giovedì 28 ottobre 2021

ANCORA UNA VOLTA VINCE IL PREGIUDIZIO E L’IGNORANZA

 




Riflessioni sulla votazione sul ddl Zan del 27 ottobre 2021


Don Paolo Cugini

 

Raramente firmo un articolo o una riflessione con la sigla: don. Questa volta, però, è più che necessario. Scrivo queste poche righe come membro dell’istituzione Chiesa per dire che il dibattito è aperto, che non è ancora detta l’ultima parola, che ci sono nella Chiesa molte persone che stanno camminando per costruire una società più libera, in cui la dignità di tutte e tutti sia protetta e rispettata. Questo cammino lo facciamo in nome di Gesù Cristo, che ha detto che lo riconosciamo nei poveri, nei carcerati, nei forestieri, negli esclusi e, tra questi oggi più che mai ci sono i trans, le lesbiche, gli omosessuali, in una sigla che raccoglie tutti: LGBTQ+ (cfr. Mt 25,32s). Il ddl Zan è una proposta di legge per proteggere le tante vittime di omofobia che ci sono ancora in Italia: perché non è passata?

Come prete che ha scelto di vivere in mezzo al popolo, cercando di mettermi a servizio di tutte le persone che incontro, sono a favore del ddl Zan e la notizia che non è passato al Senato, mi ha rattristato molto. Mentre leggevo i giornali, pensavo non solo alle tante persone incontrate in questi anni nei gruppi cristiani LGBT, negli incontri con gli operatori pastorali, ma anche alle lettere firmate a sostegno del ddl Zan, l’impegno della rete raccolta attorno Progetto Gionata e al gruppo Tre volte Genitori, che raccoglie il cammino dei tanti genitori con figli LGBTQ+. Tristezza nel vedere i senatori esultare in modo impressionante come se avessero vinto non so cosa. Sono gesti di esultanza che colpiscono, perché esprimono lo stato di confusione di una fetta del popolo italiano che non ha capito la posta in gioco in questa votazione.

Mi rattrista il pensiero che una fetta di Chiesa abbia esultato per il risultato di ieri. Come si fa a non capire che c’è in gioco un pezzo di Vangelo? C’è un cammino nuovo aperto dallo stile di Chiesa popolo d Dio, proposto dal Concilio Vaticano II e che Papa Francesco con coraggio sta rilanciando. Cammino di Chiesa segnato dalla misericordia del Padre manifestata dallo stile di Gesù, dal suo modo di rivolgersi con attenzione a tutte e tutti, per far sì che nella comunità nessuno si senta escluso, anzi per mettere proprio le persone più emarginate al centro, proprio come faceva Gesù (cfr. Mc 3,1-6). Perché esultare, allora?

In ogni modo, una cosa mi sembra chiara leggendo qua e là i commenti di coloro che da anni camminano con i cristiani LGBTQ+: il movimento è troppo grande per arrestarsi. C’è tanta speranza, tanta voglia di cose nuove, di un’umanità nuova, che non si fermerà dinanzi ad una votazione negativa, passeggera. Si va avanti. 

FEDI E FEMMINISMI IN ITALIA: LA PROFEZIA DELLE DONNE





 Trascendenza ed esperienza nell’orizzonte di una fede incarnata IV tavola rotonda Donne e religioni Il convegno si terrà giovedì 2 dicembre dalle 10 alle 17,30 presso la Fondazione Scienze Religiose Giovanni XXIII, Via S. Vitale 114 a Bologna In ottemperanza alle norme anti-Covid, il numero dei posti della sala è limitato.

Chiediamo quindi di prenotarsi a questo indirizzo mail: convegnoivd@libero.it Saranno accettate le iscrizioni in ordine di arrivo. Si ricorda l’obbligo del green pass e l’uso della mascherina. Info: Gabriella Rustici 349.2124565 – 349.4118686

giovedì 21 ottobre 2021

Dove sbaglia chi critica il ddl Zan sulla questione identità di genere?

 


Ricevo e volentieri pubblico:

Dea Santonico 20 ottobre 2021

 

La questione di gran lunga più discussa a proposito del ddl Zan e su cui si addensano più critiche è sicuramente quella sull'identità di genere. La critica che arriva da più parti, anche da un pezzo del mondo femminista, ripresa e strumentalizzata poi da una parte del mondo politico, è che, con l’attuale testo, la legge porterebbe ad una sorta di libera autocertificazione di genere, ad un annullamento del dato biologico. Ma è così? Proviamo a ragionarci, partendo da ciò di cui la legge si occupa e dall’obiettivo che ha. Il ddl non si occupa di certificazioni, né per introdurle, né per cancellarle in favore di autocertificazioni: nulla cambia rispetto ai processi di certificazione (di cui è un'altra legge già in vigore ad occuparsi) con o senza il ddl Zan. Ma allora perché l'articolo 1 della legge parla di "identificazione percepita"? In quell’articolo c’è infatti questa definizione: “Per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”.

Prima di rispondere alla domanda che ho posto, è importante sottolineare che la definizione di identità di genere contenuta del ddl Zan non ha il merito di essere originale, si trova, oltre che in altri documenti, in sentenze della Corte di Cassazione e in direttive UE. L'obiettivo del ddl è solo uno: proteggere le persone vittime di violenza per i fattori di discriminazione di cui la legge si occupa. Per farlo, e farlo pienamente per tutte le persone che non si identificano con il genere registrato alla nascita (che non sono solo quelle "certificate" come trans), c'è bisogno di una definizione ampia, che le comprenda tutte, e tale definizione è quella data nell'articolo 1 della legge, che permette di proteggere da crimini d’odio chi ha intrapreso ma non ancora concluso il percorso si transizione, chi quel percorso non se lo può permettere, per motivi economici, di salute o di età, chi, per altri motivi, non vuole o non può intraprenderlo. Il ddl non sta introducendo nessuna autocertificazione, sta invece dicendo un’altra cosa: che nessun certificato è richiesto alle vittime, che la legge le protegge sempre e comunque tutte, senza richiedere che abbiano i documenti “in regola”, che certifichino l'avvenuta transizione o lo stato del loro percorso di transizione. Non dice la legge che la certificazione non serve in assoluto, dice che non serve per essere protetti da violenze e discriminazioni.

Dov'è quindi l'errore che ha portato a spostare la discussione dal merito della legge ad altro? Sto pensando qui a chi fa considerazioni intellettualmente oneste, non a chi le usa per mascherare, dietro il cambiamento, l’obiettivo di cancellare la legge (qui non c’è un errore, c’è un lucido ragionamento). L’errore sta, a mio avviso, nell’aver staccato, da parte di chi critica il ddl sulla questione identità di genere, l'articolo 1 dal corpo della legge stessa. L’articolo 1 è funzionale al testo della legge, da le definizione necessarie, come qualsiasi documento serio, che sia o no una legge, dovrebbe fare. Importante sottolineare le prime parole di quell’articolo: “Ai fini della presente legge, per sesso si intende…, per genere si intende…, per orientamento sessuale si intende…, per identità di genere si intende…”. Appunto. Le definizioni lì contenute valgono e sono rilevanti nel contesto e ai fini di questa legge, non in assoluto. Estrapolare una definizione e far derivare da questa questioni estranee alla legge, può essere un esercizio interessante e volentieri potrei unirmi a chi lo vuole fare, ma ostacolare il ddl Zan su questa base significa prendersi, magari in buona fede, una responsabilità non da poco di fronte alle tante vittime di violenza omotransfobica. E con quale risultato? Nessuno: la definizione di identità di genere seguiterà ad esistere, con o senza il ddl Zan, in molti altri documenti, anche di natura giuridica. Pensiamoci.

 

TI APSETTO NEL SILENZIO




Paolo Cugini 

Cammino su quel sentiero che costeggia il canale, immerso nei miei pensieri di sempre, che scorrazzano tra passato e futuro, lasciando in disparte il presente. Non cerco delle risposte. Le ho già avute. Non cerco nemmeno delle certezze. Non ne ho bisogno e poi non sono reali. Cerco Te.

Vorrei sentirti, percepirti. Vorrei sentirti in quel modo palpabile che non lascio spazio a dubbi, quel modo che riempie in un istante l’anima, la mente. Percepirti in quel modo che mi fa muovere immediatamente verso di Te, in modo esclusivo, in quell’esclusività che diventa spazio per tutti e tutte.

Ti cerco di notte nel silenzio di una chiesa buia. Non c’è nessuno e questo mi emoziona. Non c’è nessuno, per questo sono qui. Ti sento nel silenzio del buio di una chiesa. Sento il Tuo respiro, il Tuo sguardo su di me, che mi ridona vita, mi fa sentire amato, voluto, desiderato.

Ed è questo amore sensibile che riempie la mia anima in un istante, che riorganizza i miei pensieri, li toglie dall’affanno di cercare altrove, dona al tempo una bellezza che diviene voglia di vivere adesso. Smetto di pensare altrove, di perdermi nelle immagini di un futuro ipotizzato, semplice fuga momentanea per ingannare quel tempo che ora si è riempito di senso.

Per questo ti cerco. Nel silenzio. 

venerdì 15 ottobre 2021

CAPIRE PAPA FRANCESCO - INCONTRO A PALATA PEPOLI DOMENICA 14 NOVEMBRE

 


L’obiettivo dell’incontro è quello di fornire alcune chiavi di lettura per tentare di comprendere le dinamiche di crisi che sta vivendo la Chiesa cattolica. Se è vero che la Chiesa nei secoli è passata attraverso situazioni di crisi più o meno accentuate, è altrettanto vero che è raro nella storia vedere una crisi che ha come maggior bersaglio il Papa e, in questo caso, Papa Francesco. Capire la crisi attuale della Chiesa significa comprendere i punti essenziali della proposta ecclesiale di Francesco, gli snodi del suo pensiero e le prospettive che si stanno aprendo. Lo faremo analizzando non solo i testi del Papa, ma anche il pensiero di color che lo contestano.

Ti aspettiamo, allora, a Palata Pepoli Domenica 14 novembre alle 15,30.

giovedì 14 ottobre 2021

IL CARDINAL ZUPPI INTERVIENE NEL DIBATTITO SU FEDE E POLITICA

 



Paolo Cugini

 

Non è facile dire parole di senso, capaci di aprire dei varchi, delle prospettive verso il future, parlando di politica in una prospettiva di fede. Non è facile, perché si tende sempre di più ad identificare la politica con i partiti e, in modo particolare, con schieramenti specifici. Aiutare le persone e, in modo particolare, i fedeli di una comunità cristiana, ad alzare il livello del dibattito, per tentare di pensare al bene comune della polis, più che ad interessi immediati di parte: è stato questo il tentativo del discorso proposto dal Cardinale di Bologna Matteo Maria Zuppi, lunedì 20 settembre, a Dodici Morelli, una piccola frazione del Comune di Cento di Ferrara, appartenente, comunque, all’Archidiocesi di Bologna.

Il nucleo del discorso del Cardinale è stata la riflessione su uno dei quattro principi proposti da Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Evangeli Gaudium del novembre 2013. La dottrina dei quattro principi è interconnessa sia con la spiritualità ignaziana, sia con la riflessione sulla teoria dell’opposizione polare. Papa Francesco presenta i quattro principi nell’Evangelii Gaudium ai numeri 221-237, affermando che sono «relazionati a tensioni bipolari proprie di ogni realtà sociale» (EG 221).  Nel discorso Noi come cittadini, noi come popolo, tenuto da Bergoglio il 6 ottobre 2010 a Buenos Aires in occasione della XIII giornata di pastorale sociale, in un passaggio intitolato Principi per illuminare il nostro essere come cittadini e come popolo,[1] Bergoglio presenta quelli che lui chiama i quattro principi fondamentali: il tempo è superiore allo spazio; l’unità è superiore al conflitto; la realtà è superiore all’idea; il tutto è superiore alla parte. Fa da sfondo alla presentazione dei quattro principi, la consapevolezza dell’esistenza di tre tensioni polari, necessarie per la costruzione di un progetto comune nella vita di un popolo: pienezza e limite, idea e realtà, globalizzazione e localizzazione. Queste tensioni polari dovrebbero contribuire «a risolvere la sfida di essere cittadini, l’appartenenza logica a una società e la dipendenza storico-mitica da un popolo». Attraverso queste tensioni e i quattro principi, Bergoglio analizza in modo evangelico la dimensione sociale e politica della realtà. Non a caso, la presentazione dei quattro principi nell’Evangelii Gaudium è realizzata nel capitolo relativo a bene comune e pace sociale. Comprendere questi principi bergogliani e le tensioni polari a cui fanno riferimento, rappresenta la chiave ermeneutica per cogliere il pensiero di Francesco sulla dimensione sociale della vita.  


Il Cardinal Zuppi la sera del 20 settembre sceglie di sviluppare il primo di questi quattro principi, vale a dire: il tempo è superiore allo spaio, per parlare di politica in una prospettiva di fede. Perché questa scelta e quale contributo può dare al senso della politica? Gestire la politica, il bene dei cittadini a partire dal tempo, significa apprendere a ragionare sulle prospettive di una città, coinvolgendo i cittadini e i collaboratori per elaborare un progetto di città, capace di indirizzare gli sforzi non tanto sulle necessità immediate, ma sul raggiungimento di obiettivi comuni. Il problema, come ha sottolineato lo stesso Cardinal Zuppi consiste “nel dover prendere decisioni in fretta, perché rende complicato il percorso”. È questo, per certi aspetti, il dramma della politica costruita sulla risposta immediata alle esigenze del presente, che risponde all’ unica necessità di costruire consenso in vista del successo personale, senza far riferimento ad un progetto politico. Con una serie di esempi, tipico dello stile del Cardinale, che cerca di aprire dei varchi nelle coscienze degli ascoltatori con delle immagini, più che con argomentazioni deduttive, Zuppi ha mostrato il beneficio per i cittadini, di una politica capace di lavorare su progetti a lunga distanza, perché: “avere un piano strategico serve a tutti e mette insieme le parti”. Parole semplici, ma profonde e chiare, che hanno lasciato nei presenti la sensazione della possibilità di un modo di fare politica capace di guardare al futuro con il cuore pieno di speranza.

 

 



[1] Bergoglio, Noi come cittadini noi come popolo, Jaca Book, Milano 2013, p. 57-69. 

sabato 9 ottobre 2021

Alcune riflessioni in margine agli ultimi casi di pedofilia emersi in Francia




 CHIEDERE PERDONO? VA BENE, MA CI VOGLIONO FATTI


 

Paolo Cugini

 

Le parole non servono più. Nemmeno le richieste di perdono non hanno più senso, anzi, possono sembrare una presa in giro, soprattutto quando non si accompagna la parola di perdono con scelte chiare di rottura con ciò che ha causato il male. È questo che viene da pensare dopo l’ennesimo scandalo dalle proporzioni mostruose, che ha investito la Chiesa cattolica. Più di trecentomila minori abusati da circa tremila preti negli ultimi settant’anni in Francia: è terribile. È questo che ci consegna il: Rapport de la Commission indépendante sur les abus sexuels dans l’Église en France, pubblicato all’inizio del mese di ottobre 2021, coordinato da Jean-Marie Sauvé e da una commissione composta da una ventina di persone con competenze specifiche in diversi campi. Una sofferenza infinita, che non sembra terminare mai, perché questi ultimi casi si aggiungono a tanti altri emersi negli ultimi anni in luoghi diversi (Stati Uniti, Cile, Australia, Irlanda, Olanda, Germania, Belgio, Regno Unito). Tante vite spezzate, perché un abuso sessuale su un minore rovina la vita, lascia dei segni indelebili, difficili da eliminare. La domanda immediata che sale dal cuore dopo la lettura del succitato rapporto è la seguente: che cosa dobbiamo aspettare, ancora, perché ci si muova verso una riforma radicale della Chiesa e, in modo speciale, della sua gerarchia?

Ormai è chiaro che non si tratta più di casi sporadici, ma di una realtà che è frutto di un sistema, prodotto da un sistema, che si è costruito nei secoli e che dev’essere cambiato. La Chiesa sin dagli inizi, si è lasciata plasmare da quella cultura patriarcale contro la quale Gesù aveva fatto prevalere il suo Vangelo di uguaglianza. La comunità di discepole e discepoli uguali voluta dal Maestro è durata poco. La struttura maschile della gerarchia della Chiesa è un prodotto della cultura patriarcale, più che dallo stile voluto da Gesù. È la cultura patriarcale che si è insinuata nei secoli modificando il massaggio di Gesù, che va colpita alla radice. Colpire la struttura patriarcale della Chiesa significa porre in atto un cantiere capace nel tempo di eliminare tutti i suoi derivati: maschilismo, misoginia e omofobia. Una struttura dominata dal maschio produce relazioni diseguali con le donne, gli omosessuali, le lesbiche, i trans. La disuguaglianza delle e nelle relazioni è la negazione del messaggio che Gesù ci ha lasciato nel Vangelo.

Su un dato è importante soffermare l’attenzione e da qui partire per una riforma strutturale della Chiesa. Non è tutta la Chiesa coinvolta in questi scandali di pedofilia, di abusi di minori, ma la sua gerarchia. Ciò significa che è questo settore della Chiesa che dev’essere ristrutturato radicalmente. I casi di pedofilia che da anni stanno devastando la Chiesa e che trovano coinvolti uomini appartenenti alla sua gerarchia, devono poter incontrare delle scelte radicali capaci di cambiare quel sistema che è alla base di tutto ciò. Il Sinodo, che è già in atto, potrebbe prendere sul serio la revisione della formazione dei presbiteri, promovendo un percorso più umano e al passo coi tempi, per coloro che un giorno dovranno guidare le comunità cristiane. Abbandonare la struttura patriarcale della cultura dominante, per la Chiesa dovrebbe voler dire la possibilità di un cambiamento radicale nella scelta e formazione dei suoi leaders. Occorrerebbe, prima di tutto, abbandonare i seminari come luogo di formazione, per incentivare una preparazione sul campo, vale a dire nella comunità, a contatto con quelle persone che un giorno saranno chiamati a servire. Formazione sul campo significa aprire lo spazio a tutti coloro che manifestano il desiderio di servire la comunità, indipendentemente dall’identità sessuale, a tutti coloro che sentono il desiderio di servire il Vangelo, di collaborare alla realizzazione del regno di pace, giustizia e amore inaugurato da Gesù.

Se è vero che è nella gerarchia della Chiesa cattolica che troviamo le persone responsabili degli abusi sessuali non solo in Francia, ma in tutti i Paesi in cui si è svolta una ricerca sul problema in questione, è prevedibile che, dalla stessa gerarchia, non verranno scelte che la metta in discussione. Difficilmente una struttura opera scelte che la possono danneggiare. Al massimo, verranno proposte alcune modifiche al percorso formativo nei seminari, ma nulla che possa intaccare quella struttura maschilista, che è la fonte del male in questione. Ciò significa che la spinta innovatrice dovrà venire dalla base, da quella parte del popolo di Dio che sono i fedeli laici. Non saranno riunioni o conferenze a cambiare la struttura maschilista della Chiesa cattolica, ma esperienze poste in atto dalla base stessa che, nel tempo, possono cambiare dall’interno il sistema. Comunità cristiane guidate da donne, da religiose, da coppie di sposi sono esperienze pastorali già presenti in varie parti del mondo: occorre moltiplicarle per farle divenire consuetudine e non un’eccezione. Una Chiesa di comunità nelle quali i fedeli sono i protagonisti della trasmissione della fede, che sanno celebrare la Parola, condividere con i più poveri, lottare per la giustizia e l’uguaglianza.

Per non sentire più notizie terribili come quelle ascoltate in questi giorni dai giornali francesi, che coinvolgono tutte le comunità cristiane, non possiamo più lasciare che il problema sia risolto dalla gerarchia, da coloro che sono anche indirettamente coinvolti. Tutta la comunità deve sentirsi interpellata; tutti i fedeli devono sentire la responsabilità di uscire dall’omertà e, quando è necessario, di denunciare. Quest stile nuovo di comunità di fedeli che assumono la responsabilità, di laiche e laici che si fanno promotori di cammini di trasparenza, non è per nulla facile, soprattutto in occidente. Secoli di monopolio autoritario delle comunità da parte dei chierici maschi, abituati a decidere da soli, considerando gli strumenti in cui è possibile elaborare decisioni comunitarie, come semplici organi consultivi, hanno appiattito al ribasso la spinta alla sinodalità, vale a dire, alla possibilità di decidere insieme. Un problema grave come quello della pedofilia operata per lo più dai membri maschi della gerarchia, sta mettendo a nudo i limiti di un cammino comunitario sbilanciato sulla dipendenza della comunità dal capo maschio. Bisogna cambiare rotta. Subito. 

venerdì 8 ottobre 2021

Idee di sacerdozio femminile tra ‘800 e ‘900

 



Giovedì 14 ottobre 2021 alle ore 17,30, via zoom

Catti Cifatte presenta il libro di

 

 Liviana Gazzetta, Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra ‘800 e ‘900

 L’Osservatorio Interreligioso sulle Violenze contro le Donne, OIVD curerà la presentazione via webinar del libro Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra ‘800 e ‘900. Maria Caterina Cifatte, architetta e donna impegnata nella ricerca spirituale, introdurrà il tema. L’autrice, Liviana Gazzetta, storica, ha fatto una fine analisi storica. Entrambe sono socie OIVD. Con uno sguardo reso attento dall’attuale sensibilità sul nodo del sacerdozio femminile, la ricerca fa emergere una ricchezza di elementi fin qui insospettata su questo tema, ben prima che il problema si ponesse ufficialmente al Concilio Vaticano II: molteplici tracce, cioè, di una via che potremmo definire di natura cultuale e mariologica al sacerdozio femminile, via che precede e accompagna la via ‘rivendicativa’ ad esso.

Connessa a tutta un’elaborazione teologica e ad una riflessione spirituale sul ruolo della Vergine nella vita dei preti, oltre che allo sviluppo otto-novecentesco del movimento mariano, questa linea cultuale faceva perno sulla figura della Madonna concepita e invocata come sacerdote, ovvero come «Vierge Prêtre o Virgo Sacerdos». Questa devozione si sviluppò in particolare nella famiglia delle Figlie del Cuore di Gesù, fondata nel 1872 dalla beata Maria Deluil-Martiny (1841-1884) e approvata definitivamente nel 1902 da Leone XIII.

Oltremodo interessante è il fatto che, in osmosi alla spiritualità mariana, nella congregazione si esprimesse anche una forte preoccupazione per le sorti della Chiesa nella società moderna e il desiderio di espiazione per le defezioni del clero, soprattutto il clero secolare, che portava le religiose ad attribuirsi un ruolo di supporto e in qualche modo ‘sostitutivo’ dei preti inadeguati, tanto più in associazione col modello della Vergine sacerdote.

 Il tema del sacerdozio della Vergine usciva così dai seminari e diventava una devozione in cui si manifestava anche una crescente domanda femminile a proporsi come co-essenziali nella vita ecclesiale, pur senza mettere in dubbio la dottrina cattolica ufficiale. Venuto a conoscenza dello sviluppo della devozione, il Sant’Uffizio intervenne tre volte tra il 1913 e il 1927 sulla piccola congregazione contemplativa, vietando esplicitamente il loro culto non per la dottrina della funzione di Maria nella salvezza, ma per l’attribuzione del titolo di sacerdote, che risultava riprovevole perché ingenerava l’associazione simbolica tra sacerdozio e genere femminile. Sottesa a tutta la vicenda stava insomma la questione dell’impedimentum sexus, e con un peso tale da determinare il blocco sull’uso stesso del titolo, che scomparve improvvisamente da devozioni, preghiere e libri.

Gazzetta Liviana,Virgo et sacerdos. Idee di sacerdozio femminile tra ‘800 e ‘900, Roma: Edizione di Storia e letteratura, 2020