L’INCARNZIONE
DEL VERBO
(esercitazioni
Pèguyane del 1992)
Paolo Cugini
L’Incarnazione del Verbo si è verificata nel più
naturale dei modi: è questo che è sconvolgente. IL Figlio di Dio ha assunto una
natura che è simile alla mia. Vive un tempo e in uno spazio come me. È
difficile riconoscerlo all’esterno perché non offre prove tangibili. Che cosa
vedono i pastori se non un bambino come tanti altri, come tutti gli altri? La
grazia è un’operazione interiore nascosta, che sfugge all’apparenza, alla
superficie. IL cristiano è l’uomo della profondità, del silenzio, del deserto
perché solo in questa situazione di spoliazione Dio si manifesta. Tutto deve
essere fatto nel segreto perché bisogna cercare di amare con tutto se stessi un
solo Dio. Tentazione di apparire santi con dei sotterfugi, con delle tecniche,
con delle violenze. Dio ci vuole santi, “Siate vuoi dunque perfetti come è
perfetto il Padre nostro celeste” (Mt 5, 48).
Questa
santità non passa per le strade dell’evidenza, dell’apparenza. Tentazione
meschina di voler essere apprezzato dagli uomini, e così trasformare in
movimento lento, interiore del cuore in una maschera superficiale. Aspettare la
forza dello Spirito in silenzio, nel nascondimento, vincendo la tentazione di
voler mostrare al mondo la falsa santità, perché se l’essere cristiano è solo
una facciata per far vedere quanto siamo bravi, è spazzatura perché alimenta l’orgoglio.
C’è un solo Signore.
Il
Verbo si è Incarnato. Si è sottomesso alla natura umana. Ha accettato la
condizione umana. Ha obbedito ai suoi genitori. Nel nascondimento. Nella
condizione normale di ogni essere umano che vive in una famiglia. Gesù fino a
trent’anni ha vissuto come vive ogni uomo, come vivo io. E in questa condizione
ha imparato la volontà del Padre. Ha appreso che cosa il Padre gli chiedeva. Ha
capito che il Padre esigeva da Lui, il suo unico Figlio, il suo vero Figlio il
suo primo Figlio, di una lunga generazione di figli qualcosa di particolare, che
nessun altro avrebbe potuto fare. Che tutta l’umanità era in attesa da secoli.
E Lui non avrebbe mai voluto deludere suo Padre. E Lui il figlio ricolmo
d’amore verso il Padre non avrebbe mai voluto deluder l’immenso amore del
Padre. In nessuno modo. Per nessuno motivo.
Si
trattava di svolgere un compito. Una missione. Si trattava di obbedire al
volere del Padre. E Gesù, il Figlio, non aspettava altro. E Gesù, il Figlio,
sin dall’eternità non aspettava altro che rispondere all’amore del Padre. E
Gesù, il Figlio dilettissimo era quasi impaziente, viveva quasi
nell’impazienza, non vedeva l’ora di eseguire la volontà del Padre. Perché lo
amava. E l’amore non può che domarsi. Senza sosta. Senza nulla risparmiare. E
Lui, il Figlio, non vedeva l’ora di donarsi tutto al Padre. Per amore. Fino
alla morte. E il Padre lo ha accontentato. Et verbum factum est. E il
Figlio è nato.
“La verità germoglierà dalla terra e la
giustizia si affaccerà dal cielo” (Ps 84, 12). La verità si è resa
presenza, si è materializzata. C’è uno sguardo orizzontale che la può vedere,
descrivere, analizzare. I pastori che nella notte, in quella stupenda notte, in
quella indimenticabile notte, sono accorsi alla grotta, hanno visto un bambino,
come tanti. Hanno visto un bambino che era uguale a tutti gli altri bambini.
Hanno visto un bambino che piangeva come gli altri bambini. Che si nutriva come
gli altri bambini. Che rideva come gli altri bambini. Ma era il Figlio di Dio. Atteso
dall’eternità. Era quel Figlio di Dio che era stato annunciato dai profeti. Da
una schiera di profeti. E in quella notte, in quella indimenticabile notte era
là. Bambino come tutti i bambini. E i pastori adoravano un bambino. Che non era
diverso dagli altri bambini. “La verità germoglierà dalla terra”.
I
pastori si prostrarono a quel bambino che era il Figlio di Dio. “La
giustizia si affaccerà dal cielo”: I pastori avevano riconosciuto in quel
bambino dalle fattezze simili a qualsiasi altro bambino, il Figlio di Dio,
colui che doveva venire. Riconobbero il Figlio di Dio. “C’erano in quella
regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardi al loro gregge.”
Era una sera come le altre. Il cielo della Giudea era stellato come tante altre
notti. I pastori si apprestavano a caricarsi dopo la giornata di lavoro passata
nella terra di Betlemme. Il caldo per tutto il giorno li aveva assillati
costringendo le pecore stesse a sotterfugi inusitati per potersi riparare dai
raggi del sole. Ebbene, la sera era giunta; i pastori intorno al focolare si
raccontavano qualche storiella, per passarsela un po’ il tempo. E intanto, fra
una chiacchiera e l’altra, facevano la guardia al loro gregge. Come tante sere.
Come tutte le sere. E qualcuno, a turno, s’addormentava. Sempre, però c’era chi
vegliava. Non si poteva lasciare il gregge incustodito. Occorreva vegliare. A
turno. Uno alla volta. Uno o due alla volta. Così tra una chiacchiera e l’altra,
accanto al fuoco acceso passava il tempo. Mai avrebbero sospettato che quella
era una notte particolare. Uguale alle altre ma, allo stesso tempo particolare.
Uguale alle altre, a tutte le altre innumerevoli notti, ma con un carico di
presente in più. Una notte come tutte le altre, ma molto più pesante. C’era un
carico di profezie che stava arrivando a compimento. In quella notte. C’erano
secoli di profezie che stavano rovesciandosi in un punto di presente che si
trovava nelle vicinanze di quella notte. Notte uguale a tutte le altre notti
passate a badare il gregge, ma allo stesso tempo diversa. Perché c’era
nell’aria un rumore strano, come se qualcosa stesse arrivando da lontano e si
stesse rovesciando. Improvvisamente. Bruscamente. C’era nell’aria un brusio che
sembrava venire da lontano. E i pastori avrebbero voluto dirselo. I pastori
avrebbero voluto dire che c’era un brusio, ma non lo fecero. I pastori si erano
accorti che quella notte, uguale a tante notti, a tutte le notti, aveva
qualcosa di diverso ma non lo dissero, lasciarono perdere, tanto sarebbe giunto
il giorno. I pastori, in realtà, si erano accorti che quella notte aveva
qualcosa di particolare. I pastori: questi uomini del silenzio abituati al
silenzio. Che cosa potrebbe a loro sfuggire? “Un angelo del Signore si
presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono
presi da grande spavento, ma l’angelo del Signore disse loro: “non temete ecco
vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella
città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 9-11).
Sublime mistero! Il tempo d’ora innanzi non
sarà più lo stesso. Sublime mistero di un tempo sconvolto dall’irruenza
dell’eterno. Nel tempo - dall’infinito nel finito. Dallo spirito nella carne.
Poveri pastori così silenziosi, così schivi al rumore. A loro è toccata
l’irruenza, quasi prepotente, dell’ineffabile messaggio angelico. Pastori
silenziosi. Erano intenti a sorvegliare il gregge in una notte come tutte le
altre notti. E all’improvviso l’angelo del Signore si presentò davanti a loro.
È vero che un po’ se n’erano accorti. Quei furboni dei pastori. Così
silenziosi, così notturni. Quei pastori. Così simili alle loro pecore tutte
uguali. Così simili alle loro notti. Tutte uguali. A loro è toccato di
assistere all’irruenza dell’Eternità. Nel tempo. Nel presente. In un’ora. In un
istante. Da tempo atteso. Da secoli annunciato. Quei pastori che facevano la
guardia al gregge furono avvolti di luce. La luce della gloria del Signore.
Quei pastori così schivi non erano abituati alla “grandeur” e, proprio
loro, furono avvolti dalla luce della gloria del Signore. Improvvisamente “un
angelo del Signore si presentò davanti a loro”. Sublime mistero.
Il miracolo si compie nelle più normali delle
giornate. Mistero dei misteri. Secoli di profezie giungono a compimento in un
giorno come tutti gli altri. In una notte come tutte le altre. In una notte
uguale a quella del giorno precedente. Gli angeli di Dio (“la giustizia si
affaccerà dal cielo”) si presentarono ai pastori in una notte come tante
altre notti (“la verità germoglierà dalla terra” (Ps 84, 12). 1992.
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