venerdì 26 novembre 2021

QUALE CHIESA? Un libro del Cardinal Matteo Zuppi e don Paolo Cugini

QUALE CHIESA? UN LIBRO CON IL CARDINAL MATTEO ZUPPI

 


 

Parlare di Chiesa è sempre un argomento delicato, perché si entra in un ambito in cui convergono stili e pareri differenti, spesso contrastanti. Lo diventa ancora di più in un’epoca storica, come la nostra, in continuo e veloce cambiamento, che richiede una capacità di adattamento non facile da assimilare. Cambiano le situazioni storiche e cambia anche la Chiesa, il modo di pensarsi nel tempo. L’annuncio del Vangelo, compito specifico affidato da Gesù alla Chiesa, esige una costante riflessione, per comprendere e mettere in atto le modalità che sembrano più idonee per la realizzazione di questo servizio. Annunciare il Vangelo esige una comunità che si sforza di vivere ciò che desidera annunciare. È il tema della comunità cristiana, che ha visto nella parrocchia un modello ecclesiale significativo e privilegiato per molto tempo, uno degli snodi del problema.

In occidente, parlare di parrocchia ha significato parlare di parroci, della loro preparazione e formazione. Ogni parrocchia ha sempre avuto il proprio parroco di riferimento al punto che, nell’ecclesiologia tridentina, la parrocchia era la sposa del parroco che, una volta entrato in parrocchia, rimaneva per sempre. Fedeltà al ministero, in questo contesto, significava fedeltà alla comunità parrocchiale, presenza costante in essa. Proprio per questo, il Concilio di Trento prevedeva che le parrocchie non dovevano essere né troppo estese né troppo numerose per permettere al parroco il contatto personale e costante con i parrocchiani. Questo modello è durato secoli e ha avuto un valore altamente positivo. Il parroco era colui che accompagnava nella vita di fede le persone durante tuta la vita, dal battesimo sino alla morte. Il parroco, in questo modo, diveniva punto di riferimento costante nei problemi della vita quotidiana, perché era lui ad essere presente nella comunità, a condurla in un contesto in cui la dimensione religiosa s’identificava con quella ecclesiale. C’è stato un periodo lunghissimo della vita in occidente in cui era famoso l’adagio che diceva che, in un paese c’erano tre persone fondamentali: il dottore, il prete e il farmacista. Ogni comunità, anche la più piccola, aveva dunque il suo parroco, che curava la dimensione religiosa delle persone, all’interno di relazioni umane, che si consolidavano nel tempo, grazia alla permanenza del prete nella comunità.

Poi, in poco tempo, tutto questo mondo è crollato. Forse, il problema maggiore, è che il crollo è stato così veloce, che molte persone e anche molti prelati, non se ne sono accorti o, forse, non lo vogliono ammettere e accettare. Dinanzi ad un cambiamento così rapido del contesto culturale occidentale, che ha travolto anche il modello ecclesiale vigente, di struttura piramidale, che identificava l’autorità ecclesiale con la comunità, si fa fatica ancora oggi a produrre i passi necessari per un cambiamento di mentalità, soprattutto, per mettere in atto un nuovo modello ecclesiale. Accompagnare un cambiamento in atto di una realtà così complessa com’è la Chiesa, non è cosa facile, anzi. La tentazione di chiudersi in se stessi, di non accettare la realtà e riproporre il passato e i suoi fasti come se niente stesse accadendo, è sempre dietro alla porta. Il popolo di Dio, assieme ai suoi pastori, è invece chiamato ad un lento cammino di discernimento comunitario, per tentare d’interpretare alla luce della parola di Dio i segni dei tempi, ed elaborare proposte che esigono in ogni modo, una continua verifica. Un aspetto importante di questo delicatissimo momento storico, è che la comunità cristiana non è sola, ma ha diversi strumenti che possono orientarla nel cammino di discernimento comunitario.

 In primo luogo, ci sono i documenti del Concilio Vaticano II, che offrono ancora oggi notevoli spunti di riflessione per il cammino della Chiesa. In secondo luogo, la comunità locale ha a disposizione il Magistero di Papa Francesco, attento sia alle grandi intuizioni del Vaticano II, che alla realtà in cui viviamo e, per questo, capace d’interpretare il cambiamento in atto e offrire linee guida per la riflessione comunitaria. Infine, il Magistero vivo del Cardinale Matteo Zuppi, attento a traghettare la comunità locale nelle difficoltà che incontra ad incarnare il Vangelo in questa epoca di cambiamento. Strumenti, dunque, che dicono di un’attenzione provvidenziale del Signore che cammino con noi e in mezzo a noi, dove le onde e il mare in burrasca non devono spaventarci e disorientarci nel compito che abbiamo di essere testimoni del Risorto.

Le pagine che proponiamo, sono frutto di un percorso di formazione permanete degli adulti delle parrocchie di Palata Pepoli, Dodici Morelli, Galeazza e Bevilacqua dell’Archidiocesi di Bologna, che per alcuni mesi si sono confrontati sul tema: quale Chiesa? I primi due capitoli sono stati curati da don Paolo Cugini, amministratore parrocchiale delle suddette parrocchie. L’ultimo capitolo, oltre a riportare la relazione del Cardinale Matteo Maria Zuppi realizzata durante il percorso formativo, riporta anche alcuni suoi interventi sul tema specifico. 

venerdì 12 novembre 2021

MARIA LA MADRE DI GESU’- INTERVENTO DI SELENE ZORZI




 I VENERDI TEOLOGICI

VENERDI 12 NOVEMBRE 2021


Sintesi: Paolo Cugini

 

Per accostarci a Maria dobbiamo pulire gli occhiali. Maria è divenuto un personaggio ingombrante nella vita delle donne. Maria è un personaggio onnipresente nella vita di fede.

Maria nome comune: Maria è divenuto un nome comune. Maria nell’immaginario collettivo rappresenta tutte le donne. Si nota l’universalizzazione del patriarcato. Tutto ciò che non è maschile è neutro.

Naturalizzazione Le donne sono soprattutto madri, sono importanti come madri, dimenticandosi che hanno anche un cervello.

Steretipizzazione Generalizziamo per vedere e volere un certo tipo di donna. Abbiamo ideologizzato anche Maria.

La mentalità cattolica è androcentrica, produce una forte idealizzazione nei confronti delle donne. Maria è la benedetta fra le donne, ma è solo lei e questa unicità la stacca dalle altre donne. Da qui nasce l’ideologizzazione delle donne.  Maria diventa problematica come presenza fra le donne. Nessuna donna potrà mai essere come lei, e quindi diventa un modello schiacciante.

Maria è stata punto di riferimento delle omelie e parlavano di Maria e il corpo delle donne viene collegata all’idea del peccato. La verginità acquista un significato sociale e il suo ruolo teologico si perde nelle moralizzazioni.

Antropologia dualista: divide i due sessi come poli opposti, come complementari. Questa antropologia oppositiva ha creato il personaggio di Maria che, per molto donne, risulta troppo ingombrante. L’antropologia dualista, quando legge Maria, crea l’eterno femminino, un archetipo che guarda Maria come un’incarnazione dell’ideale dell’essenza del femminile. Qui il maschio è sempre primo. La donna è funzionale al maschio e le donne sono servitrici.

La verginità può essere interpretata come l’autonomia della donna. Può essere interpretata in senso moralista. Serve al maschio per sapere che il primo figlio sarà suo.

Madre: funzione biologica. La funzione di madre appartiene ad ogni credente, perché tutti dobbiamo partorire Dio nella nostra vita di fede.

Come si è arrivati a ciò?

Nei primi secoli c’era già l’idea della dea madre. Iside, Demetra, ecc. Sono dee che hanno un aspetto materno. I Padri della Chiesa accostano Maria a queste figure. La nostra Maria cattolica la troviamo sui monti, grotte e altro, luoghi tipici delle dee mediterranee. Sono luoghi che indicano il contatto con la forza della terra.

I Padri della Chiesa prendono dei titoli delle dee e le attribuiscono a Maria. Le prime Marie sono delle donne che allattano. Le prime vere raffigurazioni di una Maria che allatta come divinità le troviamo in Egitto nei monasteri, che la riprendono dalle dee egizie. I padri hanno adattato la figura di Maria alla dea materna, hanno fatto un lavoro di inculturazione. Assumendo queste caratteristiche Maria viene sempre più divinizzata e diventa una divinità. Nel Medioevo a Maria vengono attribuite tutte le funzioni cristologiche e pneumatologiche. Maria è corredentrice, sullo stesso piano del Dio maschio.

Elisabeth Jonson: relazione tra la figura di Maria e di Gesù e non c’è distinzione tra le due. In qualche modo l’immaginario religioso di un Dio al maschile sente il bisogno di avere una femminilità. Occorre pulire gli occhiali da queste scorie culturali che hanno confuso la Maria del Vangelo. La questione è che non abbiamo avuto un linguaggio del dire Dio al femminile. Nessuno ce la fa a dire Dio al femminile, a dire Dea.  Da Gen 1 abbiamo al convinzione che le donne sono create ad immagine di Dio, ci sono delle metafore femminili per parlare di Dio.

Nell’AT la parola ruah, che indica lo Spirito, è una parola femminile e ha funzioni femminili. Crea spazio, fa vivere. Shekinà, la tenda di Dio tra noi: è una metafora femminile.

Le teologhe hanno cercato le metafore in cui Dio è detto madre. Viscere di misericordia, Dio ha un utero che ama come una madre. Isaia 49: La madre non si dimentica di suo figlio.

Filone della divina sapienza. La Sapienza dell’AT è un personaggio. Il Logos è accanto a Dio. La sapienza che rompe gli stereotipi perché parla nelle piazze. Dio qui ha caratteristiche femminili.

Ci sono due parabole: dramma e lievito. È un mondo che viene espresso al femminile. Gesù ha preso spunto dalle azioni di sua madre. Capire come Gesù di Nazareth ha fatto esperienza di una donna, con sua madre.

Lo studio delle teologhe aiuta a riavvicinarsi a Maria.

La divinizzazione di Maria si è venuta a creare pian piano, dovuto anche all’ambiente culturale, al modello patriarcale. L’unico spazio che il cristianesimo ha lasciato alle donne è stato il corpo di Maria.

Se Cristo ha assunto la maschilità non salva le donne, invece Cristo assume l’umanità. Maria è divenuta anche lo schema sociale del ruolo che doveva avere la donna in una certa cultura che poi è stata spiritualizzata.

Nel si di Maria c’è il rispetto di Dio per le donne, perché Maria poteva anche dire di no.

 

mercoledì 10 novembre 2021

Chiesa popolo di Dio / Dall’esperienza brasiliana alla proposta di papa ...

CONTAMINAZIONE IN TEOLOGIA COME FORMA DI INCULTURAZIONE

 




Paolo Cugini

 

Che cosa s’intende quando si usa questo termine in teologia? Contaminazione è un aspetto dell’inculturazione, del cammino dell’evangelizzazione in contesti culturali non cristiani, o di culture diverse. In ogni processo d’inculturazione c’è un aspetto di contaminazione, vale a dire, che venendo in contatto con una cultura diversa ci sono elementi di quella determinata cultura che vengono assorbiti dal processo di evangelizzazione, contaminando, per così dire, la struttura della dottrina. La contaminazione mette in discussione l’idea che la dottrina sia un blocco incorruttibile, compatto, immodificabile. In realtà, il cammino di evangelizzazione sin dagli inizi è passato attraverso vari momenti d’inculturazione che hanno comportato contaminazioni, che hanno modificato il nucleo dottrinale, assorbendo elementi della cultura incontrata. Esempio di quanto sto dicendo è la contaminazione avvenuta nell’ambito della cultura greca, che tra l’altro ha permesso la formulazione del credo niceno-costantinopolitano. Ciò significa che la contaminazione, lungi da essere un fenomeno negativo, è anzi un momento di arricchimento positivo necessario. Così com’è stato formulato l’idea di contaminazione nel processo d’inculturazione del Vangelo esige, da una parte, il riconoscimento di valori nelle culture incontrate e, dall’altra, l’azione dello Spirito Santo che agisce liberamente in ogni contesto culturale. È questo momento riconoscitivo che provoca lo stile dialogico, l’atteggiamento di ascolto dell’altro, la presa di coscienza della presenza dell’amore di Dio, che si manifesta in forme diverse. Sempre in questa prospettiva, l’idea di contaminazione aiuta a valorizzare la diversità nella sua accezione più ampia.

 La contaminazione in teologia indica che ci sono elementi nuovi, sconosciuti nelle culture altre che vengono assorbite dal vangelo, perché implicitamente riconosciute come novità significative e in sintonia con i contenuti espressi. La contaminazione fa dunque crescere la dottrina, la modifica, la rende più completa. Contaminazione significa che il processo di apprendimento del mistero non termina mai. Ammettere il processo d’inculturazione nel suo aspetto di contaminazione significa dire addio alla concezione desueta della dottrina come un blocco immodificabile, che identifica l’idea di verità con la realtà immobile, e la perfezione con la stabilità. L’aspetto di storicità della storia della salvezza, la manifestazione di Dio nella storia degli uomini e delle donne, apre lo spazio all’idea del mistero di Dio che non può essere codificato da nessuna dottrina teologica e, allo stesso tempo, che rimane sempre aperta, appunto, sempre disponibile alla contaminazione. In questa prospettiva l’idea di contaminazione in teologia prima di essere e d’indicare un momento negativo, manifesta invece un momento positivo dell’azione dello Spirito nella storia. Dice, infatti, che la sua azione non può essere racchiusa in nessuno spazio e nessuno può avere la presunzione di codificarne i contenuti.

 C’è una ricchezza della presenza di Dio non solo nei cammini delle chiese e delle religioni, ma anche in ogni luogo. “Tutto è stato fatto in Lui e in vista di Lui” (Ef 1). Il processo di contaminazione è richiesto da tutti coloro che sono alla ricerca del mistero e vivono di Lui.