La
contaminazione culturale come apertura e ricchezza
C’è
davvero un senso di ebrezza, una vertigine sottile, ogni volta che ci si
avvicina a mondi nuovi, a culture diverse, e si lascia che queste ci
contaminino. Questo è un aspetto davvero importante da sottolineare: la
necessità esistenziale, vitale di uscire dai propri mondi, per scoprirne altri,
Forse è questo il problema maggiore: alzarsi e mettersi in cammino. Alzarsi ed
aprire la porta e decidere di non tornare alla sera, ma di prendere un treno,
un aeroplano e viaggiare. La metafora del viaggio è molto potente perché rivela
una parte importante di noi: il desiderio del nuovo, di conoscere altro, di tuffarsi
nel mondo dell’altro e lasciarsi contaminare, permette al mondo altro, cioè, di
toccarci, di prenderci per mano e condurci in una nuova realtà che ci può
cambiare per sempre.
La contaminazione, in questo senso, non è una
perdita di identità, bensì una feconda apertura. Questo ci dice anche del senso
autentico di ciò che intendiamo con il termine identità, che prima di essere un
dato fisso, è una conquista che sta sempre dinanzi a noi. Siamo il nostro cammino.
Quando una cultura, una lingua, una tradizione diversa penetra nel nostro
mondo, qualcosa di profondo si muove. Nella scoperta dell’altro, come
suggerisce Italo Calvino nelle sue Città invisibili, ci troviamo di
fronte all’alterità che ci invita a immaginare altre possibili esistenze.
Calvino ci fa capire che il viaggio, reale o metaforico, è sempre incontro e
contaminazione; ogni città visitata è una nuova parte di sé che si aggiunge al
mosaico della propria identità. L’incontro dell’altro può voler dire abbandono,
perché la contaminazione ci fa scoprire qualcosa di nuovo, ma a volte anche
qualcosa di meglio.
La
contaminazione culturale, invece di essere temuta, può diventare il motore di
crescita personale e collettiva. Edward Said, nel suo saggio Orientalismo,
parla del pericolo dell’immobilismo culturale e della necessità di lasciarsi
permeare dall’altro per andare oltre le proprie barriere. Per Said, la
conoscenza dell’altro è sempre una forma di apertura, un modo per superare
pregiudizi e resistenze, un invito a ripensarsi. La contaminazione è uno spazio
nuovo, perché è come un fiume che trasporta lingue, storie, sapori, sensazioni
da una riva all’altra, mostrando che la ricchezza nasce proprio dal mescolarsi,
dal lasciarsi attraversare dagli influssi più diversi. In questa prospettiva,
la contaminazione diventa la chiave per aprire porte e finestre sul nuovo. La
contaminazione è un viaggio interiore
attraverso mondi che si sovrappongono e si intrecciano, mostrando come la vera
meraviglia sia sempre nell’incontro tra universi diversi.
C’è
dunque qualcosa di profondamente gioioso e vitale nell’entrare in contatto con
culture altre, nel lasciarsi contaminare senza paura. È una sensazione che
ricorda il primo assaggio di un frutto esotico, la prima parola pronunciata in
una lingua straniera, la prima sera trascorsa in una città che non si
conosceva: momenti in cui la nostra identità si espande, si arricchisce, si
rinnova. Contaminarsi significa aprirsi, scoprire, accogliere. Significa
abbandonare le certezze per abbracciare la complessità. E così, ogni volta che
mondi diversi si incontrano, nasce quell’ebbrezza creativa che è il segno più
vivo dell’esistenza. Nel lasciarci toccare dall’altro, diventiamo noi stessi
più aperti, più profondi, più umani. La contaminazione dice di un cammino di
umanizzazione: basta solo muoversi.
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