GIOVANI FUORI DAL RECINTO: CONSIDERAZIONI
Paolo Cugini
Sono
rimasto positivamente colpito dalla lettura del libro di Alessandro Castegnaro:
Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa:
uno sguardo diverso. Per questo ho deciso di buttare giù alcune considerazioni
personali sul problema esposto dall’autore, vale adire la grande fuoriuscita
dei giovani dalla chiesa e la conseguente difficoltà di pensare percorsi per
incontrarli. Sembra quasi la storia del gatto che si morde la coda. Da una
parte la Chiesa mette in atto tutto un imponente apparato di forze per
permettere ai bambini di ricevere i sacramenti dell’iniziazione cristiana.
Dall’altro, quando il percorso è terminato, la stragrande maggioranza di coloro
che hanno ricevuto il suddetto insegnamento non mettono più piede nella Chiesa.
Del resto lo sapevamo già che l’iniziazione cristiana è divenuta anno dopo anno
in tutt’Italia, il “sacramento del ciao”
e la ricerca di Castegnaro non ha fatto altro che confermare questo dato. Dopo
tanti decenni non si è ancora preso sul serio il dato e allora spetta alla
pastorale quotidiana fare i salti mortali per cercare di rimediare alla strage.
Qui, però, ci s’imbatte sulla difficoltà di pensare diversamente il problema
dell’evangelizzazione dei giovani. Ci sono centinaia di documenti, di libri, di
ricerche che parlano della distanza sempre crescente dei giovani dalla Chiesa,
ma non si riesce a trovare una sola frase che indichi il cammino da compiere.
Chi è abituato a fare catechesi dentro di un perimetro determinato, fa fatica,
o non ci riesce proprio, a pensare un percorso di evangelizzazione fuori dal
recinto, tanto per usare l’espressione del libro in questione. Anzi, più che
far fatica, non ci si pensa proprio. Infatti, anche i tentativi che vengono
messi in atto sono sempre in due direzioni: o per coloro che sono rimasti nel
recinto, o per attrarre qualcuno dentro il recinto. Se si leggono con
attenzione le proposte che escono dagli uffici di Pastorale Giovanile ci si
accorge che tutto lo sforzo, tutta la creatività viene messa in atto per coloro
che ruotano attorno al perimetro della parrocchia, dell’oratoria, della chiesa.
C’è
una riflessione importante che Castegnaro propone nelle pagine del suo libro.
Egli sostiene che quegli adolescenti che sono usciti dal recinto e, cioè, che
dopo la Cresima hanno abbandonato la Chiesa, non significa che non credano più
in Dio e nemmeno che non siano più interessati alla dimensione spirituale
dell’esistenza. Se intendiamo per spiritualità le risposte ai grandi problemi
dell’esistenza, allora possiamo sostenere che le religioni non hanno
l’esclusiva della spiritualità, ma offrono una proposta specifica. Gli
adolescenti che terminato il percorso di catechesi nelle parrocchie decidono di
abbandonare la chiesa, non significa che hanno deciso di smettere di cercare
risposte ai grandi problemi della vita. Quello che invece è chiaro è che ha
deciso che quel tipo di proposta, e cioè la proposta delle parrocchie, non
interessa più. Se la stragrande maggioranza degli adolescenti prende questa
drastica decisione significa che c’è qualcosa che non va nel modo che la Chiesa
ha messo in atto per presentare la propria proposta, che è la proposta di Gesù.
La paura di toccare un sistema che, tutto, sommato, dà ancora dei numeri, che
permette alle chiese di riempirsi di bambini soprattutto nel periodo della
catechesi e, di conseguenza, di attrarre le giovani famiglie coinvolte nel
percorso, non ha permesso alle autorità ecclesiastiche di pensare a modificare
il modello. Spetta, allora alla base, agli educatori, spesso giovani ragazzi e
ragazze, fare i salti mortali per inventare strategie educative, per attrarre i
giovani nel recinto. Si tratta, comunque, sempre del solito principio
educativo, e cioè attrarre, chiamare. Anche perché per pensare diversamente la
pastorale occorre una conversione radicale di pensiero. Che percorso compiere
per annunciare il Vangelo a coloro che sono fuori dal recinto, fuori dai
perimetri dei territori ecclesiastici, la maggior parte dei quali li ha già
frequentati per anni?
A mio
avviso vale l’indicazione suggerita dal libro di Castegnaro: apprendere a
guardare positivamente i giovani che sono fuori dal recinto, e cioè apprendere
a guardarli non come giovani negativi, che non ne voglio sapere di Dio, ma come
giovani con un loro cammino spirituale, con una loro spiritualità. Uscire dalla
chiesa non significa disprezzare Dio: è questo uno dei messaggi più positivi
del libro di Castegnaro. Sul piano pratico ciò significa che il problema più
urgente sul piano pastorale non è metodologico, ma di relazione. Che percorsi
compiere per riallacciare un dialogo interrotto? In che modo porsi con i giovani
che fino a pochi giorni fa giravano nei nostri cortili e adesso non ci sono
più? Senza dubbio le questioni di metodo valgono per quei ragazzi che
continuano a frequentare il gruppo giovani anche dopo la Cresima e necessitano
un modo di parlare di Dio differente. Il problema è: come dialogare con tutto
un mondo giovanile, che sta cercando Dio in un modo diverso da quello che
avviene nel perimetro ecclesiale?
Per
chi si pone queste domande e, purtroppo non sono tanti, diviene sempre più
chiara la necessità di una onestà spirituale di fondo. Non si possono pensare
percorsi formativi con i giovani fuori dal recinto con l’obiettivo di portarli
dentro. Sarebbe tempo perso, anche perché questi ragazzi ci sono già stati. Una
parrocchia, una pastorale giovanile parrocchiale o diocesana che decide di
aprire un dialogo con i giovani fuori dal recinto deve pensare percorsi che
portino i formatori ad abitare gli stessi spazi, gli stessi territori dei
giovani che s’intende incontrare. Questo è un primo fondamentale passo. Si
tratta di verificare una disponibilità dei formatori a muoversi in un campo
neutro, che non è il solito recinto, in un campo che non possediamo, che non è
il nostro e senza l’obiettivo nascosto di attrarli nel recinto. Se fosse così
il progetto durerebbe poco. I giovani, infatti, si accorgono dell’autenticità
delle persone che li circondano e impiegherebbero poco tempo per smascherare i
tentativi di proselitismo pastorale.
Entrare
in dialogo con i giovani sui loro territori esistenziali, significa anche che
bisogna apprendere a farsi consegnare i contenuti sui quali s’intende
confrontarsi. Non si può, infatti, pretendere di andare al parco, solo per fare
un esempio, e parlare ai ragazzi e ragazze che s’incontrano tirando fuori il
testo di catechismo! Ci vuole molta creatività, molto lavoro d’insieme per
elaborare percorsi nuovi, mai battuti prima, per valorizzare la spiritualità
dei giovani che incontriamo fuori dal recinto. Un passo fondamentale è proprio
questo: considerare una ricchezza e nient’affatto inferiore, il percorso
spirituale di coloro che cercano le risposte ai propri dilemmi fuori dai
perimetri ecclesiali. Camminare assieme, fianco a fianco, confrontandosi sui
temi della vita senza la presunzione di possedere la verità in tasca, anche perché,
come c’insegna Gesù, la verità è sempre in cammino.
Quando
questo cammino sarà in atto allora ci si accorgerà di come lo Spirito Santo ci
precede e che l’uscire dal recinto diviene una ricchezza non solo per coloro
che intenderanno compiere il cammino, ma anche per coloro che vi rimangono.
Sono d'accordo su molti punti di questa riflessione. Come parroco di provincia vivo tutti i giorni questa fatica (acutizzata dal periodo particolare che stiamo vivendo). Temo però che il discorso si fermi sempre sul dilemma se attrarre i giovani nel recinto o se uscire dal recinto. Questo negli anni ha portato spesso esperienze pastorali che, personalmente mi hanno sempre convinto poco, quali ad esempio: l'evangelizzazione nelle spiagge o le uscite in discoteca a parlare di Cristo. Contesti che credo non siano adatti alla pastorale. Non è che forse si potrebbe cercare una terza via? Forse potremmo cominciare a lavorare perché le nostre parrocchie, i nostri oratori e i luoghi di ritrovo delle nostre azioni pastorale comincino a diventare un po' più adatti a chi vuol vivere fuori dal "recinto". io credo che se smettessimo di essere così clericali e "fondamentalisti" nelle nostre scelte e nell'impostazione pastorale, potremmo diventare l'occasione per donare luoghi di condivisione della diversità (non alternativi ai luoghi che i giovani frequentano normalmente) e segni di un Vangelo vivo. Dovesse accadere questo, probabilmente, i giovani che vivono momenti in parrocchia o in oratorio significativi, potrebbero portarli con loro nei luoghi che frequentano. Claudio
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