sabato 3 gennaio 2015

GIOVANI FUORI DAL RECINTO





GIOVANI FUORI DAL RECINTO: CONSIDERAZIONI

 Paolo Cugini
Sono rimasto positivamente colpito dalla lettura del libro di Alessandro Castegnaro: Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso. Per questo ho deciso di buttare giù alcune considerazioni personali sul problema esposto dall’autore, vale adire la grande fuoriuscita dei giovani dalla chiesa e la conseguente difficoltà di pensare percorsi per incontrarli. Sembra quasi la storia del gatto che si morde la coda. Da una parte la Chiesa mette in atto tutto un imponente apparato di forze per permettere ai bambini di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Dall’altro, quando il percorso è terminato, la stragrande maggioranza di coloro che hanno ricevuto il suddetto insegnamento non mettono più piede nella Chiesa. Del resto lo sapevamo già che l’iniziazione cristiana è divenuta anno dopo anno in tutt’Italia, il “sacramento del ciao” e la ricerca di Castegnaro non ha fatto altro che confermare questo dato. Dopo tanti decenni non si è ancora preso sul serio il dato e allora spetta alla pastorale quotidiana fare i salti mortali per cercare di rimediare alla strage. Qui, però, ci s’imbatte sulla difficoltà di pensare diversamente il problema dell’evangelizzazione dei giovani. Ci sono centinaia di documenti, di libri, di ricerche che parlano della distanza sempre crescente dei giovani dalla Chiesa, ma non si riesce a trovare una sola frase che indichi il cammino da compiere. Chi è abituato a fare catechesi dentro di un perimetro determinato, fa fatica, o non ci riesce proprio, a pensare un percorso di evangelizzazione fuori dal recinto, tanto per usare l’espressione del libro in questione. Anzi, più che far fatica, non ci si pensa proprio. Infatti, anche i tentativi che vengono messi in atto sono sempre in due direzioni: o per coloro che sono rimasti nel recinto, o per attrarre qualcuno dentro il recinto. Se si leggono con attenzione le proposte che escono dagli uffici di Pastorale Giovanile ci si accorge che tutto lo sforzo, tutta la creatività viene messa in atto per coloro che ruotano attorno al perimetro della parrocchia, dell’oratoria, della chiesa.

C’è una riflessione importante che Castegnaro propone nelle pagine del suo libro. Egli sostiene che quegli adolescenti che sono usciti dal recinto e, cioè, che dopo la Cresima hanno abbandonato la Chiesa, non significa che non credano più in Dio e nemmeno che non siano più interessati alla dimensione spirituale dell’esistenza. Se intendiamo per spiritualità le risposte ai grandi problemi dell’esistenza, allora possiamo sostenere che le religioni non hanno l’esclusiva della spiritualità, ma offrono una proposta specifica. Gli adolescenti che terminato il percorso di catechesi nelle parrocchie decidono di abbandonare la chiesa, non significa che hanno deciso di smettere di cercare risposte ai grandi problemi della vita. Quello che invece è chiaro è che ha deciso che quel tipo di proposta, e cioè la proposta delle parrocchie, non interessa più. Se la stragrande maggioranza degli adolescenti prende questa drastica decisione significa che c’è qualcosa che non va nel modo che la Chiesa ha messo in atto per presentare la propria proposta, che è la proposta di Gesù. La paura di toccare un sistema che, tutto, sommato, dà ancora dei numeri, che permette alle chiese di riempirsi di bambini soprattutto nel periodo della catechesi e, di conseguenza, di attrarre le giovani famiglie coinvolte nel percorso, non ha permesso alle autorità ecclesiastiche di pensare a modificare il modello. Spetta, allora alla base, agli educatori, spesso giovani ragazzi e ragazze, fare i salti mortali per inventare strategie educative, per attrarre i giovani nel recinto. Si tratta, comunque, sempre del solito principio educativo, e cioè attrarre, chiamare. Anche perché per pensare diversamente la pastorale occorre una conversione radicale di pensiero. Che percorso compiere per annunciare il Vangelo a coloro che sono fuori dal recinto, fuori dai perimetri dei territori ecclesiastici, la maggior parte dei quali li ha già frequentati per anni?

A mio avviso vale l’indicazione suggerita dal libro di Castegnaro: apprendere a guardare positivamente i giovani che sono fuori dal recinto, e cioè apprendere a guardarli non come giovani negativi, che non ne voglio sapere di Dio, ma come giovani con un loro cammino spirituale, con una loro spiritualità. Uscire dalla chiesa non significa disprezzare Dio: è questo uno dei messaggi più positivi del libro di Castegnaro. Sul piano pratico ciò significa che il problema più urgente sul piano pastorale non è metodologico, ma di relazione. Che percorsi compiere per riallacciare un dialogo interrotto? In che modo porsi con i giovani che fino a pochi giorni fa giravano nei nostri cortili e adesso non ci sono più? Senza dubbio le questioni di metodo valgono per quei ragazzi che continuano a frequentare il gruppo giovani anche dopo la Cresima e necessitano un modo di parlare di Dio differente. Il problema è: come dialogare con tutto un mondo giovanile, che sta cercando Dio in un modo diverso da quello che avviene nel perimetro ecclesiale?
Per chi si pone queste domande e, purtroppo non sono tanti, diviene sempre più chiara la necessità di una onestà spirituale di fondo. Non si possono pensare percorsi formativi con i giovani fuori dal recinto con l’obiettivo di portarli dentro. Sarebbe tempo perso, anche perché questi ragazzi ci sono già stati. Una parrocchia, una pastorale giovanile parrocchiale o diocesana che decide di aprire un dialogo con i giovani fuori dal recinto deve pensare percorsi che portino i formatori ad abitare gli stessi spazi, gli stessi territori dei giovani che s’intende incontrare. Questo è un primo fondamentale passo. Si tratta di verificare una disponibilità dei formatori a muoversi in un campo neutro, che non è il solito recinto, in un campo che non possediamo, che non è il nostro e senza l’obiettivo nascosto di attrarli nel recinto. Se fosse così il progetto durerebbe poco. I giovani, infatti, si accorgono dell’autenticità delle persone che li circondano e impiegherebbero poco tempo per smascherare i tentativi di proselitismo pastorale.

Entrare in dialogo con i giovani sui loro territori esistenziali, significa anche che bisogna apprendere a farsi consegnare i contenuti sui quali s’intende confrontarsi. Non si può, infatti, pretendere di andare al parco, solo per fare un esempio, e parlare ai ragazzi e ragazze che s’incontrano tirando fuori il testo di catechismo! Ci vuole molta creatività, molto lavoro d’insieme per elaborare percorsi nuovi, mai battuti prima, per valorizzare la spiritualità dei giovani che incontriamo fuori dal recinto. Un passo fondamentale è proprio questo: considerare una ricchezza e nient’affatto inferiore, il percorso spirituale di coloro che cercano le risposte ai propri dilemmi fuori dai perimetri ecclesiali. Camminare assieme, fianco a fianco, confrontandosi sui temi della vita senza la presunzione di possedere la verità in tasca, anche perché, come c’insegna Gesù, la verità è sempre in cammino.


Quando questo cammino sarà in atto allora ci si accorgerà di come lo Spirito Santo ci precede e che l’uscire dal recinto diviene una ricchezza non solo per coloro che intenderanno compiere il cammino, ma anche per coloro che vi rimangono. 

1 commento:

  1. Sono d'accordo su molti punti di questa riflessione. Come parroco di provincia vivo tutti i giorni questa fatica (acutizzata dal periodo particolare che stiamo vivendo). Temo però che il discorso si fermi sempre sul dilemma se attrarre i giovani nel recinto o se uscire dal recinto. Questo negli anni ha portato spesso esperienze pastorali che, personalmente mi hanno sempre convinto poco, quali ad esempio: l'evangelizzazione nelle spiagge o le uscite in discoteca a parlare di Cristo. Contesti che credo non siano adatti alla pastorale. Non è che forse si potrebbe cercare una terza via? Forse potremmo cominciare a lavorare perché le nostre parrocchie, i nostri oratori e i luoghi di ritrovo delle nostre azioni pastorale comincino a diventare un po' più adatti a chi vuol vivere fuori dal "recinto". io credo che se smettessimo di essere così clericali e "fondamentalisti" nelle nostre scelte e nell'impostazione pastorale, potremmo diventare l'occasione per donare luoghi di condivisione della diversità (non alternativi ai luoghi che i giovani frequentano normalmente) e segni di un Vangelo vivo. Dovesse accadere questo, probabilmente, i giovani che vivono momenti in parrocchia o in oratorio significativi, potrebbero portarli con loro nei luoghi che frequentano. Claudio

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