martedì 28 marzo 2023

EUCARESTIA DOMANI. INCULTURAZIONE E INCLUSIONE NELLA LITURGIA

 



L’eucarestia è vita. È questo il dato che emerge quando leggiamo i Vangeli: emanano vita. I riti che celebrano l’eucarestia spesso non emanano vita, perché sono ricoperti, ingolfati, soffocati da norme liturgiche, suppellettili inutili, ritualismi obsoleti, che offuscano il messaggio vitale di Gesù. Riflettere, allora, sul senso dell’eucarestia facendo riferimento non ad una tradizione obsoleta che il clima culturale postcristiano ha messo definitivamente nel baule dei ricordi da guardare senza troppa nostalgia, può aiutare la comunità cristiana a riscoprire quel tesoro d’amore che Gesù ha nascosto nelle parole dell’ultima cena. C’è vita nel Vangelo, vita autentica, ma che per troppo tempo è stata sequestrata da riti religiosi che non sempre corrispondono alle intuizioni del Maestro. Occorre, allora, mettersi in cammino per un percorso di disvelamento dell’autentico che è, allo stesso tempo, un cammino di riscoperta di ciò che è stato coperto, nascosto. Questo cammino non lo possiamo compiere da soli. Senza dubbio, nella vita spirituale c’è una dimensione personale che è importante. Per quanto riguarda l’eucarestia, invece, la dimensione comunitaria è fondamentale.

Durante l’ultima cena Gesù ha parlato ad un gruppo di persone che non erano lì a caso, ma che provenivano da un cammino, da una risposta ad un appello accolto. È possibile cogliere il valore del tesoro contenuto nei gesti e nelle parole di Gesù nell’ultima cena se si è mossi dal desiderio di conoscerlo, di stare con lui e di condividere questa esperienza con i fratelli e le sorelle che sono sulla stessa strada. Possiamo cogliere la profondità del messaggio di Gesù quando accettiamo il suo invito di uscire dalla solitudine del nostro egoismo, per camminare dietro di Lui per vivere fratelli e sorelle, per formare comunità. Siamo così abituati a pensare all’eucarestia come un momento personale della nostra vita spirituale, che facciamo fatica a percepirla nella sua dimensione originaria di comunione tra fratelli e sorelle. Eppure, l’origine è questa, il contesto originario nel quale si è svolta l’ultima cena è una relazione amicale che Gesù ha voluto, prima di morire, con color che avevano accolto il suo invito e camminato con Lui per le strade della Palestina. È difficile credere che non fossero presenti in quel contesto così forte dal punto di vista delle emozioni, anche quelle donne che l’avevano seguito per tutto il tempo del suo cammino verso Gerusalemme. Ascoltare le parole di Gesù in questo contesto postcristiano, deve voler dire anche spezzare il giogo della cultura patriarcale che a più riprese ha deformato il messaggio di uguaglianza di Gesù. Anche questa è una sfida che accompagnerà le pagine che seguono.

L’eucarestia è speranza. Nelle parole che Gesù ha pronunciato nell’ultima cena, nei suoi gesti, c’è uno sguardo profondo sul futuro della storia. Durante il suo cammino verso Gerusalemme Gesù non ha mai creduto che la sua morte potesse dire la fine sul suo messaggio di vita nuova. C’è speranza nelle parole di Gesù, perché c’è fiducia nell’uomo e nella donna, nella loro possibilità di lasciarsi trasformare dalle sue parole d’amore cariche di vita. È questa la grande forza di Gesù: non ha avuto timore ad affidare la continuità del suo messaggio di vita nuova, ad un gruppo di persone che, come noi, erano fragili, timorose, incapaci di comprendere quello che il Maestro intendeva dire. Eppure, Gesù non ha avuto difficoltà a consegnare loro quelle parole vere e profonde, pronunciate nell’ultima cena, perché il suo sguardo andava lontano, non si fermava al presente della storia, non considerava come definitivo la debolezza umana dei suoi discepoli e discepole. Ha creduto in loro, nonostante tutto. La sua grande fiducia nella bontà del suo messaggio, lo ha condotto a non considerare un impedimento il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro, l’abbandono degli altri.

L’eucarestia ci consegna questo sguardo penetrante di misericordia, capace di andare al di là delle apparenze, delle meschinità consumate nel presente della storia. Accettare di alimentarsi di Lui significa diventare portatori di questo sguardo nel mondo, che non si ferma dinanzi a nulla, che riesce a penetrare i fallimenti umani, per scorgere delle possibilità. Accogliere il Signore della storia, credere nella sua Parola carica di speranza, significa aver capito che la comunità che lui ha fondato, non è fatta dei migliori, o di coloro che si presumono tali, ma di tutte e di tutti. L’eucarestia è il primo profondo principio di uguaglianza che qualcuno, nel nostro caso il Maestro, ha conficcato nella storia, per sempre. È lì, alla portata di tutti e tutte. Basta desiderarlo. Basta mettersi in cammino. Quel cammino che nasce dalla consapevolezza di essere poca cosa e che nemmeno tutto l’oro del mondo può donarci un briciolo di dignità.

C’è tenerezza nell’eucarestia. È uno sguardo tenero che emana quel corpo spezzato sulla croce che, prima di essere il simbolo di un sacrificio, è il più grande inno d’amore che un essere umano abbia saputo pronunciare. Certamente ce ne sono stati altri, ma un amore così non si è mai visto. C’è tanto amore su quel legno insanguinato. Facciamo fatica a vederlo, a comprenderlo perché i nostri occhi sono annebbiati da liturgie che, invece di celebrare il mistero della vita, così com’è stato, lo hanno rivestito di orpelli, pizzi, di ori. Proprio Lui, è questo il misfatto, la più grande aberrazione! Hanno riempito di vesti dorate proprio Lui, il Signore della storia e della vita che queste vesti, simbolo di nobiltà, se le era tolte per rivestirsi delle vesti umili dei poveri. Non solo. Facciamo fatica a vedere nel legno insanguinato della croce l’immenso amore di Gesù, perché è stato interpretato male, è stato visto come un sacrificio. È vero che leggendo i testi ci sta anche questa interpretazione sacrificale, ma distorce quello che è stato il gesto libero di Gesù, una scelta d’amore, un dono affinché tutte e tutti possano accedere e accogliere fino alla fine dei tempi.

Anche nell’ultima cena, così come ce l’ha trasmessa l’evangelista Giovanni, Gesù ha depositato le vesti, per cingersi di un asciugamano e lavare i piedi ai discepoli. Questi sono i panni sacri di cui siamo chiamati a rivestirci quando partecipiamo all’eucarestia, i panni del servizio ai poveri, dell’attenzione agli ultimi. Generazioni di donne e di uomini hanno assistito passivi ai riti che avrebbero dovuto celebrare il Signore della vita, ma quella vita nuova rimaneva sepolta sotto il peso delle vesti sontuose e i pizzi dorati. C’è speranza in questo mondo postcristiano perché ci permette di poter osare cose nuove, di aprire i testi sacri con la curiosità del bambino, la curiosità di leggere le sacre parole e rimanerne abbagliati. Quello che viene considerato un periodo di crisi epocale, può trasformarsi in una grandissima occasione per tutti coloro che, leggendo il Vangelo, vedono la luce, un cammino di speranza. Benvenuta, allora, la post-cristianità che velocemente sta spazzando via secoli di rivestimenti sacrali che hanno impedito di cogliere il Mistero ad intere generazioni e che permette ora un incontro nuovo o, perlomeno, la possibilità di questo incontro il meno possibile filtrato.

Si percepisce la sofferenza di tutti e tutte coloro che per secoli hanno creduto che il messaggio di Gesù fosse proprio quello che gli veniva raccontato, fatto di riti, processioni, di liturgie gestite solamente dagli uomini. Quanta sofferenza in quelle persone anziane che, leggendo per la prima volta il Vangelo si sono accorte che il messaggio di Gesù è un’altra cosa, non riguarda dei riti, ma un modo di vivere, non fatto di ori e di pizzi, ma di semplicità e di attenzione ai più deboli. Che stupore deve creare in coloro che per la prima volta si accostano al Vangelo e scoprono che l’eucarestia non è una questione di parole dette bene, ma di amore, di lavarsi i piedi gli uni gli altri. Benvenuta epoca post-cristiana che ci permetti di mettere al centro l’essenziale e lasciare in disparte la forma.

Parlare di eucarestia nel mondo occidentale non è un compito facile. C’è una stratificazione secolare di riti, di visioni sacrali e, soprattutto, di letture devozionali che hanno ridotto il messaggio originale, per certi aspetti modificato e, a mio avviso, persino deturpato. È importante non confondere la devozione, che poi si è sviluppata nell’epoca moderna, con la religiosità popolare. Si tratta di due realtà e di due cammini diversi, direi opposti. Mentre, infatti la devozione moderna ha stimolato l’individualismo religioso, identificando il cammino di fede con le conquiste personali, fatte di fioretti, sacrifici per ottenere – meritare - la salvezza, ben diversa è ciò che sgorga dalla religiosità popolare. Lo dice la parola stessa: popolare. È un cammino di popolo, per lo più semplice e povero, che percepisce la presenza della Signore, che non abbandona i piccoli, i poveri, ma li protegge e li accompagna nel difficile cammino della vita. L’eucarestia, vissuta in questo contesto di religiosità popolare, è percepita non come un merito, ma un dono, non come una conquista personale, ma come una presenza misteriosa che stimola la comunità a continuare il cammino, a non abbattersi dinanzi alle sofferenze vissute. Riportare l’eucarestia in quell’ambito di relazioni amicali di persone che hanno fatte delle scelte nella direzione del Vangelo, è la grande sfida che abbiamo dinanzi.

Le pagine che seguono sono il frutto di due esperienze diverse. Nella prima parte riporto alcune riflessioni, frutto di un corso di esercizi spirituali tenuto ai fedeli laici e laiche delle parrocchie che accompagno da alcuni anni. Nella seconda parte, invece, confluiscono le considerazioni di alcuni incontri realizzati negli ultimi due anni sul tema della liturgia nella vita della comunità. Questa precisazione sull’origine del testo che presentiamo, ci consente di collocare il contenuto come una condivisione di un cammino svolto dall’autore assieme ad alcune comunità, che non hanno alcuna pretesa, se non quella di contribuire alla crescita spirituale e culturale del singolo lettore. Buona lettura.

 

INDICE

Introduzione

Abbreviazioni

 

PARTE PRIMA: LA MENSA DEL SIGNORE. RIFLESSIONI SPIIRTUALI

Preludio.

Rifiutare il Mistero. Smantellare la religione per percepire la presenza del Mistero. Tra precetto e dono. Il ritorno alle fonti per liberarci dalle mistificazioni.

 

Capitolo 1: Questo è il mio corpo.

 Gesù consegna il suo corpo. L’intuizione di Paolo e del Vangelo di Matteo. Il tutto nel frammento.  Prendete e mangiate.

 

Capitolo 2: È dato per voi. La dimensione comunitaria dell’eucarestia.

Un po' di storia. Per formare un solo corpo. La testimonianza della prima comunità cristiana: 

 

Capitolo 3: Prendete e mangiatene tutti. Nessuno è escluso.

Un’esperienza personale. L’insegnamento di Gesù. Gesù realizza le profezie.  Il sacramento della penitenza e il “tutti” dell’eucarestia. Le donne nella vita della comunità cristiana.

 

Capitolo 4: Fate questo. Le due interpretazioni del comando di Gesù e le conseguenze sul piano spirituale.

L’interpretazione ritualista. L’interpretazione esistenziale. Conseguenze sulla vita spirituale.

 

Capitolo 5: L’abbiamo riconosciuto.

Gesù portatore di pace. Riconoscere il Signore. Fare spazio. Tra strada e banchetto. Una nuova agenda pastorale e formativa.

 

Capitolo 6: ogni volta che mangiate…Annunciate. La dimensione missionaria.

 Gli spazi di Gesù.  La motivazione. Gesù, il liberatore dalla falsa religione. L’eucarestia come processo di smascheramento. Annunciamo l’amore del Signore.

 

Capitolo 7: Nell’attesa della tua venuta. La dimensione escatologica dell’eucarestia.

L’incontro che genera pace e gioia. La vita nel presente della storia.

 

PARTE SECONDA: LA LITURGIA IN UN MONDO OCHE CAMBIA. RIFLESSIONI PASTORALI

Introduzione

Capitolo 1: Un tuffo nella storia.

Passaggi di un’epoca di cambiamento. L’architettura liturgica. Tra Sacro Romano impero e messa tridentina.

 

Capitolo 2: Una liturgia con i tratti dell’umanità di Gesù.

L’umanità di Gesù e il principio d’incarnazione. Il sacro spogliato nei gesti di Gesù. Fede e vita.

 

Capitolo 3: Le intuizioni del Concilio Vaticano II sulla liturgia.

La scomoda eredità. Ritorno alle fonti. L’intimismo devozionale.

 

Capitolo 4: Liturgia ed ecclesiologia.

Temi significativi della Chiesa come popolo di Dio.  Una Chiesa tutta ministeriale: e le donne?

 

Capitolo 5: Liturgia e cultura.

Papa francesco e l’inculturazione del Vangelo. Un passo avanti: Querida Amazonia.

 

Capitolo 6. Liturgie inculturate in Occidente.

 Una necessaria presa di coscienza. Alcuni cambiamenti. Dalla parrocchia ai parrocchioni. Alimentare la fede

 

Capitolo 7. La liturgia per sua natura è inclusiva.

Un linguaggio inclusivo. Onnipotente? Tra sacrificio e dono. Il peccato nella liturgia. Lo stile accogliente.

 

Conclusione

Bibliografia

 

Acquistabile qui:

Ibs: https://www.ibs.it/eucarestia-domani-inculturazione-inclusivita-della-libro-paolo-cugini/e/9788869299742?queryId=12752032fbd503215fbb8b39e6331951

Amazon: https://www.amazon.it/Leucarestia-domani-Inculturazione-inclusività-liturgia/dp/8869299740/ref=sr_1_7?__mk_it_IT=ÅMÅŽÕÑ&crid=1LAA3BJTA6JBT&keywords=paolo+cugini&qid=1679988212&sprefix=paolo+cugini%2Caps%2C146&sr=8-7


mercoledì 22 marzo 2023

ERESIA: ANIMA DEL FEMMINISMO

 




Secondo ciclo di  Eretiche -

Eretiche è un progetto dell’OIVD che si articola in due momenti. Il primo ciclo è stato di  carattere  interreligioso:  si è aperto con il dialogo a partire   dal libro Eretiche, donne che riflettono, osano, resistono, di A. Valerio, cattolica,  e si è snodato con appartenenti ad altre religioni: S. Furstenberg  Levi, ebrea, M.  Mirshahvalad, musulmana,  L. Tomassone, valdese - le quali hanno esplorato il tema.

Ora avvieremo il secondo ciclo degli incontri, di cui dà conto la locandina.  Riteniamo che la categoria Eresia sia sigillo dell’intera cultura femminista, proprio per l’attitudine a collocarsi “fuori dalla violenza ermeneutica del pensiero”. Esso prevede la partecipazione di donne di associazioni che rappresentano vari profili del femminismo.  Vorremmo ragionare con loro che, in questi contesti, hanno lavorato, pensato, inventato, pratiche insieme ad altre donne e scambiare i loro punti di vista con i nostri, le cui radici si collocano in pluralità di femminismi, fecondati dal vento della spiritualità/fede. Crediamo che sia fondamentale tentare di costruire ponti e alleanze tra femministe credenti e altre che non si dichiarano tali; nella condivisione delle pratiche e delle sapienze femministe risiede un punto di forza per tutte. Abbiamo sofferto, nel passato, un silenzio tra questi mondi e crediamo che ciò abbia nociuto a tutte. 

 Il primo  incontro del secondo ciclo è per il  29 marzo 2023 ore 18:00.

Le ospiti sono due rappresentanti della associazione  

Libera Università delle Donne di Milano (L.U.D.) Lea Melandri e Liliana Moro

 

 Liliana Moro:  con una laurea in Filosofia ha insegnato italiano e storia in istituti superiori di Milano e della Lombardia. Si occupa di storia delle donne e in particolare di storia delle scienziate. Fa parte della Società Italiana delle Storiche e collabora da anni con la Libera Università delle Donne, per cui ha curato insieme ad altre diverse pubblicazioni e partecipato a gruppi. Con Sara Sesti ha lavorato al progetto e al libro “Scienziate nel tempo” e alla gestione del sito della Lud. Durante il lockdown ha portato a termine “Andar pensando. Donne, maternità, scuola, storia, scienza, guerra” una raccolta dei suoi scritti.

Lea Melandri: è scrittrice e attivista politica. È impegnata nel movimento femminista fin dagli anni settanta, e del movimento è stata ed è ancora una delle più interessanti teoriche e delle più appassionate attiviste. È stata una delle figure di maggior rilievo del Collettivo di Via Cherubini di Milano, uno dei fulcri del femminismo italiano degli anni ‘70. Della sua instancabile ricerca sul mondo delle donne, sono testimonianza le pubblicazioni; sono moltissime e ne citiamo solo una piccola parte: L'infamia originaria, 1977; Come nasce il sogno d'amore, 1988; Lo strabismo della memoria, 1991; La mappa del cuore, 1992;  Una visceralità indicibile. La pratica dell'inconscio nel movimento delle donne degli anni Settanta, 2000; Le passioni del corpo. La vicenda dei sessi tra origine e storia, 2001; Preistorie. Di cronaca e d'altro', 2004; Amore e violenza. Il fattore molesto della civiltà, 2011. Alfabeto d'origine, 2017.  Attualmente tiene corsi presso l'Associazione per una Libera Università delle Donne di Milano, di cui dal 2011 è presidente e di cui è stata promotrice fin dal 1987. 

 

Per partecipare, richiesta all’indirizzo osservatorioivdonne@gmail.com    Marzo 2. 3. 2023


domenica 5 marzo 2023

Impariamo a risvegliare le nostre coscienze

 




Parrocchie di: Bevilacqua, Dodici Morelli, Galeazza e Palata Pepoli

Organizzano

 

PERCORSO SUL TEMA DELLA SHOA’


DOMENICA 5 MARZO 2023

 

Relatrice: Prof. Alessandra Amaroli

Sintesi: Paolo Cugini

 

LA Shoà si presta per un discorso interdisciplinare.

Che cosa sappiamo della Shoà? La Giornata della Memoria è stata istituita dall’ONU. Si scelse il 27 gennaio perché è il giorno della liberazione di Auschwitz da parte dell’armata Rossa.

A Trieste ci furono 40 giorni di terrore per riconquistare i territori lasciati all’Italia. Vennero considerati nemici i fascisti e i non comunisti. Tra il 45 e il 56 si stimarono 250 mila profughi. Diversi di questi emigrarono anche in America.

Le foibe sono caverne dove venivano gettati i corpi delle vittime. Venivano legati tra loro, posti sul ciglio del baratro e veniva sparato al primo che trascinava gli altri.

L’Italia trattò molto male i profughi. Lo Stato italiano cercò di contenerne l’esodo. Se ne cominciò a parlare dal 1989 e si fece un uso politico della storia. Ci fu una rimozione da parte della sinistra e una rivalsa da parte della destra. Gli storici hanno il compito di studiare in modo obiettivo queste situazioni, che hanno risvolti politici.

Hanna Arendt fu presente al processo Aiman. Scrive la banalità del male, un libro che suscitò molto polemiche. Arendt sosteneva che non esiste il male assoluto, ma persone che compiono il male. Solo il bene può essere assoluto. Arendt parla di persone banali. Al processo si volle fare apparire Aiman come il male assoluto. Condannandolo a morte si pensò di condannare il male assoluto, ma lui era solo un burocrate. Quando l’essere umano sceglie di non tacere si definisce l’essere umano. La coscienza dell’uomo è addormentata. Noi siamo amore che è dentro di noi. Il bene viene alla luce quando ci riconosciamo come amore.

Victor Frankl. Ha fondato la logoterapia. Nel suo libro uno psicologo nel lager racconta la sua esperienza di prigioniero nei lager in cui aiuta i suoi compagni a cambiare prospettiva. Ciò comporta il cambiamento di mentalità, per dare un senso alla vita e ad una possibile morte. La forza spirituale aiuta ad andare oltre alla violenza del momento. Anche la morte ha un senso. Per Victor Frankl la vita ha un senso che va riscoperto. Chi riusciva a sopravvivere ai campi erano persone dotate di un forte ideale. È nella mente che la persona si sostiene. Sono le motivazioni che ci guidano e ci fanno andare avanti anche nelle situazioni di difficoltà.

Hanna Arendt: occorre che noi diamo un senso alla vita.

Non si è affamati solo di pane, ma anche di senso (V. Frankl). L’antidoto al non senso è l’insieme dei valori. L’uomo può essere più forte del destino che gli viene imposto. La libertà nessuno ce la può portare via. Rimanere liberi dentro: è il nostro grande compito.

Edith Stein e Etty Hillesum: sono esempi di questo. Avere il coraggio di soffrire. Quando non hai scelta scegli la via del coraggio, vendi cara la pelle.

Conoscere i sopravvissuti mi ha cambiato la vita (Alessandra). C’è un percorso interiore che si attiva nelle situazioni di grande difficoltà, come ad esempio, i malati gravi. Attraverso le parole le medicine funzionano meglio. La comunità educativa degli adulti devono aiutare le persone in difficoltà a trovare un senso nella vita.

Mons. Sandro Salvucci. Paragona il passaggio dal male al bene al parto. Attraverso un’esperienza di dolore si può partorire il bene. Ci vuole una levatrice, qualcuno che ci aiuti a partorire il bene. Il dolore va elaborato, trasformato, se no ci schiaccia.

Attimo fuggente: insegna a vedere il mondo da più angolazioni.

Paolo Crepet: tutto ciò che è comodo è stupido.

Coraggio di vivere una vita piena. Evitare il dolore significa rischiare di non avere emozioni. Proviamo a sviluppare empatia.

Massimo Recalcati: nel desiderio c’è tutto.

Sant’Agostino: la felicità ad amare ciò che si ha.

Viktor Frankl: occorre trovare un senso nelle piccole cose.

 

 

venerdì 3 marzo 2023

SABATO SANTO






 

Paolo Cugini

 

Che notte triste devono aver trascorso i tuoi discepoli, Signore Saperti morto. Pensarti nel sepolcro. Com’è possibile accettare un simile vuoto? Com’è possibile resistere all’angoscia di questo nulla? Senza di Te il mondo vive nelle tenebre.

 

È strano pensare che alla sepoltura ci abbia pensato Giuseppe d’Arimatea. In tutti e quattro i vangeli è l’unico personaggio costante tra quelli menzionati in questa circostanza. Giuseppe d’Arimatea salta fuori dalla narrazione evangelica come dal nulla, come se il suo compito dell’eternità fosse stato quello di seppellire il corpo di Gesù. Così come l’altro Giuseppe, il falegname menzionato all’inizio del Vangelo per costituire le piccole famiglie di Betlemme.

 

E così nel mistero dell’incarnazione c’è un Giuseppe all’inizio e un Giuseppe alla fine. C’è un Giuseppe, un’umile figura, che non fa rumore “persona buona e giusta”, “membro del sinedrio” “che era diventato discepolo di Gesù”.

 

Giuseppe d’Arimatea, quel buon uomo che ha deposto con cura Gesù nel sepolcro.

Giuseppe d’Arimatea rimane, per me un mistero incomprensibile.

 

Gesù nasce povero e muore in una tomba da ricchi.

Gesù nasce in una mangiatoia e muore in una tomba da re.

Era o non era il re dei Giudei?

Era o non era re? Di un regno che non era di questo mondo, ma pur sempre un Regno!

 

Giuseppe d’Arimatea depone il corpo del Signore in una tomba (la sua?) nuova scavata nella roccia. Un sepolcro nuovo in mezzo ad un giardino. Un sepolcro nuovo dove nessuno vi era mai stato.

 

Gesù nasce povero, muore come un brigante e assassino e viene deposto in una tomba nuova in mezzo al Giardino da un uomo del Sinedrio persona buona e giusta, che era diventato discepolo di Gesù.

 

Chi può deporre nella tomba il corpo del Giusto, dell’unico vero Giusto, se non una persona buona e giusta? Giuseppe il buono – giusto che depone il Giusto. Giuseppe il buono – giusto depone il Giusto punito proprio per la sua bontà.

 

Giuseppe d’Arimatea predestinato dall’eternità a non lasciare che il corpo del Santo rimanesse appeso alla croce per essere poi gettato insieme agli altri.

 

Giuseppe d’Arimatea, persona buona e giusta stacca dal legno della croce le mani e i piedi del Giusto. È Giuseppe che libera le mani di Gesù dai chiodi. Chissà quali domande hanno riempito la mente del buon Giuseppe d’Arimatea quando ha accolto tra le sue mani il corpo nudo di Gesù morto.

Gesù perché hai affidato il tuo corpo morto ad uno sconosciuto? Sì, è vero che era una persona giusta e buona, ma era pur sempre uno sconosciuto. Perché non hai voluto che fosse Andrea o Simone Giacomo di Zebedeo o suo fratello Giovanni, Filippo o Bartolomeo, Tommaso o Matteo, Giacomo di Alfeo o Taddeo, o Simone il Cananeo? Questi li avevi scelti perché stessere con te e imparassero le parole che il Padre ti aveva detto di dire loro.

 Perché non hai concesso a loro di vederti nell’alto estremo della tua umanità? Forse temevi che vedendoti inerme e senza vita sarebbero rimasti talmente turbati da non credere più nemmeno alla Tua Resurrezione? Pietro ormai ti aveva rinnegato per ben tre volte; Giuda l’iscariota ti aveva tradito per pochi denari. Gli altri erano tutti fuggiti Tranne Giovanni il discepolo che Tu amavi. Forse lui avrebbe potuto togliere i chiodi dal legno della tua croce. Forse Lui avrebbe potuto abbracciare il tuo corpo senza vita. Però, dopo la tua morte, accompagnò a casa tua Madre che divenne da quel momento la sua.

E tu eri lì, solo, morto sulla croce. Che silenzio sul Calvario. Che tenebre dentro e fuori Gerusalemme! Ore interminabili. Minuti pesanti come il piombo. Chi poteva sopportare il peso della Tua assenza? Il mondo per Tre giorni è vissuto nella tua assenza. Quale mistero il Dio che è spirato, che ha reso lo spirito. Grande desolazione per l’umanità rimasta orfana del suo Dio!

 Per alcune ore qualcuno può aver pensato che le tenebre sarebbero scese per sempre; che per sempre il nulla avrebbe aleggiato sul mondo.

Poiché lo spirito era stato spirato, reso al Padre, a colui che glielo aveva dato. Qualcuno ha potuto pensare che quell’istante poteva durare per sempre. Che per sempre lo spirito era spirato e non sarebbe mai più tornato. Pensieri cupi. Pieni di angoscia. Abbandono totale. Smarrimento.

Qualcuno ha potuto domandarsi che cosa avrebbe dovuto fare se le tenebre sarebbero rimaste sulla terra. Per sempre. E qualcuno ha pensato che non era bene, non stava bene che colui che era la Via, la Verità, la Vita rimanesse là, in cima al monte, appeso alla Croce, nudo.

Qualcuno, questo buono e giusto Giuseppe ha pensato bene di togliere davanti agli occhi di tutti lo scandalo, la vergona inquietante, il Dio Crocifisso! E lo ha preso fra le sue mani dopo avergli tolto con cura i chiodi, lo ha profumato con gli aromi e lo ha avvolto in un lenzuolo. Poi lo ha sistemato in un sepolcro nuovo e lo ha avvolto in un lenzuolo. Poi lo ha sistemato in un sepolcro nuovo scavato nella roccia, mai usato prima. Lo ha preso tra le mani. Quel corpo morto. Il cadavere di Gesù. Il corpo senza vita del Figlio di Dio. Forse lo ha guardato negli occhi. Ha cercato il suo sguardo. Ma non lo ha trovato. Aveva le palpebre chiuse. Come un morto. Come tutti i morti. Perché Gesù era morto. E uno sconosciuto lo stava deponendo dalla croce. Uno sconosciuto stava deponendo dalla Croce il re della Vita. Uno sconosciuto, di cui nessuno aveva mai sentito parlare, prese Gesù morto fra le sue braccia. E lo fissò, lo toccò, quel corpo inerte, senza vita. Ma perché uno sconosciuto ha potuto fare ciò?

Perché è toccato proprio a lui, Giuseppe d’Arimatea, vedere e toccare il corpo morto del Vivente? Uno sconosciuto è il testimone del mistero dell’umanità.

Perché colui che era venuto per portare la vita eterna è morto sulla croce. E lui lo ha visto. E lo ha persino toccato.

Perché colui che aveva guarito i ciechi e sanato i lebbrosi è morto. E lui ne è testimone.

Perché ha sfilato i chiodi dalle sue mani fredde. Dalla morte.

 Perché colui che ha risuscitato Lazzaro è stato colpito al costato da una lancia. E lui è lì a rendere testimonianza. E non può dire altro che tutto ciò è vero. SI Gesù è morto. Lui lo può dire. Ha cercato il suo sguardo ma non lo ha trovato. Ha sentito la sua pelle fredda. Come quella di un morto.

 Perché Lui, il Vivente, era morto.

Che pena dev’essere stato per i dodici (gli undici) rammaricarsi per non essere stati presenti alla morte del loro maestro. Si è vero, Giovanni lo aveva visto morire sulla croce, ma non era stato lui a sfilare i chiodi dalle mani del Signore. Anche lui come gli altri aveva lasciato ad uno sconosciuto che toccasse il corpo morto di Gesù.

(18 Aprile 1992, Sabato Santo)

 

VENERDI SANTO

 



 

Paolo Cugini

 

           

            “Perché le genti congiurano perché invano cospirano i popoli?

            Insorgono i re della terra e i principi congiurano insieme

            contro il Signore contro il suo Messia” (Salmo 2).

 

La Chiesa apre la liturgia del Venerdì santo con la domanda angosciante del Salmo 2 “Perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli?” Gesù è solo davanti alla cospirazione dei re e dei principi della terra. I re e i principi cospirano contro il suo Messia: non è assurdo questo? La Chiesa come primo salmo dell’ufficio di lettura c’immette nel grande mistero della morte del Messia. Ci sono i potenti della terra che hanno fretta di far fuori il Signore (Pilato ed Erode in quel giorno divennero amici; cfr Luca). È capitato ancora che qualche potente della terra si allei per distruggere un nemico.

 

Ma perché allearsi per distruggere un innocente?

 Perché allearsi per annientare colui che ha annunciato la pace?

 Perché allearsi per sconfiggere colui che aveva dichiarato di amare i nemici?

Perché tanta fretta per mettere fuori gioco un innocente, uno che non avrebbe alzato un dito per difendersi?

Perché adirarsi contro colui che rendeva gli eserciti degli indifesi dei poveri, dei dei deboli, dei sofferenti, dei miseri?

 Chi avrebbe fatto paura quest’uomo con la sua gente?

 A chi?

E allora perché le genti congiurano, perché invano cospirano i popoli?

 

È assurdo! È totalmente assurdo che viene da pensare che, tutto il trambusto operato per mettere in croce il Messia, sia opera di ciò che di più satanico c’è nell’uomo. Gesù ha portato all’umanità la salvezza, ha indicato la strada per arrivare ad accogliere la grazia del Padre. Gesù ha svegliato l’uomo dal suo letargo, appisolato sulle proprie comodità, che alla distanza risultano essere niente altro che meschinità. Gesù ha messo il dito nella piaga di un’umanità infiacchita e arroccata sui propri egoismi. L’uomo che non si riconosce come creatura non può che arrivare a disprezzare il creatore. L’uomo che non rimane in ascolto della parola di colui che l’ha creato, non può che diventare sordo all’appello di spogliazione e di conversione che il Padre amorosamente gli rivolge. Gesù ha mostrato all’uomo, anche all’uomo religioso (soprattutto all’uomo religioso al fariseo aggrappato alla propria religione come salvagente soggettivo di salvezza [Gesù ha bucato il loro salvagente ed essi si sono arrabbiati]), la pochezza di una vita vissuta sulle cose, che poi diventano proprietà incatenando così il cuore alla terra. Gesù è nato per sciogliere queste catene e liberare il cuore gretto e appesantito dell’uomo che non sa più guardare al cielo. Chi è disposto a lasciare il proprio orticello, la propria casetta, il proprio conto in banca? Chi è disposto a spogliarsi totalmente per seguire Cristo? Nessuno. Il […] costruito è troppo comodo e […]: in questo modo però l’umanità rischia di giocarsi la salvezza. Allora è chiaro vedere come fa il salmista “insorgere: re della terra, contro il Signore, contro il suo Messia”.

Chi è infatti che vuole un distributore, un sobillatore, uno che mette a repentaglio la sicurezza di tutti? È meglio costruirsi la propria religione con dei propri orrori, dei propri riti, per potere fare i nostri lavori, il nostro sport, le nostre ferie, la nostra carità… Gesù è venuto a portare al mondo la sua salvezza e noi abbiamo preso le sue parole e le abbiamo trasformate. Le abbiamo messe in modo tale da poter continuare a fare le nostre cose, come prima con in più la benedizione del Signore. Questo è l’uomo! Questo sono io tutte le volte che prendo la parola di Dio e la uso per sentirmi bene, al sicuro, protetto.

 

Gesù di fronte al mondo che lo accusava di essersi fatto come Dio, si è lasciato spogliare.

 

Non posso pretendere di fare la carità ai poveri senza iniziare un cammino di conversione che mi conduca ad essere sempre più povero, bisognoso. È nella povertà che uno impara a chiedere perché è nel bisogno. Anche Gesù ha chiesto aiuto: al Padre nel Getsemani; sulla croce ha chiesto da bere.

 

Putride e fetide sono le mie piaghe a causa della mia stoltezza. Sono curvo e accasciato, triste mi aggiro tutto il giorno” (Salmo 37) 3° Ps Uff. Letture.

 

Ma io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo” (Salmo 21) 2° B. Uff. Letture.

 

“Pietà di me o Dio, secondo la tua misericordia nel tuo grande amore cancella il mio peccato” Pt 50 (1° Lodi)

 

Sei uscito a salvare il tuo popolo per salvare il tuo consacrato” (Ab 3) 2° Lodi

 

“Così non ha fatto con nessun altro popolo non ha manifesto ad altri i suoi precetti” (Ps 147) 3° Lodi

 

Gesù muore sulla croce perché l’umanità non lo ha accolto. Gesù o lo uccido o lo accolgo e mi lascio amare da Lui. Gesù o lo odio o lo amo, non ci sono alternative, perché anche le vie intermedie, il cristiano pieno di compromessi, è un modo per odiare Gesù. Anzi, forse è il peggiore dei modi perché lo si considera alla pari delle altre cose, dei nostri affari. Gesù è un “affare” che va considerato alla domenica o in qualche altra occasione o incontro serale da appuntare sull’agenda altrimenti ci si può anche dimenticare. È la forma peggiore di stare con Gesù perché non lo si considera per ciò che lui è realmente vale a dire l’unico Signore, l’unico.

 

Aprire il cuore per accogliere lo Spirito, vale a dire ciò che Gesù ci ha lasciato in eredità nell’ultima cena! Riesco a vedere Gesù se credo in Lui e alla sua parola che si riassume nel comandamento dell’amore. Amare chi noi sta, intorno chiunque esso sia, povero o ricco, intelligente o stupido sano o malato. Dalla croce Gesù ha offerto i suoi frutti di comunione: battesimo ed Eucarestia, Battesimo come biglietto d’ingresso in quella comunità che è la Chiesa che è comunità d’amore in Cristo; l’Eucarestia che è il modo di fare di […] in noi il Signore.

Il Signore ci vuole uniti a Lui e alla sua parola. Potremmo vederlo solamente se obbediremo ai suoi comandi.

 

Se qualcuno osserva le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 47)

 

Il Signore è venuto per salvarci. Ci salviamo solo se rimaniamo uniti a Lui. Rimaniamo uniti a Lui se accogliamo e obbediamo alle sue parole e osserviamo i suoi comandamenti.

 

Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14,1)

 

Accogliere i comandamenti del Signore è vivere nel suo amore. Solo nell’unione con lui Riusciamo a vederlo. Solo in questo modo riuscirà a manifestarsi. Solo se siamo uniti a Lui nel suo amore riusciremo a riconoscere il consolatore.

 

La Chiesa vive nella e della presenza del Signore. Nella Chiesa è presente il Signore con il suo Spirito consolatore.

 

Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando poi verrà lo Spirito di Verità egli vi guiderà nella verità tutta intera” (Gv 16, 12 12-13)

 

La Chiesa vive nell’accoglienza e nell’ascolto dello Spirito. È lo Spirito che guida la sua Chiesa alla salvezza.

 

L’attività dell’uomo che non riconosce che cosa ha fatto mettendo in croce il Signore. Ottusità che consiste nel permanere nelle tenebre. Nel mondo è venuta la luce, quella vera, quella che mostra la via della salvezza, la vita eterna. È venuto il Verbo portatore della vita divina che per l’uomo significava luce, ma questa luce è stata spenta. Ma essa continua a brillare. La vita eterna non muore. La luce rivelata continua a far luce nel cuore di chi l’accoglie. La luce vera è venuta nel mondo e mostra la realtà. È venuto il creatore e la creatura non l’ha riconosciuto. Il Figlio è venuto a rivelare il Padre ma il mondo non lo ha ascoltato. Il mondo è sazio delle proprie rivelazioni e delle proprie luci che non illuminano e non conducono alla vera vite. Ma per accettare la vera vita bisogna metter in discussione la propria vita, bisogna rinnegarla. Per accogliere la vera luce bisogna riconoscere che ciò che si è seguito non è la vera luce. Per accogliere il Verbo, occorre deporre ai suoi piedi tutte le proprie sicurezze, i propri progetti, le proprie realizzazioni, il proprio io. È il Verbo che ha creato il mondo e le creature per comprendersi, per capire la propria realtà devono richieder al Verbo la parola della verità, la luce che illumini la vita. Solo il Verbo può riempire la vita della vera luce. Allora chi vuole la vita deve mettere davanti al Signore, davanti al Verbo tutte le proprie fortezze e lasciare che Lui decida di farle saltare e lasciare che sia lui poi a ricostruirci. Davanti al Verbo bisogna andarci spogli e in silenzio.

(17 aprile 1992, Venerdì santo)