Essere
cristiani nell’epoca postcristiana
Incontro
con l’Unità Pastorale Divina Misericordia (RE)
Paolo
Cugini
Non ricordate più le cose
passate,
non pensate più alle cose antiche!
19Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43, 19)
Ecco, io faccio nuove
tutte le cose" (Ap 21,5)
Noi
ci lamentiamo di Dio perché non sta più riproducendo il passato e noi ci
ostiniamo a riempire il nostro presente ecclesiale con le cianfrusaglie del
passato e, in questo modo, impediamo allo Spirito Santo di realizzare le cose future
che necessitano della nostra collaborazione.
Inizio
da alcune esperienze concrete. Ieri sera nell’appartamento in cui
viviamo il parroco don Candido ed io, ci siamo trovati per verificare il
cammino ecclesiale con le quattro coordinatrici delle comunità (Luzimery,
Angelica, Sandra e Estela). Una chiesa al volto femminile. Mi hanno chiesto che
cosa ne pensavo del loro cammino. Ho evidenziato gli aspetti positivi:
1. Liturgie
preparate
2. Coinvolgimento
di molti laici
3. Autonomia
delle coordinatrici e dei coordinatori
4. Presenza
significativi di giovani e giovani coppie
La
Chiesa brasiliana è molto cambiata, nel senso che ormai è venuta meno la spinta
profetica che l’ha caratterizzata soprattutto negli anni ’70 e ’80. Ora è stata
travolta dall’onda carismatica. In ogni modo, il DNA specifico che caratterizza
questo cammino di chiesa c’è ancora ed è ben visibile.
Per
capire dove siamo e dove stiamo andando è sempre importante ricordarsi da dove
veniamo, perché è esattamente questo materiale che orienta il
nostro pensiero e le nostre scelte sull’oggi e le nostre proiezioni sul futuro.
Sono i nostri ricordi, le modalità assimilate nel passato che guidano i
pensieri e le azioni del presente. Se non c’è un lavoro costante su di sé di
purificazione del materiale proveniente dal passato verificato dall’analisi
storico-critica.
Lo diceva anche Thomas Khun[1] che le strutture culturali
si formano lentamente nel tempo, plasmano le mentalità, si sedimentano e, di
conseguenze, anche dinanzi a mutamenti epocali come quelli che stiamo vivendo,
la struttura precedente non sparisce da un giorno all’altro.
Nel
nostro cammino di Chiesa ci sono elementi culturali che hanno segnato e
continuano a segnare negativamente la proposta. Come hanno dimostrato molto
bene alcune teologhe, cito fra tutte Selene Zorzi[2], la Chiesa si è lasciata
plasmare sin dagli inizi dalla cultura patriarcale forgiando una struttura
maschilista, fortemente misogina e omofobica. Questa mentalità patriarcale
viene plasmata nei seminari che formano le nuove generazioni di guide di
comunità Interessante a questo proposito il libro di Giancarla Codrignani[3], un libro pubblicato nel
2005 che è stato riproposto nel 2020, che mostra il dramma di vite umane
massacrate da modelli culturali desueti, ma che vengono riproposti.
Ci
sono alcuni temi su cui la cultura Occidentale è molto attenta e agguerrita,
come il tema del genere, dell’uguaglianza uomo-donna, sul tema dell’omosessualità.
Non si può parlare del futuro delle nostre comunità senza prendere in mano il
tema delle guide di comunità, la loro esperienza umana, anche perché la
comunità dovrebbe riprodurre i tratti dell’umanità di Gesù. Su questi temi la
Chiesa dovrebbe essere avanti, con proposte significativa di umanità e di
uguaglianza e invece si trova impreparata, in difesa.
Sono
proprio queste problematiche che troviamo presenti nelle nostre comunità.
Dinamiche relazionali segnate dal maschilismo, in cui le donne non hanno
nemmeno spazio per condividere le proprie riflessioni (il diritto canonico
proibisce alle donne di fare l’omelia). La struttura patriarcale ha modellato
nei secoli i ruoli del maschile e del femminile che riverberano anche nelle
comunità e che riproducono dinamismi di disuguaglianza.
La
nostra storia specifica hai poi modellato la figura del prete come uomo
ontologicamente diverso per cui ci si rivolge a lui come ad un essere speciale,
di natura divina, sacrale. Con questo modello di prete non si va avanti,
soprattutto non si costruiscono comunità modellate sul Vangelo.
Il
problema centrale, in questa prospettiva, è il seguente:
perché siamo messi così? Perché non ci capiamo più niente? Perché le cose sono
cambiate così rapidamente e stanno stravolgendo e travolgendo tutto?
Come
dice il filosofo e teologo Ceco Tomas Halik in un suo recente libro: è nelle
situazioni di crisi che si colgono i cammini della speranza cristiana. Occorre
mettersi a sedere ed ascoltare queste possibilità nuove che il Signore sta
ponendo dinanzi ai nostri occhi per ascoltarle. Gli sconvolgimenti in atto – il
calo spaventoso dei giovani che entrano nei seminari e delle ragazze che
entrano nei conventi – è un problema grave se lo guardiamo con gli occhi
foderati di mentalità passata, ma in una prospettiva di fede questi
sconvolgimenti esigono l’atteggiamento dell’ascolto, dell’intelligenza che lo
Spirit del Signore sa suscitare nei suoi fedeli, per interpretare i segni dei
tempi. Ogni interpretazione esige l’attivazione non di una memoria storica
capace solo di guardare il passato, ma l’intelligenza che sa guardare avanti
con il cuore pieno di speranza.
Il
cammino spirituale nel quale siamo inseriti dovrebbe liberarci da quei blocchi
culturali che non ci permettono di cogliere la novità che la realtà sta
manifestando. Paradosso: il mondo la vede, noi no.
Poi,
dal punto di vista ecclesiologico, liturgico e pastorale ci sono i sotto
problemi:
1. Come
mai facciamo fatica ad assimilare e fare mia la proposta ecclesiale di papa
Francesco della Chiesa in uscita, della chiesa inclusiva e misericordiosa,
dell’attenzione al tema ecologico e al tema del genere? Perché riteniamo che
questi temi, per così dire sociali, non hanno nulla a che vedere con il
Vangelo?
2. Perché
nonostante il nuovo contesto ecclesiale sia cambiato in modo rapido e radicale,
non riusciamo a pensarci in un altro modello di Chiesa che non sia quello che
ho nella mente, il modello della Chiesa gerarchica in cui il laico obbedisce
fedelmente alle indicazioni della gerarchia?
3. Come mai il laicato non riesce ad assumere
delle responsabilità chiare nella comunità?
Per
rispondere a queste domande e così cercare di situarci sono importanti due
movimenti:
a. Ascoltare
la realtà. Credere in Gesù Cristo, significa
credere nell’incarnazione del Verbo, nella presenza del Mistero nella storia
quotidiana degli uomini e delle donne. Se questo è vero, allora è nel vissuto
quotidiano, attraverso eventi, incontri reali che Gesù viene al nostro incontro
e smonta le nostre teologie. Penso alla conversione di Simone Weil e di Edith
Stein, che è avvenuta ponendo attenzione a situazioni concrete. La realtà non
solo precede l’idea, come ci ricorda spesso papa Francesco, ma è più forte dell’idea,
perché la verità che manifesta è evidente. Si possono fare vari esempi.
·
La presenza delle donne nelle CEBs.
·
L’incontro con il mondo LGBT.
b. seguire il grido del Concilio Vaticano
II: ritornare alle fonti. si tratta di riprendere in mano le fonti
bibliche. È proprio questo percorso all’indietro alla ricerca dei fondamenti
della fede e della comunità cristiana, che hanno guidato le pagine del libro:
Eucarestia domani.
Mi
sono posto alcune domande:
a. Che
cosa sto celebrando?
b. Per
chi sto celebrando?
c. Qual
è il senso del rito che celebro?
Ho
rivolto queste domande alle pagine del Vangelo.
Prima
domanda: che cos’ha voluto dire Gesù quando
nell’ultima cena ha detto ai sui discepoli e discepole: fate questo in
memoria di me? Che cosa significa: fate questo?
Seconda
domanda: che cosa ha voluto dire e a chi si è
rivolto Gesù quando ha detto: prendete e mangiatene tutti e
prendete e bevetene tutti? Chi sono questi tutti?
Terza
domanda: perché Gesù nel vangelo di Matteo ripete
per ben tre volte la frase: misericordia io voglio e non sacrifici? I
sacrifici, i riti che non conducono ad una vita di misericordia non hanno
senso. La liturgia deve riprodurre i tratti dell’umanità di Gesù
(Goffredo Boselli), perché d’ora innanzi la divinità passa attraverso l’umanità.
È questo che va curato nella celebrazione domenicale, i tratti umani nelle
nostre celebrazioni, la cura nelle relazioni.
Quarta
domanda: che comunità nasce dall’eucaristia voluta
da Gesù? Lo si comprende leggendo Atti 2,42s.
Problema:
Come celebrare l’eucarestia tenendo conto il recupero dei dati neotestamentari?
Attenzione
al linguaggio
Celebrare
in una Chiesa che è popolo di Dio? Che cosa significa e che cosa comporta dal
punto di vista liturgico, ecclesiale?
“(Il
presente) è il primo punto non ancora impegnato, non ancora fermato, il punto
ancora in corso di acquisizione, in corso di inscrizione, la linea mentre la si
scrive e la si inscrive. E’ il punto che non ha ancora le spalle afferrate nelle
mummificazioni del passato”.
Vivere
nel presente per riuscire ad ascoltare e percepire la presenza del Verbo che c’invita
a guardare avanti, ad interpretare positivamente gli eventi e capire che cosa
ci stà chiedendo: Ecco io faccio nuove tutte le cose!.
[1] La struttura delle rivoluzioni
scientifiche, Torino: Einaudi, 2009.
[2]
Al di là del «genio femminile». Donne e genere nella
storia della teologia cristiana- Carocci,
2014.
[3] L’amore
ordinato, Torino: Effatà, 2020.