lunedì 31 dicembre 2018

Per una politica di pace: quali scelte? Seconda giornata del convegno di Pax Christi 2018




don Rocco D’Ambrosio, ordinario di Filosofia Politica presso Università Gregoriana, Roma – Presidente di Cercasi un fine.
Sintesi: Paolo Cugini
Il Papa cita 10 vizi della politica nel suo discorso di inizio d’anno. C’è una crisi epocale riguardo al potere che deriva dai processi di populismo e sovranismo messi in atto. La politica è diventata una preda e quindi ci sono dei predatori. È una generalizzazione che può essere pianificata. Le persone che vivono la politica come servizio sono pochissimi. La politica locale in Italia in generale è migliore della politica nazionale. In Italia abbiamo dei buoni sindaci e consiglieri. Siamo circondati da predatori, persone per cui prego che vada in galera il più presto possibile. Dobbiamo apprendere a rispettare la liturgia dello Stato.
Quali sono le prede della politica?
Il potere e le risorse finanziarie. Il Magistero sociale della Chiesa ha un suo linguaggio e parla sete di potere e avidità di denaro. Le prime prede intercambiabili sono il potere e il denaro. È finita la classe politica di persone legate al potere e disinteressate dal denaro. Oggi chi cerca il potere cerca il potere. Anche le istituzioni democratiche sono una preda. In questo momento storico i partiti non fanno congresso, che è un meccanismo per selezionare una classe dirigente.
Il consenso è un’altra preda. Nell’80% i politici leggono i testi preparati da altri. Non c’è nessun twit di un politico, né post, né comunicato stampa che non sia stato preparato per carpire consenso. Tutto è prodotto di marketing.
I poveri, gli ultimi, gli stranieri: sono delle prede. Non si fanno differenze fra immigrati, perché sono cose da intellettuali. Queste cose non attirano consenso e quindi si prende il pacchetto intero e lo si fa diventare una preda.
La situazione è peggiore del governo Berlusconi e del governo Renzi. L’emergenza non è politica, ma è culturale. È una battaglia che ha iniziato la Civiltà Cattolica agli inizi degli anni ’90 quando si parlava che le questioni morali e politiche sono…

Ai giovanissimi che cosa diciamo? Siamo dinanzi ad un vuoto culturale impressionante. Le eccellenze non fanno un Paese, perché l’eccellenza culturale e scientifica vengono da percorsi di sacrifici personali, ma non dicono la situazione generale delle nostre scuole, non dicono la vergogna dei docenti universitari che non insegnano e fanno altro. Questa è l’emergenza culturale. Occorre trovare il bandolo della matassa e questo sta nel cuore delle persone.

Le cose che dice Salvini le dice la gente. Salvini è uno dei tanti in ottima compagnia in questo Paese. Ci sono preti e vescovi che la pensano come Salvini.
Francesco: la crisi attuale fonda le radici in una crisi etica e antropologica.
Proposta: la tentazione dinanzi ad un quadro di crisi è di creare i gruppi ristretti di resistenza. Lo strumento del discernimento deve diventare una categoria fondamentale della nostra azione, assieme a quella della pazienza.
Discernimento: Francesco lo ha ripreso. Discernere i segni dei tempi, che prima vanno letti. Il discernimento non è automatico. È cresciuta la velocità tecnologica, ma non quella dell’intelligenza. Il discernimento ha bisogno di tempo e chi non si concede tempo rischia di diventare un predatore. I predatori sono velocissimi.

Il discernimento serve per cercare ciò che è gradito a Dio. Decidersi per ciò che è buono. Ciò che Dio ha creato è buono, anche se poi si è pervertito. Occorre coniugare i verbi del discernimento: valutare, capire, scegliere. La politica va capita, perché mette in campo dei meccanismi, ha delle regie note ed occulte. La buona politica è fatta di persone competenti, e anche di cittadini. È un esercizio di studio.
Pazienza. Occorre pazienza nel dialogo e nell’offrire parole. Il razzismo è radicato. Non abbiamo il compito di convincere qualcuno, ma di evangelizzare e, per questo, ci vuole molta pazienza. Non si fa la formazione funzionale all’emergenza. La formazione è costante nel tempo. Dobbiamo mirare non a risolvere il problema emergente, ma ad un cammino costante. L’inasprimento delle tasse colpirà i piccoli ma non i grandi. La formazione porta alla coerenza evangelica in campo politica. Milani diceva che dobbiamo spiegare le parole con pazienza.

La buona politica si basa sull’apprendimento delle parole, concetti e sul confermare quelle che abbiamo nel cuore e nella mente. Le politiche sociali sono l’attuazione del bene comune. Spesso si vuole mantenere il discorso su un livello retorico, per non entrare in profondità. Le parole devono riprendere i loro significati. Ci dev’essere un cammino di smascheramento fatto con intelligenza. Facebook non è un luogo di discussione, ma di armi bianche. Ci sono delle logiche di presenza e non formative. Dobbiamo capire gli strumenti che abbiamo in mano. Non si apprendono parole su Facebook, si lanciano.

La parola pace che cosa significa oggi nella testa delle persone? Bobbio: la filosofia della pace è una delle filosofie più deboli nel nostro contesto italiano. Che cosa so io di pace? Quale legame esiste tra politica e pace? Oggi il problema è la funzione sociale (Milani) che noi abbiamo come persone che rendono in contenuti significativi. Si potrebbero prendere alcuni numeri del testo del Papa e ragionare assieme.
Oggi le parole sono svuotate.

domenica 30 dicembre 2018

LA BUONA POLITICA A SERVIZIO DELLA PACE-CONVEGNO PAX CHRISTI 2018


Convegno Nazionale di Pax Christi MATERA - 30/31 dicembre 2018





Renato Sacco e Gianni Novello ci introducono al messaggio del Papa per la Giornata mondiale della Pace

Santeramo in Colle


Sintesi: Paolo Cugini

I vescovi della Sardegna sono impegnati nella lotta contro la costruzione delle armi.

Siamo a pochi passi da Matera, candidata come sede della 51 marcia della Pace. Matera è capitale europea della cultura 2019.

Non siamo soli perché anche la Diocesi di Altamura ci è vicina.

Gianni Novello: rilettura del messaggio del Papa di quest’anno: “la buona politica a servizio della pace”. Viviamo in solidarietà con la popolazione del Congo che vive immersa nella violenza. Il messaggio del Papa va letto con gli occhi delle vittime della non-pace. L’obiettivo della pace va unito alle situazioni di dolore e sofferenza.

Dopo il funerale di Romero in Salvador, un vecchietto nascosto in un sotterraneo chiedeva di ricordare all’Europa che siamo qui. Se siamo attenti alle persone che vivono in quelle situazioni, il mondo sa meno d’inferno. A volte la scommessa di tutti noi è di unire la buona politica con il quotidiano che sa ascoltare le sofferenze.
Il discorso del Papa tiene conto del primo articolo dello statuto dell’UNESCO: le guerre nascono prima di tutto nello spirito degli uomini. Pax Christi è un cenacolo di resistenza. Il Papa fa un messaggio che sembra senza mordente. Il suo messaggio è un insieme dei messaggi già fatti in precedenza. C’è dentro la Laudato Sii, l’Evangelii Gaudium. Il dovere della buona politica è affrontare i diritti che diventino doveri.

Il Papa inizia il suo messaggio con il tema della casa comune, che è ogni famiglia, ogni paese, ogni continente. Pace a questa casa: pace a tutte le case. Dietro la buona politica della pace ci dev’essere un lavoro educativo di consapevolezza.
Il Papa cita Paolo VI: la buona politica è manifestazione della carità. Il dovere della politica è il dovere della pace. Richiama a pratiche di virtù: la giustizia, l’equità, il rispetto reciproco, la fedeltà, la continuità. Occorre mettere insieme il Vangelo e la Costituzione a servizio delle vittime della non-pace. Il servizio del bene comune è a cominciare dai più poveri, perché ci sono peccati strutturali che emarginano. Ci sono strutture che impoveriscono. Il Papa dice che occorre riprendere questi temi affinché non cadano nel vuoto.ù

Il Papa ci mette in guardia contro i vizi della democrazia che mettono in pericolo la pace sociale: la corruzione è il peggiore di questi vizi. Corruzione e produzione di armi, il commercio di armi vanno a braccetto. Altro vizio è la negazione del diritto e l’arricchimento illegale. Il Papa ricorda che l’Europa ha scelto più Macchiavelli che Erasmo da Rotterdam.

Il Papa ricorda gli esiliati, che trovano fili spinati. Per il Papa è un fenomeno provocato da cattive politiche: colonialismo e neocolonialismo. Faremo dei laboratori proprio per cercare di mettere insieme idee per far fronte a queste problematiche.
Cosa fare per l’ambiente: è uno dei problemi più scottanti. Anche il problema della cultura è delicato. Stiamo diventando un po’ tutti fascisti: stiamo troppo in casa e non volgiamo far parte di aggregazioni. Occorre elaborare un progetto di società.
Occorre avere il coraggio di avere visioni di futuro. Disarmare: La Chiesa, la cultura, la scuola, ecc.  Vedere la società come un poliedro e non una sfera. Cultura della differenza. Dobbiamo cercare le minoranze per tutelarle.

Non dobbiamo avere paura dei cambiamenti, ma dobbiamo entrarci e accompagnare i cambiamenti. Pax Christi come un gruppo di persone per elaborare progetti. Studio, preghiera e azione.
I vescovi sardi dicono: con facilità si vende fumo seguendo ideologie. Gli slogan e le promesse non aiutano a creare un clima distensivo. Buona politica è anche far crescere il lavoro. La produzione e il commercio delle armi non contribuiscono alla costruzione della pace.
La democrazia è in crisi. I diritti anche quelli della Costituzione hanno bisogno di vigilanza.

giovedì 20 dicembre 2018

LIBERATEVI, PER DIO!




Paolo Cugini

È come la cipolla o come una fodera. Sono esempi che prendo da una mia cara amica, che li usa spesso ogni volta che spiega la complessità del testo biblico. La cipolla vista da lontano, sembra compatta, una cosa unica, ma non è. Quando la vedi da vicino ti accorgi che è stratificata, che la puoi pelare, le puoi togliere le stratificazioni che, per quanto riguarda la cipolla – e non solo – è un processo che ci fa piangere.

Anche le coperte sembrano un corpo unico e invece ci sono delle cuciture che uniscono i pezzi e poi ci sono dei rivestimenti per nascondere le cuciture. La coperta sembra un corpo compatto, ma non è. Come, del resto, tante cose nella vita: sembrano compatte, ma non lo sono. Ci abituiamo a vivere nell’apparenza delle cose, sino al giorno in cui un incontro, un volto, un sentimento forte ci aiuta a svegliarci e a scoprire che non è tutto compatto come sembra, che c’è qualcosa di diverso, che c’è dell'altro.

C’è tutto un sistema di cose che fa di tutto affinché la realtà risulti compatta, bella, simpatica. C’è tutto un mondo che lavora al mascheramento della realtà, soprattutto, al mascheramento delle manipolazioni del reale. E poi intervengono degli eventi che incrinano la compattezza, che aprono degli spiragli, che provocano una riflessione, una crisi e aprono, in questo modo, il cammino della decostruzione che ci conducono alla realtà, vale a dire, alla verità sulle cose. La decostruzione delle strutture messe in atto per coprire la manipolazione della realtà è, allo stesso tempo, un cammino di liberazione e di disvelamento. È di liberazione perché, finalmente, la persona vive con libertà il proprio rapporto con la realtà. Di disvelamento perché la rivelazione del processo di decostruzione ci conduce alla comprensione che le intuizioni che percepivamo nel periodo della manipolazione del reale, erano autentiche. Questa è già un’importante indicazione di metodo. Ci dice, infatti, che ogni persona è dotata per cogliere la verità delle cose, la loro realtà e, quindi, è in grado di percepire ogni tentativo di manipolazione, di distorsione, di dissuasione.

Ad un certo punto nella vita dobbiamo decidere se sbucciare le cipolle o lasciarle così; dobbiamo decidere se togliere le federe e controllare le cuciture, oppure continuare a coprirci come se la coperta fosse un corpo unico. Infine, ad un certo punto della vita dobbiamo decidere se continuare a credere a santa Lucia e a Babbo Natale, o se collocarli al loro posto. Dobbiamo, cioè, ad un certo punto della vita, che sarebbe bello essere il più presto possibile, deciderci se vale la pena soffrire un po’, smascherando i miti che ci stanno offuscando la vista del reale, o fare finta di nulla e pagare il prezzo salatissimo di una vita falsa, di correre il rischio cioè di non vivere mai la realtà.

Quando questo succede, cioè quando ritardiamo ad attivare i processi di decostruzione e di smascheramento stiamo male perché viviamo male. La coscienza si ribella quando qualcosa o qualcuno ci soffoca, tarpa le nostre ali, c’impedisce di volare, di essere noi stessi. La nostra coscienza si arrabbia con noi nel profondo del nostro cuore quando ci vede pigri, remissivi, un po' meschini perché ci rifugiamo dietro le nostre paure. Siamo come arrabbiati quando ci accorgiamo che la vita non è come l’avevamo pensata o come qualcuno l’ha pensata per noi. E allora c’è dentro di noi una voce, un sentimento che ci spinge a prenderci in mano, a prenderci sul serio, a smetterla di piagnucolare e tirarci su le maniche pere smascherare tutto e vivere così finalmente liberi.

È il contatto con la realtà che smaschera le sovrastrutture false che ci stanno impedendo di vivere in modo autentico. È la realtà che provoca l’incresparsi di quelle idee, di quelle filosofie e teologie che rivestono la nostra vita non permettendoci di vivere in modo autentico. La cosa peggiore che purtroppo accade spesso, è quando le filosofie e le ideologie incontrano come alleati i genitori che, non hanno tempo per controllare se tali ideologie sono aderenti o meno alla realtà. Povera quella giovane anima che trova dentro di casa l’alleanza diabolica dei propri genitori con gli spacciatori di ideologie devitalizzanti e castranti! Sarà dura uscire da questa gabbia di matti, ma ce la si può fare. C’è sempre, infatti, un giorno in cui incontriamo qualcosa di reale, in cui percepiamo che il mondo non è come ce lo stanno spacciando. C’è sempre un giorno in cui la giovane anima respira aria di libertà e, quando questo succede, puoi star sicuro che farà di tutto per scrollarsi di dosso il marciume delle filosofie e delle teologie che come catene la tengono in gabbia. Chi sente profumo di libertà, soprattutto quando questo profumo viene verso di noi nella giovinezza, puoi stare sicuro amico mio, che questo profumo non si scorda mai.

Il primo elemento fondamentale di questo processo di smascheramento, che è allo stesso tempo un processo di decostruzione, consiste nel prendere le distanze dai maghi, dai ciarlatani, dai venditori di fumo, imbroglioni da due soldi che, per tante ragioni, abbiamo incontrato nel nostro cammino e ci hanno riempito la testa di fandonie. Credo che sia impossibile questo salutare addio ai ciarlatani senza incontrare qualcuno che ci sia già passato, qualcuno che si sia già liberato dal mondo di fandonie, dal mascheramento del reale. È brutto che lo dica proprio io che sono della stessa categoria, ma molti di questi ciarlatani vestono delle sottane nere e camminano nelle chiese. C’è tutta una religione che prima di essere cammino di libertà è strumento satanico di schiavitù e di morte. Quanta gente ho incontrato in questi anni che ingenuamente seguiva quel tal prete o quel tal gruppo pensando di camminare nella via del Signore e invece stavano percorrendo il sentiero di Satana! Liberatevi, per Dio!


venerdì 14 dicembre 2018

Convegno Nazionale di Pax Christi MATERA - 30/31 dicembre 2018



Per una tavola dei beni comuni

Ispirato al messaggio di papa Francesco per la 52^ Giornata mondiale della Pace:
LA BUONA POLITICA È AL SERVIZIO DELLA PACE

Programma

Domenica 30 dicembre
h 9,15: Accoglienza e preghiera
h 10,00: Saluti di mons. Giovanni Ricchiuti, Presidente di Pax Christi
Italia e vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti
h 10,15: Renato Sacco e Gianni Novello ci introducono al messaggio
del Papa per la Giornata mondiale della Pace.

h.10,45: Gruppi di lavoro:
“La buona politica è al servizio della pace” nei seguenti campi…
1.      Diritti (con Rino Basile
2.      Ambiente (con Arturo Casieri)
3.      Cultura (con Salvatore Leopizzi)
4.      Disarmo e mondialità (con Renato Sacco)
5.      Lavoro (con Mimmo Natale)
6.      Tutela delle minoranze (con Enzo Pezzino)
7.      Dialogo tra le culture (con Gianni Novello)
8.      Dialogo tra le generazioni (con Alessio Perniola)

h. 13,15: pranzo

h. 15,30: Gruppi di lavoro: Ora… realizziamo un progetto
h. 17,30: In plenaria: sintesi e proposte dei gruppi di lavoro
Modera: Rosa Siciliano
Conclude: Christian Medos mons. Luigi Bettazzi
h. 19.15: Celebrazione Eucaristica
h. 20.15: Cena
h. 21.15: Serata insieme

Lunedì 31 dicembre
h. 9.15: Preghiera. “Le radici bibliche della buona politica”
mons. Giovanni Ricchiuti
h. 10,00: “Per una politica di pace: quali scelte?”
don Rocco D’Ambrosio, ordinario di Filosofia Politica presso Università Gregoriana, Roma – Presidente di Cercasi un fine.
10,45: Dibattito
12,00: Notizie, aggiornamenti dall’interno di Pax Christi
h. 13,30: Pranzo

Nel pomeriggio partenza con 2 pullman per Matera per partecipare alla 51ma Marcia Nazionale per la Pace.

La prima giornata del convegno è stata organizzata con la partecipazione di alcuni amici della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti, al fine di un maggior coinvolgimento delle realtà locali.
Per la giornata del 30, sono previsti gruppi di lavoro in cui ci confronteremo con giovani e meno giovani della chiesa locale.

martedì 11 dicembre 2018

Il cammino della Chiesa in America Latina






INCONTRO NOVELLARA
10 dicembre 2018


 Relatore: Mauro Castagnaro (giornalista di Crema)
Sintesi: Paolo Cugini

Quando parliamo della Chiesa Latinoamericana dobbiamo parlare degli ultimi 50 anni. Prima era una Chiesa calco. Adesso è una Chiesa soggetto, che ha assunto un cammino specifico proprio.
Gli atteggiamenti che tendiamo di avere quando sentiamo parlare di questi cammini di chiese sono di due tipi:
·         Svilire
·         immagine mitizzata
Anche la Chiesa rappresentata da Oscar Romero era una minoranza. Una Chiesa che, comunque, ha fatto un cammino proprio, ha tentato di tradurre il cammino della Chiesa universale nel proprio contesto.

L’atto di nascere può essere identificato con la Conferenza di Medellin nel 1968. Sono i vescovi di un continente che s’incontrano per interrogarsi sul cammino della Chiesa. Non esiste in nessun altro continente un’esperienza come questa. Nel 1968 si riuniscono per attualizzare le intuizioni del Concilio. Il Concilio ha affrontato soprattutto problemi legati al cammino della Chiesa europea.

L’America Latina era un Continente evangelizzato e poi un continente fatto da poveri. Vengono fatte tre scelte. La prima è l’opzione per i poveri. Ciò significa che, ad esempio, le suore che si occupavano di educazione, si spostano dal centro alla periferia. Vuole dire anche guardare la società, la politica dal punto di vista dei poveri, dei contadini, dei proletari. Pensare progetti politici e sociali che la nuova Chiesa arriverà dalla conversione dei poveri. Ad esempio il Movimento dei Senza Terra.

La seconda scelta era l’opzione per la liberazione integrale. È il tema del Regno di Dio. Anche questo ha delle conseguenze dal punto di vista della pastorale.

La terza scelta è di tipo ecclesiologico: le comunità ecclesiali di base.

Nei documenti ufficiali della Chiesa Latinoamericana vengono ribadite queste scelte. Si parla per questo motivo di un magistero latinoamericano. La loro applicazione non è maggioritaria. I casi in cui questo viene più sviluppato è il Brasile. Ci sono altre situazioni in cui ciò era difficile, come a El Salvador e dove la figura di Romero era isolata.

Esempio: degli 80 vescovi argentini, chi si oppose alla dittatura furono solo quattro.
In America Latina la Chiesa utilizza il metodo Vedere, giudicare e agire.
Questa storia è complicata, entusiasmante, lacerante perché ha voluto dire persone che sono morte. È una storia che è stata anche repressa durante il papato di Giovanni Paolo II.

C’è un appuntamento che sarà molto importante che è il prossimo sinodo Panamazzonica. Il sinodo sarà importante anche per le nostre chiese.

In America Latina ci sono ancora molti missionari. Il clero latinoamericano è un clero che ama le parrocchie di città e dei quartieri benestanti. In tutto il mondo il clero giovane, coloro che sono stati ordinati dalla metà degli anni ’80 in poi, sono distanti dai problemi sociali. Il clero giovane ricomincia ad avere il gusto di andare in giro con la tonaca.


Intervento di Paolo Cugini

Problema: In che modo l’esperienza della Chiesa sudamericana può essere di aiuto e stimolo al cammino della nostra Chiesa?
1.      Capire che cosa significa Chiesa come popolo di Dio: è il tema del modello ecclesiologico: piramide e poliedro.
2.      Vivere una Chiesa ministeriale: effettiva responsabilità dei laici
a.      Sinodalità
b.      Ruolo della donna nella Chiesa
c.       Il modo di vivere il ministero
3.      Chiesa e poveri
4.      Centralità della Parola di Dio


mercoledì 28 novembre 2018

DOVE VA LA MISSIONE? INCONTRO ORGANIZZATO DAL CMD DI REGGIO EMILIA





FOGLIANO – REGGIO EMILIA 27 Novembre 2018


Tavola rotonda con: suor Paola Torelli, Pe Mario Menin, direttore di Missione Oggi; Suor Teresina Caffi (saveriana), don Paolo Cugini, don Pietro Adani

Sintesi: Paolo Cugini
Domanda: nel tuo libro metti la missione quale realtà complessa, mutevole. Ci ricordi la difficoltà della missione. Con questo libro che messaggio vuoi dare?
Mario Menin: ho lavorato in una favela che si chiama Eliopolis. Abbiamo fatto un cammino di Comunità Ecclesiali di Base con Mons Evaristo Arns. Ho scritto questo libro perché ho risposto ad una domanda che mi è stata rivolta. Quando uno dice missione che cosa intende? La missione è cambiata. Siamo passati da una missione senza l’altro ad una missione con l’altro. Una missione a senso unico, come operazione del mondo Occidentale cristiano, alla riscoperta della missione come movimento di Dio verso di noi. Un viaggio di Dio che gli è costato molto per venire in mezzo a noi. La missione è un’azione di Dio, prima che una nostra azione. Ho scritto il libro per dire che la missione a partire dal Concilio Vaticano II è la Chiesa. Se volgiamo riformare la Chiesa dobbiamo ripartire dalla missione. La missione è di tutti i discepoli, è di tutti i battezzati. Importante è che ci siano delle persone che vadano in missione, però non possiamo dispensarci dall’essere missionari: tutti siamo chiamati ad essere missionari. Siamo passati da una missione contro gli altri, ad una missione con le altre religioni. La missione è con la gente, con gli altri. La missione è una cosa semplice, ma complessa allo stesso tempo. È annuncio, testimonianza, profezia, comunione. Pensiamo ai monaci uccisi, a Charles de Foucauld,

Domanda: che cosa significa essere donna consacrata, missionaria oggi?
Suor Teresina: La missione sono andata imparandola facendola. Avevo il desiderio di andare in Africa. Ero andata in missione motivata. Quando sono arrivata in Congo e vedendo come vivevano le mie sorelle ci sono rimasto di colpo. Un giorno sono uscita e sono andata a trovare una anziana che vedendomi fece una festa. Ho capito che la vita non si regge dallo sforzo di essere giusti, ma sulla misericordia. Quando ho visto per la prima volta un uomo ucciso a causa dalla guerra per il solo fatto che era uscito per andare a prendere la sua capra, ho capito che la missione doveva prendere un’altra piega. Non ci dev’essere nessun altro interesse. Dal dolore del popolo congolese ho capito che il popolo va amato e basta. Ho sentito questo popolo congolese dentro di me. Ho capito che dovevo interessarmi di tutto, della politica, dell’economia: tutto era pertinente alla mia missione. Quando i problemi si fanno forti devi avere la passione delle radici. Ho imparato la passione per le cause strutturali della povertà, per interessarmi della giustizia.
Papa Francesco va ringraziato per quello che dice. Il vero ateismo per cui preoccuparsi è la fine dell’interesse per il popolo, per l’umano. Dove c’è un po' di compassione, lì c’è Dio.

Domanda: In che modo l’unità pastorale Può essere  missione sul territorio?
Menin: Se l’UP è creata perché mancano i preti è solo una pezza per rimediare alla scarsità del numero dei sacerdoti. Le UP sono una risposta missionaria o sono una semplice riorganizzazione per rendere più funzionale il lavoro pastorale? L’aspetto buono della UP è la sinodalità perché i preti devono confrontarsi. Entrare in un cammino di sinodalità: è questa la grande sfida delle UP. Se scommettessimo sulla soggettività missionaria di tutti i battezzati e scommettessimo sulle piccole comunità dove si celebra, è possibile immaginare che una parrocchia diventi una comunione di comunità, che abitano in maniera responsabile sul territorio? Le comunità cristiane dovrebbero essere antenne sulle povertà di un territorio. Ci sono resistenze forti sulle UP da parte del clero. Nessuna Chiesa è autosufficiente. L’esperienza delle UP provoca sulla ministerialità.

sabato 24 novembre 2018

DOVE VA L'AFRICA?





 SFIDE, MIGRAZIONI, NARRAZIONI

MILANO-24 NOVEMBRE 2018

QUADRO GEO-POLITICO E SFIDE DELLA COOPERAZIONE

Relatore: Mario Raffaelli (presidente AMREF-African Medical and Research Foundation)
Sintesi: Paolo Cugini

Di Africa si parla poco e quando se ne parla se ne parla male, in modo superficiale e schematico.
Questa superficialità c’è anche sulla storia dell’Africa. L’Africa ha sofferto una storia sempre interrotta. Un’interruzione significativa è stato l’incontro con il mondo europeo. La presenza dei paesi europei ha segnato un punto d’arresto del suo sviluppo naturale.

Il dramma dell’Africa si riassume nel fatto che non ha mai avuto la possibilità di sviluppare il proprio sistema economico e politico in modo graduale.
Possiamo parlare di afriche in termini di visione all’interno dell’Africa, frutto anche di conflitti interni e della guerra globale al terrorismo.

Immigrazione e integrazione. L’immigrazione è un problema strutturale. È un Continente in cui i tassi di sviluppo demografico sono in forte crescita. C’è stata una diminuzione drastica della mortalità infantile, che non è stata accompagnata dalla crescita economica. C’è un grande numero di poveri assoluti. C’è stata un’evoluzione in termini sociali. Negli ultimi anno è cresciuta molto la scolarità. Comincia a crescere un capitale umano che prima non c’era.

Si è cominciato a creare un embrione di mercato interno africano. Si pone il problema di come poter fare il grande salto. Nel 2011 c’è stato un rallentamento rispetto alla crescita economica media che era del 5%, trainata dai paesi che sono ricchi di materie prime. Questo sviluppo forte, ha conosciuto la crisi all’epoca della crisi del prezzo delle materie prime. Nei prossimi anni si prevede una crescita del 3,5%. Ci vorrebbe una dinamica di crescita più robusta. In questo periodo, chi sta crescendo di più e meglio sono quei paesi africani che non godono delle risorse di materie prime.
Sono paesi che hanno dato spazio alla crescita dell’agricoltura. Conta anche il fatto che c’è una nuova dinamica dello sviluppo tecnologico. Il telefonino in Africa è stato un fattore di crescita estremamente significativo. Oggi con il telefonino in Africa si fanno molti pagamenti.

Un altro settore è quello dell’energia. Il 75% della popolazione non è raggiunto dall’energia. Sta avendo un grande sviluppo l’energia alternativa, in modo particolare quella solare. Il Ruanda ha costruito la sua crescita sull’energia alternativa e sullo sviluppo tecnologico.

Tutto questo si riflette sui singoli paesi. Il vero salto che l’Africa potrebbe fare sarebbe sullo sviluppo di un mercato interno. La mancanza di un mercato Continentale e regionale è ciò che impedisce la crescita. L’Unione Africana ha deciso d’investire sulla costruzione di un mercato interno. Solo così l’Africa può crescere. È necessaria, in questa prospettiva, è la possibilità di partire a livello regionale. Su questo ci sono situazione diversa. L’Africa Australe e l‘ECOAS hanno già espresso dinamiche in questo senso più forti che in altre aree.

C’è un ammontare di risorse che sono necessarie per rendere credibile un processo di questo tipo, vale a dire strade, porti, ecc. per sviluppare un mercato dinamico.
In Africa c’è una classe media di 300 milioni di persone, che è una forza trainante, ma che ha bisogno di interventi significativi a livello infrastrutturale.

Chi può aiutare? L’Europa e la Cina. Gli USA non sono interessati. La Cina è molto presente in Africa. La Cina ogni due anni fa un grande meeting con i presidenti africani e con i rappresentanti dell’economia cinese. La Cina è una presenza forte sia negli accordi che nella presenza delle persone. C’è una migrazione verso l’Africa di cinesi, che vanno ad aprire il piccolo commercio. Ora la Cina fa interventi grandi, complessi: ad esempio la ferrovia che collega molte città. I cinesi hanno iniziato ad essere presenti anche dal punto di vista militare. Quale tipo di cooperazione bisogna mettere in campo e chi?
Connessione tra sviluppo, sostenibilità e pace. È inutile parlare di sviluppo dove non c’è pace e stabilità.



DEMOGRAFIA E SANITA’

Relatore: Giovanni Putoto (Responsabile ricerca del CUAM. (Medici con l'Africa Cuamm è tra le maggiori organizzazioni non governative sanitarie italiane per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane. Realizza progetti a lungo termine in un'ottica di sviluppo. A tale scopo si impegna nella formazione in Italia e in Africa delle risorse umane dedicate, nella ricerca e divulgazione scientifica e nell'affermazione del diritto umano fondamentale della salute per tutti- FONTE: wikipedia)

Sintesi: Paolo Cugini

La crescita demografica interessa in maniera esclusiva il Continente africano. Nel 2100 l’Africa avrà il 40 % della popolazione mondiale. Dietro a questa spinta c’è il fenomeno della transizione demografica. In una popolazione ci sono varie fasi. Nella prima, c’è un alto tasso di natalità e mortalità. Nella seconda fase, la mortalità diminuisce. La terza fase è il declino della natalità.
Dal 1960 al 2018 che cosa è successo? Osserviamo che progressivamente c’è una diminuzione del numero della fertilità. Al di sotto dei tre figli per donna diminuiscono, eccetto a quella africana, anche se ha iniziato un processo di convergenza con gli altri paesi. Dal 1960 aveva 7 figli per donna ai 4,5 di oggi.

Prima variazione: i paesi che hanno più fertilità nel mondo sono i paesi fragili.
Ci sono paesi che sono arrivati ad avere 3 figli (Kenya). C’è una grande diversità tra coloro che vivono in città (2 figli) a quelli nelle zone rurali (5 figli). Quanto tempo impiegherà l’Africa per diminuire la propria natalità? Questo è il problema. C’è una condizione di caos che esiste in alcuni paesi e non permettono un’analisi della crescita demografica.

L’Università di Padova ha indagato la mortalità infantile nel Veneto attraverso l’analisi dei registri parrocchiali. La mortalità infantile era di molte superiore ad altre realtà europee. Oggi la media della mortalità infantile dell’Africa sub sahariana è identica a quella dell’Italia degli anni ’50. Nell’arco di 20 anni la mortalità infantile veneta si è allineata alle altre regioni. Il veneto è stata la regione con il più alto flusso migratorio. È intervenuta un’attenzione maggiore ai bambini. È migliorata la cura verso i bambini piccoli, neonati.

Perché una famiglia decide di avere figli? Ci sono dei meccanismi comuni a tutte le popolazioni. L’allattamento è un meccanismo
Secondo motivo: esperienziale. È la ferita della donna quando perde un figlio: è considerato un fatto innaturale. Il meccanismo è di rimpiazzare una vita perduta.
Figli in situazioni di grande crisi c’è una scelta razionale di avere un numero più elevate.

Le cose cambiano quando i genitori decidono d’investire sul futuro dei figli: ha un ritorno.
Un’altra sfida sono i sistemi sanitari. In Africa la gente si paga i servizi. Non c’è nessuna forma di condivisione del rischio. L’Africa deve sviluppare un sistema di Welfare. Investire in salute materna infantile conviene. È una questione politica di cooperazione.

C’è la sfida degli stati fragili. Sta cambiando la geografia delle povertà. La migrazione africana interna è il vero dato fondamentale perché assorbe l’85% del processo migratorio. C’è una migrazione che avviene per natura economica o per motivi di studio. C’è una migrazione importante che avviene per gli stati fragili, che sono capaci di alterare gli equilibri positivi raggiunti.

Gli stati fragili dell’Africa concentrano l’80% dei poveri del mondo. Sierra Leone è uno di questi. Anche l’Etiopia e l’Uganda. Lo stato di violenza è uno dei fattori fondamentali. C’è un uso strumentale della violenza a scopo politico. C’è anche una fragilità climatica, oltre che politica.

Esempio positivo dell’Uganda. Come mai gli ugandesi non ci sono? In Italia ce ne sono 500. Eppure hanno una spinta demografica tra le più alte del mondo. C’è stato un miglioramento relativo dal punto di vista politico ed economico in paese che era stato contrassegnato dai problemi interni. C’è stato uno sviluppo umano con la diminuzione della mortalità infantile. Oltre a ciò c’è da considerare la presenza dei missionari che hanno costruito in ogni villaggio delle scuole e degli ospedali.






sabato 17 novembre 2018

AVERCELI DEI VESCOVI COSI'. ALLE ORIGINI DELLO STILE DI PAPA FRANCESCO






Paolo Cugini


La proposta ecclesiale di Francesco non nasce da un lavoro di studio, ma dalla sua pratica pastorale, in una costante relazione circolare tra i due momenti. La novità di quello che Papa Francesco dice e fa, novità nel suo modo di vivere il papato, d’interpretarlo, suscita la curiosità sulle sue fonti. Il suo stile popolare e immediato è in continuità, così come ce lo hanno dimostrato le biografie, le omelie e i discorsi del periodo in cui è stato arcivescovo a Buenos Aires e le testimonianze fatte su di lui, con il gesuita prima, e poi il vescovo e il Cardinale Jorge Mario Bergoglio. 
Dopo alcuni anni del suo pontificato, ci si rende conto che la proposta ecclesiale di Papa Francesco non è improvvisata, ma viene da molto lontano, si radica nel suo particolare percorso spirituale e culturale, s’intreccia con le scelte fatte nel tempo, che hanno plasmato un particolare modo di essere pastore, attento ai poveri, aperto al dialogo, capace di parlare al cuore della gente. Francesco sta riproponendo con i gesti e le parole la grande intuizione del Concilio Vaticano II della Chiesa come popolo di Dio. Il capitolo II della Lumen Gentium, Chiesa popolo di Dio, che precede il capitolo sulla struttura gerarchica della Chiesa, lo ha spiegato al mondo non con un trattato di ecclesiologia, ma dichiarandosi, appena eletto papa, come vescovo di Roma e chiedendo la benedizione del popolo fedele accorso in piazza san Pietro per l’evento, prima di impartirla lui stesso. Lo stesso si può dire per la proposta di una Chiesa dei poveri, vagheggiata durante il Concilio Vaticano II espressa, in parte, nel numero 8 della Lumen Gentium ma, soprattutto, nel patto delle Catacombe. 

L’attenzione del Papa per i poveri, visibile non solo nell’incontro personale con loro, ma anche nelle sue scelte personali di mantenere un profilo sobrio e semplice, rinunciando ai privilegi che la sua posizione richiederebbe, la troviamo come stile costante sia come gesuita che come arcivescovo di Buenos Aires. Austen Ivereigh racconta, nella sua biografia sulla vita di Jorge Mario Bergoglio, il costume che aveva nei fine settimana di visitare i quartieri poveri di Buenos Aires, al punto che era molto più conosciuto dalle persone povere di questi quartieri che dalle persone dell’alta borghesia che viveva nei quartieri ricchi. Gesti che dicono di scelte maturate nelle lunghe ore di preghiera mattutina, di frequenza costante del Vangelo, assimilando lo stile di Gesù, il suo pensiero il suo modo id essere[1]
Con Francesco, i gesti sono la chiave ermeneutica dei testi: si trasmette ciò che si vive, e si vive ciò che si è assimilato nel silenzio della preghiera, nel rapporto personale con il Signore. Questa stessa modalità ermeneutica la troviamo in tantissime pagine della vita di Bergoglio. Nel periodo in cui era rettore della Facoltà di teologia e filosofia di san Miguel (1976), inizia un lavoro di riforma integrale del programma di formazione degli studenti gesuiti, strumento fondamentale della strategia di rifondazione della provincia di cui era superiore (1973-1979). Oltre alla revisione del programma di studi, Bergoglio propose un impegno pastorale specifico tra la popolazione locale. Essere a servizio dei poveri durante i fine settimana avrebbe permesso agli studenti gesuiti di conoscere la realtà, di entrare in contatto con il popolo di Dio.
«Nella nostra testa noi siamo re e grandi signori – diceva Bergoglio in un discorso di quel periodo – e chiunque si dedichi esclusivamente a coltivare la propria fantasia non riuscirà mai a sentire l’urgenza del “qui e ora”. Il lavoro pastorale nelle nostre parrocchie, invece, è l’opposto». Bergoglio trasmise agli studenti gesuiti quell’importanza di frequentare i poveri che lui stesso viveva ogni giorno. Sfogliando le pagine delle biografie, dei discorsi e delle omelie di Bergoglio, si rimane profondamente colpiti dalla radicalità delle scelte di un uomo immerso nel Vangelo, desideroso di seguire le orme del Signore per assimilare il suo stesso modo di vedere il mondo. Non a caso, uno dei ritornelli che papa Francesco ripete soprattutto quando s’incontra con dei sacerdoti e che ripeteva ai gesuiti e ai sacerdoti di Buenos Aires è lo sforzo di fuggire dalla mondanità Spirituale. 
Bergoglio rimase profondamente colpito dalla lettura della Meditazione sulla Chiesa del teologo francese Henri de Lubac, il quale riteneva che la mondanità spirituale è qualcosa d’infinitamente più disastroso di qualsiasi mondanità di ordine puramente morale, «Una forma di antropocentrismo religioso che utilizza la Chiesa a fini temporali – per guadagni politici o personali – trasformandola così in uno strumento per le macchinazioni umane e oscurando il volto di Cristo, la cui rivelazione è la stessa raison d’etre della Chiesa». La vicinanza ai poveri significa per Bergoglio attenzione alla realtà, che permette di smantellare dal di dentro le costruzioni ideologiche di tipo politico, sociale e religioso. 

È stata la frequenza costante dei quartieri poveri di Buenos Aires che ha permesso a Bergoglio di comprendere i malefici di un sistema economico che non solo allarga sempre di più la forbice tra i pochi ricchi e una moltitudine immensa di poveri, ma incentiva il sistema di corruzione a tutti i livelli. È toccando la carne reale dei poveri che Bergoglio comprende la falsità del discorso politico-economico sul mercato finanziario che si autoregola e, aumentando la ricchezza, la distribuisce a chi non ne ha. Quello che lui incontrava e vedeva nei quartieri poveri assieme ai giovani seminaristi gesuiti a metà degli anni ’70 prima e con un gruppo di sacerdoti negli anni ’90 come vescovo ausiliare prima e poi come arcivescovo di Buenos Aires, era ben altro. Soprattutto dopo la spaventosa crisi economica del 2001 che mise l’economia argentina in ginocchio, mentre lo Stato si contraeva e si chiudeva sempre di più in sé stesso, la Chiesa di Buenos Aires espandeva enormemente le proprie attività. Bergoglio aumentò da otto a ventisei il numero di preti delle baraccopoli, e lui stesso passava almeno un pomeriggio alla settimana in una di queste. Era questo a fare la differenza. Bergoglio era un vescovo che non si limitava a impartire degli ordini, ma quello che chiedeva veniva da un’esperienza condivisa. Ecco perché, mentre i potenti non lo vedevano di buon occhio per questo suo stile che gli permetteva anche critiche puntuali sul sistema politico corrotto, era estremamente amato sia dai preti giovani che dalle persone povere del popolo delle baraccopoli.
 L’arcivescovo Bergoglio si permetteva di richiamare lo Stato a ascoltare la gente comune, perché lui lo stesso lo faceva per primo.


[1] Austen Ivereigh riporta nella sua biografia su Bergoglio, la positiva sorpresa che suscitò tra i partecipanti della messa di domenica19 marzo, la prima come Papa. «Il Cardinal Christoph Schonborn, di Vienna, era in lacrime durante l’omelia e sussurrò al Cardinal Timothy Dolan, di New York: “Tim, parla come Gesù”. “Chris, credo sia proprio il suo mestiere” rispose Dolan», in: a. Ivereigh, Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio, cit. p. 421.