martedì 16 dicembre 2014

DECLINO E MINORANZA










 Paolo Cugini
Sono da pochi giorni a Reggio e ne approfitto per girare in bicicletta ed osservare le novità, i cambiamenti. E, mentre giro, penso. Rimango affascinato dai campi di grano pieni di papaveri e dal colore dell’erba. Ho trascorso gli ultimi anni della mia vita in una regione del Brasile dove piove pochissimo e la terra é arida. A Pintadas, la parrocchia che ho accompagnato dal 2010 al 2013, negli ultimi tre anni non é mai piovuto, la terra é secca e il bestiame muore. E poi rimango affascinato dalle strade, le ferrovie, i servizi pubblici, i parchi, i percorsi per le biciclette e tanto altro. Bisognerebbe uscire ogni tanto dal proprio orticello per apprendere ad apprezzare quello che si ha.
L’unica cosa che mi ha colpito negativamente in questi miei primi viaggi perlustrativi a cavallo della mi bicicletta, sono le chiese abbandonate. Sono, infatti, passato davanti ad alcune chiese di alcuni paesini e ho visto l’evidente degrado delle strutture ecclesiali come oratori, cinema e chiese, dovute all'abbandono. Mi sono fermato dinnanzi ad alcuni di questi edifici e, oltre a fare alcune foto, ho riflettuto e mi sono interrogato sui motivi di questo abbandono, che assume l’aspetto triste del declino. Quegli spazi ora abbandonati sono stati senza dubbio in passato riempiti da bambini e adulti nel normale cammino della vita parrocchiale. Quanti preti hanno lavorato con entusiasmo in quei locali ora abbandonati; quanti catechisti e adulti si sono prodigati per organizzare la catechesi, feste con i bambini, momenti aggregativi e di preghiera. Perché adesso tutto sembra abbandonato? Che cosa é successo? La prima risposta che mi viene in mente, mentre passo dinanzi alla casa parrocchiale anch'essa abbandonata, è che adesso non c’é più il prete. Le parrocchie italiane dipendono dalla presenza del prete, senza di lui tutto svanisce. Se non c’é il prete non si celebra alla domenica. Mentre osservavo questo triste spettacolo mi venivano alla mente le piccole comunità di base che ho accompagnato per tanti anni in Brasile. Alla domenica le persone delle piccole comunità di base si riuniscono nella cappella o a casa di qualcuno per celebrare il giorno del Signore, perché la loro fede non dipende dal sacerdote. Sono stati abituati a fare così, ad organizzare la vita della comunità prendendosi le loro responsabilità, organizzando il catechismo per i loro figli, formando gruppi giovani dove i numeri lo permettono, celebrando le novene dei loro santi, le devozioni mariane e  trovandosi una volta alla settimana per leggere e riflettere sulla Parola di Dio. Il sacerdote in questi contesti passa ogni tanto nelle comunità a celebrare l’Eucaristia, e soprattutto, si preoccupa con la formazione dei laici, organizzando corsi per i catechisti e i ministri della Parola e dell’Eucarestia. E così, quando il prete non c’é le comunità soffrono, ma non muoiono: é questo che ho visto in Brasile.
Le chiese e le parrocchie abbandonate sono anche il segno evidente di un fatto: il declino inarrestabile della chiesa cattolica o per lo meno della chiesa così come si é imposta nel mondo Occidentale. É quello che gli storici e i filosofi chiamano di fine della cristianità. Le chiese chiuse non solo nelle campagne, ma anche in città, le chiese date ad altri gruppi religiosi come gli Ortodossi, o le chiese date per fare delle mostre artistiche, sono sempre di più il segno di questo inarrestabile declino di un modo di essere presente nel mondo, che ha caratterizzato la Chiesa Cattolica sino ad ora. Ci stiamo ritirando perché non abbiamo più i numeri e le forze per mantenere in piedi la struttura che ha caratterizzando il nostro modo di essere chiesa.  Se sino a qualche tempo fa la fine della cristianità non era presa molto sul serio, perché sembrava solo un’analisi di qualche filosofo svitato, adesso si tratta di una constatazione sempre più evidente: é un dato di fatto che sta sotto gli occhi di tutti.
Come vivere la fede in un tempo di fine della cristianità? Detto in un modo più semplice: come vivere la fede in un contesto di marginalità, di minoranza? Contiamo sempre meno non solo dal punto di vista numerico, ma anche sociale, politico e culturale. Sempre più le persone vivono e si organizzano indipendentemente dalla proposta religiosa. Siamo stati abituati a viver la mostra fede in un contesto in cui tutto ruotava attorno al campanile e chi non viveva in questo stile era visto male e, lui stesso si sentiva male. Adesso molta gente vive bene e sta bene anche senza frequentare i locali delle parrocchie.
Non basta prendere coscienza di questo passaggio storico ed epocale, ma bisogna fare qualcosa. L’impressione che sto avendo in questi giorni é che ci stiamo lentamente lasciando seppellire dalla storia. É come se non volessimo vedere, sentire i rumori dello sgretolio dell’edificio che sta venendo giú e quindi rischiamo di morire sommersi dalle macerie. Mi sembra questa la tendenza dei nostalgici: non accettare la realtà e quindi ripristinare le forme del passato, per vivere come se non stesse succedendo nulla. I preti sono sempre meno e sempre piú vecchi e da loro si esige che mantengano i servizi di un tempo. Se un prete non passa nelle case per fare le benedizioni é considerato con disprezzo dai parrocchiani. Allo stesso tempo, ancora oggi i laici nelle nostre parrocchie non contano quasi nulla o meglio, contano nella misura in cui possono svolgere il compito affidatogli dal parroco. Nonostante siamo dinnanzi ad un evidente passaggio epocale, che esigerebbe scelte pastorali significative, viviamo nello stesso sistema di un tempo: gerarchia ecclesiale tutta schierata da una parte e il popolo di Dio dall'altra. Ci stiamo massacrando da soli.


 Per coloro che invece si lasciano guidare dallo Spirito Santo la fine della cristianità può diventare una grandissima occasione per riscoprire le nostre origini. Nel Vangelo i cristiani non sono mai chiamati a contare qualcosa nella società, ma ad essere fermento nella massa, sale della terra. Nell'ultima cena Gesù avverte i suoi discepoli che saranno odiati dal mondo, che saranno perseguitati e che dovranno apprendere a rallegrarsi di ciò. Il cristianesimo nasce come un piccolo granello di senapa, come un tesoro nascosto. C’é tutta una spiritualità del nascondimento che permea le pagine del Vangelo, che possiamo recuperare in questa nuova fase della storia. Abbandonando i posti di comando la Chiesa potrà sempre di più vivere della conoscenza del suo Signore, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo per creare la comunità dei fratelli e delle sorelle. E così, invece di organizzare crociate per costringere alla conversione i popoli, potrà succedere quello che avveniva all'inizio dell’era cristiana: vedendo come i cristiani si amavano e come condividevano, molta gente si avvicinava a loro chiedendo di poter far parte della comunità. La fine della cristianità può rappresentare per noi discepoli e discepole del Signore una grandissima occasione per realizzare la profezia di Isaia che diceva: “Alla fine dei giorni il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti” (Is 2, 2).

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