giovedì 6 novembre 2025

Fare teologia ai margini: una fede che abita le periferie

 




Paolo Cugini

 

La teologia, nella sua accezione più classica, è spesso associata a un sapere accademico, sistematico, racchiuso tra le pagine di trattati e manuali che stabiliscono i confini della dottrina cristiana. Eppure, come la pioggia che scorre anche dove il terreno è più arido, esiste un modo di fare teologia che germoglia proprio ai margini di questi confini: dove la vita reale pone domande che i libri spesso non contemplano, dove la fede incontra la concretezza della sofferenza, del dubbio, dell’esclusione. Fare teologia “ai margini” significa spostare il baricentro della riflessione teologica dalle aule universitarie alle strade, ai luoghi dove il dolore e la speranza si intrecciano giorno dopo giorno. È una teologia che si fa prossima, che ascolta senza giudicare e accompagna chi vive ai bordi dell’esperienza religiosa, spesso lontano dai riflettori e dalle certezze offerte dalle istituzioni. Proprio nelle ferite della storia umana la teologia trova nuovi orizzonti di senso.

Il teologo che sceglie di camminare ai margini non si accontenta di contemplare il Mistero da lontano, ma si lascia interrogare dai volti concreti di chi, pur credendo profondamente, si trova escluso per ragioni dottrinali: separati, divorziati, omosessuali, transessuali, lesbiche, persone segnate da vissuti che non rientrano nelle regole. Sono storie di fede genuina che la Chiesa, talvolta, ha lasciato fuori dalle proprie porte. Eppure, proprio là dove la vita sembra deviare dai canoni, si manifesta una presenza inattesa e straordinaria del Mistero. Paradossalmente, è nelle situazioni di marginalità che la fede si rivela spesso più autentica, più radicale. Nei bassifondi della storia, nelle periferie della società, il teologo attento percepisce una forza spirituale che sfugge alle definizioni e alle etichette, ma testimonia la vitalità della fede cristiana. Fare teologia ai margini vuol dire accettare la sfida di pensare la fede a partire dalle domande concrete che emergono dalla vita delle persone escluse, riconoscendo che la dottrina, pur essenziale, non può esaurire il Mistero; che le regole, seppur necessarie, non possono soffocare la sete di Dio che anima ogni cuore.

La teologia marginale si nutre di esperienze, di ascolto, di storie. In un tempo in cui molti vivono una distanza dalla Chiesa ma non dal desiderio di Mistero, questa teologia offre uno spazio di accoglienza e dialogo. Il vero teologo diventa allora colui che si lascia interrogare dalle ferite della storia, dalle domande di chi è stato messo ai margini, e non solo chi interpreta la dottrina. È la capacità di farsi prossimo, di “camminare insieme” – come suggerisce la parola sinodalità – che permette alla fede di continuare a parlare alla vita, anche quando la vita si svolge fuori dagli schemi consueti. C’è, dunque, una teologia in cammino che, sentendo il profumo del Mistero, lo riconosce nelle situazioni esistenziali più complesse, anche in quelle che la stessa dottrina ha contribuito a creare. Il teologo che ama il Mistero rivelato in Gesù si accorge della ricchezza nascosta in quelle storie marginali, che portano con sé un tesoro di conoscenza e di vita incredibile. Dalle situazioni di esclusione possono nascere nuove comprensioni della fede, nuove vie di comunione e di speranza. Fare teologia ai margini non significa abbandonare la dottrina, ma riconoscere che il Mistero di Dio supera ogni confine umano. Significa avere il coraggio di ascoltare le domande vere, di lasciarsi provocare dal dolore e dalla ricerca che abitano le periferie dell’esistenza. Solo così la fede può continuare a essere parola viva, capace di illuminare anche le notti più oscure della storia e di offrire, a chi si sente escluso, una casa dove il cuore può riposare.

Nessun commento:

Posta un commento