PAOLO SQUIZZATO
Sintesi:
Paolo Cugini
Paolo
Farinella, Il peccato e il perdono. Racconta quello che sente quando si
mette nel confessionale. Abbiamo ridicolizzato il sacramento della confessione.
È un sacramento in crisi. È un sacramento istituito dalla Chiesa tardivamente.
Giacomo: confessate i peccati gli uni gli altri. È un sacramento che ha avuto
vari cambiamenti. All’inizio avveniva una volta nella vita e quindi le
penitenze si davano una volta nella vita e quindi ci si confessava alla fine
della vita.
Nascono
i libri penitenziali, i tariffari: ad ogni colpa la penitenza. Le penitenze
erano molto dure. Ad un certo punto la pena si trasforma in denaro: nascono le
indulgenze. Il purgatorio nasce per giustificare la pena che continua anche
dopo la morte.
Riforma
del sacramento. Malgrado la riforma c’è ancora grande
crisi, perché la riforma non è stata applicata. Pensiamo ancora il sacramento
com’era nel medioevo. Cosa ci dice il nuovo Ordo? Non si parla più di
confessione: dire l’elenco del peccato. Ora il centro del sacramento non è il
peccato, la colpa. Al centro del nuovo rito c’è la Parola di Dio e l’importanza
dell’imposizione delle mani, l’effusione dello Spirito. I Vangeli ricordano la
bontà di dio che è misericordia. Cambia tutto. Il sacramento significa
comunicazione di vita divina.
Sperimentiamo
che la vita è fragile, difficile, perché sono difficili le relazioni. La fatica
delle ferite. E allora facciamo esperienza di un amore che ci abbraccia e ci
risintonizza con Dio e poi, dopo questa esperienza, è tornare nel mondo
riconciliato. Il frutto della confessione è come usciamo, come amiamo i
fratelli e le sorelle. C’è un perdono ricevuto, che esige di essere donato. La confessione
dell’elenco della spesa, e non ci cambia, siamo sempre gli stessi. Non si
cresce in questo modo, se non c’è un’esperienza riversata sulle persone.
Confessione
è risintonizzarsi sul cuore di Dio e lo fa non minacciando con dei castighi, ma
con un’iniezione della sua vita in noi. Ecco perché è importante l’imposizione
delle mani. Centro del sacramento non è il peccato, anche perché il peccato non
offende la santità di Dio. Ci riconciliamo con i fratelli e sorelle attraverso
l’amore che il Signore ci dona. L’amore non si può offendere.
Il
criterio del sacramento è l’amore del Padre. Come ci si prepara? Con Luca 15 e
Luca 19. Luca 15: il figlio esce di casa, tocca il fondo e vuole tornare. Dal
padre riceve solo un abbraccio, non gli interessa dov’è stato, cos’ha fatto.
Quello che è importante è l’esperienza presente, come figlio di nuovo del re e
il figlio ricomincia a vivere.
Il
peccato ha offeso me, non Dio. Ho bisogno di un amore che cura le ferite,
davvero. L’amore è infinito.
Zaccheo.
Uomo caduto e Gesù lo avvolge a casa sua. L’amore previene. Non gli chiede
pentimento.
SACRIFICIO
C’è
in sottofondo l’A.T. Gesù vede a Gerusalemme una situazione specifica della
religione del tempio. Intorno al tempio di Gerusalemme vi era una organizzazione
spaventosa: venti mila sacerdoti vi lavoravano, 24 turni settimanali. C’erano i
leviti, che erano aiutanti. Nel Tempio lavoravano tra 50/ 60 mila persone. Le
loro funzioni cominciavano prima dell’alba con la pulizia. Solo all’alba si
portava l’agnello da sacrificare. L’agnello doveva essere perfetto in tutte le
sue parti. Poi venivano aperte le porte del santuario. Ci volevano decine di
persone per aprire i portali. Il rumore dell’apertura delle porte si sentiva
fino a Gerico (25 km).
Sacrifici:
si tratta di animali domestici, che vengono sgozzati. Il sangue veniva versato
sull’altare e il resto macellato. L’animale bruciato viene chiamato olocausto. L’idea
di sacrificare una vittima è richiesta dalla Torah per avvicinarsi a Dio. Anche
Gesù è stato allevato in una famiglia osservante, religiosa: era questo il
clima naturale di una coppia d’Israele. Si sacrificava per diversi motivi:
salute, ringraziamento, lode. Tutto veniva donato al sacerdote. Offrire, sacrificare
qualcosa di sé per far piacere alla divinità. È un’idea comune alle grandi
culture. In alcune culture era sacrificato il primogenito per aggraziarsi la
divinità.
Sacrificio
di Isacco. Abramo lo fa, sale il monte Moria, che oggi è la parte più alta di
Gerusalemme. Questo episodio è significativo perché si suppone che all’epoca in cui è stato
scritto vigessero i sacrifici umani e per interromperli è stato scritto questo
testo.
Gesù
ha sperimentato tutto questo, ha visto tutte queste scene di violenza. Ha visto
i sacerdoti arricchirsi con questo sistema commerciale dei sacrifici. Gesù
spettatore ad un certo punto dice basta.
Nel
film “Io sono con te” c’è questo aspetto del sacrificio, di Gesù che
assiste a questo spettacolo del sacrificio e si chiede: perché Dio ha bisogno
di tutto questo sangue. Dio non è il dio dei sacrifici. Dio non ha bisogno dei
nostri sacrifici. Con Gesù si passa dalla logica del sacrificio alla logica evangelica
del dono. Il Dio di Gesù chiede il dono di sé e non del sacrificio. Nella
dinamica del dono si condivide ciò che è prezioso. Dare le primizie alla
divinità per far piacere alla divinità, con Gesù cade. Nella dinamica del dono
si dona ciò che è prezioso ampliando la propria vita, non la consumazione, la
frantumazione, Nel dono c’è l’intensificazione della vita. Nel donare c’è un
atto di accrescimento. Nel sacrificio c’è l’idea di mortificazione. Faccio
morire una cosa sperando che Dio mi dia vita. Nella croce ad essere salvifica
non è la morte, ma il dono d’amore di sé. È l’amore che scavalca la morte, non
un atto mortificante. La mortificazione non produce nulla. L’amore è fecondo.
Misericordia
io voglio, non il sacrificio: più chiaro di così!
Sacrificio:
sacrifcium: sacrum facere: azione sacra per unirsi alla divinità. Rendo sacro
un’azione per potermi legare a Dio in un atto religioso. Torna l’idea del fare
l’azione sacra per essere ben accetti a Dio. Questa idea, molto forte nella religione
ebraica, è passata ed è rimasta nel cristianesimo. Non si offre più nel
cristianesimo animali, ma peggio ancora, si sacrifica se stessi. È passata l’idea
del disprezzo di sé. Più mi disprezzo, più Dio è contento. Si dà importanza
alle rinunce, Alle mortificazioni. È la logica del fioretto. È un’idea che non
è evangelica, perché ha il sapore di morte. Gesù dice e annuncia il Dio dei
vivi e non dei morti. Aggiunge vita e non la toglie. Che idea di Dio ci siamo
portati entro per secoli? Como può avere senso un Dio che è contento della mia
mortificazione, della rinuncia a vivere?
Quando
Gesù banchettava e diceva che non c’è nessun elemento che rene impuro l’uomo, stava rompendo lo schema sacrificale. Amare Dio con tutto il
cuore, con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti
gli olocausti e sacrifici. Già i profeti lo dicevano che Dio non accetta i
sacrifici, gli olocausti. Dio desidera l’amore, la vita. Il Vangelo è
chiarissimo: l’unica azione capace di donare la salvezza, non è il sacrificio, ma l’amore misericordioso
verso gli uomini e le donne. Non si può parlare di croce come sacrificio, perché
la croce è un atto d’amore. La croce non tocca Dio.
Il
problema è con Paolo, che gli rimane tutto il vocabolario sacrificale. Paolo
non è stato capace di abbandonare il bagaglio della cultura ebraica di cui era
inzuppato. Paolo è certo che Dio salva attraverso il sacrificio.
Sacrificio:
dobbiamo capire il senso. L’unico sacrificio è quello di Gesù. Sulla croce Gesù
ha vissuto la croce come conseguenza ultima dell’amore. Gesù ha amato sino alla
fine gli uomini e le donne. Solo l’amore per gli altri è Vangelo.
Gc
1,27: una religione pura e senza macchia è visitare gli orfani e le vedove.
Tutto il resto non tiene. Chi perde la vita per gli altri, per amore, la
acquista.
Cristo
come sacerdote. Gesù non era sacerdote. Nel Vangelo non se ne parla. Gesù non
ha istituito i sacerdoti. I presbiteri sono un’altra cosa dai sacerdoti. I
presbiteri sono gli anziani della comunità, anziani come carisma. Gesù non è
mai al tempio, oppure lo si trova a guarire e a insegnare, perdonare, mai a
celebrare.
Il
tempio come spelonca di ladri. Gesù non ha mai letto la sua morte come sacrificio
gradito a Dio. Gesù è il profeta contro il sacerdote. Profeta è colui che
denuncia un potere. Tutto questo è passato all’eucarestia: il sacrificio
eucaristico.
Nella
messa si parla tantissimo di sacrifico. Nel NT non c’è la parola sacrificio.
Siamo
vittime di questa tradizione che ci pesa sulle spalle. Non è solo di parole, ma
il fatto che le parole hanno un peso.
Misericordia:
aiutare a far respirare.
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