giovedì 27 ottobre 2022

Per un cristianesimo postcristiano. Guardando avanti

 



Paolo Cugini

 

Forse ha ragione Collin quando dice che il cristianesimo non esiste ancora[1]. Lo prendiamo come un auspicio e come l’indicazione di un camino, come per dire che, chi desidera vivere, sperimentare la proposta cristiana, deve andare nella direzione opposta di quello che era stato indicato nella cristianità, senza nostalgia del passato, ma guardando avanti con fiducia. In questo ultimo paragrafo, dopo aver analizzato alcune teorie che presentano uno sguardo nostalgico al tempo che fu e che non è più, cercheremo di abbozzare qualche linea di sviluppo nel futuro postcristiano.

A questo punto del discorso è importante fare una precisazione. La fine della metafisica non significa fine della religione, ma la fine di quella forma religiosa che ha utilizzato la metafisica per sistematizzare il proprio pensiero. La fine della metafisica più che essere la fine della religione, dunque, apre il cammino per nuove ed interessanti novità. Di seguito offro alcune brevi indicazioni che, senza dubbio, avranno bisogno di un approfondimento, ma che in ogni modo desiderano offrire un contributo al dibattito sul futuro del cristianesimo. Provo, quindi, ad indicare alcune piste di sviluppo che, a mio avviso, sono già in atto.

La prima di queste è la possibilità di un cristianesimo non istituzionale. Si potrebbe pensare che il protestantesimo abbia già percorso questo cammino e che, di conseguenza, non c’è nulla di nuovo nella proposta. In realtà sappiamo che le cose non sono proprio così. Se, infatti, è vero che all’inizio il protestantesimo ha preso le distanze dalle forme istituzionali della religione, il suo sviluppo storico lo ha riposato nell’alveo dell’istituzionalizzazione. Non è facile pensare e strutturare un’intuizione nuova. Non basta infatti l’intuizione, occorre anche un contesto che ne permetta la realizzazione. Quando Lutero ha iniziato la sua riforma, la cultura moderna stava mettendo le radici sul cammino tracciato dell’umanesimo e stava influenzando tutti i settori della società, compresa la religione. Gli sviluppi della teologia moderna per mantenere un dialogo con il mondo culturale circostante, prende come punto di riferimento il metodo scientifico. Che cosa significa, allora, un’impostazione non-istituzionale del cristianesimo? Come si dovrebbe configurare? Significherebbe un ritorno alle origini o, per lo meno, riprendere un cammino lasciato in sospeso. Il postcristianesimo apre la possibilità non per restaurare la cristianità, come vorrebbero, con sfumature diverse, Cuchet, Delsol e Dreher, ma per riprendere il cammino interrotto proprio dalla cristianità, non per riprodurlo, ma per prendere ispirazione dalle origini. Abbandonare i luoghi di culto istituzionalizzati, che diventano sempre più vuoti, per ritrovarsi a leggere la Parola di Dio in piccole comunità domestiche, in un movimento che si sviluppa dal basso, senza la necessità di un riferimento istituzionale, che spesso diviene la causa della lentezza del cammino delle comunità: è questo un primo sviluppo.

Possibilità di creare comunità in cui il principio di uguaglianza non è un’utopia, ma il clima naturale del cammino. Se l’istituzione controlla i contenuti e le modalità del cammino, la libertà in un percorso di base non istituzionalizzato metterebbe le basi per un’esperienza comunitaria in cui i membri hanno gli stessi diritti e doveri, compreso quello della presidenza nella celebrazione. In fin dei conti, il controllo delle relazioni in una cultura patriarcale diviene oppressivo ed esclusivo come forma per controllare il potere. La cristianità si è lasciata modellare dalla cultura patriarcale perché, sin dal suo sorgere, ha avuto pretese di potere. Al contrario, in una comunità alla quale non interessa alcun potere, ma solo ed esclusivamente il benessere delle persone, l’uguaglianza dei membri diviene un’esigenza implicita. In questa prospettiva, la comunità cristiana che verrà sarà come un punto di riferimento sicuro nel quale tutti potranno sentirsi parte, senza alcun tipo di esclusione. Comunità di questo tipo, modellate dallo stile del Vangelo, potranno divenire cammini costanti di umanizzazione, luoghi di accoglienza, di fraternità e di sororità.

La comunità che si struttura nell’epoca postcristiana, proprio perché non è istituzione, non ha bisogno di leaders, di guide. Tutti possono celebrare e tutti possono guidare la comunità, perché la prospettiva non è più piramidale, ma circolare. È tutta la comunità che diventa celebrante, anche perché il numero di componenti sarà esiguo e non ci sarà bisogno di un responsabile istituito. Saranno i membri della comunità a decidere come distribuire i compiti per il funzionamento della vita comunitaria. Relazioni ugualitarie, che generano anche l’esigenza che tra i membri non ci siano disuguaglianze sociali. In questo modo, si comprende bene che lo stile del vangelo esige un cammino in cui le relazioni siano guidate dalla ricerca costante dell’uguaglianza tra i membri, senza alcun tipo di discriminazione culturale e sociale. Il Regno di Dio annunciato da Gesù trova nel nuovo contesto culturale postcristiano una maggior possibilità di realizzazione, anche perché la post cristianità nasce sulle macerie dell’impostazione moderna della cristianità. Lo stile coercitivo tipico della modernità lascia necessariamente lo spazio ad uno stile dialogico e democratico.

Una caratteristica che ha segnato negativamente e in profondità la cristianità occidentale è stata il suo intreccio con il potere politico ed economico, spesso divenuto motivo di scandalo. La Chiesa come potenza del mondo ha tenuto lontano dai propri spazi coloro che invece avrebbero dovuti essere accolti. Le classi più povere della società, non solo non si sono sentite accolte dalla Chiesa, se non in alcune esperienze spesso ostacolate dall’istituzione ecclesiale[2], ma sono state prese di mira, penalizzate con tassazioni al limite della sopportazione.  Non solo, ma la rigidità dei suoi dogmi ha creato, di conseguenza, un numero significativo di persone escluse dalla comunità. Divorziati, separati, omosessuali, lesbiche transessuali: c’è tutto un mondo che si sente rifiutato da quella istituzione che avrebbe dovuto esprimere il segno tangibile dell’umanità accogliente di Gesù. Nell’epoca postcristiana che stiamo iniziando a vivere, ci sarà la possibilità d’impostare comunità che s’ispirano al Vangelo e che potranno proporsi come una vera e propria società alternativa alle logiche del denaro e a tutte le logiche di oppressione.

Un'altra caratteristica del cammino ecclesiale postcristiano è che è contaminabile. Se le strutture rigide, i sistemi onnicomprensivi che avevano la pretesa e, soprattutto, la presunzione di spiegare tutto, di dar ragione di ogni aspetto del reale, sono state tra le caratteristiche più significative della modernità e della cristianità moderna, nell’epoca postcristiana che sta facendo i primi passi, la cultura è fluida e, quindi, contaminabile. Mentre la caratteristica di una struttura rigida è quella di proteggersi dalle possibili contaminazioni che possono mettere in pericolo il sistema, in una cultura post moderna che è, allo stesso tempo, post-sistemica la fluidità consente ed esige la possibilità delle contaminazioni conoscitive. Trasportare queste intuizioni in campo teologico significa riconoscere la presenza dello Spirito Santo in ogni cultura e riconoscere che lo Spirito è già presente in tutto. Di questo dato teologico c’era conoscenza anche nell’epoca moderna, ma non si riusciva a viverla in pienezza a causa della rigidità della mentalità sistemica. La contaminazione in ecclesiologia, è un aspetto dell’inculturazione, che implica un atteggiamento di ascolto della cultura altra. Le comunità che si svilupperanno nella post cristianità saranno contaminate, perché non avranno più il problema di difendersi, di proteggere un’ortodossia. Inoltre, saranno contaminate perché riterranno i contenuti provenienti dall’esterno come una possibilità di arricchimento, di scambio e, di conseguenza di crescita e non una minaccia.

Il cambiamento non avverrà da un giorno all’altro: richiederà tempo. In ogni modo, il dato certo è che il cambiamento è in atto e la struttura moderna della cultura occidentale è ormai parte del passato. Siamo, quindi, in una specie di zona di mezzo, in cui non ci sono punti di riferimento e questo stato genera inquietudine, insicurezza, desiderio di attaccarsi ai ricordi del passato. Avere lo sguardo rivolto al futuro dove il Cristo vittorioso sulla morte si trova, significa fidarsi di Lui, della sua Parola, del suo Vangelo, di quello che sta operando in mezzo a noi. Mai come in questa epoca di passaggio verso il postcristianesimo, il mondo ha bisogno di comunità alternative, che sperimentano ogni giorno la bontà della proposta del Signore risorto.



[1] COLLIN, D. Il cristianesimo non esiste ancora. Brescia: Queriniana, 2020.

[2] Cfr. i movimenti pauperistici, ma anche le esperienze dei catari e dei valdesi.

martedì 25 ottobre 2022

L’opzione Benedetto di Rod Dreher

 

Rod Dreher



 

Paolo Cugini

Non sono molte le proposte religiose che sanno offrire uno sguardo rivolto al futuro sul passaggio epocale che stiamo vivendo e che stiamo analizzando. La maggior parte delle analisi sulla post cristianità, oltre ad indicare le cause e l’origine del cambiamento in atto, fanno fatica ad elaborare una proposta nuova. C’è, dunque, una tendenza all’analisi negativa e, soprattutto a guardare al passato con nostalgia. Non mancano, poi, i tentativi di restaurazione di ciò che c’era e che ora non esiste più, tentativi a volter parziali, ma sintomo di quella confusione generale che non riesce a scrollarsi di dosso e il passato e che, per questo, non sa cogliere le opportunità che il cambiamento in atto porta con sé. Una di queste proposte religiose che guardano al passato è quella dello scrittore americano Rod Dreher, autore del libro: L’opzione Benedetto[1].

La tesi di fondo dell’opera di Dreher è che in un mondo come il nostro, molto simile a quello che vide la fine dell’Impero Romano, è necessario fare come Benedetto da Norcia, separarsi dall’impero per poter ritrovare e conservare le proprie origini, radici e identità. Non si tratta della fine del mondo, ma della fine di un mondo, sta finendo un certo tipo di cristianità, quella europea occidentale. La proposta di Dreher non è una fuga dal mondo, una separazione radicale, com’era avvenuto nei primi secoli del cristianesimo, ma d’imparare a stare nel mondo senza farsi condizionare.  L’autore approfondisce le radici filosofiche e teologiche che hanno portato alla frammentazione della nostra società. Nello stesso tempo definisce le virtù cristiane presenti nella regola di San Benedetto un manuale monastico che ha preservato la cultura cristiana nel corso di molti secoli e possono aiutare oggi molti credenti. Secondo Dreher l’Occidente moderno vive come se Dio non esistesse. La nostra società alla deriva si definisce per lo scoppio, la paura e la perdita dei punti di riferimento. La scomparsa della cultura cristiana è una grande perdita per il mondo:

Da quando la modernità ci ha fatto perdere la religione cristiana, abbiamo perso la sola cosa che ci univa, che ci legava ai nostri vicini, che ci ancorava alla fede nell’ordine eterno e nell’ordine temporale… Abbiamo perso il nostro cammino[2].

Si tratta, allora, di riscoprire il passato. I moderni pensano che i modi di servire Dio trasmessi dai predecessori rappresentavano un freno all’autenticità. Al contrario, dovremmo apprendere come lodare Dio in modo da adottare uno stato di spirito veramente cristiano. L’autore cita il teologo riformato Hans Boersma secondo il quale la perdita del sacramentale è la prima causa della rovina della Chiesa moderna. Senza partecipazione all’eterno, cioè senza la coscienza che il mondo materiale e il tempo sono profondamente radicati nell’Essere di Dio, allora la Chiesa è incapace di resistere alle correnti della società liquide. Guardando ai monaci benedettini l’autore non fa altro che riproporre i classici temi della spiritualità cristiana: “La loro tradizione insegna come obbedire alla Parola di Dio e lasciarsi portare dallo Spirito Santo e soprattutto li libera dal fardello che pesa su coloro che devono costantemente adattarsi al cambiamento”.



Come si concretizza la proposta di Dreher nel riproporre l’opzione di san Benedetto? Nella seconda parte il libro analizza lo stile di vita cristiano che è presente nella Regola e che può essere adattato alla vita dei laici cristiani moderni di tutte le chiese e confessioni. Secondo l’autore la Regola di San Benedetto offre soluzioni sul modo di porsi di fronte alla politica, alla fede, all’istruzione e al lavoro. Anzitutto, è una proposta che tiene conto di tutti gli aspetti della vita sociale delle persone e che, di conseguenza, coinvolge il vissuto quotidiano che va dalla famiglia, agli amici, la comunità e ogni tipo di attività. Il principio di fondo della proposta dio Dreher è che coloro che s’identificano con la proposta cristiana devono organizzarsi in modo tale da proteggere i propri valori specifici dal contagio negativo del mondo. Interessante, in questa prospettiva, è il capitolo quinti in cui l’autore configura in modo dettagliato quello che dovrebbe essere e incarnare l’ideale di un villaggio cristiano conforme all’opzione Benedetto.

La sorte della religione è strettamente legata a quella della famiglia e, quella della famiglia, a quella della comunità. Il focolare dev’essere come un monastero, interamente rivolto verso Dio. Le famiglie cristiane amano credere di mettere Dio al primo posto, quando in realtà questo è molto raro. I genitori posso considerarsi come l’abate o la badessa del loro piccolo monastero e creare una vita di famiglia che incoraggi ogni membro a conoscere e servire Dio prima di ogni cosa[3].

Valorizzare la famiglia significa anche, secondo l’autore, recuperare la priorità alla parrocchia e ciò comporta ritirare i figli da un corso di sport che organizza delle partite all’ora della messa. Ancora più importante è che i bambini devono vedere i loro genitori a fare la stessa cosa. I monasteri mantengono lontano dalle pareti ciò che può nuocere alla loro ragione d’essere. Secondo Dreher, nelle scelte quotidiane delle famiglie cristiane non si deve aver paura di far sapere agli altri i fondamenti del proprio credo: non si deve aver vergogna di mostrare efficacemente la propria diversità che deriva dall’adesione al cristianesimo. Tutto ciò non è snobismo; semplicemente far prendere coscienza ai bambini che in questa famiglia, che ci sono certe cose che non si fanno e che è molto positivo così. Per questo occorre fare in modo di assicurarsi che i propri figli abbiano un buon gruppo di amici, che condividono gli stessi valori morali. Occorre, allora, vivere in prossimità dei membri della comunità, per fare in modo di creare legami con coloro che sono in sintonia di pensiero e, così, creare una protezione nei confronti del mondo liquido.

La Chiesa è allo stesso tempo un’arca e una sorgente, e dobbiamo tener conto di queste due realtà. Dio ci ha donato l’arca della Chiesa per aiutarci a prevenire nell’annegamento delle onde furiose della tempesta, ma ci ha donato anche la sorgente della Chiesa perché ci siamo immersi in un annegamento simbolico, al fine di rinascere a vita nuova, nutriti dal torrente della sua grazia[4].

Se non si cambia strada c’è il rischio di far scomparire i vestigi della fede cristiana, della sua civiltà. Per rendere testimonianza, i cristiani dell’era post-cristiana dovranno semplicemente essere la Chiesa, con tutta l’intensità e la creatività possibile. Per questo, occorre riproporre la liturgia, perché ci ricorda che il cristianesimo non è una filosofia, ma un modo di vita che ingloba tutto… La liturgia non si accontenta di trasmettere un’informazione a proposito di Dio: essa forma la nostra immaginazione e il nostro cuore. L’analisi di Dreher non è nuova. Richiama, infatti, alla memoria le analisi che negli anni Ottanta del secolo scorso  lo studioso inglese MacIntyre aveva proposto quando parlava di un mondo che si stava definendo senza tener conto del percorso morale Occidentale al punto da condurre l’autore a parlare di: dopo le virtù: “L’occidente ha abbandonato la ragione e la tradizione delle virtù, consegnandosi al relativismo che sta dilagando nel mondo di oggi” In una società post-virtuosa gli individui detengono la massima libertà di pensiero e d’azione, e la società stessa diventa un assembramento di estranei, ciascuno che persegue i propri interessi sottoposto a vincoli minimi.  Si raggiunge questa situazione quando si abbandonano le norme morali oggettive, quando si rifiuta qualsiasi narrazione religiosa e culturale, quando si rifiuta la memoria del passato. Dreher suggerisce ai lettori la vita ordinata della regola di san Benedetto per resistere al disordine del mondo moderno. Dreher ci tiene a precisare che nell’opzione benedetto non stiamo cercando di annullare sette secoli di storia, come se un’operazione simile fosse possibile. Né stiamo tentando di salvare l’Occidente. Stiamo solamente provando a costruire uno stile di vita cristiano che si erga come un’isola di santità e di stabilità in mezzo all’alta marea della modernità liquida. Occorre che i cristiani interiorizzino cosa davvero significhi porsi in posizione di minoranza. Cominciare a pensare in questi termini è davvero decisivo. “Se non lo faremo, continueremo ad operare in base a regole del gioco che hanno pochissimo a che fare con la partita che si sta effettivamente giocando”.

 Nelle parole di Dreher si percepisce la visione del mondo in toni fortemente negativi e pessimistici, un mondo dal quale ci si deve solo proteggere. Las post cristianità non è vista come possibilità per ripensare qualcosa di nuova anche in termini di fede, ma come minaccia.

 



[1] DREHER, R. Comment être chrétien dans un monde qui ne l’est plus. Le Pari Bénédictin. Paris : Artège, 2017.

[2]Ivi, p. 86.

[3] Ivi, p. 184.

[4] Ivi, p. 344.

venerdì 14 ottobre 2022

IL CREDO DELLE DONNE-BRESCIA 30 NOVEMBRE

 



Si tratta della presentazione del libro curato dalle Edizioni San Lorenzo sulla prima parte del percorso che ho proposto alle quattro parrocchie nelle quali svolgo il servizio pastorale, sugli articoli del credo analizzati da bibliste e teologhe. 

L'idea del progetto consiste nel tentare nella pastorale ordinaria, di scardinare la struttura patriarcale della Chiesa creando spazi affinché le donne possano esprimere il loro punto di vista, troppo spesso soffocato dall'arroganza clericale. 

L'evento è organizzato da MISSIONEOGGI, rivista missionaria di Brescia e sarà fatta in forma di seminario di studio con la presenza di due delle tre autrici del volume - Selene Zorzi e Soave Buscemi - da me che sono il curatore del volume, dall'esperta di catechesi Eliana Zanoletti e dal direttore della rivista padre Mario Menin.

CICLO DI INCONTRI SU FEDE E OMOSESSUALITA’ GENNAIO 2023

 



ASSOCIAZIONE PALATA E DINTORNI                            

In collaborazione con

ASSOCIAZIONE LA TENDA DI GIONATA      

 

ORGANIZZANO


 

CICLO DI INCONTRI SU FEDE E OMOSESSUALITA’

GENNAIO 2023 

 

1.     CHE COSA DICE LA BIBBIA? Con don Gianluca Carrega (biblista di Torino)

Venerdì 13 gennaio 2023 ore 21 in meet

 

2.     CHE COSA DICE LA CHIESA? (magistero e teologia) con don Paolo Cugini (direttivo Tenda di Gionata)

Venerdì 20 gennaio 2023 ore 21 in teatro di Dodici Morelli

 

3.     CHE COSA DICONO LORO, LESBICHE E OMOSESUALI E I LORO GENITORI? (con Luca, Beatrice e Giampiero)

Venerdì 27 gennaio 2023 alle 21 in teatro a Dodici Morelli

 

Obiettivo del percorso: fornire un materiale di qualità affinché le persone che frequentano le nostre comunità possano avere strumenti per comprendere meglio il problema della relazione tra fede e omosessualità.

 

Un breve corso per saperne un po' di più

 

Il progetto che proponiamo nasce dall’idea, maturata in alcune parrocchie, di approfondire il tema fede e omosessualità da quei punti di vista che possono aiutare a comprendere meglio la tematica. Abbiamo, inoltre, cercato di elaborare un percorso breve ma, allo stesso tempo in grado di fornire contenuti di qualità. Il percorso si snoda sulle risposte a tre domande: che cosa dice la Bibbia, che cosa die la Chiesa e che cosa dicono loro, vale a dire, i diretti interessati: lesbiche, omosessuali e loro genitori. Per la prima risposta sfoglieremo quei passi della Bibbia che toccano il tema omosessualità e cercheremo di analizzarli tenendo conto gli studi più avanzati dell’esegesi biblica. Nel secondo, partiremo dalle pagine del Magistero della Chiesa proponendone una lettura critica alla luce del cammino della teologia attuale, per cogliere gli snodi problematici e le possibili soluzioni che vengono presentate. Infine, daremo al parola ai diretti interessati per ascoltare da loro come vivono il cammino di fede nella comunità cristiana.

La proposta è stata analizzata dall’équipe formativa della Tenda di Gionata e ha avuto il parere positivo del direttivo che ha deciso di sostenerla e divulgarla. Ciò significa che la parrocchia, gruppo scout, o qualsiasi tipo di associazione o movimento che volesse richiedere il breve percorso proposto, può entrare in contatto con l’équipe formativa della Tenda di Gionata che, insieme, provvederà a costruire il progetto tenendo conto del contesto.

Paolo Spina: ‪paolospina86@yahoo.it

Paolo Cugini: sempreprese@gmail.com  

 

mercoledì 12 ottobre 2022

COME ANNUNCIARE IL VANGELO?

 




 

Paolo Cugini

 

Is 42, 1-7: esiste un modo, una modalità che è inconfondibile per annunciare il Regno di Dio e questa modalità la trovo non solo in Gesù Cristo, ma anche in tutti colore che prima di Lui lo hanno profetizzato con le parole e la vita. Ciò significa che il Regno di Dio non può essere annunciato in qualsiasi modo e da Chiunque. Occorre essere preparati da Dio. Infatti, annuncia il Regno colui nel quale Dio pose lo Spirito. C’è una scelta da pare di Dio ed è una scelta misteriosa e per certi aspetti inquietanti. In altre parole non sono io, non è l’uomo che decide di essere ministro per annunciare il Regno: è Dio che decide, perché è solo Lui che pone lo Spirito e lo pone su colui “nel quale si compiace la mia anima”. Non posso annunciare il Regno di Dio se prima non percepisco questa elezione di Dio, questa scelta che Lui ha fatto su di me. Questo aspetto è fondamentale. Di fatto, se dipendesse da me, dalla mia volontà l’annuncio del Regno di Dio dipenderebbe dalle mie qualità, dalla mia soggettività. E invece no: dipende da una scelta di Dio e di conseguenza da una mia risposta che ogni giorno devo rinnovare in un ascolto che deve diventare sempre più attento e profondo.

E poi c’è il modo dell’annuncio del Regno che solamente chi è posseduto dallo Spirito di Dio può esprimere, solamente chi si lascia modellare da questo Spirito può vivere. Ed è il modo di Gesù che andava di paese in paese, di strada in strada annunciando il Regno senza gridare, senza spezzare la canna incrinata o spegnere il lumicino. Che cosa significa questo? Che se c’è umanità la cui fede è in pericolo, chi possiede lo Spirito di Gesù si mette in cammino delicatamente perché quell’umanità non si spezzi, quell’anima non si perda, quella fede non si spenga. C’è un amore per l’altro, un’attenzione per l’altro che diventa fratello e sorella, un amore che non è nient’altro il frutto dello Spirito Santo che ho ricevuto e sto ricevendo. Un amore che diventa delicatezza, attenzione all’umanità del fratello, alla sua storia, al suo cammino, un’attenzione che si trasforma in solidarietà, bontà, misericordia.

E poi colui che riceve lo Spirito di Dio e si lascia plasmare e guidare da questo Spirito non si disanima e non si lascia abbattere da alcun ostacolo. È la perseveranza; è il Segno che davvero nella mia vita non sono le mie forze che contano, la mia intelligenza, la mia volontà: è lo Spirito Santo di Dio che sta […]. La perseveranza è allora il Segno più evidente di una fede plasmata dall’abbondanza e questa obbedienza il segno che il dialogo con Dio sta diventando maturo, autentico [dai diari-2002].

 

martedì 4 ottobre 2022

I PARROCCHIONI

 


 

Paolo Cugini

 

Una delle scelte che diverse diocesi stanno attuando per far fronte alla scarsità dei preti è quella di accorpare alcune parrocchie con uno o due preti alla guida. In questo modo si ritiene di garantire un minimo di organizzazione e, soprattutto, la messa domenicale. Per agevolare il lavoro pastorale queste nuove realtà pastorali stanno centralizzando alcuni momenti formativi e aggregativi. Incontri di giovani, catechesi, formazione per adulti vengono realizzati nella parrocchia più grande, lasciando le piccole parrocchie sguarnite di attività pastorali e garantite, al massimo, della messa domenicale. Questo modo di procedere è la conferma di quanto dicevamo poco sopra: il mondo, il contesto culturale cambia, ma il modello pastorale assolutamente no, viene riproposto su scala maggiore. La strategia pastorale delle unità pastorali, che poi si trasformano nei “parrocchioni”, rivela il modello ecclesiologico di fondo che identifica la parrocchia con il prete: dove c’è il prete, c’è la comunità. In questo modo, quello che sta avvenendo da varie parti, è la lenta scomparsa delle comunità parrocchiali più piccole, che vengono, per così dire, sacrificate in favore di quelle più grosse. Parrocchie con secoli di tradizione ecclesiale stanno seriamente rischiando di scomparire, anzi, alcune sono già scomparse. Eppure, basterebbe guardarsi intorno e confrontarsi con modelli ecclesiali messi in atto in zone del mondo in cui il cammino pastorale è sorto in un contesto segnato dalla scarsità del clero locale. America Latina, Asia e Africa sono già passati per questa situazione. Parlando di ciò che conosco, in Brasile le parrocchie sono organizzate come reti di comunità, in cui il parroco, oltre a visitare periodicamente le comunità per i sacramenti, anima i percorsi formativi per mettere i laici in grado di servire la comunità. Riportare questo modello nella nostra realtà, significherebbe dare più spazio ai laici e laiche, dare loro fiducia, affidando la celebrazione della Parola domenicale quando è necessario, la celebrazione di esequie, oltre ad altri servizi. È nella comunità e dai membri della comunità che dovrebbe avvenire la trasmissione della fede. Qui si giunge a toccare il cuore del problema. Se è vero, come la Chiesa sostiene sin dal primo secolo, che è l’eucarestia che fa la Chiesa, occorre una proposta che metta in condizione i fedeli di cibarsi dell’eucarestia. Se ci sono sempre meno preti, si potrebbe proporre, come del resto è già stato proposto durante il Sinodo per l’Amazzonia[1], di ordinare viri probati, persone stimate della comunità per poter garantire l’alimento eucaristico. Sappiamo com’è andata finire. In ogni modo, mentre aspettiamo che la Chiesa maturi questa proposta, si può prendere spunto dal cammino delle Comunità Ecclesiali di Base per garantire alla domenica una celebrazione della Parola con la distribuzione dell’eucarestia. In diversi luoghi questo modello è già attuato anche in Italia, anche se trova ancora notevoli resistenze.



[1] Questo è il passaggio del testo del Documento Finale in cui viene fatta la proposta: Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all'unità della Chiesa, ma la manifesta e ne è al servizio (cfr. LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo che, nel quadro di Lumen Gentium 26,  l’autorità competente stabilisca criteri e disposizioni per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato al fine di sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei Sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all'argomento (Documento Finale del Sinodo per l’Amazzonia, 111).