martedì 17 ottobre 2023

UNO SCAMBIO GENERATIVO

 






 

Paolo Cugini

Una cosa è certa: non ci s’improvvisa parroco di varie parrocchie. Siamo stati formati per secoli ad essere guide di una parrocchia. La gente stessa è abituata così. Ciò significa che, anche l’attuale esperienza delle unità pastorali, ha bisogno di un tempo prolungato per assestarsi. Inoltre, credo che abbia bisogno anche dell’esperienza dei missionari rientrati. In fin dei conti, siamo dei fidei donum, dei doni imprestati ad un’altra Chiesa per poi rientrare. Proprio su questo rientro mi sembra importante riflettere. Ci sono dei percorsi formativi per prepararsi all’entrata in nuovo contesto ecclesiale, in cui si viene orientati a cogliere lo specifico dell’esperienza in cui il missionario sarà coinvolto. C’è poi, soprattutto, l’attenzione al tempo necessario per l’adattamento alla nuova realtà. Non si viene, infatti, buttati subito nella mischia, ma c’è sempre qualcuno che accompagna nella nuova realtà. I primi anni di missione sono tempi di cambiamento, che esigono un cammino umano e spirituale molto profondo. La missione passa attraverso l’umanità del missionario e ognuno reagisce in modo diverso agli stimoli che il nuovo contesto propone. Questa differenza la si coglie dalle narrazioni, dai contenuti delle lettere, dalle testimonianze. C’è tutta una ricchezza ecclesiale e spirituale che viene mediata dall’umanità del missionario, dal lavoro che lui stesso svolge su di sé per imparare a camminare con il popolo di Dio incontrato. Per questo motivo siamo così diversi, per certi aspetti “strani” quando torniamo alla base. Anche al ritorno sarebbe necessario ipotizzare un periodo di formazione, per mettere in condizione chi rientra di riadattarsi lentamente alla realtà ecclesiale, sociale che, nel frattempo è molto cambiata. È in questa fase di rientro che sarebbe importante un percorso progettuale, per non disperdere tutta quell’esperienza ecclesiale e spirituale assimilata in tanti anni di missione e metterla a disposizione della diocesi. Tra queste nuove competenze apprese e che varrebbe la pena incanalare in un percorso progettuale, c’è la capacità di accompagnare la vita di parrocchie costituite da tante comunità, quelle che in Italia vengono chiamate Unità Pastorali. Guidare pastoralmente tante parrocchie non si apprende sui libri, ma nella vita quotidiana. Mentre in Italia si cerca di capire come fare, in altre parti del mondo questo stile di Chiesa è in atto da decenni. I missionari che hanno svolto la loro esperienza in Brasile hanno lavorato proprio in questo contesto ecclesiale. Sarebbe importante tenerne conto.



Nel passato ci sono state delle scelte, realizzate in primo luogo dal Vescovo Baroni e rinnovate dai suoi successori, scelte mosse dal clima di entusiasmo ecclesiale del dopo Concilio, che promuoveva una Chiesa popolo di Dio, che per sua natura è missionaria, queste scelte devono in qualche modo dire qualcosa alla Chiesa locale. L’aprirsi delle diocesi alle missioni è stato vissuto come la realizzazione del cammino conciliare. Le parrocchie delle aree missionarie sono state percepite come una realtà ecclesiale che ci appartiene, nel senso ecclesiale del termine. Così erano presentate le missioni diocesane negli incontri realizzati con gli studenti di teologia e anche delle superiori (quando c’erano: io c’ero). Chi si preparava al ministero presbiterale, sapeva che poteva essere chiamato a servire una delle nostre parrocchie in missione. Lo sapeva e per questo ci si preparava leggendo le lettere dei missionari, invitando i preti in rientro dalle missioni ad una celebrazione eucaristica, ad un incontro formativo o a predicare un ritiro spirituale. Ci si alimentava della spiritualità missionaria direttamente dalle fonti, i nostri preti diocesani fidei donum, perché si sapeva che si poteva essere chiamati per partire.  C’era la presa di coscienza del grande servizio che l’esperienza missionaria stava facendo non solo ai preti che partivano, ma soprattutto alle parrocchie della nostra diocesi.



Occorre ricordare, poi, che non solo preti sono partiti per le missioni, ma anche religiosi, religiose e molti laici e laiche. Una ricchezza ecclesiale incredibile che, anche se non è mai stato realizzato un progetto di ritorno, che aiutasse a valorizzare e incanalare questa ricchezza ecclesiale e spirituale, in ogni modo tutti coloro che sono rientrati dall’esperienza missionaria hanno contribuito ad arricchire le comunità parrocchiali di origine. Quante lettere, testimonianze, veglie di preghiera, messe missionarie sono state realizzate in tutti questi anni? Che dire poi, di tutti quei giovani che hanno fatto l’esperienza di un mese in missione, organizzato dal Centro Missionario Diocesano con percorsi formativi specifici. Spesso, molti di questi giovani non hanno alle spalle un cammino all’interno di una specifica comunità pastorale, ma si sentono spinti a fare un’esperienza in missione, perché, come sappiamo, le nostre missioni diocesane sono realizzate in luoghi nel mondo caratterizzati dalla povertà. Si coglie in questi giovani il desiderio di sperimentare il cammino di una Chiesa dei poveri, a contatto con realtà sociali che, in un modo o nell’altro, provocano una riflessione, soprattutto sul proprio stile di vita e stimolano la ricerca verso uno stile di vita più sobrio ed essenziale, in altre parole più conforme al Vangelo. Per questo, le missioni sono importanti nel nostro cammino di Chiesa, non solo per il prete o i religiosi che partono e ritornano con un bagaglio di esperienze ecclesiali e sociali che provocano in loro stessi un cambiamento, ma anche per coloro che rimangono, per le singole comunità parrocchiali. In tutti questi anni il Centro Missionario Diocesano ha lavorato tantissimo per mettere in circolo i contenuti provenienti dalle varie esperienze missionarie, contenuti che hanno contaminato positivamente il cammino delle nostre comunità parrocchiali.

 


Nella prossima puntata, che sarà l’ultima, proverò a spiegare perché la missione aperta in Amazzonia è di fondamentale importanza per il cammino della nostra Chiesa locale.

 

3 commenti:

  1. Muito bem...meus parabens pelo trabalho svolto no meu Pais.

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  2. Ci provo. Devo dire "ci provo" perchè credo che l'esperienza di Chiesa (e quindi di Unità Pastorale) italiana con quella brasiliana siano contemporanee ma lontane anni luce. Potrebbe essere quindi che il vivere dalla parte della più vecchia e più assonnata delle due versioni mi porti completamente fuori dalla tua analisi. Ma, appunto, "ci provo" e mi chiedo se la Missione sia ancora al centro di un percorso che un tempo era chiaramente delineato. Ora, quantomeno a Reggio, stiamo ancora parlando di una Chiesa Missionaria ? Cioè: che esistano le missioni su cui la Chiesa reggiana agisce è un dato di fatto, ma il Vescovo Baroni ha terminato il suo mandato 34 anni or sono: chi lo ha succeduto ha mantenuto questo indirizzo o non è che mons Gibertini, mons Caprioli mons Camisasca ed ora mons Morandi abbiano via via spostato la barra dirigendo la barca diversamente ? Probabilmente è il mio "essere al di fuori" che mi impedisce di vedere tante cose, tante motivazioni, ma a volte il dubbio fa crescere, più delle certezze (presunte). Grazie, sorry x il tempo rubato

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    1. anche secondo me è così, ma continuo a fare di tutto per stimolare la diocesi affinchè non perda di vista l'orizzonte missionario

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