venerdì 22 dicembre 2023

Abbiamo sempre avuto bisogno di Dio? Nascita e sviluppo del teismo

 




 

 

Paolo Cugini

 

La critica post-teista e la sua proposta ha come punto di partenza il teismo. La riflessione sulla proposta di un nuovo paradigma, che sostituisca quello precedente, ha provocato un percorso alla ricerca dell’origine del paradigma teista. La domanda che sta alla base di diversi studi apparsi nell’ultimo decennio, soprattutto in Italia e in Sudamerica, è la seguente: è sorto prima Dio o l’uomo? In altre parole: da quando l’uomo ha sentito la necessità di Dio?

Secondo il teologo latino-americano di origine spagnola José Maria Vigil, da anni uno dei più attivi in questo campo di ricerca: “il teismo è semplicemente una tappa dell'evoluzione del nostro sviluppo cognitivo e dell'ampliamento permanente della nostra conoscenza”[1]. Per molti secoli, dunque, l’uomo ha vissuto senza Dio. Secondo gli studi riportati da Vigil in uno dei suoi numerosi saggi sull’argomento, gli ominidi risalgono a sei milioni di anni fa ed è solo da pochi millenni che è stato elaborato Theos. Le stesse religioni hanno appena 4500 anni e ciò porta Vigil ad affermare che: “abbiamo vissuto moltissimo tempo in più senza Dio che con Dio, senza religioni che con esse”. All'inizio, sostiene sempre il nostro autore, nulla era designato come sacro, perché tutto lo era, nulla era religioso, non esisteva neppure il concetto, che è potuto sorgere per contrapposizione solo quando qualcosa, molto più tardi, sarebbe stato considerato profano, non sacro. Il sorprendente senso di sacralità dei nostri antenati può essere considerato una risorsa dell'evoluzione biologica per far sopravvivere l’uomo minacciato dalla natura. Ciò significa che tutta questa sacralità non è caduta dall'alto, ma è stata elaborata dagli umani. Questo è un punto fondamentale dell’analisi post-teista che ritorna in vari autori, vale a dire che il sacro è frutto dell’elaborazione umana, uno sforzo d’immaginazione, che ha permesso agli uomini di offrire alcune risposte ai fenomeni che incontravano e ai quali non sapevano dare soluzioni pertinenti.  Il sacro, la religione e lo stesso Dio sono, dunque, costruzioni umane e, di conseguenza, di rivelato dall’alto non c’è nulla. Prosegue Vigili:

Fino a circa 6000 anni fa, non è apparso tra noi alcun Dio, con questo o con qualunque altro nome. Sono invece stati elaborati concetti o idee per rispondere alla realtà. La misteriosa vita dell'essere umano, per esempio, il cui principio è stato identificato per primo con il sangue, ha condotto a pensare a un'anima, un'entità indefinita ma più sottile che terrebbe in vita il corpo umano, gli esseri umani avrebbero un'anima. E sono apparsi anche altri elementi ugualmente sfuggenti, tra il misterioso e il magico, come gnomi, folletti, temoli, demiurghi, elfi, fate, e tutta un'interminabile serie di realtà misteriose di cui ci siamo serviti spesso per far finta di saper spiegare quello che non sapevamo[2].

Se il sacro sorge ad un certo punto della storia, presentando una cesura radicale con il periodo antecedente, ciò significa che siamo dinnanzi ad un cambiamento di paradigma che segnerà in modo definitivo l’epoca successiva. È all’interno di questo nuovo paradigma sacrale che viene elaborato Theos e, di conseguenza, il teismo. Secondo gli studiosi che stiamo esaminando, verso la fine del calcolitico[3] l’evoluzione umana sperimenta una profonda trasformazione, simile a quella che Karl Jaspers, parlando di tempo assiale, aveva individuato verso il VI secolo a.C. Secondo Jaspers, tra l’800 e il 200 a. C., sarebbe avvenuta nelle principali società umane una rivoluzione assiale. Il culmine di questo processo rivoluzionario si sarebbe verificato tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a. C. La rivoluzione assiale avviene, infatti, “quasi contemporaneamente in Cina, in India e nell’occidente, senza che alcuna di queste regioni del mondo sapesse di quanto avveniva nelle altre”[4]. La rivoluzione assiale è un evento spirituale. Secondo Jaspers da quel periodo si elaborarono quelle concezioni da cui si mosse il pensiero filosofico, la fine dei racconti mitici sostituiti dai principi morali e dalle dottrine religiose e spirituali, l'avvio della ricerca delle cause naturali dei fenomeni fisici.

Gli studiosi del post-teismo considerano che, prima di questa rivoluzione assiale, ve ne sia stata un’altra ancora più profonda che ha modificato radicalmente il modo di vedere e percepire gli eventi storici. Non si può descrivere nei dettagli questo cambiamento, né è possibile descriverne le cause. Ciò che è possibile, invece, consiste nel mettere insieme alcuni eventi che si riscontrano in un particolare periodo storico che risale a cinque-seimila anni a. C. e che hanno determinato un cambiamento così profondo, che ha condizionato la cultura per circa duemila anni. C’è chi pone come indicatore del cambiamento la rivoluzione agraria: si è passati da una vita basata prevalentemente sulla caccia e a spostamenti periodici per cercare piante da frutta, a imparare la coltivazione, che ha generato gli insediamenti, vale a dire la permanenza prolungata in un territorio. Altri notano, negli scritti e nei resti archeologici del periodo, una specie di progresso naturale nello sviluppo cognitivo e nella capacità di astrazione. Una delle tesi più significative e riportate dagli autori citati sopra, sostiene che il periodo che stiamo esaminando è stato caratterizzato dall’invasione dei Kurgan[5], un popolo proveniente dall’Asia centrale e dalla Siberia che sembrano aver trasmesso la loro visione dualista della realtà. Si sarebbe trattato di tre ondate differenziate di invasioni dei popoli Kurgan nella vecchia Europa, popoli alla ricerca di terre da conquistare per il proprio bestiame, portatori di una visione del mondo molto elaborata e, soprattutto, con una visione religiosa originale, un dio guerriero, un dio spirituale, maschile, conquistatore violento e senza riguardi. sempre a favore del suo popolo, un dio tribale. Queste annotazioni conducono Vigil ad affermare che:

dalla fine del ventesimo secolo è convinzione comune tra gli antropologi, i paleontologi e gli archeologi che, per esempio, tutta la regione dell’Europa e del Medio Oriente costituisca un continuum culturale in virtù del quale le elaborazioni religiose, i testi, le scritture, i riti, che divinità appartengono a un universo religioso comune[6].

Secondo questa impostazione condivisa da diversi autori, ci sarebbe stato un processo di contaminazione culturale così profonda e intensa da determinare un universo religioso comune che avrebbe generato divinità con caratteristiche molto simili nei popoli vicini. L’idea di Theos sarebbe, dunque, sorta in questo periodo come prodotto di questo intreccio culturale che abbiamo descritto, e che avrebbe generato un paradigma religioso di così grande qualità da influenzare i millenni successivi. In questo modo, le pratiche magiche, la mantica, la credulità relativa alla presenza di prodigi divini da ogni parte, gli oracoli facilmente a disposizione, le guarigioni a richieste, la divinazione di, l'astrologia, l'interpretazione rivelatore dei sogni sorte all’epoca dello sviluppo del teismo per dare ragione dell’inconoscibile, oggi appaiono incomprensibili. In questa prospettiva di tipo storico-culturale, il theos sarebbe una creazione culturale e costituirebbe l'elemento centrale di un modello di rappresentazione del mondo originato millenni fa e ha aperto una nuova tappa storica per il nostro sviluppo della coscienza, cognitivo, materiale e che è entrato in crisi ma senza essere interamente soppiantato.

Secondo José Arregi il paradigma teista, mentre viene elaborato, manifesta anche una valenza politica. Nello sviluppo della complessità delle società primitive, serviva un elemento culturale per dare coesione, far rispettare le leggi. Niente di meglio, allora, che una forza divina, che dall’esterno fonda e impone le sue leggi. C’era bisogno di: dei che configurano la religione teista come sistema di credenze, riti e norme dirette e controllate da un corpo sacro, sacerdotale gerarchizzato, considerato come il rappresentante della divinità. Mentre i ruoli si specializzano e la società si fa più complessa nell’età dei metalli e dello sviluppo dell’agricoltura, c’è bisogno di miti, di narrazioni che diano ragione di ciò che sta avvenendo, di una classe sacerdotale in grado di gestire e, allo stesso tempo, garantire la stabilità del sistema teocratico. L’invenzione di theos ha prodotto una struttura religiosa capace di elaborare un sistema di leggi e norme in grado di giustificare il potere politico ed economico del tempo.

In questa trasformazione paradigmatica e assiale, l’elemento centrale a cui tutto converge e che diviene la chiave ermeneutica di tutto è dio, theos. A partire da questo momento che stiamo descrivendo, gli esseri spirituali proliferano nella noosfera particolare di ogni popolo e di ogni cultura. All’improvviso, tutto parla di dio e tutto si riferisce a lui. Dio diviene la spiegazione di qualsiasi fenomeno e la causa prima di tutto. Questa mentalità, che potremmo definire teologica, si è modellata lentamente nel tempo al punto da plasmare la cultura. Ogni ricerca della causa ha come suo punto specifico di riferimento il theos. “In tutte le religioni – sostiene Vigil – constatiamo lo stesso procedimento: sono gli dei creati da noi che ci dettano il messaggio che noi mettiamo in bocca loro […] Non è una caratteristica di qualche religione, è un meccanismo universale”.

Come notavo poco sopra, nell’analisi post-teista viene portata una critica radicale al concetto di rivelazione, che è la base delle religioni del libro. Tutto ciò che viene indicato come “rivelato” non è nient’altro che una proiezione umana. Se infatti, theos è un’invenzione umana, non possono che essere della stessa qualità le parole attribuite a lui. Su questo punto specifico tornerò nelle conclusioni finali.

Negli studi del post-teismo che stiamo analizzando, il paradigma teista si è imposto in modo così profondo e radicale non solo da plasmare la cultura, ma da far dimenticare il periodo precedente con un paradigma di pensiero non-teista. Tutti sono rimasti imprigionati nella presunta evidenza assiomatica di tale proto-paradigma, un'evidenza per di più indiscutibile in quanto sacralizzata per molti secoli, praticamente fino ad oggi nelle chiese. La stessa filosofia platonica, che poi ha influenzato il cristianesimo, a detta di Vigil, è stata contaminata dal teismo. In realtà, come ci dicono gli studiosi di storia della filosofia, non è proprio andata così: vedremo in sede di conclusione cosa si può dire a riguardo.

 



[1] Vigil, J.M. «Rivisitando la questione Dio». In: Fanti C. - Vigil M. J. (a cura di), Oltre Dio. Verona: Gabrielli, 2022, p. 77.

[2] Vigil, J.M. «Rivisitando la questione Dio», cit. p. 61.

[3] Calcolitico in paletnologia è il termine con il quale, con più ristretta precisazione cronologica, si designano tutte le industrie, anche mancanti del rame, contemporanee a quelle che invece lo utilizzano. Per le aree europee corrisponde al periodo in cui, durante il 3° millennio, sono avvenuti importanti cambiamenti nella struttura socia­le e nel sistema culturale dei gruppi umani (attestati dall’inizio di sepolture megalitiche, fortificazioni, metallurgia, ceramica a cordicella ecc.). Cfr. Treccani: https://www.treccani.it/enciclopedia/calcolitico/ .

[4] Jaspers, K. Origine e senso della storia. Milano: Mimesis, 2014, p. 20.

[5] La cultura kurgan è l'insieme di quelle culture preistoriche e protostoriche dell'Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia, fino ai Monti Altai e alla Mongolia occidentale), che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari chiamati appunto kurgan, edificati a partire dal 4000 a.C. circa e particolarmente nell'Età del Bronzo. Deriva da una parola turco-tartara che indica collinette o tumuli contenenti una sepoltura in una tomba a fossa, una casa sepolcro o una tomba a catacomba. In letteratura russa si trova anche il termine jamna (cfr. Crescioli, L. «I Kurgan reali del periodo Scita: complessità architettonica, ideologia e ritualismo funerario», in Aa.Vv. Eurasiatica. Quaderni di studi su Balcani, Anatolia, Iran, Caucaso e Asia Centrale 6, Venezia: 2016, p. 65-116).

[6] Ivi, p. 70. 

Nessun commento:

Posta un commento