Paolo Cugini
Possiamo comprendere il senso
della liturgia nella vita della comunità cristiana solamente ritornando alle
origini e, in modo speciale, guardando a Gesù, ai Vangeli. C’è un tratto che
colpisce nel modo di Gesù di relazionarsi con il mondo, con le persone: la sua
umanità. È questo aspetto dell’umanità di Gesù che dovrebbe modellare la
celebrazione liturgica.
C’è un cammino di umanizzazione
che la vita cristiana deve compiere. Gaudium et Spes ci ricorda che: “chiunque
segue Cristo, diventa anche lui più uomo” (GS 4). È nella qualità umana dei
singoli credenti e delle comunità cristiane che si manifesta la credibilità del
messaggio cristiano. È la qualità umana del vivere che fa la differenza.
L’umanesimo evangelico nella sua profonda complicità con l’umano autentico,
rappresenta il presente e soprattutto il futuro del cristianesimo. Ciò che c’è
da vedere di Dio lo abbiamo visto in Gesù. Qui sta ogni possibile discorso sul
senso umano della liturgia. La ricerca di una liturgia più umana non è
semplicemente richiamare la dimensione etica della liturgia, né l’ennesima
strategia pastorale, ma è di ordine teologico e, pertanto, essenziale se vuole
essere liturgia cristiana e non un mero rito religioso come tanti. La nostra
liturgia è cristiana se è conforme all’umanità di Gesù.
Se il mistero di Dio si è
rivelato attraverso l’umanità di Gesù, allo stesso modo la liturgia dev’essere
fedele al modo di questa rivelazione. Anche la celebrazione della rivelazione
di Dio deve avere la forma del Vangelo. Il modo di celebrare nella liturgia
dev’essere conforme al modo in cui Dio si è rivelato in Gesù, nella sua
umanità. La liturgia è rivelazione in atto. Proprio il documento conciliare
Sacrosantum Concilium ci ricorda che “Attraverso la liturgia si attua
l’opera della nostra redenzione” (SC 1). Sono queste idee che hanno guidato
la riforma del Concilio Vaticano II, per riportare la liturgia alla sua
origine, cioè al Vangelo. Gesù parlava la lingua del popolo, e non una lingua
sacra. Gesù ha parlato e si faceva capire. Ha celebrato la prima volta
l’eucarestia attorno ad una tavola. I primi discepoli nelle loro case
spezzavano il pane. Un’umanità quella di Gesù caratterizzata da una
convivialità costante. Gesù si sedeva a mensa con tutti. La cena è l’ultima di
tante cene con i suoi discepoli. La centralità dell’altare delle nostre chiese,
ricorda che la comunità cristiana è una comunità di tavola, perché Gesù l’ha
voluta così.
Il riferimento di Gesù
nell’ultima cena non è il contesto sacrificale, ma domestico, di comunità, una
liturgia guidata dal padre di famiglia, in un contesto informale vicino alla
vita. Gesù ha voluto per la sua comunità una tavola condivisa in un contesto
familiare. Le forme rituali non si devono allontanare dalla vita. Per questo
motivo non si comprendono gli atteggiamenti riverenziali e di distanza, tipici
di un contesto sacrificale, ma totalmente estranei al contesto famigliare ed
umano voluto da Gesù. Se togliamo dalla
liturgia ciò che c’è di autenticamente umano, togliamo allo stesso tempo ciò
che c’è di autenticamente divino. Nella liturgia dobbiamo trovare la grammatica
della vita. Ciò vale anche per la lingua della liturgia. Il Vaticano II ha dato
la possibilità di accedere alle lingue parlate. Gesù parlava in aramaico, la
lingua del suo tempo, grazie alla quale si faceva intendere. Gesù non ha
parlato una lingua sacra, ma ha utilizzato espressioni della vita della gente.
Gesù non viveva nelle sacrestie o nelle università e utilizzava il vocabolario
della vita quotidiana, molto più che quello religioso. “Le folle erano
stupite del suo insegnamento” (Mt 7,28). “Mai un uomo ha parlato così”
(Gv 7,46).
L’annuncio del Vangelo oggi si realizza
in larga parte sul crinale delle risposte credibili alla domanda: “credere
mi aiuta a vivere”? Il rapporto tra liturgia e vita si presenta in modo
nuovo rispetto all’epoca del Concilio. Oggi si declina chiedendo alla
celebrazione di essere un luogo vitale, di rigenerare la vita dei singoli
credenti. La liturgia come luogo che genera e rigenera il credente alla vita,
luogo sorgivo della vita della comunità, richiede una costante attenzione alla
riproduzione nel contesto liturgico, dei tratti dell’umanità di Gesù. Tutto ciò
che i vangeli riferiscono di Gesù con la sua gente è un’anticipazione del senso
della liturgia. La liturgia, dunque, dovrebbe essere una continuazione dei
vangeli in modo tale che, le persone che partecipano ai riti, si sentano
avvolte dall’umanità di Gesù e lo riconoscono presente in essi. Nei vangeli incontriamo
delle affermazioni che esprimono il desiderio della gente d’incontrare Gesù e
che sono delle vere e proprie espressioni liturgiche: “Signore, aiutami!”
(Mt 15,25); “Gesù abbi pietà di me!” (Mc 10,47); “Signore, il
mio servo è in casa che soffre” (Mt 8,6). Questa liturgia dei vangeli ci narra
di un uomo Gesù, che ascolta le richieste vitali del popolo, che cammina con
gli uomini e le donne del suo tempo, si lascia toccare, si ferma ad ascoltare,
accarezza, rie, piange: c’è tanta umanità nei suoi gesti. Per questo, d’ora
innanzi, dopo Gesù, il sacro non ha più bisogno di essere rivestito con i segni
della potenza per indurre timore e riverenza, ma va spogliato, perché il Padre
attraverso il Figlio ha deciso di mettere una tenda in mezzo a noi. È la
semplicità dei gesti umani che dicono della grandezza dell’amore di Gesù, che
incontriamo nella sua umanità. Gesù ha combattuto una battaglia è per la vita e
l’ha combattuta sino alla sua stessa morte. Di fronte alla vastità del
messaggio cristiano, all’iperattivismo della vita parrocchiale, alla complessità
dei nostri riti, della loro ridondanza barocca, impressiona la semplicità della
liturgia dei vangeli. Ritornare ai gesti semplici dell’umanità di Gesù è il
compito attuale della liturgia nella Chiesa, compito indicato proprio dal
Concilio Vaticano II.
Il teologo tedesco Christoph Theobald
diceva che: “vita e fede sono intimante legate”. Non si può trasmettere
la fede senza trasmettere la fede nella vita. La celebrazione dei sacramenti
della fede è luogo di contatto della vita di Cristo con la vita dell’uomo e
della donna oggi. Nei passaggi decisivi della vita unici e definitivi
dell’esistenza, là dove la vita è più vita, i sacramenti della Chiesa vi
proiettano la luce del Vangelo. Scopo dei sacramenti dovrebbe essere quello di significare
la vita con la luce del mistero pasquale, per sottrarli alla logica del caso e
del destino. Nei sacramenti si rivela tutta l’umanità della liturgia. La
pastorale dei sacramenti è l’odierna Galilea delle genti. Dentro alla domanda
di sacramenti c’è un senso profondo della vita che va riconosciuto e onorato,
c’è una forma germinale di quella fede naturale che ogni essere umano ha della
vita. È fede in Dio autore della vita.
Solo una liturgia umana sa
celebrare la vita umana, sul solco tracciato da Gesù. La sofferenza è il luogo
massimo dell’umanità. Il criterio della verità della liturgia è quella di farsi
carico delle sofferenze: abbandono, esclusione, solitudine. Compito di una
liturgia umana è quella di contribuire ad umanizzare. Comunione, carità,
accoglienza: la liturgia è risorsa di umanità. Come verso Gesù andavano tutti
coloro che si sentivano esclusi dalla società, così oggi alla liturgia della
comunità dovrebbero trovare accoglienza tutti coloro che nel mondo si sento
esclusi, emarginati, derisi, discriminati. È nel segno dei chiodi che è
visibile l’amore di colui che il Padre ha risuscitato. Allo stesso modo, è in
una comunità che mette al centro delle sue liturgie i poveri, i crocefissi
della storia, che il modo può riconoscere la luce del risorto. Nella preghiera
Eucaristica V leggiamo: “donaci occhi per vedere le necessità e le
sofferenze dei fratelli”. La celebrazione eucaristica è il luogo della
fraternità. L’Eucarestia è il più alto magistero di umanità. Non possiamo
ricevere in modo innocente il pane di vita, senza condividere il pane per la
vita con chi è nel bisogno. La nostra fede eucaristica ci chiama a vivere
un’etica eucaristica, che ci porta vivere un’umanità è più profonda nei
confronti dei bisognosi. È il Cristo che nella liturgia ci viene incontro con i
poveri, i migranti, gli esclusi. L’eucaristia è una protesta contro
l’ineguaglianza. L’eucarestia contiene un’utopia. Non è possibile essere umani
quando si celebra ed essere disumani quando si esce dalla Chiesa.