sabato 19 ottobre 2024

IL NOME DEL MISTERO

 




 

Paolo Cugini

Lo abbiamo sempre chiamato così: Dio. Sono secoli, millenni che il nome Dio risolve i problemi. Tutto ciò che non è possibile spiegare razionalmente o ragionevolmente può essere trasferito immediatamente alla parola Dio. Tutto ciò che di misterioso si è presentato nei secoli all’essere umano è stato risolto facendo appello a questa semplice parola: Dio. Quando gli eventi sono misteriosi, incomprensibili, difficili da spiegare, allora non ci resta altro che rifugiarci in Dio. Accade così anche oggi. Invochiamo Dio affinché ci aiuti in una determinata situazione della nostra vita divenuta complicata. Dio è un nome che se è vero, come vedremo, appartiene all’ambito religioso, ma è altrettanto vero che è sulla bocca di tante persone che non s’identificano con una specifica religione. È un aspetto così normale e spontaneo invocare il nome di Dio che, qualche filosofo, è arrivato a sostenere che è una idea innata, che troviamo dentro di noi al momento della nascita. Può darsi, anche, che a forza di pronunciare il nome di Dio da migliaia di anni, sia divenuto qualcosa di talmente presente alla nostra coscienza da renderlo reale.

Non c’è solamente, comunque, un’esperienza esterna di ciò che è misterioso che ci spinge a invocare Dio. Ci sono anche percorsi interiori dell’animo umano, che sperimenta la percezione di una realtà che non può essere classificata con i soliti criteri che mettiamo in atto nella vita quotidiana. Accade, per esempio, quando la malattia passa vicino a persone che amiamo e che ci spingono ad invocare quella forza che sembra essere capace di intervenire nella realtà modificandone l’orizzonte. Sono gli eventi estremi che ci spingono a pensare che esita una forza amica che può sistemare le cose, una forza nell’universo che ci conosce, sa cosa pensiamo e cosa sentiamo. Questa forza la chiamiamo Dio perché è il nome che abbiamo trovato nella nostra cultura e che viene utilizzato proprio in questi casi.

Il problema è che questo nome attraverso i secoli ha subito un tale rivestimento di significati da non riuscire più a coglierne l’essenza. Mi chiedo allora: è possibile dire Dio senza Dio? Sembra un gioco di parole, ma esprime una realtà molto profonda. È possibile provare a dire che cosa esprime il contenuto della parola dio mettendo da parte ciò che di Dio dicono le religioni?  C’è una forza nell’universo che, come tale, è immanente, cioè non è nel cielo così come l’hanno pensato gli antichi. Il cielo, di fatto, appartiene alla realtà immanente, perché fa parte dell’universo. è possibile dire Dio senza fare ricorso alla dimensione trascendente? Può sembrare blasfema una simile operazione anche perché da sempre Dio è stato pensato in questo modo: un essere trascendente che abita il cielo. Famose sono le parole di Aristotele che arriva a definire Dio come la causa di tutto, il motore immobile, che muove il mondo con la forza di attrazione. Un Dio, quello di Aristotele, così fuori dal mondo e dalla prospettiva immanente, da non poter pensare ciò che a lui è inferiore e da essere considerato come pensiero di pensiero. Interessante è notare che, proprio questa struttura filosofica, che è arrivata ad elaborare una concezione di Dio così mostruosa, è stata utilizzata dalla Chiesa cattolica per definire in modo sistematico i contenuti della propria esperienza di Dio: san Tommaso docet.

Ancora. È possibile dire Dio sganciandolo dalla prospettiva metafisica elaborata dalla filosofia greca? C’è un desiderio di liberazione, il desiderio, cioè, di liberare Dio dalla prigione dell’essere. Solo così, forse, è possibile iniziare una ricerca che riesca non tanto a dare un nome, ma un contenuto a quelle esperienze che possiamo definire spirituali, che vengono immediatamente associate ad una religione e, in questo modo, interpretata dai sistemi di concetti messi in atto da secoli. Per questo tipo di ricerca non ci si può affidare ai libri di teologia, ma a quelli di mistica e di spiritualità, anche se anche questi possono essere contaminati negativamente dalle scuole di pensiero teologico dell’epoca in cui sono stati scritti. E se andassimo da soli alla ricerca del senso di Dio? E se provassimo a liberarci in un colpo di tutti gli scaffali di libri che parlano di lui e provare a dire ciò che percepiamo con parole nostre, senza paura di essere giudicati? Solo a pensarci mi dà un brivido intellettuale spaventoso.

 

1 commento:

  1. Articolo provocatorio, direi. Non resisto dal commentarlo.
    Parto dal fatto che il Mistero ci supera e ogni paradigma - compreso quello scientifico - è limitato e limitante. Spesso e volentieri condizionato dal tempo stesso in cui è scritto. Ne facciamo esperienza tutti i giorni, quando con schemi rigidi o aspettative miopi, vediamo che la realtà ci supera: la realtà, espressione del Mistero, per fortuna, è più grande dell'idea.
    Ciò però non toglie che il Mistero 'parli' anche all'idea, alla ragione, al pensiero.. quindi non solo possa, ma debba essere avvicinato, senza mai ridurlo, a degli schemi interpretativi, che permettano anche alla psiche di intenderlo. Non è obbligatorio, ma può giovare, specie ai 'piccoli'. Credo ci sia una pedagogia in questo.
    In ultimo, condivido che il tomismo è obsoleto, come sistema filosofico onnicomprensivo.
    Grazie della riflessione!

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