giovedì 19 aprile 2018

PERCHÉ VEGLIARE PER LE VITTIME DELLA TRANS-OMOFOBIA?







VERSO LE VEGLIE DI PREGHIERA PER LE VITTIME DELL’OMOFOBIA E DI OGNI FORMA DI DISCRIMINAZIONE


Paolo Cugini



Come ricorda il PROGETO GIONATA, che è il portale di fede e omosessualità in Italia: “Le veglie per un mondo senza omotransfobia sono una consuetudine che si rinnova dal 2007, quando per la prima volta a Firenze alcuni omosessuali credenti decisero di pregare insieme a seguito di un tragico evento: Matteo, un giovane adolescente, si era tolto la vita a causa delle vessazioni dei compagni di scuola. Da allora in molte città italiane e in diverse città del mondo tanti cristiani di diversa provenienza si riuniscono ogni anno per pregare. Fare memoria delle tante vittime e dire basta alle discriminazioni”. Per il gruppo cristiani LGB di Reggio Emilia la veglia di preghiera è un momento significativo, che dice anche di un cammino di fede che stiamo realizzando. Per certi aspetti, è il momento che conclude il percorso annuale fatto di momenti di preghiera e altri di formazione.

 I gruppi tradizionalisti cattolici negano l’omofobia, affermando che è un problema che non esiste, inventato dai gruppi LGBT. Dispiace molto leggere o ascoltare simili affermazioni, che feriscono nel profondo le tante persone che ogni giorno subiscono ingiustizie a causa della loro differenza. Dispiace soprattutto, perché vengono da persone che ascoltano la stessa Parola e partecipano dello stesso banchetto eucaristico. Il negazionismo è una forma di idealismo, un voler affermare un’opinione e spacciarla come vera, indipendentemente dalla realtà delle cose. Il negazionismo è una forma di arroganza del pensiero, che non accetta di mettersi in discussione, nemmeno dall’evidenza della realtà. Non si accetta la realtà quando non si è disposti a cambiare, perché il cambiamento esige di riorganizzare le proprie impostazioni mentali. Il negazionismo, in questa prospettiva, è un’implicita affermazione di preferire vivere nella menzogna di una realtà inventata dalle proprie scelte di comodo, dettate da pregiudizi mai verificati, piuttosto che vivere nella verità suggerita dalla realtà. Negare l’evidenza della realtà che, in questo caso, ha la forma della sofferenza e dell’ingiustizia, significa non essere disposti a contribuire alla realizzazione del Regno dei Cieli, che è un regno di giustizia e di pace. Ogni volta che l’ingiustizia trova un varco, la pace si allontana dall’umanità.

Perché è importante vegliare per le vittime dell’omofobia e di ogni forma di discriminazione? Perché Gesù è sempre stato dalla parte degli ultimi, degli oppressi. E’ la pietra di scarto con la quale Dio ha costruito la nuova religione, il nuovo rapporto con Lui, non più basato sull’obbedienza di precetti, ma sull’amore che si dona gratuitamente. E, allora, non fa distinzione, non discrimina, ma accoglie e abbraccia tutti. E’ perché ci sentiamo avvolti da questo amore che non ce la facciamo a tacere e a rimanere inerti quando vediamo un nostro fratello, una nostra sorella discriminati per motivi sessuali, culturali, o altro. Vegliamo e preghiamo perché sappiamo che il Signore ascolta il grido dei poveri e non abbandona nella disperazione coloro che in un qualche modo si sentono afflitti. Vegliamo per le vittime dell’omofobia e di ogni forma di discriminazione perché desideriamo che la vita di Dio, manifestatasi nel Risorto, possa entrare in noi e ricreare dal di dentro quell’umanità nuova visibile nel Signore Gesù. Un’umanità nuova, fatta di fratelli e sorelle che vivono in comunione, e che si sforzano di riprodurre nella vita quotidiana lo stile di vita di Gesù, che andava verso tutti, che abbracciava e accoglieva tutti; che costruiva la pace seminando amore, costruendo ponti di giustizia, abbattendo i muri dell’odio e dell’indifferenza. Vegliamo insieme perché crediamo nella forza straordinaria della preghiera, soprattutto quando è fatta in comunità, quando è coinvolgente.

La verità vi farà liberi (Gv 8,32): è questo il versetto scelto come guida delle veglie 2018. Di che verità si tratta? Non certo della verità filosofica, ma di quella verità che è la persona Gesù Cristo, che ha imparato l’obbedienza dalle cose che patì (cfr. Eb 5,8). Gesù, uomo come noi, che è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato (Eb 4, 15). Si tratta, dunque di una verità impastata di terra, carne e sangue esattamente come noi: per questo ci possiamo fidare di Lui. Perché quello che ci consegna non sono dottrine, ma cammini; ciò che indica non sono teorie astratte, ma pezzi di vita vera, frutto della ricerca personale, ricerca fatta di sudore e fatica, come è ogni sforzo umano per uscire dalla mediocrità e superficialità della vita. Gesù ci ha consegnato e continua a consegnarci con il suo Spirito il coraggio di una vita impastata d’amore, di colui che ha amato i suoi sino alla fine. E’ questa verità fatta di sangue e di terra, plasmata dall’amore infinito di un uomo che non ha considerato un tesoro prezioso la sua uguaglianza con Dio, ma che l’ha donata per farsi simili a noi, per venirci incontro, che ci libera da ogni forma di presunzione arrogante, d’irrigidimento anacronistico. La Verità, che è l’amore di Gesù per noi, ci libera dall’odio per farci sentire tutti fratelli e sorelle, ci libera da ogni pregiudizio, per aprire le nostre menti e le nostre anime alla novità dell’altro che viene al nostro incontro e che incontriamo ogni giorno nel nostro cammino. Abbiamo bisogno della verità che è il Signore per essere persone diverse, non chiuse nei propri fragili pregiudizi, ma aperte, capaci di mettersi in discussione

Considero questa veglia di preghiera il punto più alto, in un certo senso il punto d’arrivo di quest’anno del cammino pastorale delle parrocchie dell’Unità Pastorale santa Maria degli Angeli di Reggio Emilia. Affermo questo perché la veglia esprime il desiderio della proposta ecclesiale di Papa Francesco, vale a dire una Chiesa inclusiva e accogliente. Una Chiesa in cui tutti, senza distinzione, si sentono accolti, trovano spazio, si sentono amati. “Vegliate e pregate per non cadere in tentazione” (Mt 26,40-41). Sono queste le parole che Gesù disse ai suoi discepoli nel Getsemani prima di morire. Di che tentazione si tratta? Della tentazione di chiudersi nelle proprie sicurezze, nella propria autoreferenzialità. Della tentazione di negare la realtà, che dice della fatica di cambiare, di mettersi in ascolto. Vegliamo, allora, per essere disponibili a creare quel mondo in cui tutti e tutte si sentono accolte, quel modo d’amore per il quale Gesù è morto sulla croce.



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