Paolo Cugini
Se
le guardiamo da vicino le Unità Pastorali son un modo positivo di attualizzazione
dell’ecclesiologia del Vaticano II. Il problema è che non funzionano: perché?
Non
basta cambiare il modello ecclesiologico, ma occorre mettere mano anche al
modello del ministero ordinato. Infatti, il tipo di presbitero che abbiamo oggi
in Occidente è calibrato sul modello pastorale di parrocchia, la quale funziona
con la presenza di un parroco. La nuova proposta pastorale avanzata con le
Unità Pastorali esige un tipo di presbitero totalmente diverso. La domanda a
questo punto potrebbe essere: che specificità dovrebbe avere il ministro
ordinato nell’impostazione dell’Unità Pastorale?
Le
Unità Pastorali sono un insieme di parrocchie e, di conseguenza, dovrebbero
avere una guida pastorale capace di accompagnare le singole comunità. Questo è
un primo importante aspetto del problema. Non si può pesare e pretendere, come
invece purtroppo sta avvenendo, di accompagnare la vita pastorale delle Unità
Pastorali come se fossero delle parrocchie: sarebbe la morte delle singole
comunità. Il calo progressivo e inarrestabile di preti, che ha portato alla formazione
delle Unità Pastorali, esige un ripensamento radicale del ministero
presbiterale. Il rischio che stiamo già vedendo ogni giorno è pretendere dal
prete che faccia tutto quello che avrebbe fatto, come se fosse il parroco di
una parrocchia, mentre nell’Unità Pastorale a volte le parrocchie sono più di cinque.
La conseguenza che è sotto gli occhi di tutti è il malessere dei nostri
presbiteri, che devono correre come dei pazzi per chiudere tutti i buchi e,
allo stesso tempo, il malessere dei parrocchiani che si sentono abbandonati perché,
come dicono: “il prete non c’è mai”. Cambiare il modello pastorale senza
cambiare il modello di presbitero sta producendo un’insoddisfazione
generalizzata, che sta conducendo anche molti adulti ad abbandonare le
parrocchie, anche perché, in quei baracconi senza identità che sono le attuali
Unità Pastorali, non ci si riesce proprio ad identificare.
Ci
vorrebbe un tipo di parroco totalmente diverso da quello attuale. In primo luogo, bisognerebbe capire che è
necessario accompagnare le singole comunità: questo è il punto di partenza. Se
c’è una nuova identità pastorale identificata nell’Unità Pastorale, questa non
può eliminare il cammino di parrocchie che, nella nostra realtà, hanno alle
spalle secoli di storia. Occorre, allora un parroco capace di condurre più
comunità nella comunione e nell’unità rispettando, però, le diversità dei
cammini. Ciò sarà possibile solamente individuando collaboratori all’interno di
ogni comunità, con la responsabilità riconosciuta di essere guide della
comunità in collaborazione con il parroco.
Porre
dei laici e laiche come guida di comunità è fondamentale per il buon esito del
cammino dell’Unità Pastorale, ma non basta. Occorre, infatti, un duplice lavoro
di formazione, In primo luogo occorre che il parroco dell’UP si metta in cammino
con i responsabili di comunità indicati. Non basta indicare qualcuno e investirlo,
investirla in un ruolo di guida: occorre aiutare ad assumere questo ruolo nel
cammino quotidiano delle comunità. Il rischio è sempre il fantomatico clericalismo,
che può infettare anche laici e laiche che, dopo essere stati investiti si un
ruolo, si sentono i padroni delle comunità. Il secondo lavoro formativo è con i
laici e le laiche delle comunità. Abituati da secoli ad avere come punto di
riferimento un prete, occorrerà aiutarli ad entrare in questa nuova modalità
pastorale.
Il
problema, a questo punto è capire come formare i presbiteri al nuovo contesto pastorale?
In primo luogo, dovrebbero capirlo i vescovi. Che cosa sta, infatti avvenendo,
in questo nuovo contesto religioso? Siccome stanno scarseggiando i preti e non si
riescono più a celebrare le messe domenicali come un tempo, si importano preti
là dove le vocazioni sono in aumento, come l’Africa e l’India. Si fa questo perché
si ha paura a cambiare modello, anzi, non ci si pensa proprio.
Ci
sono diocesi, come quella di Reggio Emilia e Guastalla, che hanno investito
pesantemente nelle missioni, inviando non solo laici, laiche, suore e
religiosi, ma anche molti presbiteri. Solo in Brasile sono stati inviati più di
trenta preti. Perché sottolineo questo aspetto missionario? Perché i presbiteri
che hanno vissuto anni in Brasile sono stati abituati ad amministrare
parrocchie con un grande numero di comunità. Non si apprende ad accompagnare
tante comunità leggendo dei libri di ecclesiologia o di pastorale teologica, ma
facendo pratica sul posto. I missionari fidei donum che sono stati in
Brasile hanno appreso sul campo a valorizzare i laici e le laiche, a lavorare sulla
loro formazione, a creare comunione tra le decine do comunità di una parrocchia
valorizzando ogni singola comunità. Il vescovo della Diocesi di Ruy Barbosa,
che ho servito per 15 anni, realizzava il sacramento della cresima in ogni singola
comunità: non ha mai fatto l’ammucchiata, perché voleva dare valore al cammino
di ogni singola comunità.
Siamo in una fase delicata del nostro cammino ecclesiale e nessuno ha la formula esatta in tasca. Il rischio è fare delle scelte con l’unico obiettivo si conservare ciò che si ha, senza avere il coraggio di cambiare rotta. Credo che l’attuale situazione ecclesiale offra chiare indicazioni della necessità di cambiare impostazione, di ascoltare i segni dei tempi e riconoscerli, uscire dalla mentalità che identifica la comunità con il presbitero per valorizzare i laici e le laiche in un nuovo cammino di comunione con i presbiteri. In questo nuovo cammino proviamo a metterci n ascolto dei missionari che hanno già sperimento questa nuova modalità pastorale. Ascoltare non significa riprodurre alla pari un’esperienza che appartiene ad un altro continente, ma semplicemente farsi consigliare, confrontarsi e capire, così, che nella ricerca di nuovi percorsi non siamo soli, perché lo Spirito Santo ha già preparato il terreno. Non chiudiamoci alla voce dello Spirito.
Unitá Pastorali. Cambiare modo di fare Pastorale ccon Spirito Missionario, uscendo dalle Sacrestie eed entrando nelle case che accolgono e dialogare incontrare le persone. Il Pastore deve sentire sentire la puzza delle pecore.
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