venerdì 5 agosto 2016

LA LEZIONE DI FRANCESCO AI GIOVANI DELLA GMG 2016





Riflessioni dalla GMG di Cracovia 2016
Paolo Cugini
Sono ancora vive nelle menti dei giovani, che hanno partecipato alla Giornata Mondiale della Gioventù svoltasi a Cracovia dal 25 al 31 luglio 2016, le tante situazioni forti vissute sia nella settimana di gemellaggio, che nelle giornate specifiche della GMG. Vedere così tanti giovani provenienti da tanti paesi e continenti per trascorrere alcuni giorni per pregare assieme al Papa, fa senza dubbio riflettere. La presenza di così tanti giovani dice di un tessuto ecclesiale vivo, che riesce ancora ad accompagnare i giovani in un cammino spirituale, fatto di esperienze comunitarie, di momenti forti, di approfondimenti su temi significativi dell’esistenza. La maggior parte dei giovani presenti alla GMG provenivano da un lungo cammino di preparazione durato mesi. Questo aspetto va sottolineato per togliere terreno a discorsi ambigui, alle facili battute sui papa boys, e altro. I giovani che erano presenti alla GMG sapevano che non si trattava di una scampagnata e che avrebbero dovuto affrontare tante difficoltà: dalle code ai bagni, alle file per il cibo, al dormire per terra e altro. Sapevano inoltre molto bene di che cosa avrebbe parlato il Papa. Tutte le diocesi attraverso gli uffici di pastorale giovanile, si sono organizzate già dallo scorso anno per fornire sussidi e percorsi specifici per arrivare alla GMG sul pezzo, per così dire. Che cosa, allora, i giovani hanno ascoltato da Papa Francesco? Qual è stato il fulcro del suo insegnamento durante le giornate di Cracovia?

Innanzi tutto, ha colpito la continua provocazione che Papa Francesco ha rivolto ai giovani. Nei primi interventi il Papa si è diretto ai giovani con delle domande che esigevano delle risposte. Ha cercato il dialogo, ha messo alla prova la reattività dei giovani presenti, la loro disponibilità ad un cammino di fede attivo e non passivo.  “Io vi domando, voi rispondete: le cose si possono cambiare?... Siete capaci di sognare? Volete voi una vita piena?”. Le domande provocatorie che Francesco ha rivolto ai giovani erano in linea con uno dei temi centrali ei suoi interventi, vale a dire l’invito costante di uscire dai binari della vita comoda. Per approfondire il tema papa Francesco ha fatto riferimento ad una serie d’immagini prese dalla vita quotidiana. Il Papa prende di mira i giovani che gettano la spugna, che conducono una vita da pensionati, sdraiati sul divano, giovani dalla faccia triste perché si sono sdraiati sul divano della vita permettendo così che gli eventi decidano per loro. Vite di giovani paralizzati che “confondono la felicità con il divano: sì, credete che per essere felici abbiamo bisogno di un buon divano, un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli, ben sicuri… Un divano che ci faccia stare chiusi in casa, senza affaticarci, né preoccuparci”. Francesco parla di giovani imbambolati, intontiti che vanno in pensione a vent’anni. In realtà, Francesco pende di mira il modello sociale ed economico che produce questo stile di vita, che annienta le giovani generazioni, le addormenta, le anestetizza. Le sue parole sono così, in linea con le analisi che troviamo sia nell’Evangeli Gaudium, che nella Laudato Sii, che pongono l’accento su quella economia che uccide non solo perché crea masse di poveri, ma anche perché immerge nell’opulenza e nell’inerzia le nuove generazioni. La vita tranquilla, sdraiata sul divano, è la negazione del Vangelo, che invece esige prontezza e disponibilità alla risposta. Per questo Francesco consiglia di vendere il divano e di comprarsi un paio di scarpe per camminare nelle strade della vita e realizzare, così, il Regno di Dio.

Uno degli aspetti di questo Regno che Gesù è venuto ad inaugurare è senza dubbio la misericordia, che è anche il tema centrale della GMG. Non a caso papa Francesco nella cerimonia di accoglienza dei giovani avvenuta al Parco Jordan a Blonia, nei pressi di Cracovia ha sin da subito mostrato come il tema della misericordia sia in contraddizione con la pigrizia e la vita tranquilla che la società capitalista propone. “Un cuore misericordioso ha il coraggio di lasciare la comodità; un cuore misericordioso sa andare incontro agli altri, riesce ad abbracciare tutti... Un cuore misericordioso sa condividere il pane con chi ha fame”.  È impossibile divenire costruttori di ponti se si rimane sdraiati nel divano, se si accetta di rimanere avvolti nelle comodità della vita. Papa Francesco chiama i giovani alle loro responsabilità, facendo perno su ciò che è caratteristica della giovinezza, vale a dire la prontezza nella risposta, la creatività, la presa di posizione. E allora, sono proprio i giovani coloro che sono chiamati oggi a costruire ponti e abbattere i muri dell’odio, che politiche negligenti stanno costruendo nel nostro mondo, avvolto dalla paura dell’altro che genera odio e diffidenza. “Le 14 opere di misericordia – ha ricordato Francesco durante la via Crucis di venerdì 29 luglio – ci aiutino ad aprirci alla misericordia di Dio, a chiedere la grazia di capire che, senza la misericordia la persona non può fare niente, senza la misericordia io, tu, noi tutti non possiamo fare niente”. Lo stesso concetto il Papa l’ha ribadito il giorno dopo, nella veglia di preghiera al Campus Misericordiae di Cracovia, quando invitava i giovani a rispondere all’odio del mondo con l’amore, a non contrapporre violenza a violenza, ma a rispondere a questo mondo in guerra con la fratellanza, la comunione, la misericordia.

C’è stato anche lo spazio per un annuncio esplicito, per invitare i giovani a riflettere sulla figura di Gesù Cristo. Anzi, nelle parole del primo discorso ufficiale del Papa ai giovani riuniti a Cracovia c’è stato il richiamo alla presa di coscienza che la presenza di tutti era dovuta all’invito di Gesù, che è vivo in mezzo a noi. “Gesù Cristo è colui che sa dare vera passione alla vita, Gesù Cristo è colui ci porta a non accontentarci di poco e ci porta a dare il meglio di noi stessi; è Gesù Cristo che c’interpella, ci invita e ci aiuta ad alzarci ogni volta che ci diamo per vinti”. Gesù, quindi, non come figura del passato, ma come presenza viva nelle persone che accolgono il suo Spirito e che accettano di collaborare alla costruzione del suo Regno di misericordia. Per questo, per Francesco, dire Gesù significa indicare uno stile di vita, che è la via della croce che sfocia nella luce della risurrezione. È proprio questo cammino che apre orizzonti nuovi, che offrono speranza al mondo chiuso nel proprio egoismo e nelle proprie paure. “E io vorrei che voi foste seminatori di speranza”.


Rileggendo con attenzione i discorsi che Papa Francesco ha pronunciato nelle giornate di Cracovia si percepisce la ricchezza del suo messaggio, la carica di speranza che trasmette ma, soprattutto, la grande fiducia che manifesta avere nei giovani. Rimane, allora, alle diocesi e alle comunità parrocchiali il compito di dare continuità ad un messaggio così profondo ma, allo stesso tempo, così esigente ed autentico. 

martedì 2 agosto 2016

LA GMG NON FINISCE QUI







Pubblico l'articolo di un nostro carissimo amico sull'espereinza della Giornata Mondiale della Gioventù appena terminata. 
Luca Bigi

Durante il viaggio di ritorno da Cracovia, mentre quasi tutti dormono, esausti per questi giorni intensissimi e in particolare per la bellissima veglia di ieri sera che ci ha visti dormire sotto il cielo stellato di Campus Misericordiae insieme ad altri due milioni e mezzo di giovani, penso che la GMG è già finita. Si, anche se sembra passato solo qualche giorno da quando siamo partiti da piazzale Europa con gli altri ragazzi reggiani, anche se sembra sia ieri che siamo stati accolti nella parrocchia dei Santi Pietro e Paolo ad Opole, anche se da quando ci ha raggiunto il gruppo del "pacchetto B"- cioè quelli della seconda settimana - sembra passata solo qualche ora, adesso, che da poco ci siamo lasciati alle spalle la Polonia, questi giorni appaiono ormai come inevitabilmente passati. Sono davvero volate via queste giornate, vissute davvero intensamente dall'alba fino a ben oltre il tramonto, eppure ora riemergono chiaramente ricordi - a confermare che tutto è passato - fatti di volti, di luoghi, di parole. In particolare, mi torna alla mente una frase pronunciata da don Marek, sacerdote della parrocchia che ci ha accolti ad Opole, durante l'omelia della Messa di addio per la nostra partenza alla volta di Cracovia. 
Tra la commozione generale, vera, dettata da un sentimento irrazionalmente e inconcepibilmente intenso, che nonostante i pochi giorni ci ha fatto stringere legami forti e - speriamo duraturi con i giovani polacchi, don Marek ci mostrava che Nazareth, nido della giovinezza di Gesù, non avrebbe alcun senso senza la sua negazione, ovvero senza la partenza, l'addio dalla città materna tanto amata, che ha decretato l'inizio della missione salvifica di Gesù nel mondo. In quella giornata che come questa era stata caratterizzata da un sofferto addio, o meglio da un arrivederci, don Marek ci ricordava che partire significa tornare ad essere cristiani laddove abitiamo, prolungando e non facendo cadere nel vuoto l'esperienza di questo giorni. Ci invitava a non piangere per qualcosa che era inevitabilmente finito, ma a rimboccarci le maniche per far sì che ciò continuasse, per fare in modo che l'esperienza della GMG non fosse una felice frase chiusa tra parentesi ma piuttosto un due punti che cominciasse una lunga proposizione. Due giorni dopo, ricongiunti con i ragazzi del "pacchetto B", siamo andati a visitare il campo di concentramento e sterminio di Auschwitz-Birkenau. Nonostante la visita "toccata e fuga" abbia sinceramente lasciato a desiderare, il momento vissuto alla chiesa degli Italiani insieme agli altri 1600 giovani reggiani, con i ragazzi delle diocesi delle missioni in Albania e Brasile, presieduto dal vescovo Massimo Camisasca, è stato molto interessante e ricco di stimoli. Oltre alla preghiera c'è stato un momento dedicato alla testimonianza di uomini e donne che a loro modo si sono opposto alle barbarie naziste. Padre Kolbe, Oscar Schindler, e anche il nostro Gino Bartali tra gli altri, cinque storie affidate ad altrettanti narratori scelti tra i giovani della Diocesi, cinque vite che parlavano di coraggio, di eroismo, di libertà, ma anche e soprattutto di normalità. Si, perché questi eroi altri non erano che persone normalissime, e anzi talvolta addirittura "cattive" come il pubblicano Zaccheo protagonista del vangelo della Santa Messa di stamattina. Leopold Socha, per esempio, altri non era che uno sciacallo che tirava avanti rivendendo la refurtiva che sistemava in segreto nelle fogne di Leopoli, salvo poi nascondervi anche decine di ebrei, salvandogli cosi la vita. "L'eroismo non è sovraumano" diceva una poesia di Calvino. Si potrebbe aggiungere che anche la santità non è per supereroi. Come ci ha detto in questi giorni Papa Francesco, e come abbiamo potuto vedere nella vita di Santa Faustina, nel suo gracile corpo malato e nei sentimenti incredibilmente umani messi a dura prova dalle chiacchere e dalle gelosie delle consorelle,
Dio non sceglie come suoi soldati stinchi di santo, né guarda ai nostri vestiti, ai nostri telefoni, né alle nostre abilità particolari. Dio ci ama nella nostra normalità, Lui che ci conosce nella nostra più intima essenza, e altro non ci chiede che un sì. Così santità ed eroismo possono essere profondamente umani, normali, e tuttavia bisogna fare attenzione, perché anche il male può esserlo. Quello che spesso la storia scolastica e il cinema hollywoodiano, preso dai suoi stereotipi e dalle caricature, non ci mostrano, è che anche la visita ad Auschwitz non chiarisce del tutto è la natura del male nazista, una terribile barbarie portata a termine con inquietante lucidità che, se è presumibile abbia avuto origine nelle menti malate dei gerarchi, poi ha trovato compimento nelle mani di tanti soldati e nella volontà di tanti civili. Non è questa l'occasione per aprire un dibattito che interessa i più importanti storici ormai da decenni, né ne ho l'autorità. Ma è manifesto che, indottrinato o meno, il popolo tedesco e tutti quelli coscienti della situazione in corso non erano composti da milioni di folli, ma al contrario, da persone banalmente normali, esattamente come noi. Non siate scandalizzati, se paragono noi, docili reggiani del terzo millennio, ai "malvagi" nazisti: la nostra Shoah si consuma poco lontano dalle porte d'Europa, in Siria, e dentro il nostro salotto, nelle spiagge meridionali d'Italia così come nelle nostre città. É un olocausto che ha il volto di profughi, emigrati, emarginati, anziani, disabili, disperati, giovani dal cuore vuoto, bambini abusati o abbandonati a loro stessi. E questo non lo dico io, ma il Santo Padre, che ha ripetuto con insistenza l'importanza di questi conflitti dai quali distogliamo costantemente gli occhi per guardare talk show televisivi sul terrorismo o sul calcio. 
Epoche diverse, stessa indifferenza. Non possiamo sapere se questa nostra ignavia possa essere imputata come colpa, ma certamente a Gesù l'indifferenza del sacerdote che passa davanti al viandante malmenato e derubato della parabola del buon samaritano non andava a genio. C'è da dire, grazie a Dio, che oltre a vivere la normalità dei nazisti possiamo però potenzialmente vivere anche la stessa normalità di santi ed eroi. Qual è la differenza tra le due? Qual è la quotidianità che uccide e quale quella che crea? Semplice, quando accettiamo il mondo così com'è, quando ci facciamo travolgere inermi dalla quotidianità diventando parte di questo melma informe, quando facciamo di noi solo un altro anello della catena di causalità, siamo complici, siamo nazisti. Quando inserendoci tra i suoi anelli spezziamo con un atto di libertà questa catena di schiavitù viscida e nascosta, cioè quando facciamo scelte e le portiamo avanti, con il coraggio della normalità, siamo eroi. Per farlo ci vuole però uno sforzo, e questo piccolo ma enorme scarto ci distingue dai malvagi, che ripeto, non hanno l'aspetto dei cattivi delle fiabe, ma la faccia di chi non fa scelte. Questo scarto è l'atto di libertà che ci fa uscire da questo fiume assassino che troppo spesso ci travolge, questa scelta è il si, e quando diciamo quel sì che Dio ci chiede, allora siamo santi. È solo con questo sì che le catene possono essere spezzate, il mondo può essere cambiato, ripercorrendo à rebours la corrente di quotidianità anonima e straniante che il mondo ci impone. 
"Vedi io faccio nuove tutte le cose" ci dice Gesù, e per rinnovare il mondo conta sulle scelte quotidiane del suo popolo, non ci chiede di essere grandi rivoluzionari, ne profeti. La vera rivoluzione sta nel cambiare il mondo a partire da ciò che sta fisicamente e spiritualmente intorno, senza distogliere la vista dai grandi problemi dell'attualità, ma prendendoli come stimolo per risolverli dal basso. In particolare, alla gioventù che ha già dimostrato di essere speciale aderendo a questa GMG, il Papa ha chiesto di avere il coraggio di scegliere, di staccarsi da quel divano a cui troppo spesso è incollata e di prendere decisioni. É questa la vera rivoluzione a cui i giovani sono chiamati, è questo il vero andare controcorrente. Tornando a noi, cosa può fare questo manipolo di giovani dell'Unità Pastorale che ora dormono su questo pullman stanco che ritorna dalla Polonia? "Vedi io faccio nuove tutte le cose". A noi, ragazzi, è richiesto il compito di rinnovare la Chiesa. Non bisogna spaventarsi, come ho detto prima a noi sono richieste piccole cose. E tuttavia non è un lavoro facile, e forse proprio perché ci vengono domandate piccole cose il compito è più arduo. Quant'è facile che la fiamma dell'entusiasmo si spenga poco a poco se non è costantemente ravvivata? Quante volte siamo tornati da campeggi euforici per vedere poi questa magia scomparire nel giro di qualche settimana? 
Essere stati in GMG non è solo un privilegio, ma anche una responsabilità. Avere ascoltato le parole di Papa Francesco, aver partecipato alle catechesi dei vescovi italiani, aver incontrato migliaia di giovani provenienti da tutto il mondo e soprattutto aver condiviso un'incredibile esperienza di comunità con i giovani di Opole, è un fortuna ricevuta che non possiamo permetterci di non ricambiare, portandone testimonianza ai nostri amici rimasti a casa, non con le parole, ma con l'esempio delle nostre vite. "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" è quello che ci ha invitato a fare Sua Santità nella messa conclusiva a Campus Misericordiae, e quante cose abbiamo ricevuto in queste due settimane? Tutto ciò dobbiamo portarlo a casa, ai nostri cari e ai nostri amici, con il fervore e l'entusiasmo che ci ha accompagnati in questa GMG, con la forza che ci faceva alzare prestissimo la mattina senza lamentele, nonostante le faticose giornate e le nottatacce, con la disinvoltura che ci accompagnava nel fare la conoscenza di giovani di altri paesi, con la gioia che ci faceva cantare senza vergogna con i nostri amici polacchi durante quelle bellissime messe che dovremo impegnarci a portare nelle nostre parrocchie. Ma, poiché come ci ricorda la saggezza popolare "Par fer un fós ag volen do rivi", anche a voi giovani e adulti delle nostre comunità che non avete potuto partecipare a questo viaggio è richiesto qualcosa: non spegnete l'entusiasmo di chi ha vissuto questa esperienza, ma anzi aiutateli affinché questa non si spenga. 
Accogliete la gioia di chi ha vissuto la GMG non con la sospettosa incredulità di Tommaso, ma con la fede degli Apostoli che ricevono la notizia della Resurrezione di Cristo. Cominciamo a dimenticare ciò che è stato fin ora, e abbiamo il coraggio di cambiare, come hanno fatto i nostri giovani di Cracovia che hanno scordato ben presto le dinamiche parrocchiali e si sono immersi nella nuova dimensione dell'Unità Pastorale con spensieratezza e gioia. Sarà un compito difficile, per tutti, sia quelli di ritorno che per quelli rimasti a casa. Ma se i primi sapranno continuare con lo spirito che li ha guidati in questi ultimi giorni, e i secondi avranno l'umiltà di farsi contagiare da esso, insieme, con la bellissima forza che ci può infondere tra fratelli, essenza del Cristianesimo, potremo camminare verso un futuro reso migliore dai nostri piccoli sì quotidiani. Come Nazareth non ha avuto fine, ma compimento, nella vita di Cristo dopo la sua partenza da essa, così la GMG non finisce oggi, ma deve continuare e trovare compimento nei giorni che verranno, a casa nostra.