martedì 29 settembre 2020

Incontriamoci on line al Forum dei Cristiani LGBT 2020

 



Ecco il programma del Forum dei cristiani LGBT on line 2020 (2 – 4 ottobre 2020) che ha subito un ampliamento rispetto a quanto comunicato in precedenza in quanto venerdì 2 ottobre avremo come ospite don Luigi Ciotti, presbitero e fondatore del gruppo Abele e dell’associazione Libera.

 

Questa sesta edizione, complice il fatto che sarà esclusivamente on line, sarà anche un’occasione per i Cristiani LGBT, per i loro genitori e gli operatori pastorali che li accompagnano per mettersi in “In cammino verso una Chiesa inclusiva… Da ogni tribù popolo lingua e nazione” (Ap 5,9), che è l’invito intorno a cui ruoterà tutta questa edizione.

La tre giorni on line del Forum dei Cristiani LGBT 2020 sarà scandita da tanti momenti diversi per incontrarsi, conoscersi e dialogare insieme.

Per chi vuole iscriversi gratuitamente e ricevere il programma per partecipare, a una parte o a tutti gli incontri previsti , deve compilare il modulo on line cliccando qui

Da ogni tribù popolo lingua e nazione” (Ap 5,9) arriverete, siete i benvenuti per fare un pezzo di strada insieme al Forum 2020. Vi aspettiamo.

 

 

Programma definitivo VI Forum Italiano dei cristiani LGBT, i loro familiari e gli operatori pastorali.

 

VENERDÌ 2 OTTOBRE

Sera – ore 21.00-22.30

Conferenza: Una pastorale inclusiva per i cristiani LGBT “uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” Ap 5,9
Relatori: Don Luigi Ciotti dialoga con Gianni Geraci

 

SABATO 3 OTTOBRE

Pomeriggio – Ore 16.50-19.00
Focus pastorale a due: Chiesa e Inclusione
Relatori: padre Alberto Maggi e Suor Anna Maria Vitagliani

Sera – Ore 21.00 – 22.30

Veglia a cura del Progetto Giovani Cristiani LGBT. “Il Signore, tuo Dio, è stato con te in questi quarant’anni” Dt 2,7

DOMENICA 4 OTTOBRE

Mattina – ore 10.00 – 12.00
Conferenza: Il Cammino dei Cristiani LGBT in Italia. Riflessione sui quarant’anni di storia del movimento dei credenti LGBT

Pomeriggio – ore 18.00-20.00

Conferenza: Approfondimento biblico al femminile. Relatrici: prof.ssa Silvia Zanconato e pastora Daniela di Carlo

 

Comitato Forum dei Cristiani LGBT

Sito Web: https://forumcristianilgbt.wordpress.com/

Facebook: https://www.facebook.com/ForumCristianiLgbt

Email: forumcristianilgbt@gmail.com

 


 Questo è  il link per accedere alla piattaforma informatica sulla quale si terrà il Forum italiano dei cristiani LGBT 2020.

https://us02web.zoom.us/j/5678065258

La piattaforma di collegamento scelta per il collegamento è Zoom Meetings, strumento che in molti già hanno utilizzato, disponibile per tutte i dispositivi Android, Windows ed iOS, scaricabile gratuitamente o utilizzabile anche come servizio online sul browser Chrome. In allegato le istruzioni di base per l'installazione e la registrazione al primo utilizzo.

Raccomandiamo di scaricare l'applicazione nei giorni prossimi in modo da non avere all'ultimo difficoltà tecniche che possano impedire la partecipazione.

 

I partecipanti sono invitati a collegarsi secondo il calendario almeno 10-15 minuti prima dell'inizio delle conferenze per permettere ai vari relatori di iniziare in orario i vari interventi.

La partecipazione è riservata a coloro che sono iscritti all'evento.

 

Ricordiamo, per coloro che non potranno prendere parte a tutti gli eventi che le conferenze verranno registrate e saranno successivamente rese disponibili.

Per coloro che prenderanno parte alle conferenze la registrazione riguarderà coloro che prenderanno parola, e chi porrà eventualmente un quesito durante i dibattiti.

Nel rispetto della privacy non verrà in alcun modo diffuso l'elenco dei partecipanti a conclusione dell'evento.


sabato 26 settembre 2020

INIZIO E SVILUPPO DELL'IMMIGRAZIONE IN ITALIA

 MASTER MIGRAZIONI - UNIVERSITÀ DI BERGAMO



SABATO 26 SETTEMBRE 2020

Prof.: Paolo Barcella

Sintesi: Paolo Cugini

Come sono andate le cose a partire dagli anni ’70 in Italia?

 L’Italia è un vero e proprio caso di studio per l’intreccio impressionante di dinamiche di mobilità di massa che si sono mosse nel tempo. ’45-73: sono stati periodizzanti anche per la migrazione, anche perché l’anno ’73 i flussi migratori subiscono un arresto. Contemporaneamente tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70 si avviano nuovi flussi di mobilità internazionale extra lavoro. Nel momento in cui l’Asia e l’Africa cominciano ad entrare in Europa è la fine degli anni ’60. Una nuova fase periodizzante è il 2008-2009, anno della grande crisi economica, che produce nuovi flussi migratori. È in questo periodo che l’Italia torno ad essere una terra di migrazioni.

I flussi migratori della fine degli anni ’60 investono anche l’Italia. C’era un documento del ’63 che regolava il lavoro degli stranieri in Italia. Le migrazioni in quella fase anni ’60 sono composte da diverse categorie di soggetti di cui gli apripista erano stati in parte gli immigrati post coloniali; esuli politici, studenti stranieri. Il lavoro domestico è il primo segmento al quale fanno riferimento lavoratrici che provengono soprattutto da paesi africani legati all’Italia da un trascorso coloniale. Alla fine degli anni ’60 abbiamo già una presenza migratoria consistenza in Friuli e Sicilia. Le altre regioni fanno i conti con la migrazione interna in modo sempre più massiccio. All’inizio degli anni ’60 viene abolita la legge fascista che proibiva il trasferimento nelle città. Altra forma migratoria è la migrazione a rimbalzo: dalle città del Nord Italia, i migranti provenienti dal Sud passano ad altre città in Europa. Si creano flussi di mobilità estremamente complesso.

Ci sono comunità in Sicilia che vendono prodotti che si trovano solo in Germania. Questo perché i migranti transitati dalla Germania hanno preso l’abitudine a consumare queste bevande e le esigono sui loro scaffali in Sicilia.

Polemiche antimeridionali. Roberto Sala ha scritto studi sugli stereotipi dei lavoratori degli immigrati del Sud in Baviera, che erano gli stessi di coloro che andavano a lavorare a Torino.

A partire dalla fine degli anni ’60 la situazione si modifica, i flussi cominciano a divenire senza più consistenti. C’è una prima fase di crescita con l’immigrazione che inizia anche a diffondersi in tutto il paese e a partire dagli anni ’70 si diffonde e cominciano gli immigrati ad entrare nei nuovi segmenti del mercato del lavoro. Peculiarità italiana: negli anni’70 l’emigrazione verso l’Italia non era derivata dalla richiesta di forza lavoro da parte del settore industriale. Arrivano migrazioni che entrano in settori economici marginali e produttivamente arretrati. Migrazione che viene impiegata alla pesca, agricoltura, domestica. Si lavoro tanto male e si guadagna poco. Queste ondate migratorie in Italia avvengono mentre il tasso di disoccupazione è ancora alto. 

Disoccupati provenienti dal mondo rurale del Centro Sud che volevano trovare un altro tipo di impiego. L’Italia era un Paese che aveva educato la sua popolazione all’idea di meritare degli standard di vita molto più alti di quelli che il lavoro in agricoltura potesse consentire. Si cercava lavoro nel settore industriale per poter vivere uno stile di vita, che era quello che la televisione diffondeva. Nascono i tormentoni dell’estate. C’è un mondo nuovo al quale si vuole partecipare. L’obiettivo delle vacanze al mare è l’immaginario che si vuole vivere. Restavano altre professionalità vuote, che venivano riempite da quei soggetti disponibili a fare una prima tappa. In quel periodo il valore della moneta italiana era alto e permetteva di costruirsi un gruzzolo per ritornare poi in Africa. Questo aspetto è decisivo per capire la storia della migrazione italiana.



Alla fine degli anni ’70 si sviluppa un dibattito sempre più acceso sul fenomeno migratorio da una prospettiva rovesciata. Si comincia a dibattere di migrazione in arrivo, di mobilità in entrata. Questo dibattito coinvolgeva politici, giornalisti, sindacati, studenti. I sindacati sono i primi a fare pressioni sul Governo Italiano per elaborare una nuova organizzazione. C’è il dilemma dei posti di lavoro. Per i lavoratori stranieri il primo lavoro in Italia era un trampolino. Cercano lavoro nel settore industriale. Marocchini, Senegalesi che entrano nell’industria metalmeccanica, regolati con contratti.

Il sindacato è il primo ad accorgersi. I sindacati vedevano la mobilità come una cosa lecita perché gli stessi italiani si muovevano. Fanno pressione e il Governo comincia ad occuparsi di questi lavoratori, anche perché il sindacato fa presente che ce n’erano molti in modo irregolare, usati come strumenti a ribasso sui salari.

Tra il ’78 e l’81 si passa da 200 mila lavoratori immigrati a 300 mila. Secondo i sindacati sono più di mezzo milione e per la maggior parte irregolari.

Il ’78 è l’anno in cui si riunisce per la prima volta il Comitato interministeriale per le migrazioni per riflettere sull’immigrazione. È il sintomo di una peculiarità italiana nel senso che sono gli organi che si sono occupati della migrazione a gestire l’immigrazione nella sua fase iniziale. Sono le persone che lavorano in quegli organismi che sono gli stessi che lavoravano nella fase antecedente quando si trattava di gestire l'emigrazione italiana. Sono le stesse chiavi di lettura che vengono applicate. Anche l’atteggiamento internazionalista e di apertura che aveva caratterizzato l’atteggiamento fino a quel punto, lì rimane. Dove i cambiamenti sono più fragili è dove la trasformazione non tocca i funzionari. Esempio di questo è stato Cuba dove tutti i quadri sono stati cambiati da Fidel Castro. Morales in Bolivia per esempio non è riuscito a sostituire tutti. L’Italia dell’epoca gestiva l’immigrazione con la testa che aveva gestito l’emigrazione italiana all’estero.

La legge Foschi, lui era stato ministro del lavoro. Foschi nel suo lavoro recepisce le osservazioni che provengono dal mondo associativo italiano che proprio perché si era mosso sul terreno dell’emigrazione aveva una prospettiva della mobilità in entrata, aveva principi di giustizia sociale.

Anni successivi. Tutto cambia molto rapidamente perché il tema dell’immigrazione inizia a diventare un tema rilevante anche per la stampa. Alla fine degli anni ’90 l’immigrazione diventa notiziabile. Non se ne parlava mai. Sono anni in cui inizia a comparire sempre più articoli sui giornali che raccontano di queste vicende di uomini e donne che arrivano in Italia., ’88-‘89: c’è un momento di svolta è il biennio in cui iniziano ad esplodere casi di conflittualità sociale forte e iniziano ad essere scritti libri (Bocca, gli italiani sono razzisti?). Si comincia a problematizzare la presenza degli immigrati in Italia. C’è la percezione di un’invasione. Si percepisce un’invasione povera, pacifica, non assimilabile. “Questi arrivano con il miraggio di una vita migliore. L’Italia non deve essere sembrata paradisiaca" (Bocca). Nuovo razzismo degli italiani.

L’attenzione popolare comincia a crescere molto e il dibattito non è più solo di tecnici e comincia ad essere affiancato dal discorso pubblico. Il momento in cui la piena realizzazione di questo nuovo immaginario dell’immigrazione tra il popolo italiano si trova al Festival di San Remo del 1983. “Dove sei nato tu il sole brucia la pelle”. Il racconto di una canzone che narra di una massa di gente con la speranza di trovare fortuna però si dice che sarà amaro quello che troveranno.


Cambia completamente il paradigma, la modalità di narrare il fenomeno. Si consolida un canone narrativo: la dimensione dell’invasione era entrata in modo decisivo. Arriva molta gente dall’Est Europa. Nel 2001 in Italia abbiamo già 1 milione e 335 mila immigrati. L’Italia è un paese in cui gli immigrati sono una presenza significativa. Nel 2008 il numero raddoppia. Nel 2020 ci sono 5 milioni di presenza.

È una presenza lunga di 60 anni e strutturale nel Paese e si è diffusa in tutti i settori economici e, in parte, regge alcuni settori economici. Il nostro sistema previdenziale si regge in buona parte grazie ai lavoratori di origine straniera. Il nostro sistema previdenziale recupera una grande quantità di denaro dal lavoro straniero. Il nostro sistema previdenziale sino ai primi anni ’90 erogava una minima pensione ai lavoratori stranieri. L’immigrazione Senegalese è stata all’inizio, la più consistente. A Dakar c’erano gli uffici dell’INPS. È stata abolita perché era denaro che usciva dal Paese, creando situazioni problematiche, favorendo il lavoro nero.

Lavoro domestico. Si capisce la migrazione in Italia negli anni 2000. In particolare questo segmento e la forte presenza di lavoratrici straniere ci aiuta a comprendere la dimensione di genere che hanno alcune comunità migrante in Italia. Alessandra Gissi, Le estere. Immigrazione femminile e lavoro domestico in Italia. Ragiona sulla prima stagione.

Negli anni’70 la presenza di lavoratrici donne impiegate come colf era importante. Secondo il Censis risultavano attive alla fine degli anni ’70 100 mila lavoratrici domestiche straniere, di cui solo il 20% era stata regolarizzata. Si capiva dal fatto che l’INPS ne captava solo 20 mila, Fenomeno che ha continuato essere molto consistente ed è un settore facile all’occultamento.

Questo lavoro intercetta alcune caratteristiche della società italiana. Da un lato il nostro modello di welfare, dall’altro i rapporti di genere, relazioni tra le classi sociali e il rapporto tra pubblico e privato.

Modello di welfare: alcune attività non sono considerati servizi di cui lo Stato si deve occupare, perché sono a carico delle donne di casa. L’Italia non ha un sistema di asili dai 3 ai 6 anni, perché è un paese dove si conta sulle donne. C’è l’ambito del privato cattolico.

Rapporto tra le classi. In Italia l’emancipazione delle donne di classe media avveniva caricando la funzione di cura della casa su donne di classe inferiore. Abbiamo avuto una classe media che è andata nella direzione in cui l’uomo e la donna lavoravano fuori. Emanciparsi dal lavoro domestico era un modo per emanciparsi.




Il lavoro domestico salariato è stato sempre un settore di passaggio: chi veniva impiegato lo faceva per una fase breve, legato alla mobilità. La donna che faceva i lavori domestici nell’800 era una ragazzina.

Negli anni ’70 inizia in Italia una sostituzione nel senso che le donne italiane impiegate sono divenute di meno, mentre entravano sempre più le donne straniere, inizialmente provenienti dalle ex colonie. 

 Altre fuggivano dalle guerre civili (Eritrea), oppure per evitare lo stigma provocato dal fatto di avere avuto figli illegittimi.

Si andava dove si aveva un’amica. Al 33% erano agenzie che si occupavano di inserimento di donne lavoratrici che reclutavano donne che volevano partire, Le altre partivano attraverso contatti diretti con i datori di lavoro, con strutture cattoliche, parrocchie, ecc.

Siamo negli anni ’80-’90 quando le donne sono oramai parte del panorama urbano italiano. Importante sono le modalità d’inserimento. Donne che non avevano compagni appresso e che costruiano le proprie reti di socialità femminile, che si andavano ad innestare sul territorio. Reti sbilanciate sul versante di genere, che agivano a diversi livelli, come centri di organizzazione, animazione del loro tempo libero. Reti di relazione che funzionavano come agenzie di reclutamento. All’interno di quelle reti di donne si creavano le condizioni a contattare altre donne del loro paese di origine. Ci deve essere un rapporto di fiducia. Hai bisogno di conoscere le persone visto che andranno a vivere in casa.

L’Italia vede proliferare realtà di associazioni di donne straniere. Per alcune donne che provenivano da comunità cattoliche è stato rilevante un rapporto nuovo con il mondo cattolico italiano. Ci sono state congregazioni religiose femminili nate con l’obiettivo di occuparsi di queste donne straniere.

A partire dagli anni 2000 si assiste ad un cambiamento demografico in Italia che ha inciso sulla tipologia del lavoro domestico. L’Italia nel dopoguerra esplodeva di giovani.

Nigeria ci sono 300 milioni di abitanti e in Italia 60. L’età mediana in Nigeria è di 18 anni, l’Italia 45. Oggi l’Italia è un popolo che va invecchiando. Ad una certa età si comincia a perdere autonomia mano a mano che si presentano malattie. L’Italia è divenuto un Paese di anziani benestanti.

Italia del dopoguerra aspettativa di vita era 62 anni. Oggi passa di 80.

Il modello di welfare familiare basato sulla donna che si occupa dei piccoli e degli anziani è stato messo in discussione. Oggi le donne non intendono badare dei loro genitori anziani. Pagare qualcuno che fa assistenza 24 ore al giorno ad un anziano costa molto. I ricoveri hanno dei costi alti. Per questo, diventano sempre più presenti le donne dell’Est, anche per problemi razziali. Alla maggior parte delle famiglie italiane una presenza africana fa problema. Entrano a migliaia tanto che dopo la Bossi-Fini si fa la sanatoria per regolarizzare 700 mila badanti. Erano presenti in modo irregolare perché in casa non metti il primo che passa, ma lo vuoi conoscere prima di fare il contratto. Il meccanismo che si crea è che le donne entravano nelle case, ci restavano un tot di mesi sino a quando si creavano una condizione di fiducia. Diventano visibili anche se clandestine. Non rappresentano un problema di ordine pubblico. Era evidente che la funzione che svolgevano era importante. Diventavano a far parte della famiglia. Senza contratto voleva dire senza ferie, una condizione di subalternità totale ai loro datori di lavoro. Sono stati anni in cui abbiamo avuto in Italia un brulicare di figure femminile che vivevano una condizione di vita non molto diverso da quello delle schiave africane che lavoravano nelle case dei padroni americane.




Sono registrati anche tutti i conflitti anche quando queste donne provavano a chiedere una regolarizzazione. Ciò significava pagare le tasse e poi occorreva garantire le ferie. Alcune di queste donne hanno sperimentato periodi di semireclusione. Vivevano da mattino a sera per anni recluse in casa, lontano dalla famiglia di origine, dai figli. Le loro regioni di origini si trovano nuclei famigliari composti da padri con figli.

Quando moriva un anziano e la donna che lavorava in casa lavorava in nero, finiva sulla strada.

Qualche dato. Se andiamo a studiare le comunità migranti troviamo delle composizioni di genere sbilanciate in relazione al segmento professionale di riferimento principale di quella nazionalità. Ci sono comunità migrante a prevalenza maschile perché il segmento di lavoro predilige il maschile. Ci sono, invece, alcune comunità come la Moldavia, Ucraina e Brasiliana, sono prevalentemente femminile. La componente femminile è bassa per i cittadini egiziani, tunisini, e del Bangladesh. Nel 2016 la comunità ucraina era composta da donne per l’80%. 

Prospettiva che riguarda la migrazione e lo studio della migrazione dal punto di vista della storia dei luoghi, della trasformazione dei luoghi, che sono trasformazioni subite dai luoghi stessi. La storia della migrazione è anche storia delle trasformazioni di spazi, luoghi, anche perché sono fenomeni che originano qualche squilibrio. Le migrazioni sono fenomeni antichi – l’Europa nel ‘500 aveva una mobilità del 10% - che producono una sedimentazione di strati di spazio che in qualche modo è testimone di passaggi. Lo si coglie nell’urbanistica. Occorre anche ricordarsi dei luoghi di partenza che mutano anche loro. Ci sono migrazioni funzionali al mantenimento ai luoghi di partenza, Ci sono invece migrazioni che contribuiscono alla desertificazione economica e sociale.

Migrazioni che non compromettono gli equilibri demografici, che non riducono la popolazione alle solo classi produttive. Quando ci troviamo di fronte a migrazioni che si muovono nell’ottica dello sganciamento totale dei migranti e di una desertificazione dell’area produttiva, si configura nel venir meno del territorio di partenza di tutte le forze produttive. Nei luoghi di arrivo le migrazioni contribuiscono a trasformare il territorio. Si assiste ad un rimescolamento della popolazione, attivazione di attività produttive nuove, sviluppo di particolare aree urbane; è sempre un fenomeno che produce una ridefinizione delle caratteristiche estetiche. Non esiste nessun territorio che non sia stato processo di un continuo mutamento dovuta agli spostamenti. Di questo c’è traccia nelle città. Ci sono stati di sedimentazione di masse migranti passate sul territorio. Una delle città più interessanti in questo senso è Milano, che anche vista della trasformazione dello spazio è molto interessante. Milano è una città è stata sempre nella sua storia un luogo di attrazione. Al centro di mobilità umane, sin dal medioevo. È sempre stata una città con forte attrattiva perché è sempre stata un centro di traffico, di commercio, ricca di mercati e così capace di attrarre forza lavoro. Le città che hanno un profilo come quelle di Milano offrono la possibilità di analizzare strati di sedimentazione umana. Già nel 1600 Milano ha al suo interno sistemi migratori molto ben definiti, che portavano in città migranti che provenivano da altre regioni d’Italia o da città del Canton Ticino, tedesche. Milano era già un territorio segmentato dal punto di vista della presenza etniche. Manovali che provenivano dalle vallate del Canton Ticino per svolgere lavori pesanti che era il facchino, cioè trasportatori di beni di vario genere, che dovevano essere trasportati da una parte all’altra della città. Sarebbe anacronistico pensare che questo tipo di mobilità non provocassero conflittualità con la popolazione locale. Già gli stessi Ticinesi erano soggetti visti con stereotipi diffusi tra la popolazione autoctona che vivevano a Milano, Erano considerati gente rozza, ignoranti, ecc. e con i quali la popolazione autoctona non voleva avere a che fare se non per motivi di lavoro. La città di Milano aveva sviluppato il quartiere per lavoratori ticinesi con le loro chiese di riferimento. Quella ticinese era una comunità prevalentemente maschile e si distinguevano con la loro modalità d’inserirsi nel mercato di lavoro.




Troviamo la componente delle classi sociali più elevate che hanno avuto influenza sui secoli precedenti. Erano soggetti legati al commercio e in seguito all’industria. Nell’ottica di una mesaa in discussione dell’immaginario su una presunta autenticità di alcune ulture, Milano è interessante vista dalla prospettiva che hanno avuto il modo di strutturarsi delle comunità inglesi, svizzere, tedesche. Gli svizzeri hanno contribuito in modo sostanziale allo sviluppo della città. Al primo censimento della città di Milano del 1961 solo metà dei residenti era nata a Milano. Questo fenomeno diventerà sempre più importante anche grazie all’industrializzazione. Le forme delle migrazione sono cambiate nel corso di questa stagione.

Effetto di cancellare i sistemi sociali precedenti, gli assetti culturali, gli equilibri. S’impongono nuove realtà, soggetti nuovi con caratteristiche diverse. Nella prima metà del ‘900 Sesto san Giovanni era descritta come una città divisa tra vecchia e nuova quella industriale, che veniva così definita per sottolineare l’estraneità. Era altra perché vissuta da operai che venivano da fuori. Interessante è il fatto che se leggiamo i giornali dell’epoca si vede già tutte le polemiche sui forestieri microcriminali; dove c’è migrante c’è più criminalità e danno la misura come alcune dinamiche siano strutturali e si producono all’interno di realtà che vivono certi processi. Tra il 1951 e 61 a Milano arrivano 300 mila persone. Con l’abolizione delle leggi sulla migrazione interna, nel solo ’62 arrivano 100 mila meridionali. Questo spiega anche le proteste dei milanesi. Tutta la cintura industriale milanese vive processi di questo genere. L’impatto sul territorio è impressionante. Esistevano vere e proprie baracche.


venerdì 25 settembre 2020

LA MIGRAZIONE ITALIANA NEL DOPOGUERRA

 MASTER MIGRAZIONI BERGAMO





Prof: Paolo Barcella

Sintesi: Paolo Cugini

 

Migrazione italiana del II dopoguerra. Un libro importante sul tema è quello di Michele Colucci. Siamo negli anni della guerra fredda. È interessante questo periodo perché ci dice molto delle modalità di ridefinizione delle comunità migranti all’interno di territori in cui si ha una mobilità organizzata dal mercato del lavoro. È interessante questo periodo per capire delle dinamiche migratorie.

Cosa fondamentale da sottolineare è che al di là della percezione del fenomeno migratorio come fenomeno che riguarda l’ambito dei rifugiati, che fa storia delle migrazioni contemporaneamente fa storia del lavoro. Qualunque fenomeno migratorio abbia assunto fenomeno di massa, è una storia di spostamento di mano d’opera che si sposta per le ragioni più varie. Le migrazioni per molti aspetti hanno a che fare con la mobilità dentro i mercati del lavoro quando avviene in una prospettiva di permanenza.

Giliola Cinguetti vince il Festival di Sanremo nel 1964 a 16 anni, riceve più di 140 mila lettere da immigrati italiani. Per loro rappresentava una sorte d’interlocutore imaginario, era un’icona di successo, d’italianità. Per l’emigrazione italiana in giro per il mondo rappresenta una sorta di aggregatore culturale.

Guardando la vicenda della Cinguetti e alle lettere si ottengono molti spunti. Sono lettere che trasudano una cultura del paese delle origini di chi scrive. Persone che provenivano dall’Italia rurale, cattolica, nata negli anni ’20-30. Lettere che rivelano un mondo di persone che si sta incontrando con la modernità. Dentro alle lettere si vede anche un forte elemento religioso e anche dei problemi della società in cui stavano vivendo. Chiedono alla Cinguetti di aiutarli a risolvere i problemi incontrati.

Altro elemento di riflesso riguarda la dimensione della dinamica incontro-conflitto che si produce a livello culturale quando si vive un fenomeno di migrazione di massa. Per 20 anni in giro per l’Europa si conosceva la cultura italiana grazia a queste masse migranti appassionate del Festival di San Remo, nato nel ’51, divenuto subito un fenomeno significativo. Leonardo Campus, non solo canzonette, L’Italia di… Significativa è la frequente presenza di canzoni dedicate alla figura della mamma lontana. Un orecchio attento si rende conto di come letti e studiati con attenzione, quei prodotti sono stati anche degli agenti di trasmissione culturale in lingua italiana a delle masse migranti che cercavano nella musica di San Remo una sorta di memoria, insegnando loro a parlare italiano e un linguaggio emotivo, li rendeva diffusori di tutto questo nei contesti dove loro si radicavano. Il successo del Festival di San Remo è stato tale che alla fine degli anni '50 si era arrivati ad avere 30 milioni di radioamatori connessi. Veniva trasmesso anche nei cinema e nei teatri. Un innesto di questa italianità si diffondeva in Europa a partire da questo discorso musicale. Il fatto che avesse successo in modo particolare in Svizzera è dovuto ad alcune ragioni.




Le politiche migratorie dei diversi paesi erano differenziate. La migrazione è sempre un agente di trasformazione di cambiamento culturale anche dei paesi di arrivo. Dove arriva una massa di persone è chiaro che contagiano e lasciano una traccia importante.

 C’è una periodizzazione più precisa che vale la pena tenere in considerazione e guarda ad un’epoca chiamata Golden age: 1945-1973. Sono gli anni del grande bum economico, che a livello euro-americano ha visto un’accelerazione di processi messi in moto dopo la prima guerra, che ha portato ad un’industrializzazione e ad un inurbamento massiccio e la conseguente fuga dalle campagne. È l’epoca in cui finisce il mondo rurale cattolico. C’è un trasferimento nei grandi centri urbani. È un processo di pressione in uscita dalle campagne verso i centri urbani. Genova, Torino, Milano: conoscono in pochi anni un processo di trasformazione impressionante. Tutto ciò avveniva a partire da uno spostamento massiccio di spostamento di contadini. È un processo di mobilità interna italiana. Il cambiamento nelle città è enorme. C’è poi il fenomeno della ricerca del lavoro in grandi centri in Europa.

 1958-63: anni del bum economico in Italia. L’Europa conosce la crescita economica prima dell’Italia e a questi paesi attraggono e hanno bisogno di mano d’opera. L’Italia ha una riserva importante di lavoratori disoccupati, di mano d’opera agricola disponibile a tutto.

Nascono tensioni sociali a causa della disoccupazione. Al crocevia di questi fenomeni succede che i Governi dei paesi europei esprimono questa loro esigenza di andare incontro alla richiesta di mano d’opera nelle loro fabbriche rendendosi disponibili a firmare accordi bilaterali per portare mano d’opera all’interno, e quindi a dare permessi di soggiorno e di lavoro. L’Italia in quel momento trova e sente la necessità di firmare accordi bilaterali che favoriscano l’uscita. Gli accordi bilaterali era la forma storica da studiare del fenomeno migratorio. Questi accordi avevano delle finalità:

1.      Regolare i flussi dal punto di vista della quantità di persone che si legittimavano ad attraversare le frontiere in un determinato periodo. Era necessario sapere quante persone potessero entrare e in numero adeguato ai posti di lavoro disponibili.

2.     Gli accordi bilaterali indicavano le condizioni necessarie da rispettare per i migranti essere autorizzati all’attraversamento.

3.     Indicare quali enti, istituzioni dovessero essere coinvolti nell’organizzazione dei flussi migratori.

 

4.    Indicavano le condizioni di lavoro. Problema dei livelli salariali e le condizioni di vita.

5.     I termini dello scambio tra i due paesi. Era possibile uno scambio di uomini in senso strettamente economico. L’Italia, ad esempio, inviava in Belgio uomini in cambio di carbone. Era un lavoro ad un altissimo tasso di pericolo. Era un lavoro da affidare alla manovalanza straniera. Ecco perché i belgi erano favorevoli che gli italiani arrivassero per le miniere.



la situazione e di accordi l’Italia non ne firma più, se non l’accordo con la Svizzere del 1964. In alcuni paesi rimangono in vigore gli accordi fatti. L’Italia in questi 10 anni firma 14 accordi bilaterali, che significa la grande esigenza di esportare mano d’opera. Quello del Belgio del ’46 è il più terribile dal punto di vista delle condizioni. Gli stesi migranti tendevano a scappare. Treni che rientravano dal Belgio lavoratori e avvisavano chi stava andando in Belgio e alcuni scendevano.

Marcinelle: catastrofe avvenuta all’interno di una miniera in Belgio dove erano impiegati molti lavoratori italiani. 

Quello con la Svizzera è molto importante perché in Svizzere si è trasferita la grandissima parte di lavoratori italiani. 

L’ultimo nel ’55 è stato fatto con la Germania. 

Ci sono paesi che hanno fatto numerosi accordi con i paesi importatori. La Germania firma 8 accordi da paesi importatori di mano d’opera. L’Italia alla metà degli anni ’50 era un paese a cui l’Europa si rivolgeva come al Marocco, Turchia, ecc.

Gli Stati che firmavano questi accordi bilaterali si organizzavano e sceglievano gli Enti che potessero occuparsi della regolazione dei flussi secondo gli accordi presi con i singoli paesi. L’Italia affidò al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale e al Ministero degli Esteri. È indicativo del punto di vista sull’immaginario legate al concetto di migrante il tipo di enti scelti.

Negli uffici del lavoro si trovavano nelle bacheche la propaganda del lavoro nei vari paesi. In questi uffici il personale italiano possedeva dei dossier che arrivavano dall’Estero direttamente selezionati dai ministeri. Le singole imprese consegnavano i loro dossier dando delle indicazioni sulla tipologia dei lavoratori. Si possono comprendere gli stereotipi dei lavoratori italiani. I Paesi richiedevano lavoratori di certe provincie (non meridionali). Gli uffici italiani rifiutavano queste indicazioni e mandavano quelle che volevano. A questo punto le imprese si muovevano in modo loro senza rispettare le regole degli accordi. Si attivano modalità di reclutamento irregolare. I reclutatori assunti da imprenditori stranieri che venivano mandati a reclutare lavoratori di fiducia provenienti dalla loro stessa provincia.

Missioni cattoliche italiane. Oltre alla pastorale migratoria, vengono attivati questi servizi per i migranti. La Chiesa cattolica italiana si è occupata delle migrazioni italiane dalla fine dell’800. Opera del Vescovo Scalabrini e Monsignor Bolomelli. Sviluppano una rete impressionante di aiuti. Facevano in parte gli assistenti sociali. Questi ordini hanno avuto la lungimiranza di fondare dei grossi centri studi. Negli anni ’60 e ’70 questi ordini sono tra i primi ad avere strumenti per discutere d’immigrazione. Le missioni cattoliche facevano anche reclutamento di lavoratori. La dinamica del reclutamento è quindi una dinamica complessa.

Quando gli italiani varcavano la frontiera da quel momento erano sotto la tutela del Ministero degli Affari Esteri. Scoppiavano conflitti tra imprenditori e lavoratori perché trovavano condizioni diverse da quelle dichiarate in partenza. Esempio: la baracca che non aveva caratteristiche come era stato stipulato nel contratto. Molti si adattavano e altri no. I conflitti erano gestiti entrando in relazione con le ambasciate.




Gli stati esteri dovevano scegliere i loro enti che dovevano occuparsi della mano d’opera che arrivava. La Germania Ovest, per esempio, era un Paese che nei primi anni ’50 non vuole immigrazione italiana. Dal ’52 inizia un dibattito acceso tra il Ministero dell’Economia e Ministero del Lavoro tedesco. C’era bisogno di lavoratori, ma bisognava fare attenzione perché avrebbe creato tensioni interne. Obiettivo di arrivare ad un punto di mediazione: dobbiamo avere lavoratori che arrivano a certe condizioni e fare in modo che non diventino concorrenziali con bassi salari. Si arriva all’idea che il Governo dovesse controllare il processo migratorio dalle origini fino all’arrivo in fabbrica. Nasce il fenomeno della migrazione assistita. Il migrante veniva assistito dal Governo in ogni tappa del processo. Dell’immigrazione in Germania si occupa l’Ente Federale per il lavoro e per l’assicurazione contro la disoccupazione. La dichiarazione implicita: faremo attenzione che importeremo mano d’opera senza creare disoccupati in loco. Immigrazione che non deve diventare concorrenziale. La Germania favorisce in Italia dei centri dove c’è un personale tedesco: Napoli, Verona, Milano. Luoghi dove gli italiani arrivano dopo aver ottenuto un documento dall’ufficio provinciale del lavoro della loro città. 

Le scene dell’immigrazione hanno ricordato le scene della deportazione: li caricavano sui treni e li spedivano. C’era quindi un forte intervento statale con l’obiettivo di regolazione del mercato del lavoro tedesco.

Nell’ottica del Governo tedesco la mano d’opera italiana doveva essere solo temporanea. Si favoriva la stipula di contratti di lavori temporanei, che potevano essere rinnovati fino ad un tot di anni e dopo ci poteva essere la richiesta di un lavoro a tempo indeterminato.

Questi accordi vengono firmati nel ’55. Nel ’57 viene firmato il trattato Ceca, il principio della libera circolazione delle persone. Nel ’68 viene attuata questa libera circolazione e sino a questa data i lavoratori italiani vanno in Germania con gli accordi definiti nel ’55. Ad un certo punto la Germania firma accordi con la Jugoslavia.

La Jugoslavia all’epoca era un paese comunista. Il regime di Tito consentiva la migrazione verso la Germania a carattere temporario.

La DC all’epoca nelle sue componenti più conservatrici affermava il diritto alla migrazione. Bisogna riconoscere alle persone il diritto ad attraversare le frontiere. 

La sinistra dell’epoca era molto più problematica rispetto alla migrazione perché diceva che occorreva migliorare le condizioni dei lavoratori nelle loro regioni, voleva dei piani di sviluppo del territorio. 



Svizzera. Le cose in Svizzera funzionavano in modo apparentemente analogo. Spesso si fa confusione perché la politica migratoria vedeva negli immigrati dei lavoratori ospiti, come in Germania. Però, poi, per quanto riguarda il ruolo dello Stato, l’attività effettiva dello Stato nel processo di reclutamento è tutta un’altra storia. Responsabile dell’immigrazione era l’Ufficio Federale che si occupava delle attività produttive in ottica industriale e a fianco di questo, l’Ufficio Cantonale di Polizia. Già nel ’48 in Svizzera la migrazione era vista nella prospettiva di controllo dell’ordine pubblico. Il Governo Svizzero dichiara da subito di volersi tener fuori dalla selezione del reclutamento e fa una professione di fede liberale. Lo Stato non sa quale possa essere il lavoratore migliore per una determinata fabbrica, devono essere gli imprenditori. 

Problema: perché dal punto di vista delle imprese Svizzere una modalità come quella adottata dalla Germania diventava problematica? Incide sui tempi. Le aziende svizzere passavano attraverso i canali personali. Gli immigrati dovevano sostenere delle visite come in Germania, ma a differenza che le visite venissero realizzate in frontiera. C’era la preoccupazione di essere rispediti. C’era anche l’umiliazione della visita medica.

Gli accordi bilaterali tra Italia e Svizzera introducevano nell’articolo 4 il principio della sanatoria individuale permanente per l’imprenditore. Qualora un imprenditore svizzero avesse un rapporto personale con un lavoratore straniero e volesse assumerlo bastava che andasse all’ufficio di polizia e lo manifestasse. Bastava la dichiarazione alla disponibilità all’assunzione. Era uno strumento molto importante a disposizione dell’imprenditoria elvetica a sanare le irregolarità in qualsiasi momento. Strumento che consentiva alla polizia di essere sempre tutelata ogni volta che veniva trovata mano d’opera clandestina. Non funzionava il rovescio. Gli immigrati subivano questi processi. Fenomeno del tentativo di reclutamento localizzati era forte in Svizzera. Volontà da parte dell’Italia di controllare gli espatri. La Svizzera aveva una tipologia articolata di permessi.

Gli annuali non potevano ottenere il ricongiungimento dei famigliari facilmente. Gli stagionali dovevano andare a vivere nel luogo indicato dal datore di lavoro. Il permesso di lavoro stagionale era usato in modo irregolare dalle imprese. Venivano stipulati contratti da 11 mesi e una settimana. Erano dei falsi stagionali. 


mercoledì 23 settembre 2020

DIALOGHI SUI DIRITTI UMANI LA PROTEZIONE DI MIGRANTI E RIFUGIATI


 

Carissime amiche e amici,

vi invito a partecipare all’incontro di studio-webinar in tema di "Dialogo sui diritti umani. La protezione di migranti e rifugiati" che si terrà VENERDI' 02 OTTOBRE 2020 a partire dalle ore 16,00, organizzato dalla prof.ssa Paola Scevi, Direttrice del Master Universitario di II livello Diritto delle Immigrazioni e con la straordinaria partecipazione del Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI).

L'incontro di studio-webinar sarà svolto a distanza tramite il collegamento di Microsoft Teams che trovate nella locandina e che vi riporto anche di seguito:

https://teams.microsoft.com/l/meetup- join/19%3ameeting_YTFhNzBhYzAtY2VmMy00ZDY2LWE5NWYtZTM3YzEyNjVmNjIw%40thread.v2/0?context=%7b %22Tid%22%3a%224f0132f7-dd79-424c-9089-b22764c40ebd%22%2c%22Oid%22%3a%2206b7223c-9179-47f8- b703-1e1f3eabd20c%22%7d

 


sabato 19 settembre 2020

L'IMMAGINARIO SUL TEMA MIGRATORIO

 



UNIVERSITÀ DI BERGAMO

 

prof. Paolo Barcella

Sintesi: Paolo Cugini

I migranti sono soggetti in carne ed ossa, che hanno una serie di esigenze. Occorre tenere contro che le migrazioni non sono mai uguale a se stese nei vari periodi storici.

Parola importante è migrazione.

Migrazione dice di uno spostamento da un luogo ad un altro. Non tutti gli spostamenti vengono considerati migrazioni. Sono chiamati tali quelli che generalmente implicano uno spostamento tra luoghi eterogenei tra loro, di partenza e di arrivo e una separazione. Migrazione implica anche che avvenga un incontro tra la persona che si sposta e quel luogo diverso. Ci sarà probabilmente nell’altro luogo una realtà differente dal punto di vista politico, sociale, linguistico, giuridico, istituzionale, da una molteplicità di punti di vista. L’incontro tra quel soggetto e quest’altra realtà è frequentemente ad alcune condizioni portatore di tensioni, di conflitti, di problemi che scaturiscono dalla comparsa di questo soggetto che si trova ad essere inserito in una realtà che tende a percepirlo in un primo momento come elemento non riconoscibile come gli altri. Necessità di un’attivazione da parte della comunità di accoglienza di una serie d’interventi di carattere normativo, riconoscibile giuridicamente. A questa complessità se ne aggiungono altre legate al fatto che in primo luogo chi emigra oltre ad arrivare in un luogo che contribuirà a riempire, parte da un altro luogo che contribuisce a svuotare. 

La migrazione è foriera sempre di cambiamenti sociali e di dinamiche di trasformazione nel paese da cui il migrante parte: non tener presente la qualità di trasformazione significa non tener presente che il migrante continua a dialogare con il luogo di partenza. Chi viaggia ha il paese di origine in testa.

La grande tragedia dell’emigrazione italiana meridionale degli anni ’50 e ’60, diretta verso Svizzera, Germania e Belgio, è stata che molti di loro hanno lavorato con la mentalità dei loro padri, uomini che ritenevano di andare all’estero per comprarsi la terra, che per i meridionali è fondamentale per il mantenimento. La tragedia è che la terra se la sono comprata e il valore che hanno prodotto con la loro fatica nei cantieri, nelle fabbriche, l’hanno investito per comprare una terra che nel ventennio successivo si è deprezzata, perché nessuno di loro ha più fatto il contadino. Questa è stata la grande tragedia di questo periodo d’immigrazione. Oppure nell’acquisto di case dove non sono mai tornate perché, nel frattempo, oltre all’emigrazione come fenomeno che loro conoscevano, si è incontrato con la fine della civiltà contadine cattolica, la fine del mondo rurale italiano. Lo svuotamento delle campagne è continuato. La grande tragedia vista sui tempi più lunghi è che il profilo dell’emigrazione italiana è cominciata a cambiare, andando verso un’emigrazione che non prevedeva ritorni e rimesse. È stata un’emigrazione che produceva desertificazione materiale ed economica. Molte comunità rurali e delle montagne sono luoghi dove sempre più non c’è attività produttiva e dove vivono persone anziane. Chi parte non manda rimesse anche perché non ha lì la moglie e i figli. Il comportamento del migrante non si capisce che il migrante ha il problema con il paese che ha alle sue spalle.

Fino ai primi anni ’60 la migrazione interna in Italia non era consentita, perché le leggi del Regime fascista non permetteva il cambio di residenza. Solo con la cancellazione di queste normative che la migrazione interna diventa legale. C’è anche una migrazione esterna. La migrazione interna in Italia ha il problema della lingua: i dialetti sono molti e diversi.




Altra questione. Quando parliamo di migrazioni oltre che con la realtà occorre fare i conti con la rappresentazione. Ogni contesto subisce immaginari diversi da attori diversi, a seconda della professione, del gruppo sociale di appartenenza, del grado di scolarizzazione. Gli attori sociali di un luogo non vedono arrivare persone in carne ed ossa tutti nello stesso modo, ma vedono arrivare dei soggetti sui cui proiettano caratteristiche che pensano essere qualcosa perché loro credono che sia così, perché gli fa comodo. Il punto è che le rappresentazioni, immaginari sulle migrazioni agiscono sulla realtà, condizionano la realtà, perché determinano in qualche modo le modalità con cui le persone si confrontano sul fenomeno migratorio. Determinano e influiscono sul modo in cui viene vissuto, regolato il fenomeno migratorio, e in cui la gente lo studia. Si potrebbe fare anche una storia delle rappresentazioni del fenomeno migratorio.

Leonardo Zagna, poeta friulano: la gente lascia lo stesso.

L’immaginario popolare sul fenomeno migratorio sui suoi numeri è importante da tener conto. Conta ciò che c’è nella testa delle persone. Dagli anni ’60 ad oggi si percepisce uno scarto tra la realtà delle migrazioni che si legge nelle statistiche, e l’immaginario. Quello che fa presa politicamente è l’immaginario, che fa presa sulla paura del diverso. Migrante come portatore di costumi diversi, mode diverse. C’è un immaginario paranoico. 

Anni ’70 parlare dell’immigrazione voleva dire invocare la migrazione. Rappresentazione problematica. Mannaggia l’ingegnere che ha fatto la ferrovia. Tutto un immaginario di disperazione. Quando si ragionava di immigrazione voleva dire regolare il lavoro italiano all’estero, anche se gli immigrati in Italia c’erano già. L’Italia subisce la prima svolta nell’immaginario tra gli anni ’80 e ’90. La legge Foschi del 1986 è la prima che cerca d’inquadrare il problema, collocando anche il problema di chi entra in Italia e non solo chi esce. Era il ministero del lavoro il ministero di riferimento. Poi cambia il modo di porsi, che risponde anche a tematiche di immaginario: è una questione di ordine pubblico, e non d’inserimento nel mondo del lavoro.

 Gli anni più interessanti per capire il problema è 1986-ai primi anni ’90 con l’arrivo degli albanesi. La migrazione verso l’Italia diventa sempre più consistente e saranno gli anni ’90 con i primi sbarchi consistenti di albanesi che provocherà un cambiamento. Nel 1989 l’Italia comincia fare i conti con la genesi dei primi immaginari xenofobi. La politica italiana, però, in quel momento cerca di contenere le derive xenofobe. Le organizzazioni politiche e sindacali italiane hanno lavorato sul principio che migrare era lecito, perché lo avevamo sempre fatto. Emergono le prime forze politiche che cambiano l’immaginario.




Non solo nero: voleva diventare un canale televisivo antirazzista. Il primo partito che si dichiara antagonista è il Partito Repubblicano: La Malfa. Gli italiani andavano a lavorare, subivano e basta, mentre quelli che arrivano oggi, arrivano da paesi non democratici, che non lavora, e se dici qualcosa reagiscono. Poi nasce la Lega Lombarda, anche se nel 1988-89 aveva un forte accento antimeridionale, ma non contro gli stranieri, gli africani. Dal ’92 in poi le cose cambiano. Non solo nero non era buonista, era un canale che metteva in evidenza le criticità. Poi si passa a programmi televisivi che vanno in altra direzione. Immaginario vittimistico doppio. Programma: Dalla nostra parte (finisce nel 2018). È decisivo è che oggi ci troviamo in un quadro immaginario completamente mutato.

I migranti in Italia per la stragrande maggioranza sono migratori. La spinta politica è normativa. Le migrazioni sono un fenomeno che è ricco di termini utilizzati per descriverle. Immigrazione come descrizione del paese di arrivo. Stranieri, extracomunitari, profughi, rifugiati, richiedenti asilo: parole che esprimono un punto di vista politico. Parole che servono per evidenziare uno stato di alterità. Evidenziano una condizione problematica con riferimento al diritto. Clandestini: soggetti non in regola.

Occorre affinare una finezza linguistica all'altezza del fenomeno. A volte i termini vengono usati per distorcere la realtà, nella direzione della costruzione di stereotipi, di rappresentazioni. Non tutti gli stereotipi hanno qualificazioni negative. Spesso usiamo la parola migrazione come aggettivi per qualificare professioni, che vengono ritenute da chi scrive o da chi legge, sinonimi di diversità in negativo. Badante-ucraino; pizzaiolo-egiziano; rumeno-muratore; tunisino-spacciatore. L’insieme delle parole è importante da tenere presente. Le associazioni che vengono fatte a livello linguistico sono determinante per la costruzione degli immaginari. Ci sono termini che vengono associati a determinati ambiti.

Accoglienza: padrone e ospiti. Emergenza, sbarchi, invasione, degrado urbano.

Popolazione Sic: arrivano nella bassa Padana. I primi vengono in contatto con lavoratori agricoli, cercano lavoro e vengono messi in contatto con proprietari, allevatori di bovini. Questo piace tantissimo a loro, perché avevano una cascina a disposizione. Cascine dove potevano fare ciò che volevano. Spazi dove potevano chiamare, moglie, figli. I proprietari di questi allevamenti cominciano a dire che i sic sono contenti perché per loro le mucche sono animali sacre. S’impadroniscono del mercato e cominciano loro stessi a dire che noi abbiamo la mucca sacra. Il problema è che i Sic sono indù e non hanno la mucca sacra.

I termini non sono mai neutri, ma influiscono sulla regolamentazione. Le parole agiscono sugli immaginari. Oggi viviamo in una realtà che è fortemente condizionato sulla migrazione come profugo, richiedente asilo, rifugiato, che arriva in barca, ma questo ha delle ricadute importanti.

2016: è stato un anno in cui abbiamo avuto a livello mondiale che ha visto 250 milioni di persone spostarsi da un paese all’altro, di cui il 90% erano migrazioni da Lavoro, economiche, persone che si sono spostate per scelta o necessità, ma senza avere catastrofi sulla testa. Di questo il 50 % si è mosso da un paese in via di sviluppo ad un paese sviluppato; gli altri sino sono mossi rispondendo a delle logiche locali. L’Italia vanno ancora oggi a lavorare in Svizzera e Germania. Esportiamo più di 100 mila persone all’anno. Entrano in segmenti produttivi che lavora nel settore di ristoranti, ecc. e non cervelli in fuga.




Questione religiosa. Dato che una buona parte del mondo migrante diretto verso l'Europa era di origini di paesi a religione mussulmana, e visto che si era sviluppato il fenomeno del terrorismo si è andato verso una rappresentazione in cui la tematica religiosa è diventata sempre più centrale. Fino alla radicalizzazione a chi vede i mussulmani come terroristi. 

Con la fine della guerra fredda viene teorizzata lo scontro di civiltà. In questa teoria, che rimane una teoria di un conservatore ostile ai mondi non cristiani. Altri autori come Oriana Fallaci che interpretano la realtà in termini religiosi e di guerra all’ultimo sangue. La questione religiosa ha condizionato tantissimo il discorso immigratorio. Afroamericani convertiti all’islam negli USA. Ci sono molte mescolanze nel discorso migratorio negli USA tra realtà e immaginari. Poi ci sono tematiche di diritto.

Le migrazioni sono spesso legate al piano che guarda al fenomeno migratorio come fenomeno emergenziale. C’è un presupposto ideologico in questo. L’ideologia funziona come l’acqua per un pesce rosso: lo regge, ma non è consapevole. I presupposti di questa situazione è che in fondo ci sia un presente mobile, da contrapporre ad un passato meno caratterizzato dalla dimensione migratoria. Già nel ‘500 c’erano dei tassi di mobilità del 10% della popolazione. Questa va crescendo con un salto tra ‘700 e ‘800 e andiamo verso un trasporto diverso. 

Fattore determinante è la rivoluzione industriale. Dal 1850 in poi con l’esplosione della nuova mobilità abbiamo un’impennata di esperienze di mobilità che arrivano al 35%.