martedì 30 agosto 2022

La duplice inversione operata nell’epoca postcristiana: Chantal Delsol

 




C’è in Chantal Delsol[1] la presa di coscienza chiarissima della grande trasformazione in atto nella nostra epoca, la fine di una civiltà vecchia di sedici secoli. È da due secoli che la cristianità lotta per non morire. Certamente, la cristianità ci ha offerto un certo modo coerente di vivere, una visione chiara del limite entro il bene e il male. Non si tratta del fallimento del cristianesimo, che anche se emarginato in Occidente, è ancora vivo. Si tratta della fine della grande influenza che la Chiesa esercitava sulla morale e, di conseguenza, sulle leggi. Cristianità, dunque, per Delsol, non s’identifica con il cristianesimo, ma indica in modo specifico l’istituzione che si è strutturata nei secoli e a preso la forma del cattolicesimo.

Non è il cristianesimo che scompare, ma la cristianità. La cristianità rimanda ad una società in cui l'antropologia cristiana e la morale cristiana hanno caratterizzato i nostri costumi, i nostri modi di essere, le nostre mentalità e hanno permeato le nostre leggi. Non è più così. Le nostre leggi e la nostra morale traggono ispirazione da ogni tipo di visione del mondo[2].

La cristianità, come civiltà è il frutto del cattolicesimo, una società organica che ha rifiutato l’individualismo e la libertà individuale. Per questo motivo si trova in rotta di collisine con la modernità che prugna valori opposti, come la libertà di coscienza e rifiuta le idee che hanno plasmato la cristianità: la verità, la gerarchia e l’autorità. Segni di questa tensione insanabile tra cristianità e modernità sono alcuni documenti ufficiali che la Chiesa emana tra il IX secolo e l’inizio del XX. Tra questi possiamo citare la Mirari Vos di Papa Gregorio XVI del 1932, il Sillabo di Papa Pio IX del 1864 e la Pascendi Dominici gregis di Pio X del 1907 che condannava il modernismo. Delsol nei suoi ultimi testi osserva che la parte così detta tradizionalista della Chiesa non accetta la trasformazione in atto che, a suo avviso, è ineluttabile, è propone continuamente la restaurazione dei valori passati. Dall’altra parte si assiste, da parte di coloro che accettano senza problemi il cambiamento in atto senza comprenderne fino in fondo la portata, quello che Delsol chiama la protestantisation di una parte del cattolicesimo[3]. Si tratta, a questo punto, di sforzarsi di comprendere in profondità il cambiamento in atto, che costituisce una vera e propria:

rivoluzione, nel senso stretto del ritorno del ciclo, nei due campi fondanti l’esistenza umana: la morale e l’ontologia. Noi siamo allo stesso tempo i soggetti e gli attori di un’inversione normativa e di un’inversione ontologica. Ciò significa che i nostri precetti morali così come le nostre visioni del mondo si stanno rovesciando[4].

Delsol ci tiene a sottolineare che l’Occidente in questo cambiamento epocale non sta andando in contro a qualcosa di nuovo – non c’è molto di nuovo sotto il sole - ma assistiamo ad una specie di ritorno alle fonti, a quelle che precedono il cristianesimo, vale a dire un ritorno al paganesimo e ai suoi valori.

Il primo cambiamento che il mondo postcristiano sta vivendo è il cambiamento morale. Nella fase attuale della storia assistiamo ad un tipo di cambiamento simile a quello che è avvenuto all’epoca della nascita del cristianesimo. Secondo Delsol i cristiani non s’instaurano in una società come se fosse una tavola rasa, ma utilizzano ciò che già esisteva e la trasformano. “La morale cristiana segue in parte la morale stoica che trasforma in verità dogmatica e, allo stesso tempo, la democratizza”[5]. Vari valori romani vengono ripesi, al punto che i romani di tradizione accusano i cristiani di parassitismo. I cristiani si appropriano di devozioni, del matrimonio monogamico o la condanna dell’omosessualità maschile[6]. Questo fenomeno di assimilazione e di trasformazione del primo cristianesimo avviene a diversi livelli: liturgico e filosofico[7]. Infatti, come gli studi della storia della liturgia ci hanno dimostrato, molto materiale utilizzato per impostare i sacramenti dell’iniziazione cristiana sono stati assunti e trasformati dai riti misterici delle religioni misteriche presenti all’epoca di Gesù[8]. Lo stesso vale anche per la maggior parte delle vesti liturgiche assimilate e trasformate da quelle usate all’epoca dell’Impero Romano. Anche l’elaborazione dottrinale messa in atto per descrivere i punti fondamentali del mistero cristiano è stata possibile grazie all’assimilazione e alla trasformazione di concetti elaborati dalla filosofia greca[9]. Secondo Delsol, questo fenomeno chiamato di parassitismo culturale, al quale stiamo assistendo in campo morale, è avvenuto anche in altre epoche: ancora una volta, come direbbe Chantal Delsol niente di nuovo sotto il sole. Anche il cristianesimo, dunque, si è stabilizzato all’interno di un cambiamento normativo, nell’altro senso. Nella ricostruzione storica di Delsol è Teodosio che alla fine del IV secolo instaura il cristianesimo come religione dominante. Brucia libri, condanna a morte, reprime, censura, bandisce le cerimonie pagane a Roma soprattutto. Quando un impero s’impone ad un altro la conseguenza immediata è l’annichilamento del nemico, soprattutto, la distruzione della sua cultura. Emblematico, in questa prospettiva, è il caso della filosofa Ipazia, non cristiana che nel 414 d.C. ad Alessandria di Egitto sotto il patriarcato di Cirillo, nipote di Teofilo e suo successore, viene uccisa da monaci fanatici[10]. Il IV secolo ha, così, visto la rottura di un paradigma. “Nello spazio di pochi decenni si assiste ad un rovesciamento radicale dei costumi”[11]. Infatti, solo per fare qualche esempio, l’aborto e l’infanticidio erano sempre stati legittimi presso i popoli antichi, fatta eccezione degli ebrei e degli egizi. I greci e i romani li praticavano normalmente. Gli epicurei incoraggiavano il suicidio e l’omosessualità era ben conosciuta ad Atene. La cultura postcristiana, secondo Delsol, sta riproponendo i valori del paganesimo, sostituendoli con quelli cristiani, con qualche ritocco qua e là.

Nel mondo dei nostri padri la colonizzazione era generosa e ammirabile, la tortura e la guerra buoni; oggi la colonizzazione e la tortura sono dei gesti satanici e anche la guerra. L’omosessualità era bandita e disprezzata, oggi non solo è giustificata ma viene vantata. L’aborto che erta criminalizzato, si vede legittimato e consigliato. Anche la pedofilia un tempo tollerata, oggi è criminalizzata. Il divorzio non incontra ostacoli. Il suicidio era riprovato, oggi è considerato come qualcosa di possibile[12]

Teodosio conserva le feste pagane, ma le spoglia di ogni significato religioso e le vieta alla domenica, ormai divenuto il giorno del Signore.  Come Teodosio secondo Delsol, segna la fine dl paganesimo e l’inizio ella cultura cristiana, così la rivoluzione francese ha segnato l’inizio della fine del cristianesimo e il processo, ancora in atto, del mondo postcristiano. Nel 1792 in Francia viene autorizzato il divorzio; è abrogato nel 1816 e viene ristabilito nel 1884. Viene messa in discussione la legge naturale che viene intesa come una realtà che è l’uomo ad inventare e non il contrario. In questo clima culturale di forti tensioni, cresce sempre di più la proposta del valore della libertà individuale, che fa molta paura all’istituzione ecclesiale che, di fatto, nel XIX secolo interviene con alcuni documenti pontifici in cui si lanciano strali contro la libertà di coscienza[13]. “L’umanismo morale contemporaneo va nella direzione del benessere dell’individuo, senza alcuna visione antropologica. Ciò che conta è il desiderio e il benessere allo stesso istante… per questo motivo viene legalizzata l’eutanasia”[14]. L’inversione normativa che si vede all’opera tra il XIX e il XX secolo rappresenta l’esatto contrario di ciò che si vedeva nel IV secolo. “Si ristabilisce il divorzio che la cristianità aveva abolito, si permette l’infanticidio, diventa legittima l’omosessualità, il suicidio. Si tratta, dunque di un ritorno al paganesimo, alla morale che c’era prima del cristianesimo”[15]. Lo spirito rivoluzionario che ha soffiato in occidente a partire dal XVI secolo in Olanda, interra l’idea di un ordine morale e sociale imposto dall’alto. Secondo Delsol gli stessi chierici non difendono più l’antico ordine morale. Viene legittimata l’assoluta libertà di coscienza, come conseguenza del rovesciamento ontologico in atto. Questo è il punto centrale che Delsol rileva: i cambiamenti morali epocali dipendono da una specifica impostazione ontologica.  

Un’inversione normativa, soprattutto di queste dimensioni, riposa sul solco di un’inversione filosofica. Sarebbe meglio dire un’inversione ontologica, nel senso classico della scienza dei principi primi. Non si può cambiare tutta la morale su dei semplici capricci. Ogni cultura e civiltà posa, in un momento originario e decisivo della sua storia, delle scelte ontologiche primordiali sulle quali tutto il resto si costruisce e si appoggia. Per la cristianità l’epoca decisiva è stata quella dei primi concili, che stabilirono i contorni delle prime verità sulle quali avrebbero vissuto sedici secoli di verità cristiane: Dio, la persona, la morale… “Le scelte ontologiche non sono mai scese dal firmamento: sono delle decisioni umane, degli impegni presi insieme e che determinano i secoli seguenti”[16].

Secondo Delsol, ogni civiltà è basata sul prestigio e la statura considerevole dei suoi primi principi, decretati nei tempi antichi e che cerca continuamente di rinnovare per poter attraversare i secoli. Se i popoli cessano di credervi, si può arrivare ad un disastro, un cataclisma. Arriva, comunque, il giorno in cui crolla la fede nei primi principi. “Oggi noi viviamo un punto di rottura in cui le scelte ontologiche primordiali sono abbattute…83 Ciò che fonda una civiltà non è la verità, ma la fede in una verità”[17]

Una prima inversione ontologica di spessore è avvenuta all’origine del giudaismo. Mosè, secondo Delsol, fece passare il suo popolo a forza dal politeismo al monoteismo. Occorre capire la causa di questi stravolgimenti epocali in termini di visione del mondo e comprendere in che senso la nostra epoca s’iscrive in questi processi. A questo punto del discorso Delsol segue Jaspers[18] quando affermava che personaggi tra loro molto differenti come Budda, Mosè, Gesù, Socrate e Confucio, che si manifestarono nella storia in epoche abbastanza vicine, traducono la venuta di un secondo periodo nella storia delle religioni. La differenza tra il primo e il secondo periodo delle religioni sta nel fatto che il politeismo è nature ed evidente, il monoteismo non è naturale, perché si appellano alla nozione di rivelazione, de fede, che esigono una continua riaffermazione. Secondo Delsol il politeismo non è mai scomparso, anzi riappare costantemente nei momenti di crisi.

Ciò che in Occidente chiamiamo il rinascimento è un momento durante il quale le élites cristiane, colte dal dubbio, cominciano a tornare alle filosofie di Epicuro e di Lucrezio per riempire il vuoto. Oggi, non c’è nulla di più vicino al pensiero postmoderno che il pensiero di Epicuro[19].

Per questo motivo, secondo Delsol, il cristianesimo non sarà rimpiazzato per delle forme negative come il nichilismo – è questo, a suo modo di vedere, l’errore dell’analisi che oggi viene fatta dai gruppi più tradizionalisti del cristianesimo- ma per delle forme storiche molto comuni, più primitive e rustiche. “Dietro il cristianesimo crollato non ci sarà il regno del crimine, il nichilismo, il materialismo estremo: ma piuttosto delle morali stoiche, il paganesimo, delle spiritualità di tipo asiatico”[20]. Delsol è convinta che l’attrattiva per le religioni panteiste sviluppa sul minimo passo indietro della religione monoteista. Il problema, a questo punto, è capire quale metafisica, quale impostazione filosofica sostituisce l’ontologia classica, su cui si dovrà fondare la nuova etica. A partire da autori come Nietzsche, Ilich, ma soprattutto Ludwig Klages che avviene un cambiamento radicale di prospettiva. L’anima, infatti, non traduce più un’istanza immortale, come per i cristiani, ma un principio vitale, come per i Romani. Si assiste così, “all’elogio della passività contro l’attività, del femminile contro il maschile, della natura contro la cultura, della realtà contro l’ispirazione all’eternità”[21]. Il pensiero di Klages, secondo Delsol, ha condizionato la nostra epoca postcristiana, perché più di ogni altro ha saputo presentare un pensiero sostitutivo all’impostazione metafisica occidentale e fornire, così, le basi, per un nuovo modo di pensare e di vedere il mondo. “L’apologia dello slancio vitale e dell’eterno naturale, costituisce un fondamento della filosofia ecologista”[22]. La credenza nella trascendenza è stata sostituita è stata sostituita dal significato della vita da trovare in questa vita. Ecco perché è possibile parlare di panteismo o di politeismo, perché la corrente filosofica he promette di più in questo passaggio epocale è una forma di cosmo teismo legato alla difesa della natura. Il sacro si trova tra i paesaggi della terra e non più nell’aldilà. Non c’è più un mondo al di là per cui sacrificare l’esistenza, ma l’uomo postcristiano si sente a casa propria nel mondo. È in questa prospettiva che Delsol vede l’ecologia come una specie di religione per le nuove generazioni, una sorta di religione immanente e pagana, perché il pensiero ecologico oggi sviluppa una vera e propria filosofia della vita. Delsol conclude la sua disanima affermando che: “la nuova religione ecologica è una forma di panteismo moderno”[23] ed è su questa impostazione ecologica che il postcristianesimo sta impiantando i suoi valori pagani.

 



[1] Chantal Delsol (Parigi, 1943) è una filosofa e scrittrice francese. Laureata in filosofia e storia dell’arte all’Università di Lione, ha conseguito il dottorato (ès lettres) in filosofia alla Sorbona sotto Julien Freund nel 1982. Nel 1992 è diventata professoressa all’Università di Marne-le-Vallée. Membro dell’Accademia di Francia. Vincitrice di numerosi premi, tra cui il Premio dell’Accademia di Scienze Etiche e Politiche (1993,2002) il Premio Mousquetaire (1996) e il Premio dell’Accademia Francese (2001).Ha fondato l'Hannah Arendt Institute nel 1993 ed è diventata membro dell'Accademia di scienze morali e politiche nel 2007. Cattolica, "liberal-conservatrice", federalista e favorevole al principio di sussidiarietà basato su quello di singolarità, è editorialista presso Valeurs Actuelles e direttore della collezione presso Editions de La Table Ronde.

[2] DELSOL, C. «Il cattolicesimo dopo la cristianità», in: http://www.archicompostela.es/wp-content/uploads/2019/10/Chantal-Delsol-IT.pdf

[3] DELSOL.C. La fin de la chrétienté. L’inversion normative et le nouvel âge. Paris : Cerf, 2021, p. 30.

[4] Ivi, p.36.

[5] Ivi, p. 50.

[6] Ivi, p. 51.

[7] Per questo tipo di analisi cfr.:

[8] Cfr. CASEL, O. Fede, gnosi e mistero. Saggio di teologia del culto cristiano. Padova: EMP, 2001.

[9] Cfr. CANTALAMESSA, R. Dal Kerigma al dogma. Studi sulla cristologia dei Padri. Milano: Vita e Pensiero, 2006.

[10] Cfr. TADDEI FERRETTI, C. Ipazia di Alessandria e Sinesio di Cirene. Un rapporto interculturale. Trapani: il Pozzo di Giacobbe, 2018.

[11] DELSOL.C. La fin de la chrétienté, cit. p. 40.

[12] Ivi, p. 43-44.

[13] “Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza qualche vantaggio alla Religione” (GREGORIO XVI, Mirari vos, 1832).

[14] DELSOL.C. La fin de la chrétienté, cit. p p. 64.

[15] Ivi, p. 65.

[16] Ivi, p. 82.

[17] Ivi, p. 84.

[18] JASPERS, K. Origine e senso della storia. Milano: Mimesis, 2014.

[19] DELSOL.C. La fin de la chrétienté, cit. p. 89.

[20] Ivi. p. 90.

[21] Ivi, p. 98.

[22] Ivi, p. 99.

[23] Ivi, p. 105.

lunedì 29 agosto 2022

FIACCOLATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE - 31 AGOSTO 2022 A BOLOGNA

 


Mercoledì 31 agosto (con partenza da piazza Liber Paradisus alle 21 e percorso attraverso il Navile) è organizzata una fiaccolata contro la violenza sulle donne, dopo il femminicidio di Alessandra Matteuzzi, assassinata a martellate il 23 agosto dall'ex compagno. "Vi invito a partecipare in tanti per dire No alla Violenza contro le donne. Saremo accanto alla rete delle donne di Bologna, promotrici della fiaccolata, per ricordare Alessandra Matteuzzi e tutte le donne vittime di violenza", scrive il sindaco di Bologna Matteo Lepore.


"Manifestiamo il nostro impegno contro la violenza, nelle sue tante forme. Impegniamoci per un cambiamento concreto della società e delle istituzioni. Lavoriamo insieme per una città sicura di giorno e di notte, per tutte e tutti", aggiunge Lepore. "La violenza maschile contro le donne è un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di uguaglianza, sviluppo e pace nonché una palese violazione dei diritti umani. La violenza contro le donne viola, indebolisce e vanifica il godimento da parte delle donne dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali", si legge nel volantino dell'iniziativa.

giovedì 25 agosto 2022

I CATTOLICI NON ANTIFASCISTI




 


[Articolo che ho ricevuto e che pubblico volentieri nel mio blog]

Gilberto Squizzato [1]

 

Vi chiedete scandalizzati e stupefatti come sia possibile che milioni di cattolici "praticanti" (e non) si preparino a votare fra un mese per lo schieramento di Destra-Destra capeggiato non più dal fatiscente, patetico Berlusconi ma dall'ambigua "donna, madre, cristiana" che rifiuta un'esplicita, totale abiura del fascismo, che amica di Orban urla davanti ai falangisti spagnoli di Vox la sua predilezione per il sovranismo autoritario, che si prepara a celebrare esultante in ottobre - da recente vincitrice delle elezioni- il centenario della Marcia su Roma degli squadristi del Duce e il 25 aprile 2023 intende procedere a una solenne Pacificazione nazionale, parificando partigiani antifascisti e militanti della RSI?

Ma non c'è nulla da stupirsi, perché tranne una consistente minoranza di cattolici "democratici" e di ex-democristiani sinceramente antifascisti, il grosso del cattolicesimo (e del clero!) italiano non solo non ha mai fatto seriamente i conti con la passiva, calcolata acquiescenza della Chiesa italiana al Concordato del '29, ma neppure con le profonde, inconfessate propensioni dell’anima di quella che fu definita la Balena Bianca per un atteggiamento che possiamo chiamare "non-antifascista". Quella massa elettorale che pigramente per mezzo secolo fece pesare la massa determinante dei propri voti, una volta inabissata la DC della prima Repubblica, entrò in larga misura placidamente nei porti di Forza Italia e dell’UDC, ma anche tumultuosamente nel bacino elettorale della Lega di Bossi e poi di Salvini.

Non c'è dunque da meravigliarsi se le stime di serissimi sondaggi sociologici ci dicono che metà dei cattolici che vanno a messa ogni domenica nel 2018/2020 simpatizzavano con il Ministro degli Interni xenofobo persecutore dei migranti in fuga dalla Libia e dall'Africa sub- sahariana, mentre un altro quarto era già decisamente allineato sulle posizioni di Giorgia Meloni,  senza sentirsi in imbarazzo né gli uni né gli altri davanti al loro papa che appena eletto era andato a Lampedusa a chiedere perdono a nome dell'Europa agli annegati del Mediterraneo.

Quelle simpatie e intenzioni di voto la dicono lunga sui sentimenti di fondo di gran parte di quel che resta del continente cattolico italiano, con un clero solo molto parzialmente impegnato sui valori della giustizia e dei diritti e impegnato invece a difendere una religiosità intimistica, disposta all'obbedienza, angosciata dalla perdita di ruolo dell'istituzione cattolica, intimorita dall'arrivo di migranti di altre religioni.

Più difficile da comprendere, secondo alcuni, la posizione di quelle minoranze cattoliche attivissime nella società come Comunione e Liberazione, già grande elettrice del celeste Formigoni, disinvolto privatizzatore del servizio sanitario pubblico in Lombardia più tardi condannato per corruzione.

Non pochi osservatori sono increduli davanti alla perseverante, inossidabile scelta dei Ciellini (ma anche di tanti onesti e generosi volontari cattolici che si prestano a soccorrere persone sole, malate, bisognose e tanti stranieri in difficoltà) di militare da un trentennio nel Centro Destra, pronti oggi a farsi portatori d'acqua (cioè di voti, spesso determinanti nel nostro sistema elettorale) della Destra della post-fascista Meloni.

Che cosa c'è dietro questa pervicace e spregiudicata disponibilità ad assecondare (ma con la dichiarata intenzione di "moderarla" e condizionarla) l'onda autoritaria, sovranista, nazionalista, parafascista della vecchia e nuovissima Destra? Un bieco ed egoistico calcolo di interesse? un carrierismo disinvolto che procura presidenze, primariati, convenzioni con enti pubblici?

Prima ancora, e fortissimo, c'è - a mio avviso - un pensiero teologico, e conseguentemente ecclesiologico- che viene da molto lontano. Non una fede cristiana che vuole il credente "immerso" fiduciosamente nel mondo (per essere come lievito nella pasta del pane) ma che lo vuole invece "separato". Sto parlando di quella separazione, anzi del conflitto, teorizzati, da Agostino all'inizio del V secolo, fra la "civitas dei" e la "civitas hominum”, fra la città (più precisamente, la "società") degli eletti di Dio e società laica puramente umana, non benedetta dalla grazia divina.

Secondo me è questo, seppur mai dichiarato, il fondamento teologico della predicazione carismatica di don Giussani, teorizzatore dell’”incontro" (con Dio) che si incarna nell'incontro con la Chiesa degli eletti come luogo costitutivo della coesione del movimento. Ma al tempo stesso questo incontro crea una cesura nei confronti del resto della società, che diviene luogo di missione e non di collaborazione laicamente fraterna e paritaria.

Da questo atteggiamento di separazione che genera fortissima coesione fra gli aderenti a CL scaturisce il ruolo privilegiato (e privilegiante!) della comunità cristiana, superiore e dunque potenzialmente indifferente ai conflitti sociali, e perciò disinvoltamente libera di allearsi politicamente con chiunque sia disponibile (anche solo per interesse elettorale) a riconoscerle un ruolo unico e distinto. Proprio per poter svolgere quel ruolo, Ciellini e cattolici convinti di una propria missione "più alta" perché investiti dai crismi di quell' "incontro" (cioè da quella grazia del tutto particolare) rivendicano e ottengono dai loro alleati di Destra le garanzie di ampi spazi di azione.

Questa auto narrazione che celebra la separazione giustifica infatti, per i Cellini, il diritto/dovere della Chiesa (ma soprattutto della comunità ciellina) di creare e possedere le proprie scuole, le proprie imprese nel campo sanitario e socioassistenziale, le proprie cooperative più o meno confessionali, le proprie iniziative economiche, anche finanziando il tutto con soldi pubblici.

Fu proprio su queste premesse ecclesiologiche che prese corpo la forte sinergia fra CL e Woytjla, il Papa convinto assertore della "Cristianità" come società autosufficiente e protesa all'universalità. Nessuno più di Giovanni Paolo II, in epoca moderna, professò il valore di questa insostituibile centralità della Chiesa, riuscendo perfino a dare - per via polacca, cioè attraverso Solidarnosc- una spallata decisiva per il crollo dell'URSS e poi del patto di Varsavia.

 

In Italia quella fu la lunga era del predominio di Ruini, lo sponsor religioso di Berlusconi, sdoganatore della Lega e dei post fascisti, capace di influenzarne le scelte sui "valori non trattabili" della bioetica ma anche su quelli più venali delle esenzioni ICI, dell insegnamento retribuito della religione nelle scuole pubbliche, delle convenzioni delle Regioni con le cliniche cattoliche,  ecc. Quel pensiero ruiniano non è mai tramontato e nonostante la nomina di Zuppi alla presidenza della CEI è ampiamente egemone nel mondo cattolico italiano.

Nulla da stupirsi dunque se anche il 25 settembre milioni di bravi cattolici della domenica (non solo ciellini ovviamente ma anche moltissimi generosi parrocchiani) riterranno coerente con questa "teologia della separazione" di ascendenza agostiniana e ruiniana votare per lo schieramento raccolto intorno alla post fascista Giorgia Meloni.

 

La quale, per parte sua, con la sua nuova versione del "Dio, patria, famiglia" di Mussolini, ora declinato dal marketing elettorale nel più moderno "donna, madre, cristiana", sa bene come titillare i punti più sensibili di quell'elettorato cattolico tradizionalista e preconciliare che quattro anni fa si era lasciato sedurre, in perfetta ingenua buona fede, dai rosari e dai Vangeli sbandierati da Salvini.

Non c'è nulla da fare: questa è la nuova "questione cattolica italiana" dopo la scomparsa della DC, perché con il sistema maggioritario che determina l'elezione di un terzo dei parlamentari anche poche migliaia di voti portati alla Destra nei singoli collegi da quest’area di cattolici saranno determinanti per la vittoria della nipotina di Benito, Giorgio (Almirante) e del Fini prima maniera con il braccio levato nel saluto romano. Gran parte dei cattolici italiani non sono mai diventati antifascisti e non lo sono neanche oggi.



[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Gilberto_Squizzato Giornalista, scrittore e accademico italiano

venerdì 19 agosto 2022

MISSIONARIO

 



Paolo Cugini

Non si diventa missionari perché si va in missione. È qualcosa che una persona deve avere dentro come battezzato, come discepolo di Gesù, che lo vuole imitare, vuole seguire il suo esempio. E allora con entusiasmo si prende su e si va per le strade, le case ad incontrare le persone dove vive la gente e lì senza mediazione, senza sotterfugi si annuncia il Vangelo di Gesù. Perché la realtà è questa e cioè che il Vangelo per essere annunciato non ha bisogno di strutture, di cose molto sofisticate. Ha semplicemente bisogno di un cuore che lo accolga e che accogliendolo si faccia testimone, portatore, annunciatore.

Gesù non ha bisogno di sofisticazioni: è l’inganno del mondo che complica tutto e soprattutto che tenta di rendere tutto alla mercé dei ricchi, di coloro che le cose non le accolgono, ma le comprano. Gesù, invece non lo compriamo. Forse qualcuno crede di comprarlo, ma la realtà è un’altra. Anche perché Gesù fugge e si nasconde: si nasconde là dove l’umanità non lo cerca e cioè nei poveri, nei sofferenti, negli esclusi, negli emarginati, senza casa e senza terra. In questa prospettiva missionaria, missionario non è solamente colui che annuncia il Vangelo all’umanità, ma che allo stesso tempo è alla ricerca continua del Signore. Perché la verità è che nessuno possiede il Signore, anche perché il Signore non si lascia possedere da nessuno, e c’è continuamente bisogno di cercarlo. E allora, il missionario mentre annuncia il Signore lo trova nei poveri che ricevono l’annuncio, lo trova tutte le volte che si sforza di andare fuori: fuori dalle Chiese, dagli oratori, dagli schemi prefissati; fuori per un incontro più vero e autentico, perché povero e spogliato di tutto. Missionario è colui che, come Cisto, è alla ricerca dell’uomo, della donna e lo va a trovare per entrare nella sua casa, per cercare un’approssimazione, una relazione. Di fatto, il missionario è anzitutto un uomo di relazione, che cerca la relazione che ama conoscere gli altri e lasciarsi conoscere.

È chiaro che la missionarietà comporta una stanchezza, un ritorno. Ciò significa che come c’è il tempo dell’uscire fuori, c’è anche il tempo dell’entrare dentro. Ed è il tempo della preghiera, della riflessione, del voltarsi dinanzi al Padre. È il momento, anche dell’accoglienza dell’altro. La missione, per chi la vive, comporta anche un cambiamento. Ogni approssimazione, se è autentica, comporta un mutamento. C’è qualcosa che deve morire per lasciare spazio all’altro, alla novità dell’altro. E l’altro è il fratello, la sorella alla quale mi sono avvicinato per portargli un annuncio di salvezza che è la conoscenza del Signore. E in questo incontro scopriamo che c’è qualcosa che non conoscevamo, che non sapevamo; scopriamo che mentre portiamo il Signore, Lui stesso ci sta aspettando nel fratello, nella sorella. Per questo c’è sempre una morte in un incontro di annuncio, perché il nuovo uccide ciò che è passato, il vecchio, per fare spazio alla novità. Non c’è risurrezione senza morte (Diario 2000).

giovedì 18 agosto 2022

Borderline gender e le Chiese del sud globale- Dossier di Missione Oggi

IN DIALOGO CON VLADIMIR LOSSKY

 



Paolo Cugini

[LOSSKY, V. A immagine e somiglianza di Dio. Bologna: EDB 2016]

 

“Lo Spirito Santo diversifica ciò che Cristo unifica. E tuttavia una concordia perfetta regna in questa diversità e una ricchezza infinita si manifesta in questa unità. C’è di più. Senza la diversità personale, l’unità di natura non potrebbe realizzarsi, sarebbe sostituita da un’unità esteriore, astratta amministrativa, accecamento subito dei membri di una collettività… Nessuna unità di natura senza diversità delle persone, nessuna persona pienamente realizzata al di fuori della unità di natura. La cattolicità consiste nell’accordo perfetto di questi due termini: unità e diversità, natura e persone” (V. Lossky). 

Se lo Spirito Santo diversifica ciò che Cristo unifica, ciò significa che là, dove manca la diversità, là dove la diversità è considerata un problema, là dove si fa di tutto per soffocare la diversità e lo Spirito Santo stesso ad essere soffocato, messo a tacere. Quando nella Chiesa non c’è spazio per le diversità è una volontà di potenza che cerca d’imporre la propria volontà sullo Spirito Santo, cioè sulla stessa volontà del Padre.

 

Il problema è: come accordare unità e diversità in un contesto concreto come quello di una Chiesa locale? Spesso, anzi, sempre dipende dalla persona che guida la comunità. Se è abbastanza umile da ascoltare, entrare in dialogo con tutte le diversità presenti nella comunità, allora la comunione regna, se no è una tragedia, una sofferenza di tutto il corpo. Come un pastore può salvaguardare la comunione, l’unità nella comunità? Mi sembra che il termine giusto per rispondere all’interrogativo sia: accompagnare. Solamente il pastore che accompagna le diversità riesce a collaborare dentro un cammino di comunione. Che cosa significa accompagnare? È entrare nella “diversità”, partecipare per quanto possibile alla vita di quel particolare movimento, gruppo, per discernere gli eventuali errori, le ricchezze da apportare alla comunione. Tutto ciò ha un’implicazione di natura antropologica. Di fatto: “Non sono le priorità di una natura individuale, ma il rapporto unico di ciascun essere con Dio che costituisce l’unicità di una persona umana, rapporto che è confermato dallo Spirito Santo e che si realizza nella grazia” (V. Lossky).

Questo passo di Lossky è molto profondo perché aiuta a comprendere la relazione tra ciò che una persona è e si trova ad avere come eredità nel momento della nascita e, dall’altra parte, Dio. In fin dei conti il problema potrebbe essere impostato così: che cosa è che determina l’unicità della persona? La risposta della Parola di Dio è ben chiara: è il rapporto personale con Dio, perché è dentro questo rapporto che maturiamo tutti quei doni che Dio ci ha dato in dono. Chi noi siamo è solamente Dio a rivelarcelo e ce lo rivela nel tempo, perché è l’ambito in cui si costruisce la relazione con lui. Tutto, allora, dobbiamo fare affinché questa relazione diventi significativa e, per certi aspetti, maturi. È questo il senso della preghiera: rapporto con Dio che porta a maturazione la nostra costanza. Per questo la preghiera è qualcosa da coltivare e rivela lo spessore della maturità umana e la coscienza che abbiamo di essere unici di fronte a Dio e, di conseguenza la nostra differenza. Chi ha paura delle differenze degli altri è perché non conosce la propria unicità, la propria differenza e non la conosce perché non gli è stata rivelata e non gli è stata rivelata perché ha passato poco tempo con Dio o, se lo ha passato, lo ha trascorso male. È la relazione con Dio che costantemente rivela l’unicità, la diversità, il senso del cammino. Per questo il rapporto con Dio, che è la preghiera, è da coltivare, da ricercare, ricreare, rimotivare. È una fedeltà creativa, che non si appiattisce, che non permette alle forme e alle formule di prendere il sopravvento (Diari 2000). 

DALL’ALTO AL BASSO VERSO L’ALTRO

 



Paolo Cugini

 

“Sono uscito dal Padre e sono venuto al mondo. Ora lascio il mondo e vado al Padre” (Gv. 16,28). Incarnazione: cammino di discesa e salita (identità e differenza). Dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto: Gesù non si è perso. Gesù non si è mondanizzato. La sua presenza nel mondo non si è mondanizzata, nel senso che il mondo non ha avuto la meglio su di lui. Il mondo non lo ha mondanizzato. Al contrario Gesù ha divinizzato tutto ciò che del mondo ha toccato. O meglio, tutta quella parte di mondo che si è lasciata attrarre dalle sue Parole, che ha creduto nelle sue Parole è stata divinizzata. È venuto nel mondo, e disceso ma non per rimanere. Ha innestato un principio di vita, di divinizzazione del mondo.

 (Gv. 15,9-17). Gesù comanda, ordina ai suoi discepoli di amarsi. Gesù sceglie i suoi discepoli e gli comanda di amarsi. Discepolo è colui che ama Gesù e ama gli altri discepoli. Perché un comando di questo tipo? Come si fa ad ordinare, comandare di amare? Gesù sceglie i suoi discepoli, li toglie dal mondo dell’odio, dell’egoismo, dell’invidia, della gelosia. Li toglie dal mondo perché stiano con Lui, perché vivano con Lui, perché facciano esperienza dell’amore, della gratuità della pace, che viene da Lui. “Rimanete nel mio amore” (Gv. 15,9). Non è qualsiasi amore, un amore qualsiasi che i discepoli devono vivere; non è un amore qualunque. Gesù non dice solamente amatevi gli uni gli altri, ma aggiunge come io vi ho amati. Gesù insegna l’amore, la donazione e lo insegna vivendo con loro. I discepoli hanno avuto modo di capire il senso dell’amore di Dio stando con Gesù. Si apprende ad amare gli altri solamente stando con Gesù. Non ci sono altre alternative. Gesù dice queste parole ai discepoli nell’ultima cena, cioè poco prima di morire. Gesù non dà un comando teorico astratto, ma prima di tutto il suo esempio. Gesù dà il comando dell’amore dopo aver trascorso tre anni con i suoi discepoli. Ciò significa che i discepoli ascoltando Gesù, sapevano questa offerta. “Per loro conoscere me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità” (Gv. 17,19).

Tutto il lavoro di Gesù, per così dire, tutto il suo sforzo è stato la sua consacrazione, la sua fedeltà alla Parola in un rapporto di obbedienza costante al Padre. Lo stesso tipo di lavoro spirituale, interiore lo ha fatto con gli apostoli. E così mentre si consacrava, allo stesso tempo consacrava gli apostoli, perché erano con lui, lo seguivano passo a passo. Gesù ha vissuto questa duplice relazione di consacrazione: con il Padre e con gli apostoli. In questo modo li ha sottratti al mondo per legarli a Dio. Gli ha mostrato il cammino della libertà, che è la perseveranza nella fedeltà alla Parola. Nel mondo da consacrato per essere segno della realtà celeste. Nel mondo da consacrato con la sua Parola: non esiste nessun altro cammino. È chiaro che i cammini spirituali sono tanti come sono tanti gli uomini e le donne. Il cammino di consacrazione, però è unico: lo si fa solamente con la verità che è la Parola. Sicuramente in questo cammino ci entriamo con i limiti, le capacità, la storia, i dati psicologici e biologici. In ogni modo, è la Parola che plasma l’umanità, la trasforma, la santifica, la consacra. E così nel mondo (Kosmo) esiste un pezzo di cielo, esiste un pezzo di eternità, che sta eternizzando, santificando tutta la realtà (Diario 2000). 

mercoledì 17 agosto 2022

LA REALTA’ E L’IDEA

 




Paolo Cugini

È la realtà che sbriciola la durezza. Sei cresciuto, cresciuta in un ambiente che ti ha trasmesso valori inossidabili, e allora carissimo amico, carissima amica, sappi che se vorrai diventare uomo, donna, dovrai imparare a soffrire. Perché è solo la realtà che, mostrandoti il senso delle cose, è la sola capace a spezzare le durezze dei legami duri che l’idea che ti è stata trasmessa. Se si viene da un’educazione religiosa borghese, che ha impastato il messaggio evangelico con la passività di coloro che cercano sicurezze materiali più che il rischio di una vita creativa, allora occorre prepararsi a soffrire. La realtà, infatti, prima o poi presenta il suo conto. È vero che è possibile proteggersi dalla forza della realtà e, forse, non c’è sistema che più ha perfezionato le proprie capacità di resistenza che non sial il sistema borghese. In ogni modo, chi ad un certo punto del cammino quando incominciamo a percepire che la vita è un’altra cosa da quello che ci hanno insegnato, se accettiamo di provare, di rischiare ad uscire dalla prigione che ci è stata costruita intorno e, soprattutto dentro di noi, allora dovremo imparare a soffrire. La realtà preme, infatti, sui punti duri che le idee hanno strutturato nel tempo. Apprendere ad ascoltare la realtà, perché è proprio in essa che si manifesta la divinità, significa fermarsi dinanzi alle sofferenze che il contatto con la realtà provoca.

Molti esempi di ciò che sto dicendo si trovano nei vangeli. Gesù, infatti, pone dinanzi ai suoi discepoli e discepole, delle situazioni in cui diviene visibile il contrasto tra la vitalità della realtà e la morte prodotte da idee anchilosate e mai attualizzate. È il caso, solo per fare un esempio, delle guarigioni fatte in giorno di sabato. Da una parte c’è la legge e dall’altra la realtà di una persona ammalata, il tutto all’interno di un contesto temporale determinato dal giorno di sabato. È lo scontro tra una realtà costruita con delle leggi umane e l’altra che viene dalla verità che sgorga dalla realtà della vita. Sono degli snodi fondamentali in cui ad ogni persona viene data la possibilità di crescere, di entrare in un cammino di liberazione.

Concentrarsi sulla realtà per smettere di cullarsi nelle illusioni e farsi del male. Stare fermi sul presente, cogliendo la realtà. Accettare la realtà e partire da quello che dice, che rivela. Solo con i piedi conficcati nella realtà è possibile cogliere i tratti della trascendenza incarnata che di rivelano, meglio, che si donano. Solo il contatto, il tocco con la realtà può smascherare le illusioni che l’idea porta con sé, spacciandola per reale. 

venerdì 12 agosto 2022

"La chiesa che vorrei": incontro con Matteo Zuppi, presidente Cei

Rompiamo il silenzio sull’Africa. Appello di padre Alex Zanotelli ai giornalisti italiani

 




Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli africani stanno vivendo.

Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo, come missionario e giornalista, uso la penna per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani, come in quelli di tutto il modo del resto. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale.

So che i mass-media, purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che veramente sta accadendo in Africa. Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa.

È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.



È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.

È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.

È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.

È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.

È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.

È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.

È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.

È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).

 


Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.  Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.

Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.

Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.  Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.

E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).

Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alle grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti?

Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.

 

*Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell'Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace

domenica 7 agosto 2022

Ermeneutica e storia

 



Paolo Cugini

L’interpretazione riconosce che ogni contenuto, come ogni fenomeno, si manifesta nella storia. Anche lo stesso dato rivelativo riconosciuto dalla tradizione ebraico-cristiana non sfugge a questa intuizione. Ciò significa che per cogliere il significato del fenomeno che s’intende conoscere occorre ripulirlo dai contenuti culturali presenti nell’epoca in cui si è manifestato. Riconoscere il dato storico degli eventi sembra una cosa banale, ma tanto banale non è. Lo stesso vale per i contenuti di tipo filosofico, scientifico, teologico. Affermare che ogni tipo di verità deve passare il vaglio dell’ermeneutica e della critica storica, è un passaggio che non tutti accettano. Com’è possibile, infatti, sostengono i detrattori dell’ermeneutica, che affermazioni indicate con il titolo di verità debbano assoggettarsi ad una verifica di tipo ermeneutico? L’obiezione deriva da un pregiudizio di fondo che è, allo stesso tempo, un errore di prospettiva.

Il problema, a questo punto del discorso, che può essere posto è il seguente: esistono verità che incontriamo nella storia è che non vengono intaccate dal fluire del tempo? Esistono delle verità nella storia che permangono immobili, sempre le stesse, in ogni epoca? In altre parole, esistono delle verità che non dipendono dallo sguardo e dalla interpretazione di qualcuno? La risposta a questa domanda è complessa e non immediata. Senza dubbio le verità di tipo matematico corrispondono a questa immutabilità. Che due più due fa quattro è un dato immediato e incontrovertibile. Lo stesso non si può dire per le verità religiose. Dio rimane un oggetto difficilissimo da dimostrare. Ha bisogno di una coscienza che lo percepisca e ne condivida l’esistenza. La teologia cattolica si è servita di strumenti della filosofia e, in modo specifico, della metafisica per sostenere l’oggettività del dato rivelato, per arrivarne a dimostrare la sua immutabilità, onnipotenza, onniscienza. La metafisica, però, non ha nulla di scientifico, di apodittico o assiomatico; le sue proposizioni sono tutte proiezioni artificiali umane. Tutte le volte che la cultura occidentale ha preteso di rendere oggettivo e immobile il discorso su dio, ha costruito un idolo che, con il passare del tempo, si è corroso.

Forse il cammino di coloro che cercano a tutti i costi qualcosa di oggettivo su cui appoggiare le proprie insicurezze potrebbe essere quello d’imparare a confrontare i diversi modi di narrare l’oggetto osservato, senza creare contrapposizioni, ma gustando la molteplicità delle possibilità. Abitare la diversità è un esercizio quotidiano che ci avvicina alla realtà, che è molteplice e sfugge ad ogni tentativo di fissazione. Abitare la diversità nel cammino della vita ci rende lentamente tolleranti, capaci di guardare la narrazione dell’altro non con il sospetto di un antagonismo, ma con la gioia condivisa di una ricchezza nuova. Abitare la diversità è come camminare in un campo ed ammirare la bellezza della varietà dei fiori, dove il problema non è scoprire qual è il più bello, ma imparare ad apprezzare la bellezza di tutti.

 

sabato 6 agosto 2022

FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME

 



Tema degli esercizi spirituali

Galeazza 1-4 settembre 2022

Paolo Cugini

 

Secondo il sociologo francese Guillaume Cuchet, una delle cause del processo di scristianizzazione in atto nel mondo occidentale, è la fine della religione del precetto, “l’uscita dalla cultura della pratica obbligatoria”. A mio avviso, c’è del vero in questa affermazione. Liberi dall’obbligo del precetto, finalmente abbiamo la possibilità di scoprire il significato profondo della consegna che Gesù ha fatto la sera dell’ultima cena, quando ai sui discepoli (e, probabilmente, alle sue discepole) ha detto: fate questo in memoria di me.

Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1). Il Vangelo è una storia d’amore. Gesù ha comunicato il suo messaggio creando delle relazioni amicali, vivendo con i suoi amici e le sue amiche, stando con loro, dedicandogli tempo, disponibilità per rispondere alle loro domande e perplessità. Sembrano riflessioni banali o, uno sforzo di voler mostrare a tutti i costi il lato umano di Gesù.

Il problema è che secoli e secoli di obblighi, precetti, imposizioni, minacce, penitenze – tutta roba che con il Vangelo e il messaggio di Gesù non ha nulla a che fare – ci hanno fatto perdere di vista l’essenziale, il cuore del vangelo, vale a dire che la divinità Gesù ce l’ha comunicata con la sua umanità. Chi non riesce a staccarsi di dosso la religione dell’obbligo e dei precetti fa tantissima fatica a mandare giù queste affermazioni. Chi si è abituato a vedere il sacro nella forma, nei pizzi dorati, nei candelabri, nei piviali ricamati, trova impossibile pensare che la dignità di Dio si possa trovare negli stracci puzzolenti di un povero, oppure, nel gesto umano di uno sguardo, un sorriso, una mano tesa.

Trascorrere tre giorni a sfogliare le pagine del Vangelo, rimanere in silenzio, meditare, scrivere su un quaderno le nostre riflessioni- è questa la proposta degli esercizi spirituali-, non è tempo perso. Può, invece, aiutarci a riscoprire il tesoro nascosto, la perla perduta, il dono che il Signore ci ha fatto della domenica, creata non per finire i lavori rimasti indietro, ma per riposarci in Lui, fare esperienza della sua presenza, del suo amore.