L’eucarestia
è vita. È questo il dato che emerge quando leggiamo i Vangeli: emanano vita. I
riti che celebrano l’eucarestia spesso non emanano vita, perché sono ricoperti,
ingolfati, soffocati da norme liturgiche, suppellettili inutili, ritualismi
obsoleti, che offuscano il messaggio vitale di Gesù. Riflettere, allora, sul
senso dell’eucarestia facendo riferimento non ad una tradizione obsoleta che il
clima culturale postcristiano ha messo definitivamente nel baule dei ricordi da
guardare senza troppa nostalgia, può aiutare la comunità cristiana a riscoprire
quel tesoro d’amore che Gesù ha nascosto nelle parole dell’ultima cena. C’è
vita nel Vangelo, vita autentica, ma che per troppo tempo è stata sequestrata
da riti religiosi che non sempre corrispondono alle intuizioni del Maestro.
Occorre, allora, mettersi in cammino per un percorso di disvelamento
dell’autentico che è, allo stesso tempo, un cammino di riscoperta di ciò che è
stato coperto, nascosto. Questo cammino non lo possiamo compiere da soli. Senza
dubbio, nella vita spirituale c’è una dimensione personale che è importante.
Per quanto riguarda l’eucarestia, invece, la dimensione comunitaria è
fondamentale.
Durante
l’ultima cena Gesù ha parlato ad un gruppo di persone che non erano lì a caso,
ma che provenivano da un cammino, da una risposta ad un appello accolto. È
possibile cogliere il valore del tesoro contenuto nei gesti e nelle parole di
Gesù nell’ultima cena se si è mossi dal desiderio di conoscerlo, di stare con
lui e di condividere questa esperienza con i fratelli e le sorelle che sono
sulla stessa strada. Possiamo cogliere la profondità del messaggio di Gesù
quando accettiamo il suo invito di uscire dalla solitudine del nostro egoismo,
per camminare dietro di Lui per vivere fratelli e sorelle, per formare
comunità. Siamo così abituati a pensare all’eucarestia come un momento
personale della nostra vita spirituale, che facciamo fatica a percepirla nella
sua dimensione originaria di comunione tra fratelli e sorelle. Eppure,
l’origine è questa, il contesto originario nel quale si è svolta l’ultima cena
è una relazione amicale che Gesù ha voluto, prima di morire, con color che
avevano accolto il suo invito e camminato con Lui per le strade della
Palestina. È difficile credere che non fossero presenti in quel contesto così
forte dal punto di vista delle emozioni, anche quelle donne che l’avevano
seguito per tutto il tempo del suo cammino verso Gerusalemme. Ascoltare le
parole di Gesù in questo contesto postcristiano, deve voler dire anche spezzare
il giogo della cultura patriarcale che a più riprese ha deformato il messaggio
di uguaglianza di Gesù. Anche questa è una sfida che accompagnerà le pagine che
seguono.
L’eucarestia
è speranza. Nelle parole che Gesù ha pronunciato nell’ultima cena, nei suoi
gesti, c’è uno sguardo profondo sul futuro della storia. Durante il suo cammino
verso Gerusalemme Gesù non ha mai creduto che la sua morte potesse dire la fine
sul suo messaggio di vita nuova. C’è speranza nelle parole di Gesù, perché c’è
fiducia nell’uomo e nella donna, nella loro possibilità di lasciarsi
trasformare dalle sue parole d’amore cariche di vita. È questa la grande forza
di Gesù: non ha avuto timore ad affidare la continuità del suo messaggio di
vita nuova, ad un gruppo di persone che, come noi, erano fragili, timorose,
incapaci di comprendere quello che il Maestro intendeva dire. Eppure, Gesù non
ha avuto difficoltà a consegnare loro quelle parole vere e profonde,
pronunciate nell’ultima cena, perché il suo sguardo andava lontano, non si
fermava al presente della storia, non considerava come definitivo la debolezza
umana dei suoi discepoli e discepole. Ha creduto in loro, nonostante tutto. La
sua grande fiducia nella bontà del suo messaggio, lo ha condotto a non
considerare un impedimento il tradimento di Giuda, il rinnegamento di Pietro,
l’abbandono degli altri.
L’eucarestia
ci consegna questo sguardo penetrante di misericordia, capace di andare al di
là delle apparenze, delle meschinità consumate nel presente della storia.
Accettare di alimentarsi di Lui significa diventare portatori di questo sguardo
nel mondo, che non si ferma dinanzi a nulla, che riesce a penetrare i
fallimenti umani, per scorgere delle possibilità. Accogliere il Signore della
storia, credere nella sua Parola carica di speranza, significa aver capito che
la comunità che lui ha fondato, non è fatta dei migliori, o di coloro che si
presumono tali, ma di tutte e di tutti. L’eucarestia è il primo profondo
principio di uguaglianza che qualcuno, nel nostro caso il Maestro, ha
conficcato nella storia, per sempre. È lì, alla portata di tutti e tutte. Basta
desiderarlo. Basta mettersi in cammino. Quel cammino che nasce dalla
consapevolezza di essere poca cosa e che nemmeno tutto l’oro del mondo può
donarci un briciolo di dignità.
C’è
tenerezza nell’eucarestia. È uno sguardo tenero che emana quel corpo spezzato
sulla croce che, prima di essere il simbolo di un sacrificio, è il più grande
inno d’amore che un essere umano abbia saputo pronunciare. Certamente ce ne
sono stati altri, ma un amore così non si è mai visto. C’è tanto amore su quel
legno insanguinato. Facciamo fatica a vederlo, a comprenderlo perché i nostri
occhi sono annebbiati da liturgie che, invece di celebrare il mistero della
vita, così com’è stato, lo hanno rivestito di orpelli, pizzi, di ori. Proprio
Lui, è questo il misfatto, la più grande aberrazione! Hanno riempito di vesti
dorate proprio Lui, il Signore della storia e della vita che queste vesti,
simbolo di nobiltà, se le era tolte per rivestirsi delle vesti umili dei
poveri. Non solo. Facciamo fatica a vedere nel legno insanguinato della croce
l’immenso amore di Gesù, perché è stato interpretato male, è stato visto come
un sacrificio. È vero che leggendo i testi ci sta anche questa interpretazione
sacrificale, ma distorce quello che è stato il gesto libero di Gesù, una scelta
d’amore, un dono affinché tutte e tutti possano accedere e accogliere fino alla
fine dei tempi.
Anche
nell’ultima cena, così come ce l’ha trasmessa l’evangelista Giovanni, Gesù ha
depositato le vesti, per cingersi di un asciugamano e lavare i piedi ai
discepoli. Questi sono i panni sacri di cui siamo chiamati a rivestirci quando
partecipiamo all’eucarestia, i panni del servizio ai poveri, dell’attenzione
agli ultimi. Generazioni di donne e di uomini hanno assistito passivi ai riti
che avrebbero dovuto celebrare il Signore della vita, ma quella vita nuova
rimaneva sepolta sotto il peso delle vesti sontuose e i pizzi dorati. C’è
speranza in questo mondo postcristiano perché ci permette di poter osare cose
nuove, di aprire i testi sacri con la curiosità del bambino, la curiosità di
leggere le sacre parole e rimanerne abbagliati. Quello che viene considerato un
periodo di crisi epocale, può trasformarsi in una grandissima occasione per
tutti coloro che, leggendo il Vangelo, vedono la luce, un cammino di speranza.
Benvenuta, allora, la post-cristianità che velocemente sta spazzando via secoli
di rivestimenti sacrali che hanno impedito di cogliere il Mistero ad intere
generazioni e che permette ora un incontro nuovo o, perlomeno, la possibilità
di questo incontro il meno possibile filtrato.
Si
percepisce la sofferenza di tutti e tutte coloro che per secoli hanno creduto
che il messaggio di Gesù fosse proprio quello che gli veniva raccontato, fatto
di riti, processioni, di liturgie gestite solamente dagli uomini. Quanta
sofferenza in quelle persone anziane che, leggendo per la prima volta il
Vangelo si sono accorte che il messaggio di Gesù è un’altra cosa, non riguarda
dei riti, ma un modo di vivere, non fatto di ori e di pizzi, ma di semplicità e
di attenzione ai più deboli. Che stupore deve creare in coloro che per la prima
volta si accostano al Vangelo e scoprono che l’eucarestia non è una questione
di parole dette bene, ma di amore, di lavarsi i piedi gli uni gli altri.
Benvenuta epoca post-cristiana che ci permetti di mettere al centro
l’essenziale e lasciare in disparte la forma.
Le pagine che seguono
sono il frutto di due esperienze diverse. Nella prima parte riporto alcune
riflessioni, frutto di un corso di esercizi spirituali tenuto ai fedeli laici e
laiche delle parrocchie che accompagno da alcuni anni. Nella seconda parte,
invece, confluiscono le considerazioni di alcuni incontri realizzati negli
ultimi due anni sul tema della liturgia nella vita della comunità. Questa
precisazione sull’origine del testo che presentiamo, ci consente di collocare
il contenuto come una condivisione di un cammino svolto dall’autore assieme ad
alcune comunità, che non hanno alcuna pretesa, se non quella di contribuire
alla crescita spirituale e culturale del singolo lettore. Buona lettura.
INDICE
Introduzione
Abbreviazioni
PARTE PRIMA: LA MENSA DEL
SIGNORE. RIFLESSIONI SPIIRTUALI
Preludio.
Rifiutare
il Mistero. Smantellare la religione per percepire la presenza del Mistero. Tra
precetto e dono. Il ritorno alle fonti per liberarci dalle mistificazioni.
Capitolo 1: Questo è il
mio corpo.
Gesù consegna il suo
corpo. L’intuizione di Paolo e del Vangelo di Matteo. Il tutto nel frammento. Prendete e mangiate.
Capitolo
2: È dato per voi. La dimensione comunitaria dell’eucarestia.
Un
po' di storia. Per formare un solo corpo. La testimonianza della prima comunità
cristiana:
Capitolo
3: Prendete e mangiatene tutti. Nessuno è escluso.
Un’esperienza
personale. L’insegnamento di Gesù. Gesù realizza le profezie. Il sacramento della penitenza e il “tutti”
dell’eucarestia. Le donne nella vita della comunità cristiana.
Capitolo
4: Fate questo. Le due interpretazioni del comando di
Gesù e le conseguenze sul piano spirituale.
L’interpretazione
ritualista. L’interpretazione esistenziale. Conseguenze sulla vita
spirituale.
Capitolo
5: L’abbiamo riconosciuto.
Gesù
portatore di pace. Riconoscere il Signore. Fare spazio. Tra strada e banchetto.
Una nuova agenda pastorale e formativa.
Capitolo
6:
ogni volta che mangiate…Annunciate. La dimensione missionaria.
Gli spazi di Gesù. La motivazione. Gesù, il liberatore dalla
falsa religione. L’eucarestia come processo di smascheramento. Annunciamo
l’amore del Signore.
Capitolo
7: Nell’attesa della tua venuta. La dimensione escatologica dell’eucarestia.
L’incontro
che genera pace e gioia. La vita nel presente della storia.
PARTE
SECONDA: LA LITURGIA IN UN MONDO OCHE CAMBIA. RIFLESSIONI PASTORALI
Introduzione
Capitolo
1:
Un tuffo nella storia.
Passaggi
di un’epoca di cambiamento. L’architettura liturgica. Tra Sacro Romano impero e
messa tridentina.
Capitolo
2: Una liturgia con i tratti dell’umanità di Gesù.
L’umanità
di Gesù e il principio d’incarnazione. Il sacro spogliato nei gesti di Gesù. Fede
e vita.
Capitolo
3: Le intuizioni del Concilio Vaticano II sulla liturgia.
La
scomoda eredità. Ritorno alle fonti. L’intimismo devozionale.
Capitolo
4: Liturgia ed ecclesiologia.
Temi
significativi della Chiesa come popolo di Dio. Una Chiesa tutta ministeriale: e le donne?
Capitolo
5: Liturgia e cultura.
Papa
francesco e l’inculturazione del Vangelo. Un passo avanti: Querida Amazonia.
Capitolo
6. Liturgie inculturate in Occidente.
Una necessaria presa di
coscienza. Alcuni cambiamenti. Dalla parrocchia ai parrocchioni. Alimentare la
fede
Capitolo
7. La liturgia per sua natura è inclusiva.
Un
linguaggio inclusivo. Onnipotente? Tra sacrificio e dono. Il peccato nella
liturgia. Lo stile accogliente.
Conclusione
Bibliografia
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