Nuove sfide della pastorale nelle parrocchie
Paolo Cugini
Abbiamo
sempre lavorato in casa, nei nostri spazi parrocchiali per i quali abbiamo
fatto notevoli investimenti. Per chi ha un po' di memoria ecclesiale, non è
stato papa Francesco ad invitarci ad uscire e a parlare della Chiesa in uscita.
Senza dubbio le sue parole hanno scosso le comunità, provocandole ad un esame
di coscienza, ad interrogarsi sull’identità missionaria della Chiesa. Comunque,
già il Convegno di Palermo del 1995 invitava a portare il Vangelo ai giovani là
dove si trovavano, a portare l’oratorio nelle piazze, nei bar, nelle palestre.
Oggi gli operatori pastorali sono in grande difficoltà, perché si trovano con
le case vuote e con la difficoltà ad uscire. Una cosa, infatti, è giocare in
casa: tutt’altra cosa è andare in trasferta. In casa siamo noi che abbiamo il
pallino in mano e decidiamo le regole. Fuori casa le regole le detta chi vive
la piazza, la panchina, il bar. In casa siamo i padroni, fuori casa siamo
ospiti. Il lavoro pastorale in uscita, nei luoghi esistenziali esterni al
perimetro ecclesiale, esige un cambiamento di paradigma che si declina in
alcune scelte nuove. Il primo e fondamentale consiste nel frequentare i luoghi
esistenziali di un territorio. Se gli oratori sono vuoti e le stanze della
canonica disabitate, occorre mettersi in cammino, uscire, frequentare questi
spazi altri. Chi lo deve fare? È una decisone che dovrebbe prendere il
consiglio pastorale. Non è solo il prete che deve uscire, ma la comunità.
Non basta, comunque, uscire: occorre creare
relazioni, creare sintonie e empatie per giungere a farsi consegnare i
contenuti. Questa scelta rivela la fiducia che ci sono cose buone che non
gestiamo direttamente noi, ma che esistono al di fuori di noi e del nostro
controllo. Lo Spirito Santo, infatti, agisce senza bisogno di chiederci il
permesso e fa delle cose belle. Un primo aspetto della Chiesa in uscita è la
scoperta dell’azione dello Spirito Santo fuori dagli stretti recinti della
Chiesa. È quel tipo di azione che il Concilio Vaticano II indicava come frutti
delle sementi del Verbo, sparso dal Padre in ogni dove e in ogni tempo. Questi
contenuti altri, che troviamo nelle persone incontrate sulla strada sono cose
nuove per noi, sulle quali vale la pena soffermarsi. Per questo cammino di condivisione
di contenuti altri, l’atteggiamento necessario è l’ascolto attento, il fare
spazio, affinché il nuovo possa trovare l’ambiente adatto a manifestarsi. È
proprio di questa che in definitiva si tratta: una manifestazione, una
rivelazione. Sulle strade del mondo., che solitamente non frequentiamo,
incontriamo qualcosa di nuovo, di mai ascoltato, di mai incontrato. Questo
motiva la nostra azione, il nostro uscire, lo sforzo di scrollarsi di dosso
l’abitudine, l’aver sempre agito allo stesso modo. Questo, a mio avviso, è uno
degli aspetti più interessanti che il nuovo contesto scristianizzato e
post-cristiano ci offre: ci obbliga ad uscire, ad osare strade nuove, che
esigono modalità nuove e, per questo spirito di adattamento.
Chi esce dal tempio per mettersi in cammino sulle strade del mondo si rende conto che la propria casa necessita di essere riordinata. Soprattutto, si rende conto che, nel ritorno, dovrà immediatamente aprire le finestre per togliere l’aria viziata, ammuffita, aria di cose vecchie. L’incontro con ciò che prima non entrava nei nostri orizzonti ci permette di vedere la nostra realtà con occhi nuovi e ci fa comprendere la necessità di rinnovarci, di sistemare ciò che con il tempo si è arrugginito e anche il coraggio di buttare ciò che non serve più. Vengono in mente le parole del profeta Isaia: Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43, 19).
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