IDENTITA’ E AUTENTICITA’ NELL’EPOCA DELLA
POSTMODERNITA’
Paolo Cugini
Diceva
Zygmunt Bauman che nel mondo postmoderno non è bene assumere una identità,
identificarsi con un ruolo, una situazione. Nella velocità dei cambiamenti
postmoderni, che esigono una costante agilità di movimento per non correre il
rischio di rimanere esclusi dalle nuove proposte, fissarsi su di una identità,
come accadeva nell'epoca moderna, sarebbe una specie di suicidio esistenziale.
La sfida che la cultura postmoderna sta ponendo alla dimensione esistenziale
dell’individuo è sul significato dell’identità personale così com'è stata intesa e pensata sino ad ora. Oltre a ciò, in gioco c’è anche il tema
dell’autenticità, considerata nell'epoca moderna come un riflesso dell’identità
personale. Nella modernità, grazie all'influenza di autori come Cartesio e
Rousseau, si è fatta strada l’dea che c’è un certo modo di essere uomo che è il
mio modo. Fedeltà a se stessi, a ciò che si è colto come fondante nel cammino
della propria esistenza, diviene un elemento fondamentale nell'idea di identità
personale. C’è una sorta di voce interna con la quale non posso assolutamente
perdere il contatto, se non voglio correre il rischio di perdermi e, così, di
non essere più fedele a me stesso. E’ chiaro che questo discorso fa riferimento
a valori morali percepiti o nella natura o nell'ambito religioso, che vengono
sempre colti nell'ambito della dimensione interiore della persona.
Charles Taylor, il pensatore canadese che più
di ogni altro ha studiato di recente questo problema, ha mostrato la forza che
l’idea di una voce interiore come riferimento valoriale del soggetto, ha preso
piede nell'epoca moderna. “Essere fedele
a me stesso – così scrive Taylor - significa essere fedele alla mia propria originalità,
la quale è qualcosa che io solo posso articolare e scoprire”. Trasferire
questo discorso sul piano sociale conduce all'idea che l’identità personale,
che fa riferimenti a valori morali colti nell'interiorità della persona, non
deve farsi influenzare dall'esterno, non deve adattarsi alle richieste della
conformità esteriore. L’uomo autentico, in questa prospettiva tipicamente
idealista e moderna, è l’uomo che non cambia mai, è l’uomo fedele a se stesso,
che obbedisce solamente alla voce della propria coscienza e ai valori colti nell'interiorità. La realizzazione personale sarà, allora, nell'ordine della
fedeltà a se stesso e cioè ai valori colti nella propria interiorità e
percepiti come assoluti.
Se il
percorso che il cammino della ricerca dell’identità personale moderna compie è
guidato dall'interiorità intesa come dimensione originale dell’universo
personale, ben diverso è il percorso che la cultura postmoderna sta proponendo
alle nuove generazioni. La velocità con la quale vengono immesse sul mercato le
proposte, esige la mobilità della persona per potervi accedere. Per questo,
come diceva Bauman, colui che è appesantito da identità fisse viene
automaticamente tagliato fuori. I
criteri di formazione dell’identità personale nella postmodernità sono
esattamente agli antipodi di quello che si riteneva valido nell’epoca moderna.
Come, infatti, abbiamo visto, mentre l’identità dell’uomo moderno si costruisce
nella dimensione interiore della persona, in costante difesa delle conformità
ai modelli provenienti dall'esterno, l’identità personale nella post modernità vive e si alimenta delle continue provocazioni provenienti dall'esterno. Per
questo nella post modernità non si può parlare di valori assoluti colti nell'interiorità e percepiti come obbligatorietà, ma di proposte relative che durano il tempo della loro validità sociale e che richiedono una capacità di
assimilazione rapida. Ci si può chiedere se è possibile essere autentici all'interno di una simile cultura nella quale l’essere fedeli a se stessi non è
più colto come un valore, ma un limite. E’ possibile, poi, essere felici,
raggiungere la felicità che è lo scopo di ogni esistenza, in un quadro
esistenziale nel quale non esiste alcun tipo di valore assoluto sul quale
fondare le proprie scelte e orientare il proprio futuro?
Nella
prospettiva postmoderna il futuro non esiste, perché ciò che esiste è
unicamente il presente. E se l’unico spazio di realizzazione personale è il
presente vale solamente ciò che può essere utile qui ed ora. Diviene sempre più chiaro come la prospettiva
postmoderna stia, giorno dopo giorno, cambiando il significato di ciò che è
valore o disvalore per la vita. Valore è ciò di cui il soggetto ha bisogno, ciò
che gli torna utile nella vita presente.
Quello
che ho scritto sino ad ora può sembrare un gioco di parole, ma in realtà non lo
è. Si tratta di capire dove viviamo e dove stiamo andando. C’è in atto uno
scontro di generazioni. Da una parte ci sono i padri e le madri che sono nati
in un contesto moderno, che ritiene autentica l’identità personale fondata su
valori eterni trovati nella propria interiorità. Dall’altra ci sono le nuove
generazioni, imbevute di cultura postmoderna, che dai valori passati non sono
per niente attratti e che hanno appreso a vivere sfruttando al massimo le
possibilità che il presente offre. E’ un dialogo tra sordi, che spesso e volentieri
sfocia in incomprensioni; dialogo che potrà avvenire a patto di trovare una
piattaforma comune nella quale si stabiliscano, come voleva Habermas, i codici
di un discorso nel quale nessuno può trincerarsi dietro a pareri parziali e/o
confessionali, e che ci sia lo sforzo e il desiderio di risolvere i problemi
messi sul piatto della discussione. Il problema a questo punto è: chi potrà
mediare un tale dialogo?
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