domenica 11 agosto 2024

UN GRUPPO DI GIOVANI REGGIANI NEL QUARTIERE COMPENSA DI MANAUS

 




 

Paolo Cugini

 

 

Sono arrivati sabato 10 agosto all’ora di pranzo, accolti in modo stupendo dalla comunità santo Antonio, una delle sette della parrocchia san Vincenzo di Paolo, che accompagno da circa un anno. A pranzo pesce tambaquì, una specialità qui a Manaus. Il primo contatto con la realtà amazzonica, per i dieci giovani della Diocesi di Reggio Emilia, preparati dal percorso formativo del Centro Missionario Diocesano e accompagnati dal direttore don Marco Ferrari, non poteva che essere attorno ad una tavola, così come Gesù faceva spesso. È a tavola che conosciamo meglio le persone, perché abbiamo il tempo per ascoltare, parlare, chiedere, osservare il volto del nostro interlocutore, della nostra interlocutrice. C’è poco da dire: colpisce molto l’ospitalità brasiliana. Hanno accolto questi giovani a sun di musica e con applausi. Gli occhi sorpresi dei giovani reggiani s’incrociavano con i volti curiosi delle persone della comunità santo Antonio, da giorni in fibrillazione per preparare l’accoglienza ai giovani ospiti.

Per le vie della Compensa


Nel pomeriggio immersione nelle sette comunità della parrocchia situata in uno dei quartieri così detti rossi di Manaus. Rossi, perché dominati dal traffico, che rende la vita quotidiana molto difficile e spesso pesante, al punto da indurre la parrocchia a investire nella presenza di psicologi. Abbiamo ben due psicologhe che, a turni, attendono le persone delle comunità che soffrono mentalmente il peso di una vita che non offre nulla e toglie molto. Tra disoccupazione, pericolo quotidiano dovuto alla presenza dei trafficanti, che non ci mettono due minuti a fare fuori un giovane che non paga il dovuto, scarsità dei servizi, in un quartiere nato dalle invasioni realizzate negli anni Ottanta quando, dalle campagne, arrivava la gente in città e costruiva dove poteva e come voleva. La Compensa è un labirinto di stradine che passano sulle fogne a cielo aperto, sino ad arrivare alla riva del fiume Rio Negro, passando per la favela Mio Bene Mio Male, fatta di palafitte e di case fatiscenti.

Sperimentando il Tambaquì


Abbiamo conosciuto le tante persone che si prendono cura delle comunità di base. È stato un bagno ecclesiale dentro uno stile di chiesa molto diverso da quello occidentale. I giovani sono, infatti, rimasti molto colpiti dal trovare donne, uomini e giovani al sabato pomeriggio trovarsi nella cappellina per preparare la liturgia della domenica. Quando il prete arriva alla domenica per celebrare l’eucaristia trova tutto pronto. Nelle comunità che non c’è la messa, sono i laici, soprattutto donne, che celebrano la Parola e distribuiscono l’eucaristia. Tutte le persone incontrate avevano un compito, una responsabilità all’interno della comunità. C’è chi coordina la liturgia, altri la catechesi, e poi la Caritas, la pastorale del battesimo, della decima, il giovane che coordina il gruppo giovani e le tante chierichette, alcune delle quali sono già cerimoniere. Una chiesa sorta dal basso, suscitata dallo Spirito Santo, che soffia dove vuole, come gli pare.



È stato senza dubbio un pomeriggio faticoso, non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Faticoso perché i chilometri a piedi sono stati parecchi, soprattutto perché fatti subito dopo un viaggio durato parecchie ore. Faticoso anche dal punto di vista mentale perché le novità sono state tante. Passeggiare per la prima volta fra le viuzze della Compensa fa una certa impressione. Vedere tutto di un colpo tanta povertà, tanta disuguaglianza sociale, fa un po' male all’anima. Ascoltare un cammino di chiesa così diverso, accompagnato da persone, tra le quali molti giovani, che danno la vita e molto tempo per le loro comunità, provoca l’apatia religiosa della partecipazione passiva delle celebrazioni occidentali.

Il viaggio è solo cominciato. Vediamo come continua. 

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