Paolo
Cugini
Gesù è venuto nel
mondo! Dio si è fatto uomo, si è fatto carne; ha preso dimora in mezzo a noi,
in noi; Dio è il Dio-con-noi, nel senso che vive con l’uomo nella sua storia.
Dio vive con l’uomo per condurlo verso la Patria del cielo, la Gerusalemme
celeste. “Dio ha creato l’uomo per l’eternità” (San Paolo). La constatazione,
la presa di coscienza che Dio si è fatto carne per vivere a fianco dell’uomo
crea un grande smarrimento. La chiesa è la “carne” del Dio incarnato, morto e
risorto.
La “carne” se ha l’aspetto
positivo di essere visibile, presenta però tutti i limiti che tale rivestimento
comporta. La carne si corrode, è soggetta al tempo, alle intemperie, ha bisogno
di essere rivestita nutrita. Ha il continuo bisogno di riflettere sulla propria
condizione per verificare il suo stato di salute A volte si irrigidisce per
paura di essere distrutta. Altre volte, comprende di dovere adeguare la propria
riflessione ai tempi.
Ci si scandalizza della
Chiesa. Si rimane scandalizzati di una Chiesa che tradisce l’essenza del suo
annuncio. Si rimane traditi da una Chiesa che sceglie la propria conservazione
mettendosi al fianco, nel cammino della storia, di chi detiene il potere. La
scelta della Chiesa nel tempo è la scelta di essere evidente, visibile e come
esserlo se non al fianco o al centro dello stesso potere? La Chiesa come
struttura storica, la si coglie molto bene e questo fa parte del centro: i
documenti storici, le fonti ecc. ne parlano. La Chiesa sta nella storia
mettendosi in prima persona al fianco dell’uomo e della donna. Essa vuole che
si veda il proprio impegno per l’umanità. Si è scelto il potere per andare
verso il povero per aiutarla a stare meglio.
L’arrabbiatura più
forte è sorta da coloro che dalla Chiesa sono andati verso i poveri e hanno
scoperto che essi, i poveri, non volevano i soldi, ma desideravano
semplicemente essere considerati uomini, donne, essere considerati degni di
quell’umanità che i popoli ricchi tengono racchiusi per nei propri scrigni. La
scoperta della realtà del povero ha creato una crisi all’interno della Chiesa,
la quale si pone il problema di come stare nel mondo dei ricchi.
Lo sforzo che la Chiesa
fa di andare verso i poveri rischia di andare a vuoto perché può rendere vano
lo sforzo del ricco che, per tranquillizzare la propria coscienza, dà delle
briciole al povero, e vengono recepite come tali. In questo sforzo, possono
trasparire le forme implicite di un mantenimento di un proprio stato: nessun
borghese, nessun ricco desidera diventare povero (è un cambiamento che può
essere prodotto dalla conversione del cuore, che solo Dio può mettere in atto):
questo desiderio può rimanere implicito anche nelle parole della Chiesa
ufficiale e particolare.
Quando si parla di
povertà si corre il rischio di sottolineare prevalentemente l’aspetto sociale,
si rischia di fermarsi allo stato epidermico della rivendicazione dei diritti
che è importante ma non è l’essenziale dell’annuncio evangelico.
Quando Gesù parla di
povertà indica uno stato di vita, una condizione esistenziale a partecipare
dalla quale è possibile un cammino di conversione, poiché è l’unico luogo che
permette di ascoltare la parola di Dio. La povertà non è solo una condizione
iniziale, ma deve rimanere permanente perché è la condizione dello spogliato,
dell’uomo, della donna che non ha più nulla di proprio e la sua vita diviene totale
dono, affidamento completo nelle mani di Dio la propria vita.
Vita domata, vita
spogliata per essere santi, per essere come Lui. Non si può essere come Lui se
si rimane legati ai propri bisogni, alle proprie esigenze, al proprio
benessere. La spogliazione se non è radicale non porta a nulla, se non intacca
le più intime radici dell’essere umano non è efficace. Chi è che è così
distaccato dal proprio essere da accettare una vita che ha come meta la
distruzione di sé, l’inappagamento dei propri desideri, la soppressione delle
proprie pulsioni vitali? (Dai diari, 1992).