tutto se stessi un solo Dio. Tentazione di apparire santi con dei sotterfugi, con delle tecniche, con delle violenze. Dio ci vuole santi, “Siate vuoi dunque perfetti come è perfetto il Padre nostro celeste” (Mt 5, 48).

Questa santità non passa per le strade dell’evidenza, dell’apparenza. Tentazione meschina di voler essere apprezzato dagli uomini, e così trasformare in movimento lento, interiore del cuore in una maschera superficiale. Aspettare la forza dello Spirito in silenzio, nel nascondimento, vincendo la tentazione di voler mostrare al mondo la falsa santità, perché se l’essere cristiano è solo una facciata per far vedere quanto siamo bravi, è spazzatura perché alimenta l’orgoglio. C’è un solo Signore.

 

Il Verbo si è Incarnato. Si è sottomesso alla natura umana. Ha accettato la condizione umana. Ha obbedito ai suoi genitori. Nel nascondimento. Nella condizione normale di ogni essere umano che vive in una famiglia. Gesù fino a trent’anni ha vissuto come vive ogni uomo, come vivo io. E in questa condizione ha imparato la volontà del Padre. Ha appreso che cosa il Padre gli chiedeva. Ha capito che il Padre esigeva da Lui, il suo unico Figlio, il suo vero Figlio il suo primo Figlio, di una lunga generazione di figli qualcosa di particolare, che nessun altro avrebbe potuto fare. Che tutta l’umanità era in attesa da secoli. E Lui non avrebbe mai voluto deludere suo Padre. E Lui il figlio ricolmo d’amore verso il Padre non avrebbe mai voluto deluder l’immenso amore del Padre. In nessuno modo. Per nessuno motivo.

Si trattava di svolgere un compito. Una missione. Si trattava di obbedire al volere del Padre. E Gesù, il Figlio, non aspettava altro. E Gesù, il Figlio, sin dall’eternità non aspettava altro che rispondere all’amore del Padre. E Gesù, il Figlio dilettissimo era quasi impaziente, viveva quasi nell’impazienza, non vedeva l’ora di eseguire la volontà del Padre. Perché lo amava. E l’amore non può che domarsi. Senza sosta. Senza nulla risparmiare. E Lui, il Figlio, non vedeva l’ora di donarsi tutto al Padre. Per amore. Fino alla morte. E il Padre lo ha accontentato. Et verbum factum est. E il Figlio è nato.

 “La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” (Ps 84, 12). La verità si è resa presenza, si è materializzata. C’è uno sguardo orizzontale che la può vedere, descrivere, analizzare. I pastori che nella notte, in quella stupenda notte, in quella indimenticabile notte, sono accorsi alla grotta, hanno visto un bambino, come tanti. Hanno visto un bambino che era uguale a tutti gli altri bambini. Hanno visto un bambino che piangeva come gli altri bambini. Che si nutriva come gli altri bambini. Che rideva come gli altri bambini. Ma era il Figlio di Dio. Atteso dall’eternità. Era quel Figlio di Dio che era stato annunciato dai profeti. Da una schiera di profeti. E in quella notte, in quella indimenticabile notte era là. Bambino come tutti i bambini. E i pastori adoravano un bambino. Che non era diverso dagli altri bambini. “La verità germoglierà dalla terra”.

I pastori si prostrarono a quel bambino che era il Figlio di Dio. “La giustizia si affaccerà dal cielo”: I pastori avevano riconosciuto in quel bambino dalle fattezze simili a qualsiasi altro bambino, il Figlio di Dio, colui che doveva venire. Riconobbero il Figlio di Dio. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardi al loro gregge.” Era una sera come le altre. Il cielo della Giudea era stellato come tante altre notti. I pastori si apprestavano a caricarsi dopo la giornata di lavoro passata nella terra di Betlemme. Il caldo per tutto il giorno li aveva assillati costringendo le pecore stesse a sotterfugi inusitati per potersi riparare dai raggi del sole. Ebbene, la sera era giunta; i pastori intorno al focolare si raccontavano qualche storiella, per passarsela un po’ il tempo. E intanto, fra una chiacchiera e l’altra, facevano la guardia al loro gregge. Come tante sere. Come tutte le sere. E qualcuno, a turno, s’addormentava. Sempre, però c’era chi vegliava. Non si poteva lasciare il gregge incustodito. Occorreva vegliare. A turno. Uno alla volta. Uno o due alla volta. Così tra una chiacchiera e l’altra, accanto al fuoco acceso passava il tempo. Mai avrebbero sospettato che quella era una notte particolare. Uguale alle altre ma, allo stesso tempo particolare. Uguale alle altre, a tutte le altre innumerevoli notti, ma con un carico di presente in più. Una notte come tutte le altre, ma molto più pesante. C’era un carico di profezie che stava arrivando a compimento. In quella notte. C’erano secoli di profezie che stavano rovesciandosi in un punto di presente che si trovava nelle vicinanze di quella notte. Notte uguale a tutte le altre notti passate a badare il gregge, ma allo stesso tempo diversa. Perché c’era nell’aria un rumore strano, come se qualcosa stesse arrivando da lontano e si stesse rovesciando. Improvvisamente. Bruscamente. C’era nell’aria un brusio che sembrava venire da lontano. E i pastori avrebbero voluto dirselo. I pastori avrebbero voluto dire che c’era un brusio, ma non lo fecero. I pastori si erano accorti che quella notte, uguale a tante notti, a tutte le notti, aveva qualcosa di diverso ma non lo dissero, lasciarono perdere, tanto sarebbe giunto il giorno. I pastori, in realtà, si erano accorti che quella notte aveva qualcosa di particolare. I pastori: questi uomini del silenzio abituati al silenzio. Che cosa potrebbe a loro sfuggire? “Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo del Signore disse loro: “non temete ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 9-11).

 Sublime mistero! Il tempo d’ora innanzi non sarà più lo stesso. Sublime mistero di un tempo sconvolto dall’irruenza dell’eterno. Nel tempo - dall’infinito nel finito. Dallo spirito nella carne. Poveri pastori così silenziosi, così schivi al rumore. A loro è toccata l’irruenza, quasi prepotente, dell’ineffabile messaggio angelico. Pastori silenziosi. Erano intenti a sorvegliare il gregge in una notte come tutte le altre notti. E all’improvviso l’angelo del Signore si presentò davanti a loro. È vero che un po’ se n’erano accorti. Quei furboni dei pastori. Così silenziosi, così notturni. Quei pastori. Così simili alle loro pecore tutte uguali. Così simili alle loro notti. Tutte uguali. A loro è toccato di assistere all’irruenza dell’Eternità. Nel tempo. Nel presente. In un’ora. In un istante. Da tempo atteso. Da secoli annunciato. Quei pastori che facevano la guardia al gregge furono avvolti di luce. La luce della gloria del Signore. Quei pastori così schivi non erano abituati alla “grandeur” e, proprio loro, furono avvolti dalla luce della gloria del Signore. Improvvisamente “un angelo del Signore si presentò davanti a loro”. Sublime mistero.

 Il miracolo si compie nelle più normali delle giornate. Mistero dei misteri. Secoli di profezie giungono a compimento in un giorno come tutti gli altri. In una notte come tutte le altre. In una notte uguale a quella del giorno precedente. Gli angeli di Dio (“la giustizia si affaccerà dal cielo”) si presentarono ai pastori in una notte come tante altre notti (“la verità germoglierà dalla terra” (Ps 84, 12).                 1992. 

 

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