ROMA 14 OTTOBRE 2019
Sintesi:
Paolo Cugini
Il
modello estrattivo non cambia, perché è parte del modello economico
neoliberale.
La situazione attuale dei popoli indigeni è difficile, perché
i territori sono contestati e minacciati. In 9 mesi i territori sono invasi
come da tempo non succedeva.
Stiamo
vivendo un contesto ecclesiale speciale, non solo per il Sinodo. È contesto che
dalla Laudato Sii è entrato in dialogo con i popoli indigeni.
Che
cosa fa la CNBB in questa situazione? Mantiene una posizione ferma sul tema dei
diritti umani.
Padre
Livio Girardi. I Volti della Missione
Metodologia
dei missionari nella terra Indigena Raposa Terra do Sol
I
popoli indigeni sono 8: yianomami sono i più noti. In Roraima ci sono 33 terre
indigene già marcate dai governi precedenti.
Che
tipo di presenza ha esercitato la Chiesa in questi luoghi? Prima del Vaticano
II il progetto è la sacramentalizzazione. In certi aspetti la Chiesa è stata
complice ed assente.
Dopo
il Vaticano II la novità è una lettura nuova della realtà. “Noi che il Dio dei
bianchi fosse buono”: così disse un capo indigena vedendo quello che stava
succedendo.
Nel
1974 i missionari della Consolata decidono di dedicarsi totalmente ai popoli
indigeni e spinsero la Chiesa di Roraima a fare lo stesso. Nel 1979 il vescovo
scrive una lettera in cui si chiede se i missionari possono evangelizzare gli
indios. La Chiesa deve fare l’opzione per i poveri. Quattro conseguenze di
questa lettera:
1. L’organizzazione
del movimento indigena
2. Preparazione
degli agenti pastorali
3. Progetti
di promozione umana
4. Progetto
“una vaca para o indio”
Conseguenze
di questa scelta è la forza dell’unità dei popoli indigeni. Per i missionari ha
portato una nuova metodologia. Non dialoga più con il padrone di terre, ma con
gli indios. Inoltre, la comunità diventa un luogo teologico.
Suor Amelia
Gomes: i popoli della Guinea Guissau
È uno Stato Africano. Gli abitanti parlano il portoghese,
oltre il criolo. Circa il 42% della popolazione è analfabeta. La prima missione
è avvenuta nel 1992 a Emapada. Abbiamo iniziato conoscendo e visitando le
famiglie, per conoscere la realtà del popolo. La proposta è stata la
possibilità di viere in un modo nuovo. Per mezzo della vicinanza e del dialogo abbiamo
iniziato un percorso di evangelizzazione. Abbiamo osservato, ascoltato senza
fretta, progettando la missione con pazienza senza fretta. Rischi di
dimenticare che la missione è opera di Dio.
Il
nostro stile di missione è basato sulla semplicità, privilegiando la cura delle
relazioni. Questi gesti ci hanno permesso di conoscere la tradizione e la cultura
del popolo. Partecipando della loro vita, ci ha permesso di essere accolti.
Noi
abbiamo capito che i popoli non devono lasciare le loro tradizioni per essere cristiani.
Abbiamo riflettuto, così, sull’idea d’inculturazione.
Nei
percorsi formativi che proponiamo – pittura, cucito, e altro – annunciamo la
Buona Novella. Risvegliamo, infatti, il valore della vita, della donna, del
valore della famiglia.
La
missione come presenza rispetta tutte le tradizioni e le culture.
Ci
siamo domandati: come annunciare il Vangelo ai non cristiani? Ci dev’essere un
processo di attenzione alle culture.
In
Guinea Bissau siamo sempre andati dove ci hanno chiamato, rimanendo attenti alle
loro esigenze. È stato interessante scoprire che Dio li aveva visitati prima di
noi. Nei luoghi in cui siamo andate senza essere chiamate, la missione non è
continuata.
Abbiamo
imparato a prendere in considerazione le persone e le culture in tutti i suoi aspetti.